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domenica 27 luglio 2025

Lilja 4-ever: Riflessioni


Questo film, che ho deciso di visionare dopo un lungo periodo di astinenza dal medium visivo, è stato come una coltellata, e ci ho messo qualche giorno per riprendermi dal trauma (necessario ai fini della consapevolezza, per carità) che mi ha causato. Ovviamente è tratto da una storia vera, ed è girato altresì in modo ruvido, grezzo, in modo tale da svincolarsi dal concetto stesso di finzione. Lilja 4-ever tra l'altro non è nemmeno definibile come intrattenimento, anche se mantiene incollati allo schermo per tutto il tempo. Il regista è svedese, la pellicola datata duemiladue, una buona annata per il cinema in generale. Lilja, interpretata da una fenomenale Oksana Akin'šina, è una sedicenne che viene abbandonata dalla madre e dal patrigno in un paesino sperduto dell'Estonia, un luogo di cattiveria e miseria ancora reduce della caduta dell'Unione Sovietica. Tradita dalla zia, che la caccia di casa, e dalla sua migliore amica, che la fa passare per zoccola al suo posto per salvarsi la faccia, Lilja, una volta ufficialmente diseredata (la madre comunica per lettera ai servizi sociali la rinuncia alla propria patria potestà), si ritrova sola e senza un soldo in compagnia  del giovane amico Volodja, un dodicenne dalla situazione famigliare disastrata che, fortemente innamorato di lei, ne fa una sorta di figura genitoriale sostituto. Per Lilja non resta altro da fare che prostituirsi, e farsi ingannare da quello che sembra essere il suo "principe azzurro". Il resto del film è mera meccanica, ossia una spirale di rabbia, brutalità, dolore e rassegnazione prive di voce, fino all'ovvio, devastante finale. 

mercoledì 9 novembre 2022

Battle Royale: Recensione

 Regia: Fukasaku Kinji
 Soggetto:  Basato sull'omonimo romanzo di Takami Koushun
Sceneggiatura: Fukasaku Kenta
Anno di uscita: 2000

 L'adattamento del controverso romanzo di Takami Koushun diretto da Fukasaku Kinji, storico regista di yakuza movie, è certamente migliore del manga, fin troppo "shounenesco", splatter e privo di spessore intellettuale. Infatti il Battle Royale cinematografico è un film politico maturo, privo di compromessi, duro come il faccione di Kitano Takeshi che qui, per volontà del regista, interpreta nientepopodimenoche se stesso. La trama di Battle Royale è un archetipo popolare che influenzerà le opere successive: il governo giapponese tramite il BR act ha sancito che gli alunni di una classe presa a caso tra le scuole giapponesi dovranno ammazzarsi a vicenda su un'isola deserta fino a quando non ne sopravviverà soltanto uno. Questo tipo di selezione non è un unicum, ma avviene periodicamente. Con il BR act, in pratica, la fame di ribellione e sovversione giovanile viene contenuta e sfogata in un prodotto per l'enterteinment dei vecchi/sistema, e a monito dei coetanei. 

sabato 22 ottobre 2022

Oblio: Recensione


Oblio è un fumetto creato da un "collettivo" di autori e autrici regalatomi in amicizia da una di questi (grazie Diletta). È un'opera mista (ogni capitolo ha un disegnatore differente) basata sul senso di perdita (il protagonista perde la fidanzata in un disastro ferroviario) e la successiva riparazione del vuoto, dell'Oblio per l'appunto, che inevitabilmente segue al trauma. Il fumetto, composto da un unico volume autoconclusivo, è nato come autoproduzione per essere poi definitivamente distribuito dalla casa editrice Double Shot. La qualità generale dei disegni è buona e le tematiche di grande interesse per chi come me apprezza le narrazioni psicologiche e introspettive. Non si tratta tuttavia di un'opera perfetta: in Oblio vi sono troppi alti e bassi, troppa voglia di strafare e di lasciare il segno a tutti i costi, ovviamente a discapito di coerenza e realismo. 

domenica 9 gennaio 2022

Heidi, la fanciulla delle Alpi: retrocensione (by AkiraSakura & Shito)

 Titolo originale: Shoujo no Alps Heidi
Regia: Takahata Isao
Soggetto: basato sul romanzo originale di Johanna Spyri
Sceneggiatura: Ookawa Hisao, Sasaki Mamoru, Yoshida Yoshiaki
Character Design: Kotabe Youichi
Musiche: Watanabe Takeo
Studio: Zuiyou Eizou
Formato: serie televisiva di 52 episodi
 Anno di trasmissione: 1974


