domenica 27 luglio 2025
Lilja 4-ever: Riflessioni
mercoledì 9 novembre 2022
Battle Royale: Recensione
Regia: Fukasaku Kinji
Soggetto: Basato sull'omonimo romanzo di Takami Koushun
Sceneggiatura: Fukasaku Kenta
Anno di uscita: 2000
L'adattamento del controverso romanzo di Takami Koushun diretto da Fukasaku Kinji, storico regista di yakuza movie, è certamente migliore del manga, fin troppo "shounenesco", splatter e privo di spessore intellettuale. Infatti il Battle Royale cinematografico è un film politico maturo, privo di compromessi, duro come il faccione di Kitano Takeshi che qui, per volontà del regista, interpreta nientepopodimenoche se stesso. La trama di Battle Royale è un archetipo popolare che influenzerà le opere successive: il governo giapponese tramite il BR act ha sancito che gli alunni di una classe presa a caso tra le scuole giapponesi dovranno ammazzarsi a vicenda su un'isola deserta fino a quando non ne sopravviverà soltanto uno. Questo tipo di selezione non è un unicum, ma avviene periodicamente. Con il BR act, in pratica, la fame di ribellione e sovversione giovanile viene contenuta e sfogata in un prodotto per l'enterteinment dei vecchi/sistema, e a monito dei coetanei.
sabato 22 ottobre 2022
Oblio: Recensione
Oblio è un fumetto creato da un "collettivo" di autori e autrici regalatomi in amicizia da una di questi (grazie Diletta). È un'opera mista (ogni capitolo ha un disegnatore differente) basata sul senso di perdita (il protagonista perde la fidanzata in un disastro ferroviario) e la successiva riparazione del vuoto, dell'Oblio per l'appunto, che inevitabilmente segue al trauma. Il fumetto, composto da un unico volume autoconclusivo, è nato come autoproduzione per essere poi definitivamente distribuito dalla casa editrice Double Shot. La qualità generale dei disegni è buona e le tematiche di grande interesse per chi come me apprezza le narrazioni psicologiche e introspettive. Non si tratta tuttavia di un'opera perfetta: in Oblio vi sono troppi alti e bassi, troppa voglia di strafare e di lasciare il segno a tutti i costi, ovviamente a discapito di coerenza e realismo.
domenica 9 gennaio 2022
Heidi, la fanciulla delle Alpi: retrocensione (by AkiraSakura & Shito)
Regia: Takahata Isao
Soggetto: basato sul romanzo originale di Johanna Spyri
Sceneggiatura: Ookawa Hisao, Sasaki Mamoru, Yoshida Yoshiaki
Character Design: Kotabe Youichi
Musiche: Watanabe Takeo
Studio: Zuiyou Eizou
Formato: serie televisiva di 52 episodi
Anno di trasmissione: 1974
martedì 23 novembre 2021
Strappare lungo i bordi: Il prezzo della moratoria
Si sta dicendo molto sulla serie animata di Zerocalcare: "le solite tematiche del fumettista", "sembra un po' La profezia dell'armadillo", "è una fucilata", "c'è il treno, quindi la tematica del viaggio", ecc. In pratica, la fiera delle banalità. D'altro canto, quando Michele Rech viene intervistato, di solito l'intervistatore gli propone domande davvero banali, avendo una conoscenza dell'autore – e soprattutto del suo contesto sociologico – soltanto superficiale, quando non del tutto assente. Non me la sento neanche di "recensire" quest'opera, per quanto le mie recensioni siano molto particolari: il cartone animato in questione è molto simile, come impostazione scenografica e registica, a un fumetto dell'autore; la differenza principale sta, come dice anche lui stesso, nel fatto che lo spettatore può diventare partecipe delle musiche ch'egli ascolta durante la stesura, e cioè la creazione, il pensiero, delle sue tavole. Dal punto di vista tecnico-graficoe animazioni fanno il loro dovere e le colorazioni non stonano mai: nulla da lamentare pertanto. Lascio quindi una piccola considerazione personale, come sempre per chi ha già visto la serie e vorrebbe su di essa un'opinione più "cosciente" del solito.
