sabato 28 maggio 2016

Akira: Recensione

Titolo originale: Akira
Regia: Katsuhiro Otomo
Soggetto: basato sull'omonimo manga di Katsuhiro Otomo
Sceneggiatura: Katsuhiro Otomo, Izo Hashimoto
Musiche: Shoji Yamashiro
Studio: Tokyo Movie Shinsha
Formato: film cinematografico
Anno di uscita: 1988


Negli anni ottanta in Giappone si affermò una generazione di autori che non aveva ricordi diretti del trauma di Hiroshima e Nagasaki: per ovvi motivi anagrafici, il ricordo più scottante impresso nella memoria di questi artisti era la sanguinosa sconfitta dei loro fratelli maggiori nelle contestazioni – nel 1970, data del totale fallimento del movimento studentesco, alcuni membri dell'Armata Rossa fuggirono in Corea del Nord mediante un dirottamento aereo, e il loro capo, Takamaro Tamiya, dichiarò ai media giapponesi la celebre frase “noi siamo Ashita no Joe”. Ciò premesso, il colpo di grazia ai residui idealistici dell'Armata Rossa arrivò a inizio anni ottanta, con l'ascesa al potere di una destra nazionalista e militarista che si fece carico di numerosi scandali politici – dei quali poco importava ad una nuova generazione di adolescenti quanto mai edonisti, i cosiddetti figli della bolla, consumatori aggressivo-passivi privi di ideologie e assai indifferenti, annoiati, senza uno scopo per vivere. Inutile dire che tutto ciò era la naturale conseguenza del benessere e dell'avanzare, sempre più incalzante, della postmodernità come la intendiamo oggi.
Katsuhiro Otomo - classe 1954 -, con il suo “Akira”, uno dei lavori più rappresentativi della storia dell'animazione, prende come spunto il fallimento ideologico a cui aveva assistito da adolescente, e su di esso costruisce un imponente edificio d'immagini i cui protagonisti sono dei veri e propri Ashita no Joe ottantini, dei delinquenti delle strade che si muovono a bordo delle loro moto in un mondo ipertecnologico, distopico e post-apocalittico, in cui i monolitici grattacieli della cosiddetta Neo-Tokyo rappresentano le invalicabili istituzioni, nonché il potere della vecchia generazione che opprime il nuovo, impedendogli di mutare il paradigma sociale vigente.
Tra i bousouzoku (lett: "gli sfrenati") di Otomo - da lui esplicitamente inseriti nel film in quanto appartenenti ai suoi ricordi giovanili, ma comunque onnipresenti sulle strade della Tokyo degli anni ottanta – è presente Tetsuo, un ragazzino debole, edonista, succube di un complesso d'inferiorità nei confronti del capo-banda Kaneda, che gli fa da padre/fratello maggiore – proprio come Ashita no Joe, i protagonisti di “Akira” sono degli orfani senza radici, abbandonati a loro stessi nei sobborghi decadenti di una città piena di contraddizioni. Alla luce di ciò, Tetsuo - potentissimo esper i cui poteri psichici latenti si risvegliano improvvisamente, dopo il contatto con uno strano bambino-vecchio mutante - ricalca il modello comportamentale della generazione di adolescenti cresciuti durante la grande bolla: è introverso, complessato, frustrato e – inconsciamente - alla ricerca di una figura materna che lo consoli. D'altro canto, Kaneda sembra quasi indietro di dieci anni, in quanto punta tutto sulla fisicità e risolve i suoi problemi direttamente, come se fosse un adulto, senza cercare il supporto di nessuno. La moto/simbolo fallico (a detta dello studioso di cinema Jon Lewis) di Kaneda, che simboleggia il potere, inizialmente non può essere guidata da Tetsuo: l'interazione tra i due ragazzi è in parte l'allegoria di uno strano rapporto padre/figlio e corpo/mente, che si dirama lungo l'ambizioso pastiche postmoderno di Otomo attraverso una rielaborazione simbolica in chiave cyberpunk dei caotici mutamenti sociali del Giappone in corso dagli anni sessanta agli anni ottanta, che vengono raccontati in modo indiretto mediante l'ausilio di un carismatico apparato pseudo-mistico-fantascientifico nel quale, da un nichilismo allucinato e totalizzante, emerge la figura del messia Akira, l'uomo-Dio-bambino-Buddha che si fa portatore del rinnovamento in un mondo corrotto, in cui la perenne stagnazione sociale fa presagire un'incombente fine della Storia. 

venerdì 20 maggio 2016

Shirobako: Recensione

Titolo originale: Shirobako
Regia: Tsutomu Mizushima
Composizione serie: Michiko Yokote
Character design: Kanami Sekiguchi
Musiche: Shirou Hamaguchi
Studio: P.A. Works
Formato: serie televisiva di 24 episodi
Anno di uscita: 2014


Aoi Miyamori, Shizuka Sakaki, Emi Yasuhara, Midori Imai e Misa Todo sono cinque studentesse appassionate di animazione che, per il festival scolastico del loro ultimo anno di liceo, decidono di realizzare artigianalmente un cortometraggio anime da proiettare nella propria scuola. Le amiche, all'alba del loro ingresso nella società lavorativa, si scambiano una promessa: in futuro dovranno riuscire a realizzare una loro opera originale, curandone insieme gli aspetti produttivi.
Alcuni anni dopo Aoi è diventata un'assistente di produzione e lavora insieme a Ema, divenuta animatrice, alla Musashino Animation (abbreviato in MusAni), uno studio tornato da poco sulla cresta dell'onda. Midori nel frattempo studia all'università, mentre Misa è stata assunta da un'azienda specializzata in computer graphics e Shizuka, doppiatrice in erba, lavora part-time in un bar per mantenersi gli studi di recitazione.
"Shirobako", serie d'animazione di 24 episodi uscita nella stagione invernale del 2014, è dunque il (meta)racconto di queste cinque ragazze e del loro sogno, che si intreccia con quelli di centinaia di altre persone, all'interno di una delle fabbriche di sogni più vaste e prolifiche al mondo.

