Con molto piacere pubblico la traduzione in italiano dell'intervista a Yasuyuki Ueda e Yoshitoshi ABe contenuta del dvd
americano dell'opera da me posseduto (appartenente alla collana
“Anime Classics” della Geneon Universal). Ho scelto di non integrare la recensione già presente nel blog con i retroscena contenuti in questa intervista per non disturbare il nostro etereo admin Onizuka90, e perché la reputo abbastanza significativa - e divertente - nella sua interezza. Buona lettura.
A sx, Yasuyuki Ueda, a dx, Yoshitoshi ABe
Intervistatrice: Era
nelle vostre intenzioni far parte dell'industria dell'animazione?
Ueda: No, neanche
minimamente. Sono un lavoratore salariato. Io faccio quello che la
compagnia mi dice di fare.
ABe: No, per nulla.
Quando lavoravo su lain, facevo ancora l'università e studiavo lo stile di pittura giapponese, e stavo ancora considerando
di intraprendere una carriera in quel campo o di diventare un
illustratore.
Ueda: Beh, ma tu alla fin
fine facevi già l'illustratore...
ABe: Certo, lo facevo. Ma
illustravo per guadagnarmi i soldi necessari per le lezioni di
pittura. All'epoca non ero ancora in grado di rinunciare al mio sogno
di diventare un pittore.
Ueda: I materiali
necessari allo stile di pittura giapponese sono molto costosi. Un
certo tipo di pigmenti speciali sono estremamente cari... 5000 yen
per 15 grammi, ad esempio. Pertanto, quando dipingi un quadro lungo
qualche metro, diciamo due metri, i materiali da soli costano
centinaia di migliaia di yen. Al fine di pagarsi tutta quella roba,
lui ha fatto cose come disegnare gli strani macchinari di Sakura
Wars per una guida strategica di un videogame, oppure...
ABe: …Ho lavorato con
i volantini. Facevo volantini per un'agenzia matrimoniale.
Ueda: Così era la sua
vita allora, e diventare povero era una cosa in secondo piano per
lui.
Intervistatrice: Qual è
stata la cosa divertente nel disegnare i personaggi?
ABe: Quello che mi è
piaciuto, per quanto riguarda Haibane, è che potevo decidere
un sacco di cose da solo. Invece, in lain e Texhnolyze
dovevo ascoltare la gente attorno a me e pensare a quello che
dicevano, cercando di creare un prodotto finale che riflettesse le
immagini che si facevano. In questo processo, mi sentivo molto incerto.
Non sapevo se stavo facendo le cose nel modo giusto. Quindi piuttosto
di dire “Questo è quello che penso”, dovevo rendere conto a loro
dicendo “Ti va bene questa cosa?”. Ma in Haibane, la
persona a cui ho fatto tale domanda ero io stesso, quindi ho potuto
ridurre la mia incertezza al minimo. Ho pensato a qualcosa e ho
semplicemente detto a loro “Questo è quello che penso”, e ciò
era quello che accettavano. Pertanto, per quanto concerne il design,
ho fatto tutto da solo, ed è stata dura. Ma allo stesso tempo mi ha
preso molto poco tempo, perché sapevo esattamente quello che stavo
facendo. D'altra parte, la cosa difficile era... Beh, adottare
l'approccio “Ti va bene questa cosa?” qualche volta rendeva tutto
più facile. Voglio dire... lo standard è avere qualcuno che ti dice
se una cosa è buona o cattiva. Dunque l'unica cosa che devi fare è
lavorare sodo. Non sei la sola persona in carica, e parte delle
responsabilità sono a carico di altre persone. In questo senso, è
qualcosa di più facile. Ma con Haibane non è stato affatto così.
Se i disegni non funzionavano bene all'interno della storia, io ero
l'unica persona da incolpare. Ho sentito della pressione a tal
riguardo.
Ueda: Beh, la direttrice
era terrificante, e così via.
ABe: Lo sai (si rivolge
all'intervistatrice), sebbene si parli della mia opera, il signor Ueda si
lamenta sempre, come se fosse la cosa più naturale da fare. Pure con
NieA lo faceva. In
merito a Yoshinen, ha detto qualcosa del tipo “E' troppo piatto”.
E a pensarci bene, mi fece fare anche delle modifiche!