venerdì 12 novembre 2021
La Forma della Voce (A Silent Voice): Recensione
Autore: Ooima Yoshitoki
Tipologia: Shounen manga
Edizione Italiana: Star Comics
Volumi: 7
Anni di uscita: 2013-2014
mercoledì 1 settembre 2021
Tokyo Monogatari: Recensione
Regia: Ozu Yasujirō
Musiche: Saitō Kōjun
Anno di uscita: 1953
"Tokyo Story è stato girato da un regista che ha veramente capito cosa è la vita." [Lindsay Anderson]
Il capolavoro di Ozu, opera universale nonostante appartenga ad un determinato periodo storico del dopoguerra giapponese, è una monumentale riflessione sulla condizione umana del tutto refrattaria a narrazioni superflue, simulacri, filosofie, spettacolarità. In Tokyo Monogatari vi sono soltanto i fatti, e la rassegnazione ad essi (cosa tipica della poetica di un'altro grande regista giappoense, Takahata Isao). La storia narra del viaggio dei vecchi coniugi Shuukichi e Tomi, che vivono a Onomichi, prefettura di Hiroshima - città di campagna idilliaca scampata ai bombardamenti -, i quali si recano a Tokyo a trovare i figli. Nella città, che sta attraversando una fase di modernizzazione frenetica, trovano Kouchi, che è diventato un medico di quartiere (e pertanto un fallito) e Shige, che fa la parrucchiera. Noriko, moglie del figlio morto in guerra, è da otto anni che vive da sola, e non vuole rifarsi una vita. Lei, che meglio di tutti ha capito la sofferenza, sarà la persona più gentile e vicina ai due anziani, che verranno tuttavia trattati come un peso dai figli (a parte la più piccola, Kyouko, che vive con loro a Onomichi). Resta poi Keizou, che abita ad Osaka, che si disinteressa completamente della sua famiglia.
mercoledì 2 giugno 2021
La mia prima volta – My lesbian experience with loneliness: Recensione
Autore: Nagata Kabi
Tipologia: Seinen Manga
Edizione italiana: J-POP
Volumi: 1
Anno di (prima) pubblicazione: 2016
Quella di Nagata Kabi è la lucida autoanalisi di una persona fragile che utilizzando il proprio Io come laboratorio, forse senza manco volerlo, fa luce su tutti i problemi di un'intera epoca/generazione. Il punto di partenza della vicenda è l'abbondono dell'università da parte dell'autrice, con conseguente esclusione dal mondo/società. Da lì in poi la Nagata inizia a maturare una profonda forma di depressione che la spinge a procurarsi tagli sulle braccia e a strapparsi i capelli procurandosi calvizie. La questione dell'omosessualità non viene affrontata né con toni politici né vittimistici, pur essendo il Giappone una cultura molto poco aperta in questo senso. Sabishisugite rezu fūzoku ni ikimashita (i.e. Per la troppa solitudine sono andata in un bordello lesbo), nonostante la sua confezione, non è assolutamente un manga per fujoshi o una puttanata con mire fanservicistiche: a parer mio è la naturale evoluzione ai giorni nostri del lavoro di Okazaki Kyouko, che già negli 80s parlava della vuotezza della società dei consumi utilizzando un giocattoloso contrasto tra bianco e rosa cipria, che la Nagata fa suo e arricchisce con un tratto molto personale.
