venerdì 14 maggio 2021

L'insostenibile potenza delle "pseudonarrazioni"

Per Lyotard, nella sua concezione storiografica, la metanarrazione era una "grande narrazione" del passato, come potevano essere illuminismo e socialismo. Una volta arrivata la postmodernità, ossia l'assetto sociale contemporaneo, le metanarrazioni per come intendeva Lyotard sono state abbandonate. Nel postmodernismo infatti viene meno la pretesa propria dell'epoca moderna di fondare un unico senso del mondo partendo da principi metafisici, ideologici o religiosi, e si ha quindi la conseguente apertura verso la precarietà di ogni sensoNella nostra epoca non esistono quindi più le "grandi narrazioni" o "metanarrazioni" del passato. Esistono tuttavia delle narrazioni mutuate dai prodotti di intrattenimento, che sono l'imprinting principale a cui tutti noi consumatori siamo soggetti. Per differenziare questo tipo di narrazioni simulacro da ciò che Lyotard chiamava "piccole narrazioni", e per evitare confusione col termine storiografico di "metanarrazione", le chiamerò, come suggerito dall'amico G. Cannarsi, "pseudonarrazioni" (il prefisso "pseudo" rende l'idea di un qualcosa di fittizio).  Ciò detto, a parer mio, il termine "piccola narrazione" è impreciso. Infatti il suffisso "pseudo" mi serve per rendere l'idea di una narrazione nata puramente nella finzione, o quantomeno da una pseudo-società quasi ormai caricaturale o teatrale (nel senso di simulacro di esistenze/solitudini individuali, come intendeva Pirandello). Una "piccola narrazione", a mio modo di vedere le cose, è una "grande narrazione" in scala, come ad esempio la storia di Ashita no Joe, che è una credibile rivalsa sociale in un'epoca di malessere e povertà diffusa come il dopoguerra giapponese. Fatte tutte queste premesse, la narrazione simulacro o pseudonarrazione, molto più tiepida delle grandi ideologie del passato,  è una sorta di imprinting: ad esempio, se si passa l'adolescenza a guardare molto intensamente shoujo anime, inevitabilmente, una volta arrivato l'amore nel mondo reale, si cercherà di elaborarlo secondo la pseudonarrazione shoujo assimilata in precedenza (Shoujo Kakumei Utena, con il Principe Azzurro Dios e il suo oscuro corrispettivo Akio, tanto per dire, si prende un po' gioco di questa cosa). Parlo di imprinting perché, nella maggior parte dei casi, la pseudonarrazione appartiene alla sfera infantile, e questo è palese quando si va a considerare il fenomeno otaku (che è l'avanguardia di quanto sta succedendo oggi in occidente: la dipendenza dalla finzione è ormai mainstream). 


Ikuahara in Utena usa una vera e propria pseudonarrazione (la fiaba del principe)  per parlare di pseudonarrazioni; l'anime è tutta una riflessione sulle illusioni e sul ruolo che ha il loro abbandono nel passaggio dall'adolescenza all'età adulta.

Tornando alle nostre Kakumei, la verità è che le vere rivoluzioni - non quella di Utena, che invero è la decostruzione di un simulacro/pseudonarrazione -, erano bagni di sangue. Diceva Mao Tse Tung:  "La rivoluzione non è un pranzo di gala; non è un'opera letteraria, un disegno, un ricamo; non la si può fare con altrettanta eleganza, tranquillità e delicatezza, o con altrettanta dolcezza, gentilezza, cortesia, riguardo e magnanimità. La rivoluzione è un atto di violenza."

La Kakumei che invece, emblematicamente, dipingeva Bertolucci nel suo The Dreamers, in cui altresì appariva lo spettro del comunismo, era invece pura pseudonarrazione: giochiamo a fare i rivoluzionari in un'epoca di benessere, ma in realtà vogliamo soltanto fare sesso e nulla più. La foto di Mao nella cameretta della ragazza incestuosa era già un ideale bagnato - fluido, ricordando Bauman - della stanza da letto. 

 

Il punto a cui voglio per ora arrivare con queste iniziali riflessioni libere è lo stesso che cercava di comunicare Sergio Leone in Giù la Testa : le rivoluzioni, da cui seguivano poi grandi ideali umanisti e grandi eroi (una volta vinte, dacché la Storia e le biografie le scrivono i vincitori), erano una questione di sopravvivenza. La pseudonarrazione è una cosa che si manifesta quando il pane è già stato garantito da un periodo di benessere. Pertanto, quello delle pseudonarrazioni è semplicemente il bisogno percepito dalle persone che, essendo nate nella certezza della sopravvivenza garantita (bisogni primari assicurati), non possono evitare di pensare alla dimensione causalista e finalista della loro esistenza. Le vere rivoluzioni o narrazioni erano cose di altri tempi, tempi nei quali si poteva morire molto più facilmente di oggi, e anche di fame. Mi viene in mente il fatto che molti sociologi si lamentino del calo delle nascite: eppure mediamente oggi, in occidente, si sta meglio degli anni cinquanta del secolo scorso, nei quali le famiglie facevano molti figli. La verità è che le coppie erano più forti perché non ci si poteva permettere la solitudine, e i figli servivano come manodopera o supporto per la famiglia. Il calo delle nascite è pertanto conseguenza diretta del benessere (infatti sono gli immigrati dei paesi più poveri a filiare di più). Lo stesso bisogno metafisico, di religiosità e ritualità, è più marcato nei paesi poveri che in quelli benestanti.

Se i sessantottini rivoluzionari da salotto criticati da Bertolucci in The Dreamers, che all'epoca erano già sfottuti da Pasolini e dalla Fallaci, avessero ascoltato questo discorso che Leone mette in bocca ad uno dei suoi protagonisti, forse avrebbero capito qualcosa in più sulla vera natura delle rivoluzioni.


La pseudonarrazione che va per la maggiore nel nostro tempo è sicuramente la pseudonarrazione del successo - successo nella vita, nel sedurre, nel produrre -, che è una cosa certamente importata dagli americani, ma a parer mio inconsciamente originata dalla mentalità titanista francese. Il razionalismo scientista ha infatti contribuito alla regressione dell'uomo nella sua infanzia, dacché lo ha privato di ogni narrazione vera e propria (e sopratutto della dimensione spirituale delle cose, volendo del senso di mistero per le cose del mondo). Spogliando la vita di senso grazie alla tecnica, gli occidentali di qualche secolo fa, in pieno idealismo storico, avevano già creato il nichilismo. Dato che Dio è morto, liberi tutti, possiamo fare ciò che vogliamo. E fu così che la grande narrazione della rivoluzione francese condusse poi alle capziosità della restaurazione, passando ovviamente per il terrore e per la grande illusione di Napoleone, che era già schiavo di questa pseudonarrazione. Si parla tanto di modello americano del successo individuale, ma in realtà questa cosa era già stata triggerata in seguito ai moti del 1789. 

