venerdì 21 agosto 2015

Sonatine: Recensione

 Titolo originale: Sonatine
Regia: Takeshi Kitano
Soggetto: Takeshi Kitano
Sceneggiatura: Takeshi Kitano
Musiche: Joe Hisaishi
Casa di produzione: Shochiku
Formato: film cinematografico
Anno di uscita: 1993


Un uomo, con il sorriso da giullare e gli occhi neri come l'abisso, si sta puntando una pistola in testa. Il suo è un atteggiamento beffardo, ma allo stesso tempo freddo e consapevole; per Murakawa, gangster al termine della sua carriera criminale, la morte sembra essere diventata una compagna in grado di dare conforto, una meta da raggiungere per trovare, dopo una vita di paura e violenza, la pace interiore. Questa scena chiave, in grado di condensare la poetica di Takeshi Kitano in una sola immagine, è sia un punto di partenza che un punto di arrivo, attorno al quale il regista costruisce un mosaico in grado di andare oltre i classici topoi del gangster movie, al fine di veicolare una potente riflessione inerente la condizione umana. Una condizione dettata irrimediabilmente dal cambiamento - quella medaglia le cui facce sono la vita e la morte - e dal rapportarsi dell'uomo con esso, sino alle tragiche conseguenze della sua irrimediabile lotta contro l'impermanenza delle cose. 


Il contrappunto tra "sonno" e "risveglio" è un simbolismo caratteristico del film. Il protagonista viene mandato dal suo boss - che ovviamente intende tradirlo - in un posto in cui il tempo sembra essersi fermato; ivi Murakawa, ormai vecchio e stufo di fare lo yakuza, torna bambino; si mette a giocare sulla spiaggia con i suoi scagnozzi, i quali diventano le vittime dei suoi scherzi infantili; ride, balla, lotta, si diverte con Miyuki, una ragazza salvata per caso da uno stupro, e instaura con lei un rapporto stranamente innocente, puro, diretto. Parlando con questa donna, Murakawa guarda indietro, nel suo passato, e non trova nulla, a parte la necessità di confrontarsi con la morte per sentirsi veramente libero. 

«Sei un duro! Mi fanno impazzire i duri...»
 «Se fossi un duro non porterei la pistola.»
«Ma tu sei veloce a sparare!»
 «Perché sono veloce ad avere paura.»
«Ma della morte non hai paura.»
«Quando vivi nella paura arrivi al punto che vorresti essere morto» (sorride).

Nei film di Kitano, gli uomini sono assimilabili a degli automi completamente succubi delle circostanze esterne, del passato, di loro stessi; dei veri e propri tragici greci schiavi di un sistema rigido, imperturbabile ed impersonale - sia esso la società, la mafia, in ultima sintesi la natura -, i quali non possono fare a meno di adattarsi ad esso e alle sue regole, senza tuttavia perdere la libertà di violarle - pagando un caro prezzo. Nella poetica del regista, è il modo in cui si muore che fa la differenza: per Kitano morte e vita hanno lo stesso valore, pertanto il riscatto finale dei suoi antieroi equivale al coronamento del loro percorso formativo, tristemente osteggiato dalle insormontabili circostanze esterne. Soltanto con la consapevolezza filosofica della morte si può comprendere veramente la vita. Tali riflessioni del regista trovano curiosamente molti punti in comune con gli insegnamenti dei mistici di tutte le epoche.


Fondamentale è la scena in cui Murakawa e i suoi scagnozzi ballano all'interno di un cerchio tracciato sulla spiaggia, muovendosi come dei robot e comportandosi come dei buffoni; essi si prendono gioco del loro stesso destino, della loro miserabile condizione, e lo fanno lucidamente, perché sanno che qualcuno prima o poi verrà ad ucciderli, eseguendo un ordine dettato dall'alto - ed ecco che, in questo caso, lo sfuggente ed anziano leader degli yakuza diventa assimilabile ad una sorta di demiurgo il cui compito è di applicare le crudeli leggi del mondo. 


Contrariamente al film di debutto "Violent Cop", vero e proprio gangster movie dai toni esasperatamente cupi ed angosciosi, "Sonatine" presenta un montaggio alquanto particolare (curato da Kitano in persona) nel quale il flusso temporale degli eventi procede in modo discontinuo, quasi come le tavole di un fumetto, in modo da creare un effetto straniante nello spettatore. Lo stile minimalista del Kitano regista/montatore viene definitivamente consolidato con questo film, il primo grande traguardo della sua poetica dopo la fase di transizione delineata da "Boiling Point" e dal personalissimo "Il Silenzio sul Mare".
Nonostante queste premesse, "Sonatine" è comunque un film realistico, nel quale si muovono personaggi perfettamente plausibili in una società giapponese messa completamente a nudo. In particolare, come accadeva altresì in "Violent Cop", la violenza non viene affatto spettacolarizzata: è cruda, secca, priva di alterazioni sonore. Nel suo realismo, la violenza dei film di Kitano contribuisce a creare frammentazione e contrasto, spezzando i momenti di quiete, poesia ed escapismo con potenti scariche di "realtà" - si pensi anche al successivo "Hana-bi", in cui questa discontinuità è ancora più marcata. 


Di grande contributo al particolare mood dell'opera sono le composizioni del celebre Joe Hisaishi: brani potenti come "In the Beginning" sono in grado di calare immediatamente lo spettatore nell'atmosfera del film, e si fondono maestosamente con quel mosaico di immagini drammatiche le quali, nella loro totalità, costituiscono un vero e proprio monumento all'arte dell'uscire di scena, del mettere la narrazione in secondo piano per andare più in profondità, in quel minaccioso mare che si rivela affascinante, quieto, ma allo stesso tempo terribile, senza pietà alcuna per quelli che se ne stanno lì, sulla riva, a giocare, danzare e ad ammirarlo in tutta la sua enigmatica vastità. 







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