A Takahata Isao, forse il maggior regista di animazione giapponese mai esistito, dobbiamo numerosi capolavori, sin da quando nel '68, con Hols no Daibouken, stabilì le coordinate di un'animazione intellettuale e raffinata che voleva discostarsi dai canoni francamente bambineschi di Disney/Tezuka per avvicinarsi alla cinematografia francese, in particolare Grimault e Prèvert, il cui sforzo congiunto La Bergère et le Ramoneur aveva impressionato molto il giovane Takahata. Dopo le brevi parentesi di Lupin III e Panda Kopanda, il regista, forte di un notevole budget dovuto al coinvolgimento dello sponsor Calpis (azienda nota per prodotti latticini industriali), dà alla luce quello che a parere di chi scrive è il suo secondo, vero, grandissimo e rivoluzionario capolavoro: Alps no Shoujo Heidi. L'opera fu talmente importante da contribuire tra le tante cose a convertire l'aspirazione della Toei Animation a diventare la Disney del Sol Levante (si pensi ad Hakujaden, che paradossalmente è l'adattamento animato di una favola cinese) in qualcosa d'altro, dal sapore sì occidentale, ma allo stesso tempo squisitamente giapponese nella sostanza. Nella presente disamina, come è solito di questo blog, si farà ovviamente riferimento alla versione in lingua originale dell'opera, scevra dagli infantilismi e dagli errori dell'adattamento italiano ben noto al pubblico mainstream nostrano (notare come nella versione italiana si perdono anche tutte le insert song originali volute da Takahata Isao, che sono importanti per una reale comprensione dell'opera). Dato che solitamente in Italia e all'estero questo tipo di anime tratti da romanzi occidentali dell'800/900, denominati "World Masterpiece Theater", in giapponese "Sekai Meisaku Gekijou" (i.e. "Il teatro dei capolavori dal mondo"), sono stati associati alla nascita della Nippon Animation dopo la scissione della Zuiyou, che aveva avuto non pochi problemi economici a causa dell'elevatissimo budget utilizzato da Takahata per Heidi, vi è una scuola di pensiero secondo la quale Flanders no Inu sia il primo vero meisaku esistente. Tuttavia, per i giapponesi (ovvero nella realtà dei fatti) il progetto in origine si chiamava "Calpis Children's Theatre" e "Calpis Family Theatre" (incluso Heidi, che come accennavamo era sponsorizzato dalla Calpis latticini) e, almeno fino ad Akage no Anne, il primo meisaku chiamato veramente "meisaku" dai nipponici, il nome del filone televisivo variava in base all'azienda produttrice di alimentari che lo finanziava. Il progetto venne poi "formalizzato" al fine di esprimere la volontà educativa mondialista dei boomer giapponesi, che volevano fornire ai "nuovi giovani" della loro nazione dei riferimenti culturali comuni con l'occidente.

martedì 23 novembre 2021

Strappare lungo i bordi: Il prezzo della moratoria


Si sta dicendo molto sulla serie animata di Zerocalcare: "le solite tematiche del fumettista", "sembra un po' La profezia dell'armadillo", "è una fucilata", "c'è il treno, quindi la tematica del viaggio", ecc. In pratica, la fiera delle banalità. D'altro canto, quando Michele Rech viene intervistato, di solito l'intervistatore gli propone domande davvero banali, avendo una conoscenza dell'autore – e soprattutto del suo contesto sociologico – soltanto superficiale, quando non del tutto assente. Non me la sento neanche di "recensire" quest'opera, per quanto le mie recensioni siano molto particolari: il cartone animato in questione è molto simile, come impostazione scenografica e registica, a un fumetto dell'autore; la differenza principale sta, come dice anche lui stesso, nel fatto che lo spettatore può diventare partecipe delle musiche ch'egli ascolta durante la stesura, e cioè la creazione, il pensiero, delle sue tavole. Dal punto di vista tecnico-graficoe animazioni fanno il loro dovere e le colorazioni non stonano mai: nulla da lamentare pertanto. Lascio quindi una piccola considerazione personale, come sempre per chi ha già visto la serie e vorrebbe su di essa un'opinione più "cosciente" del solito. 