 

Un uomo di successo in un mondo senza valori e senso sarà sicuramente un bravo animale da monta, e pertanto qui ha origine la pseudonarrazione del seduttore, del bohémienne, che in realtà, per quanto etichettata come cosa nobile e vitalistica dagli esistenzialisti, è paradossalmente figlia del più algido razionalismo (che poi diventerà scientismo, a sua volta giustificato e tenuto in vita dall'industrialismo, che è l'unico vero grande cambiamento di paradigma nella Storia dell'umanità).  Il donnaiolo è una figura congelata nella propria fanciullezza, una vuota caricatura di essere umano che vuole sovracompensare la comodità dell'amore materno mediante l'intensità fugace di atti sessuali senza alcuno scopo al di là del piacere (sono rapporti "in serie", come le catene di montaggio di Ford). Sarà poi altresì un uomo di valore nel lavoro, e si dedicherà solo a quello, seguendo le proprie pulsioni egotistiche. Questa del successo è una pseudonarrazione molto potente sia nella maggiorparte degli uomini, che delle donne, che contribuiscono a tenerla viva nel corso delle decadi, modellando i loro compagni in tal senso (nel caso in cui non siano completamente omologati) e imprintando a loro volta i figli (la donna dovendo mandare avanti la vita si adegua molto velocemente al contesto dominante). Il prezzo da pagare per tutto questo è ovviamente la solitudine (conseguenza diretta del benessere). Per di più, è facile notare come il sesso sia uno strumento di sedazione molto potente: l'uomo moderno si sente vuoto, e pertanto la reazione meccanica più semplice possibile è quella della pornopseudonarrazione del sesso/successo (da notare che l'incel è altresì soggetto a questo imprinting, ed è frustrato dal non poterlo mettere in pratica). Calciatori, attori, influencer e pornostar sono pertanto i prodotti più recenti e avanzati del razionalismo francese.

Nel voler separare Res Cogitans e Res Extensa, c'è una dissociazione ontologica dell'individuo in sé stesso. Siamo già ad una nevrosi che necessiterà di sedazione o sovracompensazione. 

 

La pseudonarrazione del successo non è molto diversa da quella del potere, dacché quest'ultimo di solito va di pari passo con il trionfo sociale di alcuni (mentre gli altri faranno comunque finta di ostentare prestigio o ricchezza sui social, dato che ormai la finzione sta scavalcando la realtà). L'esempio emblematico di ciò che intendo è il film Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto di Elio Petri, nel quale Gian Maria Volontè, molto probabilmente il miglior attore italiano di sempre, interpreta un capo della polizia che si comporta come un perfetto adolescente disturbato. L'uomo di potere fa le foto all'amante/idol, che gli dice che fa l'amore come un bambino, e poi questo va fuori di testa e la uccide. Cercherà in seguito di farsi arrestare dai suoi sottoposti seminando indizi ovunque, ma essendo lui, per l'appunto, al di fuori di ogni sospetto, si ritroverà in situazioni a dir poco paradossali (ma veritiere nel messaggio che vogliono veicolare). L'erotomane pieno di sé regredito alla stadio infantile in una società del benessere, nel momento in cui ottiene il successo (la promozione) con conseguente potere, è parte di tutta una pseudonarrazione sociale più grande di lui, che lo intrappola nella sua stessa follia senza alcuna possibilità di fuga. Per il protagonista l'arresto equivarrebbe alla libertà, alla cessione della sua maschera Pirandelliana, che egli stesso non regge più, dato che vuole farsi catturare: una volta al gabbio, potrebbe finalmente smettere di recitare il suo ruolo di autorità e tornare a fare il bimbominchia che è realmente. Petri ci comunica che le pseudonarrazioni individuali (o pseudonarrazioni del sé) nascono da tutto un contesto sociale che le favorisce, riconducibile ai famosi "miti del progresso" che invero sono un paravento per nascondere un'occidente in piena crisi esistenziale. Con questo film il regista mette in mostra una società che vuole dirsi civile, giusta, onesta, umanitaria, ma che nasconde fin troppe briciole sotto al proprio tappeto pseudonarrativo.

Le "fotine" all'amante. Sia con l'Indagine che con Buone Notizie, Petri aveva anticipato di molto la riflessione sulla società attuale.

 

Una pseudonarrazione davvero ingombrante e contraddittoria è altresì quella della "famiglia Mulino Bianco". Ora come ora non guardo più la televisione, ma ricordo che adolescente con genitori divorziati tale pubblicità in qualche modo mi discriminava. Ciò è paragonabile a come oggigiorno i social, implicitamente, taglino fuori chi non è affine a determinati canoni dettati dalla stessa società dei consumi (non sembri un Fabrizio Corona o un calciatore pieno di soldi? Sei un fallito). La cosa veramente paradossale è che da un lato ci viene presentata tale famiglia felice, che è felice senza sforzo né difficoltà alcuna, come se l'unità familiare non richiedesse sacrifici o fosse scontata; e dall'altro, invece, si incita la solita pseudonarrazione del sesso liquido e adolescenziale, con un bombardamento di tette, culi, modelle e glorificazioni di giovani pornostar. Si spinge sul sesso perché vende, ma allo stesso tempo anche su una figura di famiglia felice in piena contraddizione con tutto ciò.  Il passo successivo sono ragazze che si credono principesse delle fiabe consumando nel frattempo un flusso ininterrotto di pornografia dal proprio cellulare: in un certo senso, dal punto di vista sociologico, è lo stesso discorso sulla dissociazione individule accennato in questo post.

 

