domenica 1 agosto 2021

I miei vicini Yamada: Recensione

 Titolo originale: Hōhokekyo Tonari no Yamada-kun
Regia: Isao Takahata
Soggetto: basato sul fumetto originale di Hisaichi Ishii
Sceneggiatura: Isao Takahata
Character Design: Kenichi Konishi
Musiche: Akiko Yano
Studio: Studio Ghibli


Siamo alla fine degli anni novanta, un decennio molto buio per il Giappone: crisi economica, terremoto di Kobe, attentato dell'Aum del '95. Addirittura Miyazaki, noto per l'escapismo lolicon tipicamente otaku delle sue opere, si ritrova a dirigere un film molto "maturo" e cupo per i suoi standard: Mononoke Hime. Sono proprio i ricavi di questo film a permettere a Takahata di dirigere il qui presente Hōhokekyo tonari no Yamada-kun, opera fortemente sperimentale e anticommerciale, stilisticamente ispirata al misconosciuto Crac! di Frédéric Back (artista che ha molto influenzato Takahata, in particolare col film L'homme qui plantait des arbres, che il regista adora). Il punto chiave per comprendere un film animato basato soltanto su scene di vita quotidiana di una normalissima famiglia giapponese è senz'altro il suo contesto: secondo quanto dichiarato da Takahata Isao (vedasi docufilm allegato al BluRay), le opere fantasy come Mononoke Hime creano nei giovani eccessive aspettative nei confronti della realtà. Realtà che pertanto, data la sua durezza, potrebbe deludere e indurire chi è stato imprintato con sogni e idealismi confezionati in prodotti di intrattenimento. Questa in pratica è una critica alle pseudonarrazioni escapistiche tipiche del media anime, e un invito al suo pubblico di affrancarsi da ciò per poter vivere in modo più sano. Non stupisce quindi che in questo climax di smarrimento generale dei giapponesi, nel quale il fenomeno hikikomori stava prendendo una piega sempre più inquietante, Takahata se ne sia venuto fuori con un adattamento autoriale della striscia Tonari no Yamada-kun di Hishii Hisaichi  – accontentando tra l'altro il produttore Suzuki Toshio, che ne è un fan - la cui unica finalità è l'insegnare in primis ad accettare la vita, e in secundis a "rassegnarsi" ad essa (ossia imparare a vivere accettando la realtà e senza proiettarvi illusioni). 

L'impianto narrativo (o non-narrativo che dir si voglia) è il tipico canovaccio da famiglia medio-borghese nipponica: i vari litigi sui programmi da guardare in tv, le ingerenze della suocera, i problemi sentimentali e scolastici del figlio ecc. In particolare Takashi, il capofamiglia, si arrabbia spesso per il fatto di aver perso l'autorità tipica dei padri giapponesi del passato: il divario generazionale tra lui e suo figlio Noboru è palpabile, e ciò non stupisce: nell'oggidì la discomunicazione tra un boomer settantino e un ragazzo nato nei 90s è talmente consueta da esser diventata un meme. Il fatto è che lo stesso boomer settantino è altresì un prodotto della società consumistica di massa, ed è già una sorta di proto-otaku che ha delle difficoltà ad offrire amore e comprensione alla sua famiglia. Il comportamento dei figli pertanto sarà un riflesso della sua incapacità genitoriale (da notare anche il tenue melodramma famigliare che viene fuori da determinati errori grossolani, tipo lasciare una bambina piccola da sola al supermercato: di nuovo qui Takahata ci dice di evitare il melò esistenziale tipico di un'epoca in cui si abusa intrattanimento pseudonarrativo, e di rimanere lucidi di fronte ai nostri stessi errori, che ahimè sono inevitabili finché si vive).


Il film è molto simpatico e mette di buon umore, sebbene al di là di quei disegni buffi e bambineschi vi sia un substrato intellettuale non indifferente, che si manifesta mediante le inquadrature, mai lasciate al caso, e i dialoghi dei personaggi. I rimandi registici a Ozu Yasujirou si sprecano (film realisti come Tokyo Monogatari, sebbene con attori in carne ed ossa, sono molto vicini a Hōhokekyo Tonari no Yamada-kun, sia registicamente che concettualmente). La cosa veramente curiosa è che Miyazaki aveva dichiarato che quando era giovane non capiva la necessità di far vedere ai giovani dei film come quelli di Ozu, ossia delle negazioni di pseudonarrazioni inneggianti all'accettazione della brutalità della vita/realtà (il cinema di Takahata è anch'esso la negazione di qualsiasi forma di idealismo infantile o simulacrizzazione). E qui si vede il contrasto tra quello che era un otaku boomer anzitempo (grazie agli agi economici di una famiglia borghese) e i registi segnati dalla guerra come Takahata e Ozu. Fatto salvo ciò, a livello grafico è da notare la maestria degli animatori, che riescono a mettere in movimento uno yonkoma colorato ad acquarello resistendo imperturbabili alla pignoleria di un Takahata quanto mai ispirato e desideroso di lanciare, questa volta in modo più diretto ed essenziale possibile, il suo solito messaggio vitalistico d'autore (sintetizzabile al massimo nell'asserzione "vivi, non devi fuggire"). 

