sabato 29 gennaio 2022

Teoria della civiltà senza dolore (無痛文明論, Painless Civilization): Riflessioni



Quando da piccoli si impara a camminare, inevitabilmente si cade. Le ginocchia magari sbattono per terra e si sbucciano, fuoriesce del sangue e la cosa ci spaventa. Qualcuno, solitamente la madre, si preoccuperà di disinfettarci la ferita, ci prenderà in braccio, ci rassicurerà. Dopodiché i tentativi di andare avanti da soli senza cadere aumenteranno. La vita, quella reale, è tutta così, o almeno dovrebbe essere così. La maturità, sempre quella reale e non quella simulata o ostentata, è tutta forgiata sul dolore. I sentimenti non sono innati e si impara ad amare sbagliando, causando sofferenza negli altri e provando sofferenza noi stessi, e tutto ciò è inevitabile. E nondimeno, paradossalmente, quella cosa che nessuno insegna è fondamentale per la preservazione della vita. L'osservazione fondamentale del libro di Morioka Mashiro (professore di filosofia ed etica alla Waseda University nonché conoscente e corrispondente personale di Shito) che dà il titolo a questo post, quella su cui egli costruisce la sua visione, riguarda proprio ciò che lui definisce "gioia della vita". Secondo Morioka, il vero vivere è una trasformazione che avviene in noi stessi dopo che, tramite esperienze reali con altre persone, abbiamo provato della sofferenza ed effettuato degli sforzi che in qualche modo ci hanno rinnovato. Non serve scomodare il misticismo per capire questa asserzione: siamo esseri ciclici e transitori e come l'araba Fenice siamo destinati a rinascere dalle nostre ceneri. Cosa succede tuttavia se tutto un modo di vivere, se tutta la società che ci circonda, si basa sull'eliminazione del dolore e della fatica? Semplice: le persone non cresceranno, non impareranno mai a camminare, né ad amare. Nella sua opera, guidato da Fromm e Huxley (che cita apertamente), Morioka compie un'analisi molto lucida, cercando di risalire all'origine fenomenologica della civiltà odierna dimostrando una grande conoscenza della natura umana. In questo post, scriverò della visione di Morioka aggiungendo delle considerazioni mie personali. 

martedì 18 gennaio 2022

Masculin, Féminin (Maschile, Femminile): Recensione

Regia: Jean-Luc Godard
 Soggetto:  Basato sui racconti La Femme de Paul e Le Signe di Guy de Maupassant
Sceneggiatura: Jean-Luc Godard
Musiche: Jean-Jacques Debout
Anno di uscita: 1966
 
 

Devo ammettere che Masculin, Féminin di Godard mi ha molto colpito per la sua lucidità sociologica (lo potrei tranquillamente inserire tra i miei dieci film preferiti, sia per la sua estetica impeccabile che per i contenuti a me cari). Liquidato dalla critica del nostro paese perlopiù come un "film su come la gioventù dei late 60's francese praticava il sesso", etichetta risibile quasi quanto l'adattamento italiano del titolo (Il Maschio e la Femmina, scelta compiuta al fine di sessualizzare indebitamente l'opera), esso è in realtà una fotografia in bianco e nero della postmodernità nella Parigi pre-sessantottina. Essendo una nouvelle vague frammentaria e didascalica, la trama è ridotta allo scheletro: Paul, giovanotto comunista incapace di definirsi in un mondo molto confuso, si invaghisce di Madeleine, che lavora con lui nella redazione di una rivista giovanile. La ragazza, così come le sue amiche, è più interessata al consumismo americanizzato dilagante che ad una relazione sentimentale, e infatti si mette insieme a Paul quasi apaticamente, dando la priorità alla sua carriera discografica. La gravidanza lascerà indifferente lei e farà impazzire lui, che pur essendo fissato col socialismo e  critico verso l'utilizzo degli anticoncezionali importati dagli States, si dimostrerà troppo immaturo per affrontare l'idea della paternità. Paul cadrà poi misteriosamente dal balcone di una casa comprata con i soldi della madre senza che venga specificato se si sia trattato di suicidio o meno. Chiudono il film l'impassibilità di Madeleine e della sua amica di fronte all'evento. Nel sottotitolo di uno dei capitoli dell'opera, appare l'asserzione: Questo film potrebbe intitolarsi "I figli di Marx e della Coca-Cola"