Volendoci spostare ora più in topic, è inevitabile parlare delle pseudonarrazioni assimilate dagli appassionati di cartoni animati giapponesi (non scrivo manga perché l'imprinting operato dalla televisione in tenerà età è molto più potente di quello cartaceo). In questo caso, le cose sono più complicate rispetto alla pseudonarrazione del successo, perché essa è tipica di uomini/donne con interessi abbastanza comuni e/o assenti, per i quali escapismo e sedazione spesso coincidono (infatti i grandi manager tipo il nostro Gian Maria Volonté nella vesti di capo della polizia, molto probabilmente fanno festini con cocaina ed escort di lusso, non guardano cartoni animati). Le pseudonarrazioni dei vecchi otaku di prima generazione erano principalmente Uchuu Senkan Yamato e Gundam. Erano cose molto potenti: da un lato il Giappone Imperiale trionfante, con la Kannon madre eterna Starsha a fare da madonnina dei giapponesi; dall'altro invece Lalah (l'indiana che ho messo in copertina a questo post), racattata dal carismatico Char in un bordello, che si innamora di Amuro, ricambiata, superando tutte le barriere sociali, razziali, ideologiche e comunicative possibili. Sebbene Tomino con Gundam volesse rimanere con i piedi per terra usando la finzione a fini intellettuali, la sua passionalità ha dato cibo pressoché infinito alla necessità di illudersi degli otaku ( V Gundam, ad esempio, sebbene parli di cose sociologiche come l'egoismo feroce delle femmine postmoderne in pieno delirio di onnipotenza, piace soltanto a Anno e Imagawa). Ciò detto, col tempo, come facevo notare in questo post, la pseudonarrazione SF di Yamato e Gundam è diventata esclusivamente rivolta alla sfera erotico/sentimentale: il famoso lolicon, trasformatosi poi in moe(ru). Il primo è un modo di congelarsi/sedarsi nella propria giovinezza amando le adolescenti dei cartoni animati (oppure una forma di solipsismo proiettivo, come fa notare Morioka Masahiro nel suo Confessions of a Frigid Man ); il secondo, in un certo senso, è l'escapismo finale di chi è talmente solo da pretendere amore incodizionato, assenza di reponsabilità e totale comodità (le difficoltà fanno soffrire, e la sofferenza, come in Brave New World, è bandita dalla società dei consumi). Per ovvi motivi è un "amore" (sarebbe meglio dire "bruciore", da "moeru") rivolto verso personaggi; almeno fino a quando non si incominciano a proiettare pseudonarrazioni su persone reali. Questo punto è molto dolente, e se ci si pensa bene, riguarda ogni tipo di pseudonarrazione. Prendendo ad esempio le solite proiezioni postmoderne che si fanno nei rapporti di coppia, ci si illude che l'altra persona debba essere perfetta, impeccabile, bellissima (e quindi spesso giovanissima), che ami incondizionatamente come accade nei cartoni animati o nelle serie televisive. Una volta, un amico di Milano che non c'entrava nulla con i miei due hobby nerd mi disse: "ormai ho quarant'anni, e quando provo a mettermi insieme ad una ragazza, quella pretende che io sia mentalmente vergine e vestito come un ragazzino alla moda". In poche parole, la pseudonarrazione lolicon si è spostata dagli anime e manga alla società tutta: quanti sono i casi di cronaca nei quali insegnanti (in America quasi solo femmine) si innamorano dei loro studenti e vengono quindi arrestati? E non penso proprio che loro fossero otaku in senso stretto. La verità è che le pseudonarrazioni dell'adolescenza vengono ormai portate nell'età adulta, e si proiettano sulla realtà, generando disastri emotivi, sociali e in primis umani. Ritornando ad una dimensione che trascende i rapporti di coppia, ormai martoriati dall'incomunicabilità, un esempio lampante è quanto fatto dalla setta terroristica dell'Aum Shinrikyo, che aveva proiettato la pseudonarrazione di Yamato nel mondo reale, avvelenando l'impura metropolitana di Tokyo col gas Sarin.


La potenza pseudonarrativa di Yamato, quasi sacrale, la si percepisce già prepotentemente dalle sigle. Questa ad esempio è la ED di Yamato 3. Rimane comunque arte di altri tempi, con eterei idealismi e romanticismi ormai dimenticati. 

 

E' emblematico che in Giappone, l'avanguardia di tutto ciò che è postmoderno, il tipo di ragazza che va più di moda è quella con la faccia da bambina ma il seno prosperoso. In pratica, l'otaku vorrebbe una adulta/bambina, come i bambini-vecchio di Akira (perché in fondo ciò è l'otaku, e anche Frankenstein voleva una donna a lui simile). Un'opera di cui tanto si parla oggi nei siti di anime e manga è Hige wo Soru. Soshite Joshikousei wo Hirou, anime nel quale un ragazzo di 26 anni, appena lasciato dalla fidanzata storica, si ritrova una ragazzina giovane e carina in casa, che vuole darsi a lui, e soltanto a lui, senza alcun corteggiamento (sorvoliamo il fatto che questi episodi in Giappone solitamente accadano mediante la prostituzione delle enjo kousai, e non tanto per grazia divina o pseudonarrativa shoujo). Questa necessità lolicon/moe squisitamente incel è molto in voga presso i maschi indeboliti dalla grande disgregazione sociale di inizio anni duemila: allo stesso modo di Satou di Welcome to the N.H.K., che fa l'hikikomori e si deprime tutto il giorno senza fare nulla, solo e disilluso, i ragazzi plagiati da questo tipo di pseudonarrazioni si aspettano che arrivi la Misaki mandata direttamente da Dio a salvarli da loro stessi. Rimarranno quindi ancora più congelati nella loro solitudine, allo stesso modo dei casanova che tanto invidiano. Perché nella realtà queste cose non esistono, e se miracolosamente accadono, di solito non finiscono proprio bene come nei cartoni animati. La realtà, anche nel benessere illusorio (finiti i soldi della madre, Satou se ne va a lavorare, anche se graziato dalla pseudonarrazione del salvataggio di Misaki), rimane pur sempre spietata.

Per quanto lo reputi personalmente uno degli ultimi anime moderni veramente degni di nota, la parabola di Welcome to the N.H.K. è invero la pseudonarrazione incel più comune al giorno d'oggi. Ossia l'illusione che standosene chiusi in casa a deprimersi, prima o poi arriverà comunque una carinissima Misaki a fare da salvatrice/redentrice. 
 

La favoletta della ragazza carina che ti salva e ti ama incondizionatamente è molto comune nell'oggidì, e la cosa vale per entrambi i sessi. Supponiamo ad esempio che un animefan della mia generazione (classe '90) o di una successiva (tale pseudonarrazione inizia a diffondersi, come dicevo, presso le generazioni nate nei 90s)  trovi effettivamente una fidanzata come quella che cerca per spinta pseudonarrativa, e che accada altresì il viceversa, ossia che la suddetta identifichi il suo partner come un principe azzurro salvatore. Sicuramente per tale principe  il fardello di dover rimanere perfetto ad ogni costo, senza potersi concedere momenti di debolezza (inevitabili data la durezza della vita), diventerà un qualcosa di gravoso. La controparte femminile potrebbe subire lo stesso processo dato che, come insegna l'UFO di Utena che si schianta sulla torre di Akio, le pseudonarrazioni non vanno molto d'accordo con la realtà. Questa fenomenologia è molto stridente con quella delle coppie del passato, che si formavano per i motivi che avevo illustrato in qualche paragrafo precedente. Quando mi pongo la domanda su cosa sia un vero amore eterno, mi viene in mente un mio amico di famiglia che ora non c'è più, un anziano della seconda guerra mondiale, col capo chino davanti alla tomba della moglie, che gli è sempre stata accanto fino alla morte. Paradossalmente, la loro completa assenza di pseudonarrazioni e proiezioni personali aveva creato un amore inscalfibile. Ma erano altri tempi. Sono comunque convinto che anche oggi, se si ha un minimo di coscienza e si è in grado di uscire dal solito solipsismo vittimista che va per la maggiore, l'aver amato veramente porti ad aver avuto responsabilità, e che le responsabilità, sopratutto l'onere di sapersele assumere, conducano bene o male alla crescita.

 

 

Pseudonarrazioni sentimentali. Nothing personal here.

Le mie pseudonarrazioni personali (sorvolo su quelle sentimentali) sono state molto simili a quelle degli SF otaku, che di certo fanno molta presa su persone nate idealiste. Quella invece più in voga presso gli animefan di oggi, a parte la solita roba moe/lolicon, è ciò che definisco "esterofilia giappominchia". Con la spinta delle università, che incitano alla delocalizzazione delle persone e delle culture, gli studenti di giapponese si costruiscono tutta una loro pseudonarrazione secondo la quale in Giappone diventeranno giapponesi perfettamente integrati, e troveranno una brava mogliettina-maid nipponica che, contrariamente alle viziatissime italiane, sarà in grado di amarli profondamente (e qui torniamo al solito bisogno di amore incondizionato moeru ). Peccato però che il Giappone sia uno dei paesi più razzisti al mondo, che le ragazze nipponiche abbiano gli stessi problemi di quelle italiane (la postmodernità è presente in tutti i paesi sviluppati),  e che ottenere i visti lavorativi (per poi fare lavori per i quali tendenzialmente i giapponesi preferiscono assumere loro connazionali) sia in incubo. Per non parlare poi dei risvolti giuridici del matrimonio con una giapponese, sempre se i genitori di lei approvino la sua unione con un gaijin. Sicuramente ci saranno delle eccezioni che non confermano quanto ho scritto, ma in generale la strada è tutta in salita e ben lungi dal sogno propagandato da alcuni influencer, dal proprio passato di consumatori di anime televisivi o dalle università (che fremono nello spingere gli studenti verso la pseudonarrazione del successo delocalizzata).  