venerdì 12 novembre 2021

La Forma della Voce (A Silent Voice): Recensione

Titolo Originale: Koe no Katachi
Autore: Ooima Yoshitoki
Tipologia: Shounen manga
Edizione Italiana: Star Comics
Volumi: 7
  Anni di uscita: 2013-2014

 
Shouko è una gentilissima ragazza sorda e ferita nell'animo, che una volta giunta nella nuova scuola, viene bullizzata da Shouya, un ragazzetto maleducato e inconsapevole che, preso dalla noia, si diletta a rendere la vita della poverina un inferno, muovendosi agilmente in un ambiente scolastico pregno di omertà e privo di autorità. Strappare l'apparecchio acustico di Shouko e romperlo in mille pezzi è lo sport preferito del ragazzo, che nonostante tutto rimane sorpreso dal fatto che lei, la vittima, non ce l'abbia mai veramente con lui. Una volta che la madre di Shouko, presa dalla disperazione, fa cambiare scuola alla figlia, i compagni prima omertosi si rivoltano contro il bullo bullizzandolo a sua volta: l'adolescenza di Shouya pertanto diventerà molto solitaria e sofferta. Al liceo, egli rincontrerà quella bambolina rotta che è Shouko, e cercherà in tutti i modi di farsi perdonare da lei imparando l'alfabeto muto, andando a lavorare per ripagarle gli apparecchi acustici eccetera. Shouko dal canto suo non è arrabbiata con Shouya, nonostante egli, da ragazzino, le abbia procurato ulteriori (e immeritate) ferite. Da qui in poi si sviluppa uno dei migliori manga degli ultimi tempi, Koe no Katachi, dal quale è stato tratto altresì un "popolare" film animato. 

mercoledì 1 settembre 2021

Tokyo Monogatari: Recensione

Titolo originale: 東京物語
Regia: Ozu Yasujirō
 Soggetto:  Noda Kōgo,  Ozu Yasujirō
Musiche: Saitō Kōjun
Anno di uscita: 1953
 

"Tokyo Story è stato girato da un regista che ha veramente capito cosa è la vita." [Lindsay Anderson]

 

Il capolavoro di Ozu, opera universale nonostante appartenga ad un determinato periodo storico del dopoguerra giapponese,  è una monumentale riflessione sulla condizione umana del tutto refrattaria a narrazioni superflue, simulacri, filosofie, spettacolarità. In Tokyo Monogatari vi sono soltanto i fatti, e la rassegnazione ad essi (cosa tipica della poetica di un'altro grande regista giappoense, Takahata Isao). La storia narra del viaggio dei vecchi coniugi  Shuukichi  e Tomi, che vivono a Onomichi, prefettura di Hiroshima - città di campagna idilliaca scampata ai bombardamenti -, i quali si recano a Tokyo a trovare i figli. Nella città, che sta attraversando una fase di modernizzazione frenetica, trovano Kouchi, che è diventato un medico di quartiere (e pertanto un fallito) e Shige, che fa la parrucchiera. Noriko, moglie del figlio morto in guerra, è da otto anni che vive da sola, e non vuole rifarsi una vita. Lei, che meglio di tutti ha capito la sofferenza, sarà la persona più gentile e vicina ai due anziani, che verranno tuttavia trattati come un peso dai figli (a parte la più piccola, Kyouko, che vive con loro a Onomichi). Resta poi Keizou, che abita ad Osaka, che si disinteressa completamente della sua famiglia. 

mercoledì 2 giugno 2021

La mia prima volta – My lesbian experience with loneliness: Recensione

 Titolo originale: Sabishisugite rezu fūzoku ni ikimashita
 Autore: Nagata Kabi  
Tipologia: Seinen Manga   
Edizione italiana: J-POP
Volumi: 1
Anno di (prima) pubblicazione: 2016

Quella di Nagata Kabi è la lucida autoanalisi di una persona fragile che utilizzando il proprio Io come laboratorio, forse senza manco volerlo, fa luce su tutti i problemi di un'intera epoca/generazione. Il punto di partenza della vicenda è l'abbondono dell'università da parte dell'autrice, con conseguente esclusione dal mondo/società. Da lì in poi la Nagata inizia a maturare una profonda forma di depressione che la spinge a procurarsi tagli sulle braccia e a strapparsi i capelli procurandosi calvizie. La questione dell'omosessualità non viene affrontata né con toni politici né vittimistici, pur essendo il Giappone una cultura molto poco aperta in questo senso. Sabishisugite rezu fūzoku ni ikimashita (i.e. Per la troppa solitudine sono andata in un bordello lesbo), nonostante la sua confezione, non è assolutamente un manga per fujoshi o una puttanata con mire fanservicistiche: a parer mio è la naturale evoluzione ai giorni nostri del lavoro di Okazaki Kyouko, che già negli 80s parlava della vuotezza della società dei consumi utilizzando un giocattoloso contrasto tra bianco e rosa cipria, che la Nagata fa suo e arricchisce con un tratto molto personale.  

