sabato 26 novembre 2022

Gris: Recensione

 Sviluppatore: Nomada Studio
Piattaforma: PC (Windows, Mac), Nintendo Switch, PS4, Android
Soggetto & Disegni: Conrad Roset
 Musica: Berinist
  Durata: 4 ore di gioco circa
     Anno di uscita: 2018



Gris è un piccolo capolavoro e questo non si discute. Lo presi su Steam anni fa per la mia ex, ma poi mi lasciò e il gioco mi rimase lì sul pc, inerte e ignorato. Soltanto una settimana fa ho deciso di giocarci (l'ultimo videogioco che ho "preso in mano" è stato OFF, un altro indie). Ciò detto,  Gris è un platform dallo stile simbolico e surreale, non per nulla ideato da un pittore catalano, tale Conrad Roset. Un artista vero, fuori dal comune, che nei suoi dipinti traspone quella spiritualità carnale e passionale tipica della Catalogna (e qui mi viene in mente ciò che diceva Dalì in merito alla sua terra). Ma Gris non è un gioco erotico: è un gioco psicologico. Il grigio è il colore della depressione, del nonsenso derivante dalla perdita; e ogni livello del gioco è associato a un determinato colore/emozione. La storia inizia con la protagonista che viene tenuta su dalla mano di una statua femminile, forse la madre, forse la compagna, forse se stessa. Ma ad un certo punto, questa statua si sgretola: il punto di appoggio non c'è più. Come uno squarcio nell'abisso si fa strada il senso di perdita, la mancanza, la frammentazione, la crisi. Quando il giocatore prende il controllo della protagonista, lei a malapena ce la fa a camminare. E andando avanti con i livelli acquisirà sempre più abilità, ciascuna legata a un determinato stato del disagio esistenziale, fino alla guarigione (si parte dalla rabbia, tradotta nella capacità di trasformarsi in un macigno in grado di frantumare i sassi, al canto salvifico, perché l'unica vera cura alla "malattia mortale" del vivere è l'arte).  



Ritornando al discorso sulla Catalogna, a livello visivo Gris è un trionfo dei simboli della natura, con tutti quegli strani alberi, paesaggi marini, fiori dai mille colori e personaggi dei boschi che paiono guidare la protagonista verso la guarigione. Il simbolismo dell'albero della vita rimanda a Jung e a certi dipinti di Klimt; lo spaventoso volatile nero/pesce/madre oscura all'ombra, al malessere primigenio, ai fantasmi del passato che ritornano; l'onnipresente quadratura del cerchio d'altro canto è il più classico dei simboli di completamento del sé e di unione nella frammentazione. Lo stesso sviluppatore del gioco dichiarò che Gris è una sorta di autoterapia, un percorso di riappropriazione della propria vita in seguito a un evento doloroso. Niente da dire poi in merito alla giocabilità: per nulla banale, il gioco offre molti rompicapi e puzzle, nonché molteplici possibilità di interazione con l'ambiente pittoresco in cui si è immersi dall'inizio alla fine del viaggio onirico. Sembra quasi di giocare a una sorta di Utena o Tenshi no Tamago, opere con cui Gris condivide alcune scelte stilistiche ed ermetiche, per non dire simboliche (la crescita è pur sempre un percorso guidato dal dolore e dalla sua rielaborazione cosciente, che non può esistere senza la rinunzia al rifugio nella stasi della moratoria esistenziale). E questo e tutto: si lascino pure parlare le immagini, dacché troppe parole, troppi ragionamenti e troppe proiezioni, da un certo punto in poi diventano cose del tutto inutili. 





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