 

Di certo, le pseudonarrazioni diventano molto potenti quando chi le consuma ha una forte insicurezza esistenziale. In Mawaru Penguindrum, tornando a Ikuahara, i personaggi sono un po' l'analogo dei pinguini, i quali mettono in atto strategie di sopravvivenza per resistere al freddo, come ad esempio stare tutti vicini (e qui già si scorge un po' di intento metaforico, contando il fatto che la nostra è un'epoca di solitudini e comparse). A parer mio, le pseudonarrazioni sono una delle strategie di sopravvivenza più utilizzate nella nostra epoca. Non sapendo dove andare  ad attingere senso e calore umano in un mondo ghiacciato come il Polo Sud, ancora peggio se parliamo della società giapponese, che è la solita avanguardia di quella occidentale, come ho fatto notare più volte, si fugge nella finzione. Ma i casi e sottocasi di fuga nella pseudonarrazione come strategia di soppravivenza sono infiniti, e spesso correlati alle individualità e alla storia personale di ognuno di noi. In fondo, anche Michelangelo, che aveva perso la madre in tenera età, ha passato la vita a disegnare Madonne con il bambino dagli sguardi imperscrutabili. La sublimazione come riparazione inconscia di uno stato di disagio c'è sempre stata nell'uomo, e la pseudonarrazione è quella tipica della postmodernità.

 

Stalkerando Tabuki, Ringo sta semplicemente perseguendo una propria pseudonarrazione personale atta a compensare psicologicamente un evento nefasto accaduto nel suo passato.


Penso che a questo punto, grazie anche ai numerosi esempi portati, il lettore si sia fatto un'idea di cosa siano le pseudonarrazioni di cui sto parlando. Molto probabilmente ne avrò tralasciate alcune, ma di base è bene capire la loro natura illusoria. Il media "anime" sicuramente fornisce pseudonarrazioni molto più potenti di quelle dei non appassionati normaloidi, che di solito, come ho illustrato, si arrovellano su sesso e successo (due cose ovviamente amplificate da media e social: la sessualizzazione ormai non risparmia nessuno, si pensi alle scabrose foto pubblicitarie di Oliviero Toscani). Esistono tuttavia due registi, Takahata Isao e Yamaga Hiroyuki, che rigettano totalmente le pseudonarrazioni (ad essi aggiungerei per completezza anche il Takashi Ryousuke di Flag, ossia il regista Sunrise che girava asettici reportage bellici alla faccia del marketing di giocattoli).

Takahata Isao è stato profondamente ferito dalla guerra, e da bambino si ritrovò a camminare per i campi incendiati dai bombardamenti degli alleati. Takahata era già morto in quel momento, ed è questa la cosa che tanto ha spaventato Miyazaki, che invece era cresciuto nella bambagia. Gli occhi di Takahata Isao erano profondi, inghiottevano l'abisso dell'esistenza. Paku-san non viveva per degli scopi: era già morto in principio. Da questa profondità di spirito, plasmata da vera, atroce sofferenza, abbiamo uno dei pochi registi che non è in grado di creare pseudonarrativa. Gli ideali e i loro simulacri in ultima sintesi sono cose derivanti dall'attaccamento alla vita, e alla voglia di giustificarla in qualche modo, dato che la sua insensatezza è insopportabile. Paku-san semplicemente non ne ha bisogno. Fatto salvo ciò, un esempio emblematico della sua arte è Omohide Poro Poro, nel quale abbiamo una donna che capisce di essere una cretina, e nulla più. E' un'opera d'arte immensa, spesso fraintesa col fatto che l'artista desiderasse comunicare il messaggio che in campagna si sta meglio che in città (non è questo il vero significato del film). La verità invece è che la protagonista capisce delle cose importanti, e va avanti con la vita. La scena finale col treno è stata una delle cose più belle che abbia mai visto in animazione. Poi mi viene in mente la Hilda di Hols no Daibouken, così tenebrosa, ma allo stesso tempo umana, da far venire gli incubi a Miyazaki, il creatore di pseudonarrazioni escapiste lolicon per eccellenza. Un personaggio del genere poteva essere stato creato soltanto da una persona già morta.

 

Takahashi Ryousuke era sì ossessionato dal realismo in animazione come Takahata, ma le sue opere iniziali, tipo Taiyou no Kiba Dougram o Armored Trooper Votoms, hanno ancora del melodramma e una potenza pseudonarrativa molto forte nonostante tutto. Quest'ultimo alla fin fine è una storia d'amore sacrale, sovrumana, che sembra quasi uscita dal Genji Monogatari. Posto qui la sigla per far capire il mood dell'opera di cui sto parlando. Invecchiando il regista inizierà a fare anime che sembreranno più documentari che altro.


E poi c'è Yamaga Hiroyuki, l'elemento anomalo dello studio GAINAX, notoriamente formato da otaku incalliti. Quando erano tutti studenti all'università, lui si era unito a loro per caso, e non sapeva manco cosa fosse Gundam, suscitando le ire di Anno Hideaki. La prima fraintesissima opera di "fanservice" otaku, ossia Daicon 3, promo di apertura della Nihon SF Taikai dell'81, è diretta da Yamaga, e infatti raffigura una ragazzina stile Clarisse di Cagliostro no Shiro che distrugge tutte le pseudonarrazioni otaku dell'epoca. Ovviamente anche Gundam e Yamato vengono fatti a pezzi. Dopodiché vi è un messaggio naturalista in cui la protagonista versa l'acqua del suo bicchiere su un daikon, ossia un ravanello asiatico, facendolo crescere. La metafora è palese, e sarà ribadita anche nel seguente Daicon IV, in cui la loli cresce e nella sua adultità si porta via tutte le pseudonarrazioni possibili, con conseguente bis di rinascita della natura. Il senso di saturazione cui fa riferimento Yamaga è altresì nascosto nel testo del brano Prologue della Electric Light Orchestra, citato a schermo nella opening:


Just on the border of your waking mind,

There lies another time, where darkness and light are one.

And as you tread the halls of sanity, you feel so glad to be unable to go beyond. 


In pratica, le pseudonarrazioni ti fanno finire al manicomio (halls of sanity). L'incapacità di uscirne (unable to go beyond) è saturazione da finzione (che poi conduce all'asincronia del congelamento nell'adolescenza, ossia la poetica dell'Oshii di Beautiful Dreamer e Twilight Q ). 