domenica 7 marzo 2021
Hokuto no Ken [ Ken il Guerriero ]: Recensione
Titolo originale: Seikimatsu Kyuuseishu Densetsu - Hokuto no Ken
Regia: Toyoo Ashida
Soggetto: basato sul fumetto originale di Buronson & Tetsuo Hara
Sceneggiatura: Hiroshi Toda, Shozo Uehara, Tokio Tsuchiya, Toshiki Inoue, Yuho Hanazono, Yukiyoshi Ohashi
Character Design: Masami Suda
Musiche: Nozomi Aoki
Studio: Toei Animation
Formato: serie televisiva di 109 episodi
Anni di trasmissione: 1984 - 1987
sabato 27 febbraio 2021
8 Mile: Recensione
Regia: Curtis Hanson
Soggetto: Scott Silver/Eminem
Sceneggiatura: Scott Silver
Formato: film cinematografico
Anno di uscita: 2002
Negli ultimi mesi di reclusione istituzionalizzata, era inevitabile che passassi dai mix vaporwave di Biggie Smalls e Ice Cube a Eminem, che era molto popolare quando ero adolescente. Sicuramente la recensione di un film del genere sembrerà stridente nel contesto di un blog che (almeno dichiaratamente) tratta recensioni di anime e manga. Eppure la gioventù che viene rappresentata in 8 Mile - a parer mio - non è molto diversa da quella che consumava anime negli anni novanta ("Super Nintendo, Sega Genesis... When I was dead broke, man, I couldn't picture this" cantava Biggie Smalls/The Notorius B.I.G.). 8 Mile avrebbe potuto benissimo essere un anime di successo: i punti che andava a toccare erano sempre dei nervi scoperti, sia in oriente che in occidente. Ma veniamo a noi.
domenica 17 gennaio 2021
Le ferite originali: Recensione
Qualche anno fa avrei voluto scrivere una "storia del nostro tempo". Parlo del periodo precedente agli attentati a Parigi. Un disadattato incontrava una cupa dark lady di un'altra religione, e i due, dopo essersi innamorati, si lanciavano in efferati attentati terroristici. Stile Prima Linea, ma ai giorni nostri. Per poi morire a malo modo entrambi, nella loro rabbia e frustrazione. I due avrebbero avuto difficoltà ad avere rapporti sessuali, perché il corpo di lei, comunque molto bella, era stato dilaniato da una vita di abusi.
Le bozze di quel racconto le ho perse. Ma ultimamente ne ho parlato con un amico, il quale mi ha detto: "sei sicuro che questa sia davvero una storia del nostro tempo? La Caruso fa storie del nostro tempo". Non conoscevo questa Eleonora Caruso, ma tra me e me in effetti ammettevo che una storia del genere non poteva essere del nostro tempo. Perché non c'erano rapporti esasperati e meccanici, e anche quel poco sesso che c'era era una sofferenza, dati i problemi dei protagonisti; perché c'erano ancora delle cose in cui credere e per cui morire (tipo la religione di lei o gli ideali di lui).
Quindi, per aver l'idea di "una storia del nostro tempo", son partito da Le Ferite Originali, del quale voglio brevemente scrivere in questo post. Premetto che l'ho trovato molto sgradevole, una cosa a metà tra doujinshi hentai omoerotica e sfogo sociale/esistenziale (ovviamente è questa la parte che mi interessa di più). E poi sì, Vicenza, nella quale vivono i genitori di uno dei protagonisti, non è assolutamente una "città medievale", ma rinascimentale, dati i suoi capolavori Palladiani (ai quali sono molto affezionato tra l'altro).