domenica 7 marzo 2021

Hokuto no Ken [ Ken il Guerriero ]: Recensione

Titolo originale: Seikimatsu Kyuuseishu Densetsu - Hokuto no Ken
Regia: Toyoo Ashida
Soggetto: basato sul fumetto originale di Buronson & Tetsuo Hara
Sceneggiatura: Hiroshi Toda, Shozo Uehara, Tokio Tsuchiya, Toshiki Inoue, Yuho Hanazono, Yukiyoshi Ohashi
Character Design: Masami Suda
Musiche: Nozomi Aoki
Studio: Toei Animation
Formato: serie televisiva di 109 episodi
Anni di trasmissione: 1984 - 1987


Alla pari di Natsume Soseki, figlio di samurai che avvertiva il crollo dei valori tradizionali giapponesi a causa dell'occidentalizzazione sfrenata della sua epoca, Buronson, proveniente dalla Marina Militare Giapponese, nel feroce boom economico degli anni ottanta vide una sorta di Wasteland (volendo citare T.S. Eliot più che Mad Max ) nella quale un popolo di guerrieri aveva definitivamente perso la sua identità. Nasce quindi Hokuto no Ken, uno dei manga - qui recensirò l'adattamento animato - più iconici del media, uno shounen da combattimento (e quindi rivolto ad un pubblico infantile) dal contenuto drammatico e truculento. Più che il vario citazionismo rimandante alla cultura pop americana, che rimane soltanto nella patina dell'opera (profondamente e arcaicamente giapponese nella sostanza), la vera fonte di ispirazione di Hokuto no Ken è il Violence Jack Nagaiano, manga post-apocalittico nel quale si consumavano le peggiori bassezze umane. Anche lo stesso protagonista Kenshiro (fortemente ispirato a Bruce Lee), che da come asserisce il titolo dell'opera è il messia, il salvatore, ha un po' la stessa ambivalenza di Jack, tant'è che non mostra mai pietà nei confronti di nemici che chiedono di essere risparmiati, e li fa esplodere come palloncini a furia di calci e pugni.

sabato 27 febbraio 2021

8 Mile: Recensione

 Regia: Curtis Hanson
Soggetto: Scott Silver/Eminem
Sceneggiatura: Scott Silver
Formato: film cinematografico
Anno di uscita: 2002

Negli ultimi mesi di reclusione istituzionalizzata, era inevitabile che passassi dai mix vaporwave di Biggie Smalls e Ice Cube a Eminem, che era molto popolare quando ero adolescente. Sicuramente la recensione di un film del genere sembrerà stridente nel contesto di un blog che (almeno dichiaratamente) tratta recensioni di anime e manga. Eppure la gioventù che viene rappresentata in 8 Mile - a parer mio - non è molto diversa da quella che consumava anime negli anni novanta ("Super Nintendo, Sega Genesis... When I was dead broke, man, I couldn't picture this" cantava Biggie Smalls/The Notorius B.I.G.). 8 Mile avrebbe potuto benissimo essere un anime di successo: i punti che andava a toccare erano sempre dei nervi scoperti, sia in oriente che in occidente. Ma veniamo a noi.  

domenica 17 gennaio 2021

Le ferite originali: Recensione

  

Qualche anno fa avrei voluto scrivere una "storia del nostro tempo". Parlo del periodo precedente agli attentati a Parigi. Un disadattato incontrava una cupa dark lady di un'altra religione, e i due, dopo essersi innamorati, si lanciavano in efferati attentati terroristici. Stile Prima Linea, ma ai giorni nostri. Per poi morire a malo modo entrambi, nella loro rabbia e frustrazione.  I due avrebbero avuto difficoltà ad avere rapporti sessuali, perché il corpo di lei, comunque molto bella, era stato dilaniato da una vita di abusi. 

