Una mia amica dark, una persona molto buona e intelligente, apre una di quelle merde di app di incontri per cercarsi una fidanzata, scrolla un po' di profili e mi dice qualcosa del tipo: "Sembra che ormai la storia dell'avere malattie mentali venga fatta passare come un qualcosa di figo... guarda un po' qua, ci sono ’ste ragazze che si vantano di avere problemi... Anche sui social è così, con tutti ’sti meme che semplificano e sminuiscono le cose. Vorrei proprio vedere se postassi la mia diagnosi firmata dallo psichiatra, vorrei proprio vedere cosa ci troverebbero di figo...". Io allora le rispondo: "L'intrattenimento ormai è la misura di tutte le cose". In questo post vorrei un attimo elencare e ragionare sul significato e sulle implicazioni di questa mia osservazione, che implicitamente ne racchiude un'altra, ossia: "L'(in)esperienza del reale è stata ricondotta all'esperienza dell'intrattenimento". Giocando un po' come con le Matrioske, in ultima istanza si potrebbe dire: "Il principio del piacere, a livello sociale e sistemico (almeno per quanto riguarda l'Occidente), ha offuscato la realtà, a tutti i livelli e istanze". Ma procediamo con ordine.
Apro YouTube e mi guardo un dibattito sull'argomento X: un divulgatore/influencer Y spiega il risultato delle sue analisi a un professore universitario, e, a prescindere da chi abbia ragione o torto, scrollando i commenti, non è raro leggere "wow, l'ha blastato, grande Y", come se uno scambio di dati e opinioni fosse una sorta di battaglia tra gladiatori o una mera partita di pallone. La stessa cosa si può dire dei casi di cronaca e dei dibattiti in generale, in cui più che la razionalità delle argomentazioni delle rispettive parti, vengono valutate le loro capacità di fornire prestazioni in potenza nel corrispettivo contesto di riferimento. Si ha quindi una sorta di fascismo della comunicazione in cui chi grida più forte/diventa più virale sui social può ergersi a detentore della volontà di potenza, e quindi risultare aprioristicamente come il vincitore. Questa cosa va a toccare anche la politica, tant'è che i politici, ossia persone con una certa responsabilità civile, di fatto si atteggiano pure loro a influencer, seguendo l'onda della riduzione della dialettica e dell'informazione a meri fenomeni di intrattenimento.
Queste cose tra l'altro avevo già avuto modo di sperimentarle all'università, in cui mi era stato spiegato molto chiaramente che il proprio lavoro di ricerca andasse presentato in modo accattivante, sensuale, giovanile (sbaglio o questi attributi possono essere ricondotti al fascismo?), tenendo altresì presente la "deficienza" del pubblico: insomma, una sorta di banco di prova per la comunicazione nella società dell'oggidì. Nei tempi della società liquida dell'intrattenimento e delle prestazioni in potenza è infatti del tutto fattibile che qualche influencer possa, grazie al proprio "temuto" seguito social mediatico, risultare avvantaggiato nell'ottenimento di una borsa o di un qualche encomio scientifico, magari passando davanti a persone ben più meritevoli di lui. La grande editoria, d'altro canto, a parte rare eccezioni, già segue questo modello di riferimento per la scelta dei propri autori. Si potrebbe addirittura dire che il linguaggio in generale, la comunicazione umana in generale, abbia ormai pienamente assunto i connotati dell'intrattenimento, e debba per forza di cose passare attraverso di esso per essere davvero rilevante. Questa cosa, inutile dirlo, è un suicidio sia sociale che culturale.
L'influencer, in generale colui che intrattiene, è quindi il modello prediletto da seguire, un Lord of this World, un piccolo dittatore in miniatura, una sorta di faro da seguire sperando di non sparire in una nube di caos informativo in cui la memoria degli attori risulta pressoché inesistente. Basta sparare cazzate a tutto spiano, quelle cazzate diventano virali e il gioco è fatto. Accade ad esempio un fatto di cronaca X? Bene, allora qualche influencer con molto seguito si metterà a sparar cazzate, alcuni altri ci faranno la reaction per massimizzare le visualizzazioni, qualche politico lo corteggerà per accaparrarsi i voti dei suoi follower, qualche casa editrice big gli proporrà una pubblicazione; dopodiché nasceranno i meme, le varie fazioni e sottofazioni di commentatori e lurker e così via, un gran bel divertimento coadiuvato dagli immancabili leoni da tastiera e dai succitati gladiatori/combattenti da salotto. Bla bla bla, gne gne gne e poi, dopo due settimane circa, nessuno si ricorderà più nulla e si passerà al successivo tormentone, il tutto a discrezione di un algoritmo settato a Silicon Valley. Il fascismo della comunicazione ingloba tutto e tutti, come un dio panteista: destra, sinistra, centro, frange estremiste e minoranze di ogni tipo. I modi e i metodi sono sempre gli stessi, così come le piattaforme in cui avviene il macabro teatrino.