sabato 2 gennaio 2021
Il Vangelo secondo Matteo: Recensione
Regia: Pier Paolo Pasolini
Soggetto: Vangelo secondo Matteo
Sceneggiatura: Pier Paolo Pasolini
Formato: film cinematografico
Anno di uscita: 1964
Difficile scrivere qualcosa su un opera del genere, sulla quale è stato detto e ridetto di tutto, sopratutto negli anni della sua uscita. Non penso che comunque Il Vangelo di Pasolini sia un film religioso (la prima versione era stata addirittura girata senza alcun miracolo), né tendente così bruscamente a una propaganda marxista tout court, come molti fanno credere. Le prime cose che ho personalmente notato, frame per frame, sono una certa ricerca del misticismo nell'ordinario, e la fotografia di un continuo senso di perdita, che culmina con la crocifissione del nostro Cristo "rivoluzionario" - di fatto l'attore che lo interpreta è un comunista catalano in lotta contro il regime franchista. Gli altri attori ovviamente sono intellettuali amici di Pasolini o ragazzi delle strade, e la regia pare quasi quella di un reportage, con intermezzi naif alternati a momenti di furore mistico/esistenziale. Le parole del Cristo, doppiato da Enrico Maria Salerno, vengono enfatizzate da primi piani intensi, e scelte con molta accuratezza dal vero e proprio Vangelo secondo Matteo. Macigni come «Non accumulate tesori su questa Terra, dove tignola e ruggine corrodono, e dove i ladri sfondano e rubano; ma accumulate per voi tesori in Cielo, dove né tignola né ruggine corrodono, e dove i ladri non sfondano e non rubano», sono veri e propri moniti anti-società dei consumi: e infatti, ben lungi dai meccanicismi del rituale religioso, con tutta la sua intensità emotiva ed intellettuale, Il Vangelo di Pasolini è oggi più attuale che mai.
venerdì 25 dicembre 2020
Narutaru: Recensione 2 .0
Titolo originale: Narutaru
Autore: Kitoh Mohiro
Tipologia: Seinen Manga
Edizione italiana: Star Comics
Volumi: 12
Opera dalle molteplici stratificazioni, Narutaru è indubbiamente una tragedia. Se si vuole affrontare un’analisi del manga, bisogna quindi partire da questo presupposto, per poi arrivare a considerare, più in superficie, la denuncia sociale (e politica) messa in atto dall’autore.
In primis ci si potrebbe chiedere, come fece Nietzsche, da dove abbia avuto origine la tragedia, considerando purtuttavia che l’opera è orientale, ed ergo costruita su fondamenta ben diverse dal romanticismo tedesco, dall’idealismo e dal dualismo Cartesiano. Rimane comunque un nesso con la tragedia greca antica: forse, la cosa più angosciante di Narutaru, è come esso evidenzi, con il suo essere violento, morboso e malato, sia l’inettitudine dell’essere umano – non ci sono eroismi nell’opera, solo bassezze -, sia il suo essere predestinato all’inevitabile fine, che per Kitoh, autore dalle influenze taoiste, è allo stesso tempo rinascita.
Siamo nel 1998, e i Pokémon sono una realtà commerciale molto popolare presso i giovani, mentre Evangelion lo è per gli adulti. L’idea di base dell’autore è di coniugare le due cose: avremo dei ragazzini con i loro mostri (Shiina, la protagonista, esteticamente è molto affine alle ragazzine della Nintendo) in un contesto drammatico, psicologico, filosofico e metanarrativo alla Evangelion. Essendo poi Narutaru un seinen manga, l’autore non si pone alcun limite nell’esporre situazioni molto violente e morbose, coadiuvate da un tratto tagliente e asettico che rende i personaggi molto simili alle bambole – e quindi incapaci di svincolarsi dalla loro condizione di tragici, di marionette mosse dalle fila del destino.
mercoledì 9 dicembre 2020
Blue Spring: Recensione
Regia & Sceneggiatura: Toyoda Toshiaki
Soggetto: Tratto dall'omonimo manga di Matsumoto Tayou
Musiche: Thee Michelle Gun Elephant
Formato: film cinematografico
Anno di uscita:2001
A questo modo, Kujo, battendo le mani sette volte, diventa il boss indiscusso della scuola, dacché i professori sono completamente succubi degli allievi, e, in generale, della legge del più forte. Il suo braccio destro, Aoki, efferato picchiatore, è entusiasta della cosa, e si diletta a organizzare purghe delle bande rivali, che vengono brutalmente pestate a colpi di mazza da baseball. Tuttavia, una volta scoperto che il suo idolo è diventato boss soltanto per noia, rischiando la vita per pura apatia, la gang si sgretolerà, con conseguenze drammatiche.