Le bozze di quel racconto le ho perse. Ma ultimamente ne ho parlato con un amico, il quale mi ha detto: "sei sicuro che questa sia davvero una storia del nostro tempo? La Caruso fa storie del nostro tempo". Non conoscevo questa Eleonora Caruso, ma tra me e me  in effetti ammettevo che una storia del genere non poteva essere del nostro tempo. Perché non c'erano rapporti esasperati e meccanici, e anche quel poco sesso che c'era era una sofferenza, dati i problemi dei protagonisti; perché c'erano ancora delle cose in cui credere e per cui morire (tipo la religione di lei o gli ideali di lui).

Quindi, per aver l'idea di "una storia del nostro tempo", son partito da Le Ferite Originali, del quale voglio brevemente scrivere in questo post. Premetto che l'ho trovato molto sgradevole, una cosa a metà tra doujinshi hentai omoerotica e sfogo sociale/esistenziale (ovviamente è questa la parte che mi interessa di più). E poi sì, Vicenza, nella quale vivono i genitori di uno dei protagonisti, non è assolutamente una "città medievale", ma rinascimentale, dati i suoi capolavori Palladiani (ai quali sono molto affezionato tra l'altro). 

sabato 2 gennaio 2021

Il Vangelo secondo Matteo: Recensione

Regia: Pier Paolo Pasolini
Soggetto: Vangelo secondo Matteo
Sceneggiatura: Pier Paolo Pasolini
Formato: film cinematografico
Anno di uscita: 1964

Difficile scrivere qualcosa su un opera del genere, sulla quale è stato detto e ridetto di tutto, sopratutto negli anni della sua uscita. Non penso che comunque Il Vangelo di Pasolini sia un film religioso (la prima versione era stata addirittura girata senza alcun miracolo), né tendente così bruscamente a una propaganda marxista tout court, come molti fanno credere. Le prime cose che ho personalmente notato, frame per frame, sono una certa ricerca del misticismo nell'ordinario, e la fotografia di un continuo senso di perdita, che culmina con la crocifissione del nostro Cristo "rivoluzionario" - di fatto l'attore che lo interpreta è un comunista catalano in lotta contro il regime franchista. Gli altri attori ovviamente sono intellettuali amici di Pasolini o ragazzi delle strade, e la regia pare quasi quella di un reportage, con intermezzi naif alternati a momenti di furore mistico/esistenziale. Le parole del Cristo, doppiato da Enrico Maria Salerno, vengono enfatizzate da primi piani intensi, e scelte con molta accuratezza dal vero e proprio Vangelo secondo Matteo. Macigni come «Non accumulate tesori su questa Terra, dove tignola e ruggine corrodono, e dove i ladri sfondano e rubano; ma accumulate per voi tesori in Cielo, dove né tignola né ruggine corrodono, e dove i ladri non sfondano e non rubano», sono veri e propri moniti anti-società dei consumi: e infatti, ben lungi dai meccanicismi del rituale religioso, con tutta la sua intensità emotiva ed intellettuale, Il Vangelo di Pasolini è oggi più attuale che mai.

venerdì 25 dicembre 2020

Narutaru: Recensione 2 .0

 Titolo originale: Narutaru

Autore: Kitoh Mohiro

Tipologia: Seinen Manga

Edizione italiana: Star Comics 

Volumi: 12

Anno di uscita: 1998

 


Opera dalle molteplici stratificazioni, Narutaru è indubbiamente una tragedia. Se si vuole affrontare un’analisi del manga, bisogna quindi partire da questo presupposto, per poi arrivare a considerare, più in superficie, la denuncia sociale (e politica) messa in atto dall’autore.

In primis ci si potrebbe chiedere, come fece Nietzsche, da dove abbia avuto origine la tragedia, considerando purtuttavia che l’opera è orientale, ed ergo costruita su fondamenta ben diverse dal romanticismo tedesco, dall’idealismo e dal dualismo Cartesiano. Rimane comunque un nesso con la tragedia greca antica: forse, la cosa più angosciante di Narutaru, è come esso evidenzi, con il suo essere violento, morboso e malato, sia l’inettitudine dell’essere umano – non ci sono eroismi nell’opera, solo bassezze -, sia il suo essere predestinato all’inevitabile fine, che per Kitoh, autore dalle influenze taoiste, è allo stesso tempo rinascita.

