mercoledì 11 gennaio 2023

Spatriati: Recensione informale, forse un po' trollina

Dopo aver letto per l'ennesima volta Kokoro di Natsume Soseki, capolavoro immortale della letteratura di ogni tempo, ho deciso di scendere in basso tra i comuni mortali e di prendermi un libro di un autore contemporaneo. Sono andato in una libreria e ho visto quest'opera di Desiati (che non so chi sia), avvolta dalla fascetta con su scritto "vincitore Premio Strega, cazzi e mazzi". Lo prendo, anche se del premio non me ne frega niente (lo ha vinto addirittura quella piangina banalotta del libro d'esordio di Paolo Giordano, quindi di che cosa stiamo parlando). Di Spatriati mi piace la copertina e a pelle non mi sembra la solita cosa politicamente corretta fine a se stessa, ma un romanzo che parla di cose sociali, cose serie, tipo che ne so, i giovani italiani che se ne scappano all'estero dato che l'Italia è un paese a misura di vecchio. Ok, ecco i venti euro, lo compro. 


Il romanzo si apre con questo ragazzo timido ma col cazzo perennemente dritto che vorrebbe farsi la compagna di scuola bella, sensuale e nerd, quella con i capelli rossi che c'è in copertina, Claudia. Entrambi vivono in una soffocante realtà di provincia, da qualche parte nelle Puglie o giù di lì. Nel loro paesello si conoscono tutti, ci sono i preti che giudicano, Claudia vuole farsi un po'  i cazzi propri e cose così. Fatto sta che a un certo punto i genitori del protagonista, che di cognome fa Veleno, si lasciano, e - colpo di scena - sua madre si mette col padre di Claudia, il medico figo del paese. Se già non potevano scopare prima causa insicurezza di lui, a questo punto è proprio finita: Veleno inizierà quindi a scoprire la sua omosessualità, pur sbavando sempre dietro a Claudia, che nel mentre se ne va all'estero, torna e si mette con il bomber del paese, un boomer con trent'anni in più di lei che timbrerà anche la madre del protagonista - colpo di scena! -. Dopo la delusione amorosa,  comunque, Claudia si stufa e se ne va a Berlino (nel frattempo aveva anche lavorato a Milano, cercando di far carriera - buona fortuna!). 


Vanessa di KoF. Vi ricorda qualcuno?


A Berlino Claudia sarà contentissima di lavorare in una casa di riposo a pulire il culo a vecchi che non parlano neanche la sua lingua; lì sia lei che veleno incontreranno un georgiano gay che se li scoperà tutti e due, per poi tornarsene al suo paese. Verrà ricordato da entrambi con nostalgia, forse amore, una cosa molto da manga yaoi (non mancano infatti nel libro riferimenti giappominkia, tipo lei, praticamente una cosplayer di Vanessa di King of Fighters, che legge i manga della Takahashi). Finito il sogno germanico, i due se ne ritornano al loro paese e amen, fine. Leggendo cosa scrive la gente in giro, il libro è una celebrazione degli "spatriati", di 'sti ragazzi - è da precisare che Claudia e Veleno sono due generazioni X, dato che hanno assistito alla notizia del crollo delle Twin Towers all'età di vent'anni circa, e quindi sono distanti dagli "spatriati" di oggi, quelli ventenni o trentenni nel duemilaventitré - che si sentono liberi e che all'estero vengono accolti con sorrisi, pacche sulle spalle ecc. La libertà? Ehm... sì, certo. Va bene. Ci credo. 


A me, nella mia ignoranza, è sembrato che il libro, comunque ben scritto a parte un grossolano typo che non credo sia accettabile in una roba pubblicata da un nome altisonante come Einaudi, sia stato tutto costruito intorno al personaggio di Claudia, la bella nerd libertina che pare più una fantasia sessuale dell'autore che una reale ragazza di vent'anni. Nonostante tutto ciò che passa e la sua insicurezza esistenziale, Claudia non ha mai un crollo psicologico, una crisi di pianto, un momento di debolezza. Mai. Anche se le muore il padre, se viene lasciata da n uomini, derubata, dislocata in continuazione, fatta fuori sul lavoro. La sua caratterizzazione psicologica non è credibile. Veleno d'altro canto  ha in sé del vero, soprattutto nelle sue insicurezze: è un palese avatar dell'autore e forse proprio per questo non è una marionetta insignificante come tutti gli altri. Ovviamente poi nel paesino sono tutti cretini, all'estero tutti fighi e scopano tantissimo, a Milano tutti velocissimi ed efficienti (se, magari!) e altri cliché che suggeriscono che ciò che si sta leggendo è aria fritta, fuffa del tutto slegata da una realtà troppo complessa per poter essere veramente colta da un libro del genere. 