Ueda: (ride).
Intervistatrice: Qual è
il tuo personaggio preferito?
ABe: Dato che li ho creati io, è difficile dire se mi piace o non mi piace un determinato personaggio. Loro sono parti di me. Quindi è veramente duro dire se mi piace o non mi piace questo o quel personaggio. Suppongo che mi faccia sentire come se stessi intonando le mie lodi, il che mi fa sentire un po' a disagio.
Intervistatrice: Cosa
vorresti fare se fossi nel mondo di Haibane?
ABe: Probabilmente sarei un intonacatore.
Intervistatrice: Quanto
tempo hai speso per sviluppare il concetto su cui si basa la storia?
ABe: Penso che quello che costituisce il nucleo, il cuore della storia, anche se non ne ero pienamente consapevole quando la stavo scrivendo, è ciò che appartiene alle mie memorie di dieci o undici anni fa. Penso che questa sia l'origine della storia. Ma quando stavo pensando di scrivere la storia, volevo fare una storia senza alcuna pianificazione concettuale a priori, una storia creata interamente ad libitum. Quindi, sostanzialmente, in questo senso c'era zero pianificazione. Le idee mi erano saltate in testa e ho scritto come se fossi stato una macchina da scrivere automatica. Questo è il concetto su cui si basa la storia.
Intervistatrice: Qual è
il messaggio che volevi trasmettere agli spettatori?
ABe: La salvezza. Dopotutto, questa è una storia in cui una ragazza Haibane di nome Reki trova la salvezza. E di mio rammento di aver vissuto un'esperienza simile alla sua. Allora avevo pensato “Oh, questa, in un certo senso, è la mia salvezza”, ed essere stato in grado di pensare in tal modo aveva significato molto per me. Ho voluto scrivere una storia basata su un periodo della mia vita che partiva da quando stavo soffrendo e che arrivava fino al punto in cui avevo sentito di aver trovato la salvezza. La mia esperienza è stata filtrata in una storia di finzione: se fossi riuscito far provare al pubblico qualcosa di simile a quello che avevo sentito alla fine della mia esperienza, allora, nonostante la natura personale della storia, essa sarebbe diventata un qualcosa di sensato. Questo è quello che ho pensato.
Ueda: La storia è un po'
inusuale. Ha veramente pochi elementi destinati a gonfiare le
emozioni degli spettatori. Invece, guardando i personaggi agire,
qualunque cosa essi facciano, gli spettatori possono riflettere sulle
loro esperienze personali e sentire qualcosa. Penso che la storia sia
diventata una roba di questo tipo.
Intervistatrice: Quali
sono le vostre intenzioni nella creazione di un'opera fantasy?
Ueda: Bene, vediamo... Per te il fantasy medio è una storia nella quale magari esiste un drago,
oppure della gente che può usare la magia. Questo è un genere di fantasy.
Ma non è il nostro. Oggi siamo in grado di vivere in qualunque modo
ci piace, e non c'è alcun senso di urgenza... per fare un esempio,
quello che proveremmo se dovessimo morire domani. Se lavori duro vieni
accettato, e di conseguenza non c'è molto da rischiare. C'è un tipo
di rischio che dipende dal fatto che il tuo lavoro venda bene o no,
ma non c'è un rischio correlato alla tua sopravvivenza. Penso che ci
mettiamo a creare delle storie fantasy per metterci alla prova,
perché stiamo inconsciamente cercando di capire cosa saremmo in
grado di fare se fossimo obbligati a vivere in un mondo del genere.
ABe: Sì, è proprio
così... riesci a dire qualcosa di sensato ogni tanto! Sono sorpreso.
Per la prima volta da quando siamo venuti in America, il signor Ueda
ha detto qualcosa di significativo! (ride).
Ueda: Ma allora cosa hai
pensato di me fino ad adesso? (ABe continua a ridere).
Intervistatrice: Quindi
quando dite “fantasy” non intendete quello carino, ma un tipo di storia hardcore?
ABe: Certo, sento
fortemente che la vita è molto semplice per noi, e che siamo
viziati. Siamo protetti, e non abbiamo mai affrontato una situazione
nella quale saremmo obbligati a guardare la morte in faccia. Forse ci
sono alcune eccezioni, ma in generale viviamo in un ambiente molto
sicuro. E se tu hai bisogno di immaginare qualcosa al fine di
bilanciare un tale stile di vita, penso che tu sia costretto a creare
un mondo ostile. La gente del passato concepiva nella sua mente dei
mondi molto allegri. Seguendo lo stesso ragionamento, lo faceva
perché la realtà delle loro vite era molto dura.