Siamo nel 1998, e i Pokémon sono una realtà commerciale molto popolare presso i giovani, mentre Evangelion lo è per gli adulti. L’idea di base dell’autore è di coniugare le due cose: avremo dei ragazzini con i loro mostri (Shiina, la protagonista, esteticamente è molto affine alle ragazzine della Nintendo) in un contesto drammatico, psicologico, filosofico e metanarrativo alla Evangelion. Essendo poi Narutaru un seinen manga, l’autore non si pone alcun limite nell’esporre situazioni molto violente e morbose, coadiuvate da un tratto tagliente e asettico che rende i personaggi molto simili alle bambole – e quindi incapaci di svincolarsi dalla loro condizione di tragici, di marionette mosse dalle fila del destino.

mercoledì 9 dicembre 2020

Blue Spring: Recensione

Titolo originale: Aoi Haru
Regia & Sceneggiatura: Toyoda Toshiaki
Soggetto: Tratto dall'omonimo manga di Matsumoto Tayou
Musiche: Thee Michelle Gun Elephant
Formato: film cinematografico
Anno di uscita:2001

 
 Sul tetto di una scuola di ultima categoria, nella periferia di qualche città sperduta del Giappone, si sta decidendo chi sarà il nuovo leader di una gang di violenti ragazzini. Kujo, Aoki, Yukio, Yoshimura e Ota stanno affrontando un rituale che consiste nel battere le mani ripetutamente mentre si è sospesi nel vuoto. Chi batte le mani più volte, rimanendo più tempo staccato dalla ringhiera, sarà il nuovo leader. 

A questo modo, Kujo, battendo le mani sette volte, diventa il boss indiscusso della scuola, dacché i professori sono completamente succubi degli allievi, e, in generale, della legge del più forte. Il suo braccio destro, Aoki, efferato picchiatore, è entusiasta della cosa, e si diletta a organizzare purghe delle bande rivali, che vengono brutalmente pestate a colpi di mazza da baseball. Tuttavia, una volta scoperto che il suo idolo è diventato boss soltanto per noia, rischiando la vita per pura apatia, la gang si sgretolerà, con conseguenze drammatiche. 

martedì 1 dicembre 2020

Fate/Stay Night: Heaven's Feel - III. Spring Song: Recensione

 Titolo originale: Gekijouban Fate/Stay Night: Heaven`s Feel
Regia: Sudou Tamonori
Soggetto: Tratto dall'omonima novel di Nasu Kinoko
Sceneggiatura: Sudou Tamonori
Musiche: Kajiura Yuki
Studio: Ufotable
Formato: film cinematografico
Anno di uscita:2021

 

Devo ammettere che è stata una curiosa sorpresa questo film, che conclude la trilogia cinematogafica di Fate Stay Night - Heaven's Feel, che di fatto è la terza route della Visual Novel di Nasu Kinoko - quella in cui la storia ruota intorno all'enigmatica Matou Sakura. 

Se i primi due film avevano una regia sciatta che riproduceva troppo fedelmente i ritmi lenti e i dialoghi semplicistici della novel, questo terzo film a parer mio si distacca completamente da tali atmosfere sonnifere per fornire una concentrazione di pathos e formidabili combattimenti. Dal punto di vista meramente concettuale, il significato ultimo dell'epopea di Fate viene evidenziato acutamente, quasi ai livelli metanarrativi del bel Fate/Zero

lunedì 23 novembre 2020

L'estate di Kikujiro: Recensione

Titolo originale: Kikujiro no Natsu
Regia: Takeshi Kitano
Soggetto: Takeshi Kitano
Sceneggiatura: Takeshi Kitano
Musiche: Joe Hisaishi
Casa di produzione: Bandai Visual
Formato: film cinematografico
Anno di uscita: 1999

Il piccolo Masao è un bambino solo, che vive con la nonna dato che la madre si è trasferita in campagna per lavoro. Ad un certo punto, ricevuto un pacco con l'indirizzo della genitrice, decide di andare a trovarla per passare con lei le vacanze estive - ma Masao, sua madre, non l'ha neanche mai conosciuta. Ad accompagnarlo, uno strano ex yakuza,  marito di un'amica della nonna. 