 

Le chiavi di volta dell'opera infatti, a parte i vari episodi quotidiani che per forza di cose si risolvono in meglio, dato che lo scopo della famiglia è appunto quello di resistere alle avversità della vita (così come la società stessa, che nacque nel momento in cui l'uomo si rese conto di essere succube degli spietati meccanicismi naturali), sono il discorso finale di Takashi, che finalmente, giunti alla conclusione, diventa un boomer un po' più consapevole di sé e degli altri, e le canzoni di chiusura: Que sera, sera (Whatever Will Be, Will Be), tradotta in giapponese dallo stesso Takahata,  e Hitoribocchi wo Yameta (in entrambi i brani il titolo parla per sé). Ritornando alla "consapevolezza" del capofamiglia, il succo del suo discorso nuziale è di accettare gli altri, così come la realtà e la vita, con tutti i difetti e le sbavature del caso: non sto a riportare qui il tutto perché sarebbe ridondante, ma senz'altro la frase che mi ha colpito di più è stato quel "Senza perdonare vivere non è possibile". Così come nella dolcissima Hitoribocchi wo Yameta mi ha fatto effetto quel "Ci sono anche i buongiorno e non soltanto gli addii", che è una frase totalizzante: nella vita non c'è soltanto il negativo, ma anzi, cedendo ad esso si perde tutta quella positività che poi alla fin fine è il motore indispensabile per andare avanti (e rimanere uniti). E se ce lo dice una persona che da piccola vagava in mezzo ai campi bruciati dai bombardamenti, il cui sguardo terrorizzava quel bambinone di Miya-san, possiamo senz'altro fidarci.


21 commenti:

  1. A me e un film che non e mai andato giù in realtà.

    La realtà ci dice ciò che i figli degli yamada sarebbero / sono poi diventati. Non e la generazione di takahata che vagava tra le bombe infatti.

    A me sembra l'apologia di fantozzi. Chi per limiti intrinseci, o peggio ancora per ingenua scelta, decide di vivere come un fantozzi ottiene si sa quel che ottiene.
    :/

    Peggio dell'ingenua scelta, c'e l'intelletto che si cieca per non accettare che il mondo non va come lui desidera. Li si va nelle cause perse. I no Vax e l'acqua dell'himalaya sono dietro la porta.
    D'altronde anche una persona molto intelligente può dire che da bambini si pendeva la rosolia con i cuginetti e andava bene così.


    Gli yamada e di metà anni
    90, la generazione del ragazzo sara diventata poi quel che sappiamo.
    Questo e un dato di fatto. Come tante altre cose. :/


    Il punto e si può fare apologia della mediocrita, l'apologia di fantozzi, per dire che nella vita si deve accettare tutto...
    Qualcuno crescerà pieno di bile ed infelice.
    Questo e accettare la vita. Non a tutti e dato essere felici.

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    1. Purtroppo, da quel che ho visto, i maschi accecati dalle pseudonarrazioni di rafforzamento meccanico del proprio ego finiscono quasi sempre a malo modo, perché perdono il contatto con la realtà. Non si parla di apologia della mediocrità nel film (quella del successo avevamo visto essere una metanarrazione, anche un po' stupida volendo), bensì di accettare la vita e tutto ciò che ne deriva (ossia anche la banalità). Dico questo perché nessuno rimarrà in eterno un sire pornobebè oppure, parlo per me, un brillante scienziato con accanto la ragazza dei suoi sogni. Anche queste cose son passate, e tutto definitivamente passerà con la morte.

      Quindi non capisco proprio gli uomini che si costruiscono le proprie storielle basandosi sul loro stesso egocentrismo. Yamada è il contrario di tutto questo. Anzi, la negazione. Hai voluto grandi narrazioni fantasy, "scienziologiche", ponobebè, di successo che dir si voglia? Beccati Fantozzi e ricordati che un giorno sarai come lui, se non peggio. Oppure sottoterra.

      Per quanto riguarda i figli degli Yamada, in generale mi trovi d'accordo. Ma il regista voleva lanciar loro un messaggio e fine. Tipo Tomino che credeva nei newtype e illusioni varie. Loro hanno indicato la luna, gli spettatori hanno guardato il dito. Va quasi sempre così perché siamo tutti piccoli animali (quasi) coscienti.

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    2. Credo cui si parli di "Fantozzi" senza avere capito nulla del personaggio, della sua narrazione.