Il regista in seguito rimarrà sulla stessa lunghezza d'onda, dirigendo cose come Honneamise no Tsubasa e il brillante Abenobashi Mahou Shoutengai, e scrivendo la sceneggiatura dell'unico Gundam privo di pseudonarrativa: il commovente Kidou Senshi Gundam 0080: Pocket no naka no sensou

 

 La distruzione delle pseudonarrazioni otaku: il Daicon 3 diretto da Yamaga. Su Youtube trovate anche il IV. 


Il senso di questo post, che in un certo senso è una nota a margine del mio discorso più generale sulla postmodernità,  è che, come faceva notare Yamaga, bisogna liberarsi dalle pseudonarrazioni per poter crescere veramente. Ciò in un certo senso è l'analogo sociologico contemporaneo di quello che a livello spirituale diceva Don Juan a Castaneda, ossia la soppressione del "dialogo interiore". Per spiegarlo, uso le stesse parole del mistico: "Il mondo è questo e quello o è così e così solo perché ci diciamo che è nel modo in cui è. Se smettessimo di dire a noi stessi che il mondo è così e così, il mondo cesserebbe di essere così e così." In pratica, la mente dovrebbe sospendere il giudizio sulle cose del mondo, e men che meno appiccicarci illusioni o imprinting consumistici di massa. Le cose sono quelle che sono, e spesso sono fuori dal nostro controllo/portata. E' troppo triste ora vedere la realtà senza il filtro profumato e confortevole delle pseudonarrazioni che abbiamo in testa, che in qualche modo ci hanno definito come individui? Sì, lo è, non voglio fare l'ipocrita. Non ci sono grandi amori eterni, grandi ideali, grandi successi, robottoni strafighi, idol che ci amano incondizionatamente, principi azzurri o grandi titanismi francesi. C'è soltanto gente più fortunata, gente meno fortunata, cose miserabili e meno miserabili; la natura che preserva il grande meccanismo della vita, e noi stessi, che siamo qui per una breve visita e nulla più. Oggi un piccione che voleva cagarmi sul balcone si è incastrato nel dissuasore: ho riso fragorosamente, e quello dopo un sussulto è riuscito a sbrogliarsi. I bambini nel giardino giocano a palla sbraitando come pazzi: sono contento per loro. Vedo coppie felici che passeggiano, magari un domani non lo saranno più, ma poco importa. Qualche scritta sui muri, il verde del mio quartiere; una vecchietta nel giardino condominiale sta annaffiando i suoi fiori, che sono sbocciati rigogliosamente, pur non essendo dei magici daikon. Gli insetti appiccicati alla finestra; il vecchio vicino burbero, che bestemmia per il cane, si prende cura della sua donna sulla sedia a rotelle. Il cielo è sereno, poi arriveranno le nuvole grige della pioggia: un temporale. Ma poi di nuovo sole. L'estate, ma poi l'autunno, l'inverno e la rinascita della primavera.

 

Le fine delle pseudonarrazioni: la realtà.


36 commenti:

  1. Credo che diventare adulti senza aver avuto la possibilità di vivere una vita affettiva e sentimentale decente, comporti tutta una serie di difficoltà e di problematiche. Come si manifestano tali problematiche? Difficile dirlo, visto che ogni persona reagisce diversamente dinnanzi al medesimo dolore, alla medesima mancanza. Arrivare a 30-40 anni suonati con ancora l'idea in testa della donna angelo, della relazione adolescenziale turbolenta e coinvolgente, della coppia tanto affiatata quanto affamata di felicità, secondo me non è altro che un meccanismo inconscio atto a mettere una pezza su quella che fino a quel momento è stata una vita non vissuta, fatta di storielle sentimentali assenti o molto precarie: una non vita, fondamentalmente. La verità è che se non si ha avuto la possibilità di diventare adulti tramite un percorso funzionale, ci si arriverà in modo "sbagliato", con tutte le problematiche e i disagi che esso comporta. Giunti a 30 anni in tale modo, riuscendo a mettere pezze più o meno grandi alle proprie lacune, ci si ritrova ad avere (generalmente parlando) una posizione socio-economica consolidata, e si è finalmente appetibili dopo anni di invisibilità. Quello che, tuttavia, si può raccogliere ora è ben diverso da quello che si poteva raccogliere qualche anno prima, quando la gente si avvicinava a te mossa da un genuino interesse verso la tua persona, piuttosto che da motivazioni di tipo convenzionale. Ciò che si può raccogliere in questo tipo di scenario diventa così tanto misero, che la metanarrazione funge da escapismo; un modo come un altro per tirare avanti ignorando quella che è una realtà, per molti, inaccettabile o troppo dolorosa.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. "che la metanarrazione funge da escapismo"

      Grazie del bel commento, il punto è proprio questo ed è la stessa cosa che ci dice Ikuhara in Penguindrum, in cui le metanarrazioni sono utilizzate come "strategie di sopravvivenza". Ormai siamo ad un livello di disagio sociale che abbandonare le metanarrazioni è più difficile che mai, significherebbe quasi morire. Ma è un passo necessario per crescere secondo me. Poi nessuno obbliga a sistemarsi con una che magari guarda solo il tuo stipendio, e che non ti ama per quello che sei veramente. Qualche persona valida in giro penso che ci sia ancora. E' inoltre davvero importante non fare il passo all'indietro di vittimizzarsi e immolarsi nella propria tristezza e frustrazione. Io ho sempre cercato di evitare tutto ciò, sebbene conosca molto bene i problemi del mondo in cui vivo.

      Elimina
  2. Sono francamente agghiacciato dal generale livello di semplice, lineare verità che leggo nell'ultimo commento - soprattutto nell'esposizione di un psicodinamica prima evolutiva e poi sociale che mi pare ormai tipica della società contemporanea. Questo blog ha lettori incredibili, ma mi inchino davvero alla lucida capacità di sintesi di Seele94. Grazie.

    RispondiElimina
  3. Tanto per portare qualcosa:

    https://en.wikipedia.org/wiki/The_Tragedy_of_Man_(film)

    Se è quello che promette, prima o poi questo diventerà il film animato preferito (o quasi) tuo e di Shito, ci scommetto.
    Ah, c'è una scena in cui il protagonista sta diventando un astronave che veleggia verso lo spazio profondo e la Madre Terra lo convincce a tornare. Altro che il Daicon 3 o Otaku no Video. :-D

    (Io ne ho visto dei pezzetti; per me sono più adatti i corti di Gustavo, decisamente.)