Nonostante l'introduzione naif e gli intermezzi giocosi, e nonostante non si stia parlando di uno yakuza movie, Kikujiro no Natsu rimane comunque un film molto duro. Non abbiamo sparatorie e storie di mafiosi che diventano filosofia; ma di certo permane quel leit motiv nichilistico che accompagnava la riflessione sulla vita che già si dispiegava in Sonatine. Più in particolare, in questo caso qualsiasi dimensione vagamente epica o "borderline" lascia il posto alla vera banalità del male: quella dell'uomo comune, in particolare quello giapponese, che vive nel contesto di una società basata sul formalismo e su ingenue e menzognere pretese di perfezione.  

domenica 1 novembre 2020

Cyborg 009: Recensione

Titolo originale: Cyborg 009
Regia: Takahashi Ryōsuke
Soggetto: Tratto dall'omonimo manga di Ishinomori Shotarou
Character Design: Ashida Toyoo
Musiche: Sugiyama Kouchi
Studio: Toei Animation
Formato: serie televisiva di 50 episodi
Anno di trasmissione:1978
 
 
Ho sempre visto Cyborg 009 come la miglior risposta supereroistica giapponese agli ovvi rivali americani. Sì, certo: superpoteri, superuomini, superdonne. Forse. 
Il tutto non era comunque banale perché, appunto, quest'opera era giapponese: giapponese nel senso di "dopoguerra". Perché sì, come era facile prevedere, i nove supermagnifici sono invero degli orfani disadattati: chi ex teppista delle strade, chi ex guerrigliero ecc. Per non parlare poi del tedesco che aveva visto morire la sua amata attraversando per disperazione il muro di Berlino; o dell'ex attore/macchietta alcoolizzato. Le etnie che compongono questo gruppo di supereroi sono varie: dal Giappone (il protagonista ovviamente è giapponese) all'Africa, passando per l'America, verso cui i giapponesi dell'epoca avevano una certa avversione. I nove, come intesi originariamente da Ishinomori, sono una "oltreumanità" che ha superato, mediante il dolore, le barriere dettate dalle differenze. Certo, non mancheranno screzi tra i membri del gruppo, ma saranno sempre mirati a una simbolica risoluzione. 

martedì 2 giugno 2020

Final Fantasy VI: Recensione

 Titolo originale: ファイナルファンタジーVI 
Sviluppatore: Squaresoft
Versione giocata: PC (Steam)
Character Design: Amano Yoshitaka
Regia: Kitase Yoshinori
Musica: Uematsu Nobuo
Durata: 40 ore di gioco circa
Anno di uscita: 1994


Recensire un gioco come Final Fantasy VI è un po' come recensire un classico della letteratura: ci sono già tantissimi scritti in merito, tecnici, non tecnici, sentimentalisti, lucidi, appassionati e tutto quello che vogliamo. Perché FFVI è oggettivamente un cult, e miglior Final Fantasy di sempre a mio avviso. Dato che si è già detto tanto su questo gioco, e io non sono un videogiocatore accanito, o tecnico che dir si voglia, questa recensione avrà un taglio molto personale. 
Concepito nei bui mid-90s, FFVI gode di un'atmosfera molto più cupa e adulta dei FF precedenti. Il IV era già cupo e adulto a suo modo, ma comunque fine a sé stesso in quanto mera epopea Fantasy. Il V era tutto gameplay, forse il miglior gameplay di tutta la saga videoludica, ma nulla più (ricordiamo comunque le bellissime musiche: ogni volta che ascolto il malinconico Lenna's Theme, non posso che commuovermi) . In FFVI, invece, c'è qualcosa di vero. Di filosofico, volendo. La prima inquadratura del gioco rimanda a Narshe, un piccolo villaggio di minatori. Neve, freddo, buio. Appare Terra, una sorta di strega, bellissima, di cui qualcuno si sta servendo per i propri scopi militari. Due anonimi soldati la scortano. E sì, c'è il solito impero guidato da un sovrano assetato di potere, tale Gesthal, e sembra quasi di essere alla fine del settecento, agli albori della rivoluzione industriale. Il castello di Edgar Roni Figaro, Re appassionato di tecnologia, è pieno di ventole, di tubi, di ingranaggi. E l'atmosfera che si viene a creare, complici sia la bella gafica (per il periodo ovviamente) e le immortali musiche di Uematsu Nobuo, è unica, e mai vista prima in un jrpg.