      Fantozzi è una persona vile. È abietto. È un misero traditore che vorrebbe sedurre la collega. Non è affatto migliore dei vari grotteschi "carnefici" ricchi che gli infliggono angherie su angherie. Fantozzi è un volgare in un mondo volgare, ed è frustrato e infelice.

      Fantozzi è essenzialmente un represso che diviene paladino dei repressi pari suoi, in quel tipico umorismo genovese (francese) della crudeltà del malmesso che ride con infamia di chi è più malmesso di lui.

      Villaggio, che era una persona intelligente e lo sapeva, non a caso parlò di un personaggio post-Sordi, che già faceva l'abietto per una società di abietti, post "miracolo economico".

      Già Sordi – coi suoi personaggi – non era Totò, era sempre e solo un "caporale" non un "uomo". Ancora più a sud, in un isola, un maestro di scuola elementare avrebbe parlato invece di "uomini, mezz'uomini, omminicchi, piglianculo – con rispetto parlando – e quaquaraqquà." - un nome della lista è stato poi epurato dalla memoria collettiva, suonava male, ma carta ancora canta.

      Resta che parliamo di uomini da niente che valgono quanto il loro conto in banca: alto o basso che sua, è sempre niente.

      Yamada-kun è l'esatto contrario, l'opposto, l'antitesi di tutto ciò. Si tratta del valore umano degli affetti veri e speciali nella loro banalità umana.

      Solo che, è una storia passata. Come scrissi altrove e altrove ancora ripostai, di quel mondo non restano che le macerie. Non so cosa ne sorgerà. Non sono ansioso di scoprilo. Fortunatamente, sono vecchio. Cicero dixit.

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    3. C'è da dire che nei primi film Fantozzi si staccava a volte dalle sue disgrazie grazie all'affetto per la famiglia - mi ricordo una battuta del tipo: "Io nella vita ho perso tutto: X mondiali di calcio, due guerre mondiali (ecc.) e il cuore per una donna come te [Pina]". (Forse finale del secondo film?) E ci fu la volta in cui portò via Mariangela dalla rassegna dei figli degli impiegati che elemosinavano il panettone, cercando di non ferire i suoi sentimenti ("Mi hanno chiamata Cita, che vuol dire?" - "... Cita Hayworth era la più bella attrice della sua epoca!"), guadagnando l'estremamente passeggero rispetto di tutti. Col tempo è diventato più una macchietta. :)
      Senza dubbio è una rappresentazione da un solo punto di vista e non corale, e sono pochi dettagli... mi immaginerei ancora delle scene del genere in una commedia italiana, almeno se rivolte al pubblico "boomer". :)

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    4. Il primo Fantozzi per me è un capolavoro, e ammetto di non averlo mai interpretato à la Shito ma soltanto come un'intellegente critica sociale di quegli anni. La cosa che più mi aveva colpito non era tanto la meschinità di Fantozzi, ossia ciò di cui parla Shito, ma il comunista nell'acquario del padrone con tutti gli altri.

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    5. Il nostro *lui* ha però ragione nel rimarcare che i primi due film sul personaggio di Fantozzi, mi pare gli unici realmente tratti dal materiale letterario scritto da Villaggio, mostravano comunque un tenore morale comunque un po' diverso dalla macchietta che poi divenne.

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    6. (Ri)guàrdati anche "Fantozzi in paradiso" - l'avevo molto apprezzato anche prima di scoprire che è ritenuto dalla critica l'unico Fantozzi ben riuscito diretto da Neri Parenti. Ci si vedeva il personaggio e il contesto familiare di Fantozzi al loro meglio e al loro peggio, ed era un ottimo finale per la saga. (A me era piaciuto pure "Fantozzi va in pensione", ma va be'.)

      Senza dubbio i primi due erano anche politici e satirici verso la società, come diceva Francesco, e poi ciò si è perso. (Il sottoscritto rimase stupefatto a scoprire che la scena della "Kotiomkin ca*ata pazzesca" sarebbe una precisa parodia della ribellione dei marinai all'interno della vera Corazzata Potëmkin, ma senza finale rivoluzionario, sostituito da una totale repressione. Non ci sarei MAI arrivato neanche se avessi effettivamente visto il film originale.)

      (Sinceramente non ricordo "il comunista nell'acquario con gli altri"... di chi si trattava?)

      [[P.S. di servizio: Avevo mandato giorni fa un commento simile a questo ma peggiore che non è stato approvato, forse una notifica finita negli spam. Non serve recuperarlo. :)]]

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    7. Sì, me lo sono perso per strada quel commento, pardon.

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    8. (*lui*): quel film in particolare avrei dovuto guardarlo da un sacco di tempo anche perché è stato scritto e sceneggiato (anche) da un mio caro amico, ma non ce la faccio. :-/

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  2. La storia della principessa splendente mi e piaciuto tantissimo infatti.