martedì 1 dicembre 2020
Fate/Stay Night: Heaven's Feel - III. Spring Song: Recensione
Titolo originale: Gekijouban Fate/Stay Night: Heaven`s Feel
Regia: Sudou Tamonori
Soggetto: Tratto dall'omonima novel di Nasu Kinoko
Sceneggiatura: Sudou Tamonori
Musiche: Kajiura Yuki
Studio: Ufotable
Formato: film cinematografico
Anno di uscita:2021
Devo ammettere che è stata una curiosa sorpresa questo film, che conclude la trilogia cinematogafica di Fate Stay Night - Heaven's Feel, che di fatto è la terza route della Visual Novel di Nasu Kinoko - quella in cui la storia ruota intorno all'enigmatica Matou Sakura.
Se i primi due film avevano una regia sciatta che riproduceva troppo fedelmente i ritmi lenti e i dialoghi semplicistici della novel, questo terzo film a parer mio si distacca completamente da tali atmosfere sonnifere per fornire una concentrazione di pathos e formidabili combattimenti. Dal punto di vista meramente concettuale, il significato ultimo dell'epopea di Fate viene evidenziato acutamente, quasi ai livelli metanarrativi del bel Fate/Zero.
lunedì 23 novembre 2020
L'estate di Kikujiro: Recensione
Regia: Takeshi Kitano
Soggetto: Takeshi Kitano
Sceneggiatura: Takeshi Kitano
Musiche: Joe Hisaishi
Casa di produzione: Bandai Visual
Formato: film cinematografico
Anno di uscita: 1999
Il piccolo Masao è un bambino solo, che vive con la nonna dato che la madre si è trasferita in campagna per lavoro. Ad un certo punto, ricevuto un pacco con l'indirizzo della genitrice, decide di andare a trovarla per passare con lei le vacanze estive - ma Masao, sua madre, non l'ha neanche mai conosciuta. Ad accompagnarlo, uno strano ex yakuza, marito di un'amica della nonna.
Nonostante l'introduzione naif e gli intermezzi giocosi, e nonostante non si stia parlando di uno yakuza movie, Kikujiro no Natsu rimane comunque un film molto duro. Non abbiamo sparatorie e storie di mafiosi che diventano filosofia; ma di certo permane quel leit motiv nichilistico che accompagnava la riflessione sulla vita che già si dispiegava in Sonatine. Più in particolare, in questo caso qualsiasi dimensione vagamente epica o "borderline" lascia il posto alla vera banalità del male: quella dell'uomo comune, in particolare quello giapponese, che vive nel contesto di una società basata sul formalismo e su ingenue e menzognere pretese di perfezione.
domenica 1 novembre 2020
Cyborg 009: Recensione
Regia: Takahashi Ryōsuke
Soggetto: Tratto dall'omonimo manga di Ishinomori Shotarou
Character Design: Ashida Toyoo
Musiche: Sugiyama Kouchi
Studio: Toei Animation
Formato: serie televisiva di 50 episodi
Anno di trasmissione:1978
martedì 2 giugno 2020
Final Fantasy VI: Recensione
Musica: Uematsu Nobuo
Anno di uscita: 1994
giovedì 1 agosto 2019
Neon Genesis Evangelion: Recensione 2 .0
Regia: Anno Hideaki
Progetto & Soggetto: GAINAX
Character Design: Sadamoto Yoshiyuki
Mechanical Design: Yamashita Ikuto, Anno Hideaki
Musiche: Sagisu Shiro
Realizzazione Animazioni: GAINAX, Tatsunoko Production
Formato: serie televisiva di 26 + 2 episodi
Anni di trasmissione: 1995 - 1996
Disponibilità: edizione italiana in dvd a cura di Dynit
Evangelion è Anno Hideaki, ossia uno dei più influenti otaku di prima generazione (ossia quelli che avevano vissuto l’Expo di Osaka ’70 da bambini). Non esiste altra interpretazione dell’opera: essa va letta come l’anima, volendo lo spirito, la vita, di un otaku appartenente a un determinato periodo storico post-WWII (con tutti i mutamenti sociologici del caso), che si è guadagnato da vivere con cose - all’epoca, in Giappone - considerate da bambini/ritardati.
