sabato 24 settembre 2016

Suicide Club: Recensione del film

Titolo originale: Jisatsu Sākuru
Regia: Sion Sono
Soggetto: Sion Sono
Sceneggiatura: Sion Sono
Musiche: Tomoki Hasegawa
Casa di produzione: For Peace Co. Ltd., Omega Project
Formato: film cinematografico
Anno di uscita: 2001


Tōkyō, primi anni Duemila. Una squadra speciale della polizia indaga su una tendenza che sta prendendo piede negli ultimi tempi tra i giovani Giapponesi: quella di mettere in atto dei veri e propri suicidi di massa, in cui nutriti gruppi di adolescenti si tolgono la vita con una sconcertante quanto agghiacciante indifferenza, nelle modalità e nei luoghi più disparati. Credendo che dietro a tutto ciò ci sia un vero e proprio culto istigatore, il detective Kurada – indirizzato da una ragazza nota sulle community online con il nickname di Kōmori ("Pipistrello") – inizia a seguire la pista di un misterioso sito internet che riporta quotidianamente il numero delle vittime; nel frattempo un nuovo gruppo j-pop composto da cinque ragazzine inizia a fare le sue prime apparizioni televisive, riscontrando in tutto il Giappone un successo clamoroso.

sabato 17 settembre 2016

Malice@Doll: Recensione

Titolo originale: Malice@Doll
Regia: Keitaro Motonaga
Soggetto & sceneggiatura: Chiaki J. Konaka
Character Design: Shinobu Nishioka
Visual Concept: Yasuhiro Moriki
Musiche: Y-Project
Studio: Arts Magic
Formato: serie OVA di 3 episodi
Anni di uscita: 2001


La razza umana si è estinta. Ciò che rimane di essa sono le sue creazioni, in particolare uno squallido quartiere a luci rosse in cui delle prostitute robotiche vanno alla ricerca di clienti senza mai trovarli – in fondo, proprio a tal fine sono state programmate. Malice, bambola sessuale che si è guastata – le è uscita della colla da un occhio, che è andata a formare un'indelebile lacrima -, un giorno, mentre si reca dal robot adibito alle riparazioni, incontra una bambina fantasma, che la conduce nei meandri del sottosuolo per farla violentare da una gigantesca maschera dotata di tentacoli. Quando Malice si risveglia è diventata umana, e in più ha guadagnato un potere rivoluzionario: baciando i suoi colleghi androidi – «ti darò un bacio, è l'unica cosa che so fare» -, può infondere loro la vita, facendoli diventare degli esseri di carne e sangue. Ma mentre Malice in versione umana è perfetta, le “vittime” del suo bacio diventano delle mostruosità aberranti, grottesche e insensate. Era questa la sostanza dell'umanità che in passato popolò il mondo? Amore significa anche mutamento, perdita del sé e, in ultima sintesi, morte? Che rapporto c'è tra corpo e spirito? E tra sogno e realtà? Di certo, una mera macchina non può saperlo. Non può comprendere.

sabato 10 settembre 2016

Zettai Shounen: Recensione

Titolo originale: Zettai Shounen
Regia: Tomomi Mochizuki
Soggetto: Ajia-do, Genco, Kazunori Ito, Sogou Vision, Toys Works
Sceneggiatura: Kazunori Ito
Character Design: Masayuki Sekine
Musiche: Hikaru Nanase
Studio: Ajia-do, Genco
Formato: serie televisiva di 26 episodi
Anno di trasmissione: 2005


«E’ dentro noi un fanciullino che non solo ha brividi, […] ma lagrime ancora e tripudi suoi. […] Noi cresciamo, ed egli resta piccolo; noi accendiamo negli occhi un nuovo desiderare, ed egli vi tiene fissa la sua antica serena meraviglia; noi ingrossiamo e arrugginiamo la voce, ed egli fa sentire tuttavia e sempre il suo tinnulo squillo come di campanello. Il quale tintinnio segreto noi non udiamo distinto nell’età giovanile forse così come nell’età matura, perchè in quella occupati a litigare e perorare la causa della nostra vita, meno badiamo a quell’angolo d’anima donde esso risuona.» [Giovanni Pascoli]

Ayumu Aizawa è un adolescente introverso, apatico e di poche parole, che durante l'estate si reca dal padre, che risiede in una piccola cittadina di campagna. Mentre vaga senza meta per le strade di un luogo privo di attrattive, egli incontra Miku, una bambina che parla e ragiona come un'adulta, la quale lo invita a cercagli il suo amico scomparso, Wakkun.
Per caso, in un giorno apparentemente noioso e ordinario come tanti altri, finalmente Ayumu incontra Wakkun, ma quest'ultimo, ben lungi dall'essere un bambino in carne ed ossa, si tratta di una sorta di Zashiki-warashi con gli stessi abiti e le stesse sembianze che Ayumu aveva in tenera età. Wakkun interagisce con alcuni strani yokai che paiono più degli UFO che delle creature del folklore giapponese, delle “fate materiali” le quali, all'occorrenza, da bizzarri oggetti meccanici luminosi si trasformano in bolle di energia che vagano per l'aria allo stesso modo del polline. Come se da questo incontro Ayumu avesse recuperato un frammento smarrito della sua anima, egli si reca assieme al sé stesso bambino a giocare nel bosco, ammirando la semplicità della natura e delle cose, senza pretesa alcuna. Ma dopo questo evento, in città incominciano a diffondersi voci indiscrete, secondo le quali dei kappa sono apparsi in un ambiente ormai violato dalla precarietà del misterioso e dell'inaccessibile. La giornalista Akira Sukawara, attratta da questo clima insolito, incomincia ad indagare sulle misteriose apparizioni, interagendo con gli asettici ritratti di una giovinezza svuotata e malinconica la quale, con la dovuta sofferenza interiore, sta muovendo i primi passi verso l'adultità. 

sabato 3 settembre 2016

Mushishi: Recensione

Titolo originale: Mushi-shi
Regia: Hiroshi Nagahama
Soggetto: Yuki Urushibara
Composizione della serie: Hiroshi Nagahama
Character Design: Yoshihiko Umakoshi
Musiche: Toshio Masuda
Studio: Artland
Formato: serie televisiva di 26 episodi
Anni di trasmissione: 2005-2006


"Mushishi", serie animata del 2005 tratta dall'omonimo manga di Yuki Urushibara, può definirsi alla stregua dell'identità interiore di un Giappone ormai iper-modernizzato, ma che al contempo ha sempre gelosamente conservato quelle caratteristiche ancestrali che si concretizzano nel legame spirituale con la natura, nel rapporto con gli antenati e nella fedeltà alle proprie tradizioni. Anche nel vastissimo campo dell'animazione i modelli pratici di tutto ciò sono svariati – si pensi al capolavoro miyazakiano "La città incantata", riconosciuto a livello internazionale con il premio Oscar – e spesso si ritrovano nascosti e integrati persino all'interno di opere di tutt'altro genere o contesto. È per questo che ritengo "Mushishi" – che si fonda esclusivamente sulla magnificenza del folklore nipponico – una serie profondamente giapponese, tanto nella forma quanto nei contenuti; nell'estrema rarefazione dei modelli visivi e narrativi incontra e riporta alla luce l'identità culturale del Sol levante, sopita ma al contempo sempre viva e rimpianta.
In un vortice di emozioni, filosofia e padronanza del mezzo espressivo, "Mushishi" si impone così come una delle migliori serie animate degli anni Duemila.