Questo "dossier" nasce per raccogliere le mie considerazioni personali inerenti alcuni tra i più noti libri su anime, manga e otaku in circolazione (i tomi sulla cultura giapponese più generale e non necessariamente vincolata a questi tre argomenti non verranno commentati, ma solamente citati nelle bibliografie di eventuali miei dossier/approfondimenti su determinati aspetti del Giappone e della postmodernità; oppure in una possibile nuova sezione del blog dedicata esclusivamente alla letteratura, giacché la mole d'informazioni e titoli da trattare in questo caso è molto alta, e riportare tutto in questa sede risulterebbe oltremodo prolisso). Ciò premesso, i lettori sono invitati a commentare e a proporre a loro volta eventuali titoli da me ignorati nello scritto, in modo tale da accrescere la completezza di questa sorta di “punto di ritrovo” - sempre soggetto ad aggiornamenti - in cui i fan più assetati di sapere possono scegliere che libri acquistare per acquisire una maggiore consapevolezza degli argomenti trattati nel blog e della letteratura esistente su di essi, che non sempre è brillante e meritevole – come tutte le cose, d'altronde. Inutile dire che la maggiorparte degli studiosi e accademici interessati ad anime, manga e otaku sia perlopiù straniera - molto probabilmente a causa della nostra equazione cartoni=bambini, un pregiudizio che soltanto recentemente sembra stia svanendo dagli ambienti culturali che contano, e al parallelo, deteriore culto dell'infanzia in voga nell'italico stivale, secondo il quale «gli unici anime che contano veramente sono quelli che vedevamo da bambini», un leit motiv abbastanza ricorrente anche nella letteratura a tema -, pertanto la conoscenza dell'inglese è obbligatoria per approcciarsi ad alcuni testi da me ritenuti fondamentali. Alla luce di ciò, tutti i libri da me citati con il titolo in inglese sono disponibili esclusivamente in inglese, mentre quelli con il titolo italiano in italiano. Dato che non conosco il giapponese (ma cercherò di provvedere a questa carenza in futuro, tempo permettendo), purtroppo in questa sede i libri scritti nella suddetta lingua verranno ignorati. Ringrazio inoltre Jacopo Mistè (autore del ben noto blog Anime Asteroid) per avermi fornito i suoi pareri inerenti tre libri da me non letti.
Quasi-capolavoro (anche a detta di alcuni addetti ai lavori) nel suo genere, scritto da un iper-competente traduttore e collaboratore di nientepopodimenoche Production I.G. (la casa di produzione di “Ghost in the Shell", tanto per intenderci), questo saggio - ormai introvabile - è una ricca fonte di retroscena, sia inerenti gli anime che la società giapponese - memorabile il capitolo finale del libro, tutto dedicato all'Aum Shinrikyo. “Anime al Cinema” fornisce al lettore un quadro generale sulla storia del media, che viene trattato con perizia sin dai suoi albori, mediante uno stile di scrittura pressoché giornalistico. Il tomo è una lettura molto avvincente - con illustrazioni tutte a colori -, nella quale le opere vengono contestualizzate da un autore che ha vissuto direttamente in Giappone e che – sopratutto - conosce il mondo dell'animazione direttamente, dall'interno. Prandoni nel suo libro non esita a descrivere – sebbene in modo alquanto essenziale - gli aspetti più negativi dell'otakuzoku, della società giapponese e del mondo dell'animazione, risultando a tratti molto tagliente e incisivo – proprio come piace al sottoscritto. La qualità oggettiva del libro è testimoniata dal fatto che sia il più citato in assoluto dagli altri scrittori e critici del media, assieme al “Generazione Otaku” di Hiroki Azuma, altra lettura fondamentale. Peccato tuttavia che l'opera si fermi soltanto al 1995: in essa non vengono trattati né “Evangelion” né la Nuova Animazione Seriale introdotta da quest'ultimo - indubbiamente, al giorno d'oggi, una lacuna del genere non è da trascurare. Il lettore tuttavia non si deve scoraggiare: se segue il mio blog può tranquillamente fare a meno di acquistare il libro (cosa pressoché impossibile, colpi di fortuna su ebay a parte), in quanto spesso lo uso come punto di partenza per effettuare analisi ben più dettagliate ed esaustive, e ne riporto i retroscena nelle mie recensioni (come fanno molti altri, sia scrivendo i loro libri che gestendo i loro siti o blog a tema).
Il saggio di Saburo Murakami (pseudonimo), anch'esso redatto da un "addetto ai lavori", può essere considerato come una sorta di complemento del bel "Anime al Cinema" prandoniano. Soprassedendo sulla scelta – molto probabilmente imposta dalla casa editrice - dell'autore di riportare i nomi storpiati in fase di adattamento degli anime trasmessi in Italia (pertanto “Grendizer” diventa “Goldrake”, “Corazzata Spaziale Yamato” “Star Blazers” e così via) e sull'incompletezza intrinseca del testo (il quale, allo stesso modo del libro di Prandoni, è stato pubblicato molti anni fa), che si conclude citando “Evangelion” e “La Rivoluzione di Utena”, siamo di fronte ad un libro molto grazioso, tutto a colori e dotato di una certa dose di retroscena, mutuati dalle numerose riviste “Newtype” e “Animage” lette dall'autore, nonché da alcuni libri sugli anime scritti da giapponesi per altri giapponesi. Non mancano inoltre dei retroscena socio-culturali utili alla contestualizzazione, che vengono approfonditi – ma mai abbastanza - o trascurati a seconda della soggettività dell'autore, che essendo giapponese conosce nei dettagli determinati avvenimenti e fenomeni sociali avvenuti nel suo paese – e proprio per questo motivo a parer mio avrebbe potuto rendere il suo libro più corposo e completo.