domenica 9 gennaio 2022

Heidi, la fanciulla delle Alpi: retrocensione (by AkiraSakura & Shito)

 Titolo originale: Shoujo no Alps Heidi
Regia: Takahata Isao
Soggetto: basato sul romanzo originale di Johanna Spyri
Sceneggiatura: Ookawa Hisao, Sasaki Mamoru, Yoshida Yoshiaki
Character Design: Kotabe Youichi
Musiche: Watanabe Takeo
Studio: Zuiyou Eizou
Formato: serie televisiva di 52 episodi
 Anno di trasmissione: 1974


A Takahata Isao, forse il maggior regista di animazione giapponese mai esistito, dobbiamo numerosi capolavori, sin da quando nel '68, con Hols no Daibouken, stabilì le coordinate di un'animazione intellettuale e raffinata che voleva discostarsi dai canoni francamente bambineschi di Disney/Tezuka per avvicinarsi alla cinematografia francese, in particolare Grimault e Prèvert, il cui sforzo congiunto La Bergère et le Ramoneur aveva impressionato molto il giovane Takahata. Dopo le brevi parentesi di Lupin III e Panda Kopanda, il regista, forte di un notevole budget dovuto al coinvolgimento dello sponsor Calpis (azienda nota per prodotti latticini industriali), dà alla luce quello che a parere di chi scrive è il suo secondo, vero, grandissimo e rivoluzionario capolavoro: Alps no Shoujo Heidi. L'opera fu talmente importante da contribuire tra le tante cose a convertire l'aspirazione della Toei Animation a diventare la Disney del Sol Levante (si pensi ad Hakujaden, che paradossalmente è l'adattamento animato di una favola cinese) in qualcosa d'altro, dal sapore sì occidentale, ma allo stesso tempo squisitamente giapponese nella sostanza. Nella presente disamina, come è solito di questo blog, si farà ovviamente riferimento alla versione in lingua originale dell'opera, scevra dagli infantilismi e dagli errori dell'adattamento italiano ben noto al pubblico mainstream nostrano (notare come nella versione italiana si perdono anche tutte le insert song originali volute da Takahata Isao, che sono importanti per una reale comprensione dell'opera). Dato che solitamente in Italia e all'estero questo tipo di anime tratti da romanzi occidentali dell'800/900, denominati "World Masterpiece Theater", in giapponese "Sekai Meisaku Gekijou" (i.e. "Il teatro dei capolavori dal mondo"), sono stati associati alla nascita della Nippon Animation dopo la scissione della Zuiyou, che aveva avuto non pochi problemi economici a causa dell'elevatissimo budget utilizzato da Takahata per Heidi, vi è una scuola di pensiero secondo la quale Flanders no Inu sia il primo vero meisaku esistente. Tuttavia, per i giapponesi (ovvero nella realtà dei fatti) il progetto in origine si chiamava "Calpis Children's Theatre" e "Calpis Family Theatre" (incluso Heidi, che come accennavamo era sponsorizzato dalla Calpis latticini) e, almeno fino ad Akage no Anne, il primo meisaku chiamato veramente "meisaku" dai nipponici, il nome del filone televisivo variava in base all'azienda produttrice di alimentari che lo finanziava. Il progetto venne poi "formalizzato" al fine di esprimere la volontà educativa mondialista dei boomer giapponesi, che volevano fornire ai "nuovi giovani" della loro nazione dei riferimenti culturali comuni con l'occidente.