Regia: Takeshi Kitano
Soggetto: Takeshi Kitano
Sceneggiatura: Takeshi Kitano
Musiche: Joe Hisaishi
Casa di produzione: Shochiku
Formato: film cinematografico
Anno di uscita: 1993
Soggetto: Takeshi Kitano
Sceneggiatura: Takeshi Kitano
Musiche: Joe Hisaishi
Casa di produzione: Shochiku
Formato: film cinematografico
Anno di uscita: 1993
Un uomo, con il sorriso da giullare e
gli occhi neri come l'abisso, si sta puntando una pistola in testa. Il
suo è un atteggiamento beffardo, ma allo stesso tempo freddo e
consapevole; per Murakawa, gangster al termine della sua carriera
criminale, la morte sembra essere diventata una compagna in grado di
dare conforto, una meta da raggiungere per trovare, dopo una vita di
paura e violenza, la pace interiore. Questa scena chiave, in grado di
condensare la poetica di Takeshi Kitano in una sola immagine, è sia un
punto di partenza che un punto di arrivo, attorno al quale il regista
costruisce un mosaico in grado di andare oltre i classici topoi del
gangster movie, al fine di veicolare una potente riflessione inerente la
condizione umana. Una condizione dettata irrimediabilmente dal
cambiamento - quella medaglia le cui facce sono la vita e la morte - e
dal rapportarsi dell'uomo con esso, sino alle tragiche conseguenze della
sua irrimediabile lotta contro l'impermanenza delle cose.
Il contrappunto tra "sonno" e "risveglio" è un simbolismo caratteristico
del film. Il protagonista viene mandato dal suo boss - che ovviamente
intende tradirlo - in un posto in cui il tempo sembra essersi fermato;
ivi Murakawa, ormai vecchio e stufo di fare lo yakuza, torna bambino; si
mette a giocare sulla spiaggia con i suoi scagnozzi, i quali diventano
le vittime dei suoi scherzi infantili; ride, balla, lotta, si diverte
con Miyuki, una ragazza salvata per caso da uno stupro, e instaura con
lei un rapporto stranamente innocente, puro, diretto. Parlando con
questa donna, Murakawa guarda indietro, nel suo passato, e non trova
nulla, a parte la necessità di confrontarsi con la morte per sentirsi
veramente libero.
«Ma tu sei veloce a sparare!»
«Ma della morte non hai paura.»
«Quando vivi nella paura arrivi al punto che vorresti essere morto» (sorride).
Nei film di Kitano, gli uomini sono assimilabili a degli automi
completamente succubi delle circostanze esterne, del passato, di loro
stessi; dei veri e propri tragici greci schiavi di un sistema rigido,
imperturbabile ed impersonale - sia esso la società, la mafia, in ultima
sintesi la natura -, i quali non possono fare a meno di adattarsi ad
esso e alle sue regole, senza tuttavia perdere la libertà di violarle -
pagando un caro prezzo. Nella poetica del regista, è il modo in
cui si muore che fa la differenza: per Kitano morte e vita hanno lo
stesso valore, pertanto il riscatto finale dei suoi antieroi equivale al
coronamento del loro percorso formativo, tristemente osteggiato dalle
insormontabili circostanze esterne. Soltanto con la consapevolezza filosofica
della morte si può comprendere veramente la vita. Tali riflessioni del
regista trovano curiosamente molti punti in comune con gli insegnamenti
dei mistici di tutte le epoche.
Fondamentale è la scena in cui Murakawa e i suoi scagnozzi ballano
all'interno di un cerchio tracciato sulla spiaggia, muovendosi come dei
robot e comportandosi come dei buffoni; essi si prendono gioco del loro
stesso destino, della loro miserabile condizione, e lo fanno
lucidamente, perché sanno che qualcuno prima o poi verrà ad ucciderli,
eseguendo un ordine dettato dall'alto - ed ecco che, in questo caso, lo
sfuggente ed anziano leader degli yakuza diventa assimilabile ad una
sorta di demiurgo il cui compito è di applicare le crudeli leggi del
mondo.
Contrariamente al film di debutto "Violent Cop", vero e proprio gangster
movie dai toni esasperatamente cupi ed angosciosi, "Sonatine" presenta
un montaggio alquanto particolare (curato da Kitano in persona) nel
quale il flusso temporale degli eventi procede in modo discontinuo,
quasi come le tavole di un fumetto, in modo da creare un effetto
straniante nello spettatore. Lo stile minimalista del Kitano
regista/montatore viene definitivamente consolidato con questo film, il
primo grande traguardo della sua poetica dopo la fase di transizione
delineata da "Boiling Point" e dal personalissimo "Il Silenzio sul
Mare".
Nonostante queste premesse, "Sonatine" è comunque un film realistico,
nel quale si muovono personaggi perfettamente plausibili in una società
giapponese messa completamente a nudo. In particolare, come accadeva
altresì in "Violent Cop", la violenza non viene affatto
spettacolarizzata: è cruda, secca, priva di alterazioni sonore. Nel suo
realismo, la violenza dei film di Kitano contribuisce a creare
frammentazione e contrasto, spezzando i momenti di quiete, poesia ed
escapismo con potenti scariche di "realtà" - si pensi anche al
successivo "Hana-bi", in cui questa discontinuità è ancora più marcata.
Di grande contributo al particolare mood dell'opera sono le
composizioni del celebre Joe Hisaishi: brani potenti come "In the Beginning" sono in grado di calare immediatamente lo spettatore
nell'atmosfera del film, e si fondono maestosamente con quel mosaico di
immagini drammatiche le quali, nella loro totalità, costituiscono un
vero e proprio monumento all'arte dell'uscire di scena, del mettere la
narrazione in secondo piano per andare più in profondità, in quel
minaccioso mare che si rivela affascinante, quieto, ma allo stesso tempo
terribile, senza pietà alcuna per quelli che se ne stanno lì, sulla
riva, a giocare, danzare e ad ammirarlo in tutta la sua enigmatica
vastità.
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