Dall'altra faccia della medaglia, quando i concetti di realtà e razionalità vengono sostituiti dalla necessità di intrattenimento, i problemi reali delle persone, come possono essere la salute mentale, la crisi economica, il disagio sociale di una società sempre più malata e atomizzata e così via, passano tutti in secondo piano, diventando pressoché invisibili. L'intervento dello Stato, d'altro canto, in tutto ciò non può avere alcuna reale efficacia, in quanto i politici, come dicevo, per motivi elettorali e di convenienza personale non possono mettersi per davvero di traverso al sistema, sempre se non hanno la lingua incollata al culo di qualche lobby o potentato estero. E le persone come la mia amica dark, per di più confinata in povertà a respirare i fumi nocivi dell'ILVA di Taranto (poco più di vent'anni e ha già problemi a livello polmonare), di fatto, oltre che umiliate dalla stupidità altrui, rimangono invisibili agli occhi di tutti, sia della società (che di fatto è come se non esistesse) che della politica. Al fascismo non piacciono i deboli; se poi il fascismo in questione è un'oscura tecnocrazia che, preferendo il virtuale al reale, punta a distruggere sempre più foreste per costruire inquietanti, monolitici data center portatori di inquinamento e disastri ambientali, allora direi che sì, siamo proprio alla frutta. Si potrebbe dire che Idiocracy (2006), da film parodistico che era, si è fatto addirittura documentario.
Per concludere, direi proprio che le conseguenze di questo delirio che, un po' per abitudine e un po' per apatia, abbiamo ormai imparato ad accettare, non sono soltanto sociali, ma anche spirituali: più le masse vengono instupidite da questo "fascismo della comunicazione" di cui ho parlato, più saranno incapaci di aiutare chi è in difficoltà, di fare qualcosa di socialmente utile e così via. Perché se viene fatto passare che qualsiasi cosa debba per forza intrattenere, anche le cose più dure e dolorose, allora è impossibile definire il concetto stesso di realtà (nonché di "umanità"). Abbiamo quindi la pornografia del dolore, in cui la gente si sollazza con le disgrazie altrui; coppie che non riescono a scopare senza mettere i loro video su internet; gli ultimi e i sofferenti che vengono umiliati dai cazzoni di TikTok; la Casa Bianca che posta una foto di Trump in vesti papali su X, così tanto per, giusto per divertirsi. E mentre tutto va a ramengo i pochi furbi della situazione, senza alcuno scrupolo, sfruttano questo sistema per fare i propri interessi, divorando tutte le risorse sia del pianeta che della loro stessa, quanto mai sventurata, specie animale: un manipolo di scimmie dotate (sempre meno) di coscienza.
Analisi che condivido in pieno.
RispondiEliminaComunque ci sarà un risveglio molto pesante per tutto l'occidente man mano che gruppi sociali assai più pratici e settari (immigrati da paesi poveri, proprio per questo abituati a dare la giusta importanza più alle cose concrete che agli show verbali) diventeranno la nuova ossatura della società. E gli occidentali si accorgeranno - troppo tardi - di essere stati per decenni solo dei poveri idioti (ormai inetti sia a gestire che a produrre) che hanno perso la capacità di capire la realtà materiale del mondo perché hanno preferito interessarsi al nulla cosmico.
In realtà penso che i mussulmani, ad esempio, siano già l'ossatura della nostra società, anche se ci divertiamo a disprezzarli e trucidarli.
EliminaConcordo con l'argomentazione.
RispondiEliminaSulla questione specifica della malattia mentale, credo che utilizzare certe definizioni abbia prima di tutto un fine di auto-accettazione, e in alcuni casi ciò potrebbe essere utile a focalizzare meglio le proprie tendenze e problemi; naturalmente si rischia di scivolare anche nell'autogiustificazione passiva. Poi allo stesso tempo queste definizioni si possono proiettare all'esterno per "validazione" e in pratica anche per intrattenimento altrui, come nota il post.
Aggiungo che, a quanto ne capisco e parzialmente per esperienza, il meme mi pare una sorta di strato di protezione in cui si fondono vari livelli di ironia e di sarcasmo, che in parte evidenziano la realtà e in parte la dissimulano. Quando si utilizza questa modalità comunicativa, una domanda del tipo "ma fai sul serio o no?" diventa alquanto sgarbata e "ridicola", nel senso (antropologico) che rivela chi la pone come persona estranea al contesto sociale in cui si trova; e se poi si prova a rispondere, appunto, non si esce dal gioco di realtà e dissimulazione. Affascinante, per quanto sia un ostacolo insormontabile. :)
Concordo che una diagnosi firmata è proprio qualcosa di concettualmente diverso da un meme e la prima può sembrare svilita dal secondo: ma secondo me questa è solo un'impressione non intenzionale, per quanto sgradevole, dovuta al fatto che si parlano "lingue diverse". Alla fine è una questione di provare a intendersi e rispettarsi.