    P.S. Ah, per voi il regista è Jankovics Marcell, beninteso. :-D

    RispondiElimina
  4. In effetti quel film come Dead Man o come Evangelion o come tante altre più o meno valide riesposizioni della stessa umana verità, destino, ovvero volendo tragedia, non dice altro che quello che tutti hanno sempre saputo, tra teogonie e religioni e mitologie e psicanalisi: che Adam è invero Sisifo, in realtà, e Sisifo non sceglie neppure di dove spingere inutilmente il suo masso: è la sua natura. Credo che il punto sia riuscire a realizzare che la tragedia non è affatto una tragedia, appunto. Perché altrimenti anche la comprensione della pur ovvia e evidente natura umana si fa narrazione e metanarrazione di sé, a volte vittimistica, a volte superomistica, ma sempre solipsisticamente proiettiva e quindi delirante (nevrotica, psicotica). Invocare l'uomo fabbro di sé stesso o la libertà solo nel suicidio sono invero la stessissima cosa (come diceva Therru, in sostanza). In realtà, infatti, non c'è niente da scoprire, non ci sono epifanie ancora da cercarsi né nella narrativa, né nelle religioni, né nei misticismi, quanto sola la pacificamente mesta (mestamente pacifica), ma serenamente felice, che l'uomo è umano - con tutto ciò che naturalmente significa. Dunque se come diceva Sartre l'uomo è l'animale che non può evitare di sognare di essere un dio, allora io dico che è proprio quando smette di sognarlo, ovvero di nuovo come quando Anne Shirley sorride al cielo dicendo "God's in HIS heaven, all's RIGHT with the world", che inizia a vivere la sola, piccola, pur misera ma reale vita umana che gli è concessa. La ricontestualizzazione che la Montgomery fa della frase di Browning è in effetti la chiave, ed è in effetti la lettura vitalistica femminile di una provocazione intellettuale maschile. Anche in questa differenza compensativa: l'umano.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Probabilmente per film del genere fa differenza il fatto se quella è la prima esposizione che si riceve a certe tematiche oppure no - e poi conta lo stile di rappresentazione, ecc.
      "La tragedia dell'uomo" è tratto da un poema romantico che, a quanto si legge, in Ungheria è trattato come una Divina Commedia e letto nelle scuole, quindi per chi lo guarda probabilmente saranno concetti già "rimasticati". E quindi restano l'estetica artistica... e una forma di autoreferenzialità, se a produrre e guardare è qualcuno di ampiamente nazionalista che vuole prender riferimenti solo dalla propria tradizione.
      Ecco, sarebbe utile guardare qualcosa di non troppo "proprio" ma non troppo "alieno", indi dal mio punto di vista le opere dell'est Europa sembrano generalmente adatte. :-)

      (devo cercare emoticon migliori)

      Elimina
  5. Il mito di Sisifo a mio avviso è del tutto interpretabile: una persona potrebbe trovarci il senso nell'insensatezza, un'altra persone potrebbe trovare il tutto assurdo; ed entrambe le interpretazioni sarebbero, in un certo senso, corrette a modo loro. Il punto qual è? E' che a mio parere si dovrebbe imparare a "sentire" di più, ad entrare via via sempre più in sintonia con il proprio io. Molti potrebbero illudersi di trovare la tragedia sensata, quando in realtà si stanno solo "anestetizzando". Il mio io trova insensato la "raison d'etre" di Sisifo, così come trova insensato riuscire a raggiungere uno stato di felicità e serenità scendendo a patti con una realtà che non sento mia. Ho visto che hai citato anche Akage no Anne, ma Anne Shirley dopo quanto tempo e dopo quali avvenimenti riesce finalmente a dire la famosa frase: "God's in HIS heaven, all's RIGHT with the world"? Dopo un lungo percorso di accettazione della propria realtà, con conseguente abbandono dell'escapismo. Ma questo abbandono dell'escapismo avviene, non solo per forza mentale ed individuale di Anne, ma anche e soprattutto per le persone che ha attorno e per gli eventi esterni: che la amano, che la supportano. Tutto questo per dire cosa? Che, detta in modo molto metaforico, la pietra la si fa rotolare volentieri se hai affianco qualcuno per cui vale la pena continuare a farla rotolare, altrimenti diviene un atto privo di ogni significato e fine a sé stesso. Questa è, almeno, la mia visione personalissima della vita. La forza d'animo è molto importante, ma non è capace di risolvere tutto.

    RispondiElimina
  6. Seele94: ho visto (poi) il nome del tuo blog ma riempito (peccato, da come scrivi). In realtà la citazione di Browning che poi sarò in Takahata e da lui in Anno è della Montgomery, giustamente. Se '94 è il tuo anno di nascita, ho quasi vent'anni in più di te, e credo sia quindi del tutto naturale che le mie visioni siano ancora più disilluse delle tue - d'altronde pretendere un eccesso di maturità da chi è giovane è pure un'aberrazione. Sono molto d'accordo con la ricerca di un rapporto risolto col proprio io, d'altro canto per me questo passa da quel nichilismo quasi manicheo che mi fa dire che entrambe le tue letture proposte del mito di Sisifo siano esattamente le stessa cosa. Secondo me, insomma, non si tratta di stordirsi a trovare la tragedia sensata, quanto ridursi a scoprire che non cè alcuna tragedia, e che la percezione tragica della realtà è essa stessa narcisistica, egocentrica, infantile, "orale". Ancora sul dualismo che proponi in senso pratico, l'ho sentito molto e lo sento ancora, la chiamavo la ricerca di un'antite dell'angelo crudele (carino, no?), ma la mia risposta è sempre più virata, ancora, verso un forte nichilismo non già compassato, ma di vita nelle cose minuscole e banali. Una cosa sempre più vicina al pensiero espresso da Takahata Isao soprattutto in Ponpoko e Kaguya, visto che siamo sempre nei commenti di un blog sull'animazione! :-)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Attualmente gestisco un piccolo blog su wordpress chiamato lafortezzadiiserlohn (momentaneamente sono un po' fermo con gli scritti), pertanto questo qui l'ho abbandonato a sé stesso. Credo non vi siano moltissimi punti di contatto tra il mio modo di vedere la vita ed il tuo. Tu non vedi nella gesta di Sisifo alcuna tragedia, anzi affermi che sia addirittura narcisistico ergersi su un piedistallo nel tentativo di attribuire a ciò un senso, che evidentemente va ben al di là rispetto ai nostri strumenti logici attraverso i quali interpretiamo la realtà. Io invece credo che utilizzare la ragione non solo non sia superfluo o narcisistico, ma addirittura necessario. Chiedersi il perché delle cose e riuscire, per quanto possibile si intende, a darsi delle risposte più o meno soddisfacenti, è sempre stato il mio modo di vedere la vita. Inoltre credo che il tuo approccio agli eventi sia tutt'altro che nichilistico, forse lo definirei più accondiscendente. E' molto più nichilistico e disfattista un approccio che tende ad affibbiare al mito di Sisifo una connotazione prettamente tragica, piuttosto che ritenerla semplicemente dipendente dalle proprie percezioni.