    Mi sarebbe piaciuto anche gli yamada se non lp avessi trovato falso nel tratteggiare benessere in quella situazione di repressione piccolo borghesia che avrebbe generato gli uomini erbivori.

    Io sono uno che se ne e andato di casa a 18anni, e che anche nell'attico alto alto in centro città si sente castrato e represso perché cmq - anche se l'ultimo piano e tutto tuo - non si ha mai un livello di privacy e libeera assoluti.

    Di notte non puoi far troppo rumore etc

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    1. Anche se ho un avatar femminile non sono una ragazza, quindi non capisco questo tuo continuo pavoneggiarti in questo luogo. Su di me non fa effetto questa cosa dell'essere affamati, megalomani ecc. Magari su una 14enne sì. Ma su un uomo di 31 anni boh. :D

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  3. Per coincidenza, prima di notare questo post ero capitato su: https://en.wikipedia.org/wiki/Iyashikei - e leggendo la recensione si ha che gli Yamada rilassino abbastanza, facendo nel frattempo penetrare il messaggio. Chissà se questo film doveva necessariamente essere "anti-commerciale": l'idealismo del sottoscritto dà che nulla lo sia in assoluto. :-)

    (Nota buttata qui, "a memoria": chiaramente non ho visto gli Yamada, e altrettanto chiaramente non saprei argomentare meglio.)

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    1. Grazie per il commento che reputo molto arguto. Infatti sì, se vai a vedere il contesto reale dei 90s in Giappone, c'era poco da rilassarsi. Un film così sicuramente è servito di più che molti anime cupi figli di Eva e del terrore diffusosi in quel periodo.

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    2. Quando leggo le tue risposte ai miei commenti, ho spesso l'impressione che mi sovrainterpreti. :D

      Chissà come si piazzavano gli Yamada negli incassi dell'anno (di film in generale o solo di animazione).
      Paradossalmente, un film "leggero" fatto bene è quello di cui si sente meno la necessità, secondo me: più facilmente ci si incappa per caso e ci si appassiona. Sparo che secondo me gli Yamada avrebbero avuto più riscontro che al cinema se fossero stati trasmessi in TV regolarmente ogni anno. (O magari è stato davvero così e non lo so.) Almeno da noi i film per famiglie (di varia qualità) hanno costruito così molto del loro seguito.

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    3. Nel documentario si diceva che avevano venduto bene, ma Shito qui ne saprà sicuramente più di me.

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  4. Ma il punto non e neppure essere fenomeni, e neppure ottenere.

    E tentare.

    Non dico una banalita come non conta la destinazione, conta il viaggio.

    Dico che conta riuscire ad avere il coraggio di scottarsi e farsi male. Che e quello che manca a questa generazione.

    Quando voglio qualcosa in genere do tutto me stesso... Mio padre un giorno mi fa...
    Ma scusa se ti andava male che facevi dopo tutto questo impegno.

    Conta l'avere quella disponibilita a soffrire.

    Ogni scusa e buona per non averla oggi :)

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    1. Dovrei fare un post chiamato "le metanarrazioni del sé". La nostra generazione è davvero assuefatta dal proprio ego, dalle proprie piccole narrazioni interiori. Tutto ciò è un meccanismo di reazione ad una solitudine e ad un nonsenso troppo pesanti.

      Perché tutto questo blablabla è una "strategia di sopravvivenza", come direbbe Ikuhara.

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    2. In realta scrivendolo e alla fine nient'altro che il contenuto della principessa splendente.

      E si e una strategia di sopravvivenza. In genere per me e o al massimo o a quel punto tanto vale uccidersi.
      Mi ricordo sempre il chiodo nella mano di Roy Batty.
      Di ikuhara ho visto Utena e penguindrum...un po troppo cartoni animsti ma belli. Meglio Utena, al l'epoca di penguindrum gia si sentiva molto il marciume

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  5. Le mie spacconate di sopra servivano per dire...

    Dal mondo esterno non ci si puo emancipare. Una situazione di disagio e scomodita e solo disagio e scomodita.
    Una moglie obesa, fare il salary man, il fantozzi, una casa troppo affollata. Sono quel che sono.

    Se si vuole fare apologia della vita non ha senso fare apologia delle ristretezze e della mediocrita. Perche al di la di ogni idea di status symbol, lusso etc quelle restano ristretezze e mediocrita.

    Su cosa generi quel tipo di educazione poi concordi con me :/

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  6. Peraltro credo che proprio quella mentalits di accettare tutto, porti a non combinare niente... Ritrovarsi con troppo tempo libero, niente di bello in mano, e quindi poi essere preda di consumismo e vacuita.

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