Con quest’opera, il cerchio del sogno otaku inaugurato dalla stessa GAINAX con Daicon III si chiude definitivamente, con un ragazzino che piagnucola dacché non riesce a definire la sua identità in un mondo di solitudine. Dopodiché, travisato nei suoi significati e frainteso da una nuova generazione di otaku ormai radicalmente diversa da quella di Anno, che poco si interessa a inserirsi in una società sempre più inesistente («There is no such thing as society», Margaret Tatcher docet), Evangelion diventerà un fenomeno consumistico di massa, sia in Giappone che all’estero. Le sue protagoniste assumeranno lo status di icone pop, dai videogiochi erotici alle doujinshi pornografiche, e le loro acton figures venderanno più dei modellini delle unità Eva. Nondimeno, la storia verrà sfruttata commercialmente fino alla nausea, con decine e decine di spin-off e storyline alternative (anche ad opera dello stesso autore, si pensi al discutibile Rebuild of Evangelion). Ciò premesso, oltre ad essere una lucida analisi delle problematiche legate ad una determinata condizione sociologica, la magnum opus di Anno è altresì uno degli anime più importanti della storia del suo media, tant’è che il 1995-97 è una linea di demarcazione di cui ogni eventuale “storico degli anime” dovrebbe tenere conto.
domenica 10 giugno 2018
Uzumaki: Recensione
Uzumaki non è un capolavoro soltanto per l’ineccepibile apparato grafico e per le atmosfere disturbanti, quasi Lovercraftiane, e le “storture mentali” che riesce a trasmettere, degne del miglior incubo. L’opera principe di Junji Ito, erede spirituale di Kazuo Umezu (icona dell’horror a fumetti giapponese e autore del classico l’Aula alla deriva), come fatto altresì notare dallo scrittore Yu Sato nella postfazione dell’ottima edizione italiana, è una metafora poco distante dalla realtà: più precisamente la risposta dell’inconscio collettivo dei giapponesi alla follia neoliberista/turbocapitalista che tutt’ora è fonte di disagio economico per i ceti più deboli, nonché di distruzione dell’identità sociale e nazionale per tutti, a parte ovviamente chi ne tiene le fila, che è spinto soltanto dall’accumulo di capitali (illusori, in fondo l’economia reale non esiste più) e dalla speculazione finanziaria in se stessa. A tal proposito, è da notare che durante Baburu, la bolla finanziaria iniziata nel Giappone degli anni ottanta e scoppiata negli stessi anni in cui Ito scriveva Uzumaki, come testimoniato da K. T. Greenfield nell’omonimo libro, anche i giapponesi arricchiti del ceto medio/basso si chiudevano in casa a speculare davanti ad un computer, proprio come il personaggio del manga che nel primo capitolo rimane ossessionato dalla spirale. Se l’Aula alla deriva analizzava col suo horror i problemi del boom economico settantino, il ricordo mal sopito della guerra, la sofferenza della ricostruzione, il più attuale Uzumaki si sofferma su argomenti più vicini a noi occidentali di oggi. In ogni caso, questo tipo di horror giapponese d’autore non è mai fine a se stesso, ma si fa sempre veicolo di un messaggio socio/politico ben preciso, legato al contesto in cui l’autore l’ha prodotto. E qui sta la sua grandezza.