lunedì 16 maggio 2016

Il Bokura no Kakumei si espande


Sono trascorsi due anni da quando io e il mio collega Onizuka90 abbiamo deciso di aprire un blog tutto per noi, in cui scrivere liberi da vincoli commerciali, editoriali e, sopratutto, da compromessi legati al mainstream e alla ricerca ossessivo-compulsiva di visualizzazioni e consensi da parte delle masse. Il nostro obbiettivo, sia in passato che nel presente - nonché futuro -, è di proporre recensioni e articoli di qualità - ovviamente nei limiti delle nostre conoscenze e capacità personali -, privilegiando un approccio analitico agli oggetti del nostro interesse, in modo tale da divulgare contenuti di una certa rilevanza; fornire dignità intellettuale ad un media che soltanto ultimamente si sta facendo strada nella cultura con la C maiuscola, superando le etichette preconfezionate che gli hanno attribuito i più; generare un dibattito in modo costruttivo, ben lungi dalle lobotomizzanti tendenze della maggiorparte dei siti a tema anime, manga ecc. presenti nel web, che privilegiano la quantità alla qualità rinunciando ad arricchire culturalmente un fandom molto spesso inconsapevole del contesto e delle potenzialità intellettuali delle opere (quelle meritevoli, s'intende) di cui usufruisce.

sabato 14 maggio 2016

Ano Hana: Recensione

Titolo originale: Ano Hi Mita Hana no Namae wo Bokutachi wa Mada Shiranai
Regia: Tatsuyuki Nagai
Character Design: Tanaka Masayoshi
Musiche:  Remedios
Studio: A-1 Pictures
Formato: serie di 11 episodi
Anno di uscita: 2011


Ano Hi Mita Hana no Namae o Bokutachi wa Mada Shiranai abbreviato AnoHana è una serie del 2011 diretta da Tatsuyuki Nagai, noto anche per Toradora!, e prodotta dallo studio A-1 Pictures.
I primi episodi di AnoHana erano riusciti a illudermi che questo titolo potesse avere grandi potenzialità, ma devo con rammarico constatare che il risultato finale è stato ben al di sotto delle mie aspettative. Forse mi aspettavo qualcosa di meno ovvio e svenevole e la conclusione, seppur con un retrogusto amaro, si caratterizza per uno stucchevole buonismo a me insopportabile. Gli autori sono riusciti infatti nell'intento di rendere un finale di per sé triste in un qualcosa che abbia lo stesso un contenuto positivo, a banalizzare quella che poteva essere una stupenda e tragica conclusione volendo a tutti i costi ostentare buoni propositi capaci solo di produrre compromessi confusi e di basso livello, sfociando quindi in uno scialbo eccesso di buoni sentimenti, suggestivo ma anodino.

sabato 7 maggio 2016

Mawaru Penguindrum: Recensione

 Titolo originale: Mawaru-Penguindrum
Regia: Kunihiko Ikuhara
Soggetto: ikuni chowder (Kunihiko Ikuhara)
Sceneggiatura: Kunihiko Ikuhara, Takayo Ikami
Character Design: Lily Hoshino (originale),Terumi Nishii
Musiche: Yukari Hashimoto
Studio: Brain's Base
Formato: serie televisiva di 24 episodi
Anno di trasmissione: 2011


Tredici anni dopo aver dato alla luce il capolavoro “La Rivoluzione di Utena”, Kunihiko Ikuahara torna nuovamente in scena con un'altra opera dall'indiscutibile valore, “Mawaru Penguindrum”, adattamento (in)fedele e molto autorale di uno dei racconti più celebri della letteratura giapponese, il “Ginga Tetsudou no Yoru” di Kenji Miyazawa. Commistione postmoderna tra fiaba, commedia dell'assurdo e tragedia greca, l'anime in primis è un vero e proprio atto d'amore del suo regista nei confronti degli emarginati, di coloro i quali sono stati confinati nell'anonimato ai limiti della società giapponese, che nell'opera viene rappresentata mediante molteplici, toccanti metafore in un geniale andirivieni di situazioni estreme, riflessioni e dialoghi brillanti. Protagonisti della storia sono i due fratelli Shouma e Kanba Takakura, i quali - allo stesso modo del Miyazawa che nel 1924 iniziava a scrivere il suo racconto in preda al dolore - stanno vivendo il dramma della perdita dell'adorata sorellina Himari, la quale soffre di una grave malattia incurabile. Ha così inizio il loro viaggio a bordo del “Treno della Via Lattea” - il treno del destino -, che nell'anime diventa la metropolitana di Tokyo; all'inizio di questo percorso, che si snoda tra una puntata e l'altra della serie – ogni “fermata” è un episodio dell'anime, scelta abbastanza metanarrativa – tra allegorie ed eventi realmente accaduti, Himari torna misteriosamente in vita grazie ad un copricapo a forma di pinguino, il quale tuttavia la possiede per alcuni brevi frangenti trasformandola nell'impertinente Principessa del Cristallo, una surreale madamigella la quale reclama a gran voce ai due sfortunati fratelli il penguindrum, un oggetto magico che le permetterebbe di avere salva la vita.