Ueda: E' probabile che
quando stai a malapena sopravvivendo, concepisci una storia
fantastica, penso... Ma di nuovo, se continui a creare un sacco di
storie cupe, senti come se volessi fare qualcosa di allegro. Quindi
la nostra immaginazione e le nostre fantasie sono estensioni delle
nostre vite attuali. E in qualche modo, tendiamo a voler creare
qualcosa che dia una sorta di riscontro alle nostre vite. Una storia
che è interamente un prodotto dell'immaginazione può essere
considerata più completa come fantasy. Ma essa esiste pur sempre per
dare dei continui riscontri alla società attuale o alle nostre vite. Per
continuare a vivere, penso che sia questo il motivo per cui creiamo
delle cose.
Intervistatrice: Vi
piacerebbe creare un'altra commedia?
ABe: Quando un certo
ammontare di ciò che chiamo “energia negativa” viene accumulato,
devo in qualche modo liberarmene, altrimenti verrei schiacciato dalla
negatività. Quindi, per mandar via questa negatività, creo dei
cartoni con delle gag comiche.
Ueda: Sì, a tutti e due
piacciono le gag dopotutto! (ride). Quando mangiamo insieme, diciamo
tante cose senza senso. Ci piace scherzare, e ci rende felici far
ridere il pubblico. Quando lo fanno, pure noi, nella nostra mente,
andiamo giù di risatine “heh-heh-heh-heh”. Come vedi, ci piace
divertirci. Ma ci piacciono pure le tematiche pesanti, quindi mi sa
che ci piacciono entrambe. Tutto sommato, mi sa che le uniche opere che non ci piacciono sono quelle vuote.
ABe: Questo è vero.
Ueda: Qualcosa che sta
bene come merce non ci dà alcuna soddisfazione. Oppure qualcosa che
è divertente ma dà la sensazione di essere senz'anima. Anche se vende
veramente bene come prodotto di consumo, questo tipo di cosa non mi
dà veramente una motivazione.
ABe. Certo, se l'avessimo
fatto una volta, non ci sarebbe stato alcun futuro lavoro in seguito,
perché l'abilità di farmi delle domande sarebbe venuta meno.
Intervistatrice: Un
messaggio ai fan americani di Haibane dal signor ABe.
ABe: Siccome è accaduto
che delle creature angeliche ne diventassero il motivo principale,
sembra che la storia abbia un certo feeling religioso. Ma rimane pur
sempre una storia non incentrata su alcuna specifica religione. Anche
se penso che ciononostante sia comunque una storia religiosa, credo...
Probabilmente riflette le mie idee in merito ad un'entità chiamata
“Dio” e a un qualcosa chiamato “vita”. Non tutto è stato
espresso nell'opera, ma penso che essa sia una specie di risposta
agli interrogativi che mi sono posto. Spero che la storia abbia
successo nel trasmettere ciò.
Intervistatrice: Un
messaggio ai fan americani di Haibane dal signor Ueda.
Ueda: Haibane Renmei è
un mondo creato dall'artista Yoshitoshi ABe. Il mio approccio come
produttore è stato quello di presentare una storia interamente sua,
senza alcuna distorsione. Mi sono sforzato molto lavorando ad essa, al fine di renderla una vera opera di Yoshitoshi ABe. Quindi se avete da
lamentarvi, non venite da me, ma andate da lui per cortesia! (ABe
scoppia a ridere).
Dato che ho creato un blog da poco sto esplorando un po' questo mondo scoprendo gente che scrive cose interessanti. Complimenti per i post, ne ho letti tipo 4 prima di scrivere e sono tutti molto belli :)
RispondiEliminaGrazie mille per l'apprezzamento e buona lettura. Cerco sempre di mantenere degli standard qualitativi elevati nelle mie pubblicazioni, anche se ciò - ahimè - comporta la dilatazione della frequenza di pubblicazione dei vari post (specialmente in questo ultimo periodo, in cui sono abbastanza indaffarato).
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