Perché diciamocelo: la "libertà" ha un grosso prezzo da pagare. Disagi psicologici, emarginazione totale, magari malattie di vario tipo (non mi erano estranee le patologie mentali dei dottorandi e postdoc, costretti ripetutamente a "spatriare" da un paese all'altro alla ricerca di una borsa di studio. Tutte cose tra l'altro studiate e documentate a più riprese da vari ricercatori). La libertà che Desiati loda, alla fin fine, è una forma di schiavitù forse ancora peggiore della vita di merda da lui criticata, una vita insulsa in un paesino del Sud in cui si conoscono tutti e non si può fare un cazzo. Una forma di schiavitù che sottrae l'identità e il terreno da sotto i piedi, dandoti due briciole convincendoti che siano oro. La verità è che la vita, salvo qualche rara contingenza propizia, è merda ovunque si vada, con chiunque si stia, qualunque lingua si parli. Il processo verso la serenità/felicità è cosa del tutto interiore, e infatti "spatriati" fallisce nel voler sembrare un romanzo psicologico o sociologico impegnato, riconducendosi a essere un romanzo rosa un po' banalotto e politically correct. Tutto questo tenendo sempre a mente che in una società come quella odierna, filtrata dalle illusioni dei social media e dal disagio esistenziale più capzioso e subdolo e incosciente possibile, una vera "letteratura della realtà" sia cosa sempre più difficile da creare - e pubblicare, ovviamente. Il libro è comunque, in conclusione, sicuramente migliore dell'ultimo di Giordano, Tasmania, l'ennesima piangina borghese d'autore che vorrebbe sembrare Moravia ma in realtà è soltanto una lista della spesa di avvenimenti insignificanti e prolissità di vario genere. Lo scriveva proprio lui, Moravia, che la letteratura ormai è diventata industria. 

6 commenti:

  1. Questo libro ti è sembrato banale fin da subito o solo al momento di riconsiderare il tutto per scrivere la recensione "informale"? Magari la trama è scialba, ma c'è l'autore è abbastanza abile formalmente per mascherarne i limiti. :D

    Se cerchi sempre "tematiche giovanili", prova a dare un'occhiata a "La vita sessuale di Guglielmo Sputacchiera" di Alberto Ravasio (editore Quodlibet). Ha uno spunto in parte originale, è satirico/grottesco/irrealistico al punto giusto ma non troppo (stile che io apprezzo molto :D), mostra una varietà di "casi umani" credibili di più generazioni e ha una risoluzione parzialmente positiva non tanto calata dal cielo. Mi ha interessato sia grazie ad alcune recensioni sia perché l'autore è mio conterraneo e descrive ambienti circa affini al mio: benché io ne abbia una visione parzialmente diversa, credo che colga bene molti modi di essere e di pensiero. (Forse questo romanzetto sarebbe stato più "sul pezzo" a livello cronologico a uscire nel 2015 o giù di lì anziché nel 2022, ma è una mia vaghissima impressione.)

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    1. Ehilà, il libro parte bene, ma secondo me andando avanti con la lettura l'autore non si spinge troppo oltre e ripropone i soliti cliché da manga che fanno contenti tutti, senza esporsi eccessivamente. A metà circa comunque ha iniziato a non piacermi più, diventando addirittura peggiore delle cose della Caruso, che almeno ci prova a fornire delle caratterizzazioni ai personaggi.

      Mi segno cmq il libro che dici, sicuramente guardando a case editrici più piccole si trovano robe più interessanti e realistiche.

      Ciao!

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  2. La recensione è meravigliosa. Lucido contenuto, e la sua verve trollina fa da pepe. Fine della recensione della recensione. Parlando del libro, al cross-wedding dei genitori sembra di essere dinanzi alla trama di uno dei peggiori manga di Yoshizumi Wataru, e la successiva – temo ormai immancabile – piega omosex conferma l'estrazione shoujo manga della storia. Ridateci Zerocalcare, davvero. Il suo pensiero mi sembra sempre onesto e genuino, e parla di certe tematiche nel sottotesto, senza mitizzarle o demonizzarle (che poi è sempre epica drammaturgica) e con grande autoironia. (Shitarello)

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    1. Ebbene sì, una volta il Premio Strega lo davano a Moravia, ora lo danno ai mangaka di bassa lega travestiti da intellettuali. Dato che la gente non vive più, è persa e inglobata nella narrativa pornografica, raccontare cose vere si è fatto ben difficile.

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    2. Cosa di vero puoi raccontare, se nulla hai veramente vissuto? Racconti, come Anno (per sua autentica dichiarazione, cfr. i libri Eva:Schizo & Eva:Parano), solo collage di altre narrazioni fruite come tali, ovvero dei pastiche, usando a mo' di collante l'unica cosa di cui hai esperienza personale: le forme del tuo disagio, le tue delusioni, concretizzate in personaggi che ne sono il riflesso, ovvero forme di identificazioni proiettive a scopo sublimativo o pseudo-riparatorio.

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    3. Infatti sto imparando a rivalutare in positivo le sfighe della mia vita. Un po' come San Francesco, che parlava del fratello dolore, della sorella morte e cose del genere. Bel commento cmq, grazie.

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