      Elimina
    2. No so, ma per come la vedo io alla fine ogni forma di vittimismo, ovvero percezione drammatica o tragica delle cose che pure ricadono sotto i nostri senti, è soggettivista indi intrinsecamente narcisista. Il senso che gli umani possono ricercare, vedere, trovare è appunto "umano". Quindi, cercare di ricondurre la realtà delle cose a una sorta di schema percettivo umano (tipicamente meccanicista) mi pare ormai comunque narcisistico. Come se tutte le cose fossero cose umane, cosa che evidentemente non è. Credo che la finzione, indi tutte le metanarrazioni, siano così necessaria all'uomo perché in esse l'autore ha il controllo del tutto, ovvero è il dio che non è in realtà, e tutto può scorrere in un rassicurante meccanicismo dove il narratore è una sorta di Demone di Laplace. Ma in tutta e totale onestà ti scrivo questo ben conscio che alla tua età avevo un pensiero affine a quello che mi pare il tuo di oggi, prima di scoprire che tanti di quelli che credevo miei pilastri (la Ragione, il Libero Arbitrio, l'Autodeterminazione, ecc.) erano in realtà maschere di simulacri grotteschi e totemici. E anch'io credevo che il "nichilismo" fosse quella posizione compiaciuta di cinico pessimista fighetto che in realtà non è nichilismo: è tarda adolescenza. Ma no, il nichilismo vero non è pessimismo, il nichilismo ascetico è più affine a una mesta atarassia, volendo. E il nichilismo assoluto non preclude di determinare dei propri e personali piccoli valori relativi pur non scorgendo alcun valore assoluto nell'essere esso tutto. Ma occorre dare tempo al tempo, e da vecchio che sono posso solo augurati e raccomandarti di avere cura della tua giovinezza. :-)

      Elimina
    3. Ti ringrazio comunque per aver condiviso con me il tuo punto di vista. Vedrò di rammentarmene quando sarò più grande e mi ricorderò di questo giorno, confrontando la mia opinione futura con quella attuale. Attualmente credo comunque che non vi siano pareri giusti o sbagliati nel mio e nel tuo ragionamento; semplicemente si guarda la medesima cosa da due angolazioni differenti. Auguro anche a te di avere cura della tua persona in altrettanto modo :)

      Elimina
  7. Al caro (*lui*), trovo molto interessante persino la filosofia di pensatori d'origine slava (poi spesso trapiantati dalle parti di Parigi), e mi piace il risultato artistico dell'ideale panslavista di Alphonse Mucha, ma sono troppo ignorante per dire di più. Certo nel pensiero di gente come Musil o Cioran trovo quel senso di "così lontano, così vicino" (per fare un volo d'uccello sopra Berlino) che anche io trovo così proficuo. Insomma, l'amore a prima vista sotto il tiglio, no?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Musil con il suo "uomo qualunque" imbevuto di metanarrazioni scientiste e mancato senso della realtà dice cose a noi molto familiari.

      Elimina
  8. L'idiosincrasia tra la metanarrazione del successo (per le donne, leggete "affermazione personale") e quella della "Famiglia Mulino Bianco", la sentivo parecchio sulla mia pelle di adolescente già negli anni '90.

    Ne è venuta fuori una sorta di mediazione ragionata: si lavora e si tiene in piedi una famiglia. Alla sera, ma in generale, si è di uno stanco... Tempo per se stessi non ce n'è, dove con quest'ultimo non intendo un concetto da psicologo americano, ma molto semplicemente leggere un libro o andare a correre, che sono cose che ho sempre fatto.

    Potremmo parlare giorni del perché ci sia stato inculcato che certe cose possono coesistere felicemente e bisogna anche pensare che, spesso, ci si deve spogliare non solo delle metanarrazioni, ma anche delle altrui proiezioni.

    Alla fine, si arranca, ma si tira avanti. Il pensiero che sia null'altro che un passaggio e che la fregatura sia che siamo animali coscienti c'è sempre, è un rumore di fondo, ma le responsabilità familiari e la fatica ti fanno anelare a quell'ora di corsa e non ad altro. E così, giorno dopo giorno, sei sempre più vecchio, ma anche saggio e rinunci a cercare spiegazioni ovunque, sempre perché aneli ancora a poter finalmente leggere quel libro per il quale non hai mai tempo, ma non perché devi fare carriera e conservare il tuo ruolo di potere, ma perché devi stare dietro ad altro.

    La cosa più triste, in tutto ciò, è vedere coppie di amici coetanei nelle quali lei, ultraquarantenne e quindi vicina al climaterio, ha ancora le paturnie perché non pesa e non peserà mai cinquanta chili. Nel frattempo, bisogna trovare una cat-sitter referenziata perché, appena vaccinati, si deve fare quel viaggio nei luoghi de "Il Trono di Spade".

    Bah...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Il trono di spade mi pare la classica metanarrazione di sesso & successo, per di più fantasy per alienare meglio la gente dalla realtà. Questa è la mia impressione a pelle, dato che non l'ho visto né ho voglia di vederlo (avrò visto qualche episodio di sfuggita dato che un mio ex parente lo vedeva).

      Elimina
  9. Caro anonimo delle 19:51, sbagli proprio.
    Io ho un marito e guadagno lo stesso di lui. Ci siamo presi alla pari di "testa" ed è questo il bello. Non conta solo la busta paga, sai? Te lo hanno ancora mai detto, se sei quello che ho letto in altri commenti?
    Io sono vecchia, ma attualmente ci sono strafighe giovani, laureate in materie STEM, che poi hanno capito presto che dovevano entrare in azienda. ;)

    Nella coppia di amici che cito, gradagnano molto bene entrambi e forse è proprio quello il problema. Troppo foraggio per quisquilie ed entrambi possono pascolare beati nelle loro adolescenze prolungate.

    Nemmeno io ho mai visto "Trono di Spade", ma non per partito preso. Proprio non ce la faccio. Non me ne abbiano a male tanti nerd, ma come dissi ai miei compagni di facoltà, a me non piace nemmeno "Guerre Stellari ", sempre stata più da "Roma Città Aperta", per dire, eh! So' gusti.

    RispondiElimina
  10. Nemmeno a me Rossellini è mai piaciuto troppo e all'università non ho avuto amici proprio perché mi piaceva altro. Non esattamente il regista di cui sopra che era un tanto per far capire che mi piacevano altre narrazioni, senza stilare uno sterile elenco che non interesserebbe a nessuno.

    Non so quanti anni tu abbia, ma io abbastanza da non venire dal famigerato 3+2.

    Per mia esperienza, è stato molto più interessante il liceo. Ho avuto modo di conoscere menti veramente brillanti, ma veramente sul serio che se ne fregavano e di media, e di successo.

    Comunque, se proprio proprio, si possono avere carriere brillanti e famiglia, ma sempre per vita vissuta e senza sapere se hai più o meno anni di me o se hai famiglia, in una delle due per forza, anche sei un mago, deficiterai o delegherai, quindi in sostanza deficiterai. Poi va bene uguale, chiaro. La pezza la si mette sempre.

    E per studiare, a me che mi sa che vengo da un decennio differente dal tuo, si studia per il piacere dello studio e non per il "successo" o la "carriera" e attento a non trovarmi come capo, che poi sono cavolacci tuoi. Con le persone come me si scherza poco e si riga dritto: FATTURARE! :)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Io ho studiato cercando di unire passione per la conoscenza a possibilità future di avere un lavoro decente (che ora dopo tanti sforzi ho ottenuto). Però devo dire che la mentalità del successo è prevalente nelle università, che come dicevo nel mio post sulla scienza postmoderna, sono i grandi incubatori e serbatoi di non-idee del nostro beneamato mondo occidentale.

      Elimina
    2. Le ultime tre righe sono specialmente interessanti. Qualcuno disse che "dovendo vivere a vita bassa si trova la gioia nel comprare un paio di jeans". Il che non mi pare un male, anzi. Qualcun altro disse, su un orticello situato nel migliore dei mondi possibili: "dobbiamo coltivare i nostri cavoli".