giovedì 1 agosto 2019

Neon Genesis Evangelion: Recensione 2 .0

Titolo originale: Shin Seiki Evangelion
Regia: Anno Hideaki
Progetto & Soggetto: GAINAX
Character Design: Sadamoto Yoshiyuki
Mechanical Design: Yamashita Ikuto, Anno Hideaki
Musiche: Sagisu Shiro
Realizzazione Animazioni: GAINAX, Tatsunoko Production
Formato: serie televisiva di 26 + 2 episodi
Anni di trasmissione: 1995 - 1996
Disponibilità: edizione italiana in dvd a cura di Dynit


Evangelion è Anno Hideaki, ossia uno dei più influenti otaku di prima generazione (ossia quelli che avevano vissuto l’Expo di Osaka ’70 da bambini). Non esiste altra interpretazione dell’opera: essa va letta come l’anima, volendo lo spirito, la vita, di un otaku appartenente a un determinato periodo storico post-WWII (con tutti i mutamenti sociologici del caso), che si è guadagnato da vivere con cose - all’epoca, in Giappone - considerate da bambini/ritardati.
Con quest’opera, il cerchio del sogno otaku inaugurato dalla stessa GAINAX con Daicon III si chiude definitivamente, con un ragazzino che piagnucola dacché non riesce a definire la sua identità in un mondo di solitudine. Dopodiché, travisato nei suoi significati e frainteso da una nuova generazione di otaku ormai radicalmente diversa da quella di Anno, che poco si interessa a inserirsi in una società sempre più inesistente («There is no such thing as society», Margaret Tatcher docet), Evangelion diventerà un fenomeno consumistico di massa, sia in Giappone che all’estero. Le sue protagoniste assumeranno lo status di icone pop, dai videogiochi erotici alle doujinshi pornografiche, e le loro acton figures venderanno più dei modellini delle unità Eva. Nondimeno, la storia verrà sfruttata commercialmente fino alla nausea, con decine e decine di spin-off e storyline alternative (anche ad opera dello stesso autore, si pensi al discutibile Rebuild of Evangelion). Ciò premesso, oltre ad essere una lucida analisi delle problematiche legate ad una determinata condizione sociologica, la magnum opus di Anno è altresì uno degli anime più importanti della storia del suo media, tant’è che il 1995-97 è una linea di demarcazione di cui ogni eventuale “storico degli anime” dovrebbe tenere conto.

domenica 10 giugno 2018

Uzumaki: Recensione

 Titolo originale: Uzumaki
 Autore: Junji Ito
  Tipologia: Seinen Manga  
Edizione italiana: Star Comics
 Volumi originali: 3
Anni di pubblicazione:  1998-1999


Uzumaki non è un capolavoro soltanto per l’ineccepibile apparato grafico e per le atmosfere disturbanti, quasi Lovercraftiane, e le “storture mentali” che riesce a trasmettere, degne del miglior incubo. L’opera principe di Junji Ito, erede spirituale di Kazuo Umezu (icona dell’horror a fumetti giapponese e autore del classico l’Aula alla deriva), come fatto altresì notare dallo scrittore Yu Sato nella postfazione dell’ottima edizione italiana, è una metafora poco distante dalla realtà: più precisamente la risposta dell’inconscio collettivo dei giapponesi alla follia neoliberista/turbocapitalista che tutt’ora è fonte di disagio economico per i ceti più deboli, nonché di distruzione dell’identità sociale e nazionale per tutti, a parte ovviamente chi ne tiene le fila, che è spinto soltanto dall’accumulo di capitali (illusori, in fondo l’economia reale non esiste più) e dalla speculazione finanziaria in se stessa. A tal proposito, è da notare che durante Baburu, la bolla finanziaria iniziata nel Giappone degli anni ottanta e scoppiata negli stessi anni in cui Ito scriveva Uzumaki, come testimoniato da K. T. Greenfield nell’omonimo libro, anche i giapponesi arricchiti del ceto medio/basso si chiudevano in casa a speculare davanti ad un computer, proprio come il personaggio del manga che nel primo capitolo rimane ossessionato dalla spirale. Se l’Aula alla deriva analizzava col suo horror i problemi del boom economico settantino, il ricordo mal sopito della guerra, la sofferenza della ricostruzione, il più attuale Uzumaki si sofferma su argomenti più vicini a noi occidentali di oggi. In ogni caso, questo tipo di horror giapponese d’autore non è mai fine a se stesso, ma si fa sempre veicolo di un messaggio socio/politico ben preciso, legato al contesto in cui l’autore l’ha prodotto. E qui sta la sua grandezza.