      Elimina
  11. Hai pienamente ragione, Francesco.
    E lo dico con rammarico.
    Devo leggere il post che dici attentamente. :)

    RispondiElimina
  12. "Troppo foraggio per quisquilie" è un'espressione deliziosa. E molto vera. Il grasso cola sempre, e unge sempre. È dunque lordo, o lardo, in sé. Credo, forse, non so.

    RispondiElimina
  13. No so, credo che il popolo romano antico sia stato ben opulento. D'altro canto la storia, nei suoi corsi e ricorsi e soprattutto nella sua struttura frattale, ci mostra che l'opulenza porta alla crapula, e la crapula alla decadenza, da cui una tendenza a varie forme di autodisciplina insite in pressoché la totalità di regole filosofiche o religiose che dir si voglia, ascetiche individuali o rivelate (diffuse) alle masse. Rifletto. Da molto credo però che frugalità del vivere sia una forma di igiene mentale. o che almeno aiuti. Dignitosa frugalità, non indigenza, si intende.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Dignitosa frugalità come forma di igiene mentale.
      Qualcuno mi pare parlasse pure di "aurea mediocritas".
      Il sostantivo e l'aggettivo hanno poi assunto, nei secoli, una valenza negativa e già questa constatazione fa riflettere.

      Comunque sono d'accordissimo con te, Shito.

      Elimina
  14. Ah, se parliamo di colazioni, pensa io credo e pratico ormai da tanto tanto tempo periodi di digiuno, che ho trovato portarmi grande beneficio al corpo quanto alla psiche. Non dico il "digiuno intermittente" della dietologia trendy su certe rivistacce (anche detto il mima-digiuno), dico digiuno vero. Nella limpidità del vuoto interiore, fisico e mentale, si scopre la ragione di tante tradizioni, dalla quaresima al ramadan, e di tante sincronie tra culture antiche. Credo che la frugalità (quella dignitosa sì, ma vera anche) sia in sé compartecipe di varie forme di astinenza, e in questo sia anche una costante pratica di autodisciplina della psiche sul corpo - ottima purché e finché non diventi compulsiva, naturalmente.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. MI fai venire il mente che ad esempio il divieto di mangiare carne di maiale dei mussulmani nasconde un duplice significato ascetico: non soltanto di rinuncia al cibo, ma altresì di rigetto del sesso, dacché il maiale nel passato remoto dell'umanità era il simbolo della Dea Madre terra, tipo Cibele, presso la quale si consumavano rituali orgiastici.

      Elimina
  15. Il digiuno comincia a chiamarsi tale quando si avvicina a una settimana filata, o per lo meno supera i tre giorni, direi. :-)

    Francesco: il divieto di consumare maiale, nella tradizione musulmana, credo si associ anche (officiosamente) a una certa facilità di rischioso inrancidimento delle carni suine, specie con climi caldi, e (ufficilmente) al rifiuto dell'immagine di onnivora e smodata (vedi Agostino) crapula dello stesso animale. Ovvero, qualsiasi disciplina spirituale, ascetica, o similare vorrebbe l'uomo all'opposto del maiale - archetipo di lordura in ogni senso. Anche i genitori di una certa Chihiro che mangiano voracemente me lo ricordano (prima di essere trasformati), e mi fanno passare ogni appetito allo stesso modo in cui divenni astemio da ragazzino, e da allora sempre lo fui. In effetti anche solo i suoni che io stesso produco mentre mangio (e mi alleno sempre a minimizzarli) basterebbero a non volere mai mangiare. :-(

    RispondiElimina
  16. Per il resto nella mia esperienza personale le persone più ossessionate dalla crescita sono quelle più insicure, che si sentono ancora minorenni per così dire, sempre trattati come tali dalle loro donne.

    E vanno a predicare consigli strambi per maturare. Poi casomai anche la stessa identica persona dopo anni cambia, cresce veramente, e non è più ossessionato da crescita e cose simili.

    L'ho visto alcune volte. E come se quando non ci si sente più minorenni si capisce che nella vita nessuno vuole restare ragazzino, c'è solo chi è sfortunato e non ha trovato l'occasione giusta per farlo.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Penso che crescere significhi non tant smettere di pensare alla crescita ma abbandonare determinate metanarrazioni, che è il senso di tutto questo post.

      Poi dal pdv pratico la crescita è sopratutto una questione di responsabilità. Non per nulla la nostra società ha dimenticato questa parola per strada dal '68.

      Elimina
  17. Comunque sì, *lui* ha ragione e vi invito ad usare dei nickname per evitare confusione. In Commenta come: scegliete un nick, se proprio non avete voglia di creare un account blogspot.

    RispondiElimina
  18. Questo è davvero un bell'articolo, mi è piaciuto molto! Ma non credo che questa accettazione di metanarrazioni sia da individuare così tanto nella modernità, mi viene ad esempio i vari scempi causati dalla dottrina cristiana qui in occidente ad esempio, l'unica modalità cambiata è che non si sa bene dove puntare il dito, per ora ovviamente. Però tu credo che abbia ragione a individuare parte del problema nell'illuminismo francese. Mi viene in mente la storia dei Laputiani nel libro di Swift che cito perché quando l'ho letto mi è rimasto molto impresso. Tuttavia credo che la vera tragedia non stia nella messa in atto di questi meccanismi complessi metanarrativi, visto che son così ingarbugliati che in fondo si può rintracciare la loro messa in scena nella natura umana, piuttosto è la loro disgregazione che porta al compimento di atti nefasti, un po' come la parabola dei vestiti dell'imperatore, che in fondo è lo stesso processo induttivista denunciato per filo e per segno da Karl Popper. Scusa il post lungo, anche se mi ero promesso di farne uno corto ma mi fa piacere parlare di queste cose. Grazie per avermi letto.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ciao, grazie per il commento, lo trovo brillante. Non a caso Gulliver è uno dei miei libri preferiti. Di mio tuttavia in passato sono stato per mesi a lavorare in un'alto centro di ricerca a Parigi, e molte delle mie riflessioni in merito vengono anche dal contatto diretto con quella realtà. Sembrava davvero di essere su Laputa.

      "Ma non credo che questa accettazione di metanarrazioni sia da individuare così tanto nella modernità"

      Quello a cui ti riferisci credo siano le "piccole narrazioni" di Lyotard. Ho voluto usare il suffisso "meta" per riferimermi a cose nate in seno alla postmodernità: nel nostro tempo surrogati di grandi narrazioni non possono esistere: esistono le "pseudo narrazioni disconnesse" delle piccole narrazioni che furono: le metanarrazioni, appunto.

      Ciao! :)

      Elimina
    2. Devo dire di non conoscerle affatto ma mi hanno incuriosito, ne leggerò sicuramente qualcosa in giro!

      Elimina
    3. Dovresti leggere la condizione postmoderna di Lyotard.

      Elimina
    4. Sarà fatto, grazie per il tip.

      Elimina
    5. Continuando il discorso, oggi ho pure trovato una definizione che varrebbe la pena approfondire relativa l'argomento: https://en.wikipedia.org/wiki/Belief_perseverance

      Elimina