Generazione Otaku, di Hiroki Azuma
Il capolavoro del
filosofo Hiroki Azuma è molto di più che un semplice libro sugli
otaku, ma un'analisi molto profonda della postmodernità nella quale
la subcultura otaku – che l'autore conosce dall'interno, essendo
stato lui stesso un otaku - viene utilizzata come campione di studio
al fine di trarre delle conclusioni molto generali sul modo
in cui viviamo (le quali
potranno essere coadiuvate dal seminale “La condizione postmoderna”
di Jean-François Lyotard e dall'opera di Kojève, nonché,
rimanendo in tema otaku, dagli scritti di Ejisonta, Takashi Murakami
e Karl Taro Greenfield).
Nel libro viene trattata prevalentemente la terza
generazione dell'otakuzoku, composta dagli otaku nati all'inizio
degli anni ottanta – e che pertanto avevano visto “Evangelion”
da adolescenti. Alla luce di ciò viene dato grande spazio
all'analisi del moe e degli elementi moe di anime e
romanzi gioco, e viene fatto notare il passaggio di consegne da
grandi-narrazioni (il franchise legato a “Gundam” e “Corazzata Spaziale Yamato”, prodotti consumati dagli otaku di prima
generazione, nati negli anni sessanta) a grandi non-narrazioni (il
franchise legato a “Evangelion”, al moe e alle visual
novel). Grande enfasi viene data all'analisi della fenomenologia
dell'animalizzazione postmoderna, alla pornografia e alla sessualità
otaku, sulle quali vengono fatte delle considerazioni molto brillanti
e largamente riconosciute dal mondo accademico (basta pensare
all'immane mole di scritti in cui viene citata l'opera di Azuma).
Modelli ad archivi di dati, database di elementi
moe, la postmodernità giapponese – e pertanto la subcultura
otaku – come "addomesticazione" dell'americanismo... per le sue
argomentazioni impeccabili e la sua spiccata intelligenza espositiva,
“Generazione Otaku” è un libro da leggere e rileggere, al fine
di accrescere la propria consapevolezza e comprensione della
condizione postmoderna. Infatti il libro parte da un approccio
particolare per poi tracciare, nelle sue conclusioni, un quadro
filosofico generale sull'essenza dell'uomo postmoderno e sulla sua
progressiva perdita di umanità. Come fa notare la presentazione del
libro, «l'autore, attraverso approfondite riflessioni filosofiche
mai disgiunte dall'analisi attenta del mondo otaku e dei prodotti
culturali e merceologici che lo contraddistinguono, si pone la
fatidica domanda “che ne è, nel mondo postmoderno, dell'umanità
degli esseri umani?”»
Libro introvabile e costosissimo (il prezzo oscilla dai 50 ai 200 dollari), quello di Murakami è uno dei saggi più completi sulla cultura otaku, che viene analizzata sin dalle sue origini più remote (le SF Convention di Osaka degli anni sessanta, il rapporto cruciale dell'otaku con la figura materna - rimasta a casa ad accudirlo e viziarlo per compensare l'assenza del marito salaryman completamente dedito al lavoro -, la cultura del kawaii e la sua correlazione al folklore e alle camere private per le ragazze istituite nel Giappone degli anni settanta ecc.).
L'opera essenzialmente si tratta di un sontuoso
artbook inerente una mostra artistica incentrata sull'estetica –
e ideologia – superflat coniata
dallo stesso Murakami, le cui opere attingono dalla postmodernità
tutta, in particolare dall'immaginario appartenente alla subcultura
otaku. Ideale complemento al “Generazione Otaku” di Azuma, questo
capolavoro dal grande fascino, scritto sia in inglese che in
giapponese, pone le sue fondamenta nell'esplosione della bomba
atomica, il “Little Boy” che gli dà il titolo, e mette in
relazione tale evento con i feticci dei nerd giapponesi, da
“Godzilla” a “Ultraman” sino al moe –
che viene affrontato in un interessante capitolo in cui compare il
ben noto Toshio Okada, otaku tout
court e co-fondatore della GAINAX. Grande spazio viene dato
all'otakuzoku di prima generazione e al suo contesto: vengono quindi
analizzate l'Expo di Osaka '70 e l'Aum Shinrikyo, nonché il loro
rapporto con la società giapponese e la subcultura otaku.
“Corazzata Spaziale Yamato”, “Evangelion”,
“Gundam” - ma anche opere meno note ai più - vengono inserite in
un vero e proprio gioiello di contestualizzazione, che fornisce una
panoramica da brividi sulla cultura giapponese postmoderna, sul suo
rapporto con l'americanismo e sulla sua essenza spiccatamente
superflat, concetto ricorrente nell'intero libro, che è stato
volutamente impostato dal suo autore come un'opera d'arte a sé
stante, caratterizzata da un suggestivo citazionismo – si passa
dall'arte pittorica di nicchia a ”Ultraman” e a “Saikano”
senza alcuna discontinuità, in un percorso totalizzante che
personalmente mi ha affascinato non poco (infatti sono orgoglioso di
possedere questo tomo, che non per nulla viene utilizzato come
materiale di studio universitario).
Il libro possiede retroscena e analisi sociologiche
che la maggiorparte del fandom occidentale ignora completamente –
Takashi Murakami, fortunatamente, è un giapponese, e pertanto
conosce benissimo il suo paese e la sua cultura. L'arricchimento
interiore che questo libro fornisce al lettore non è da poco, e in
particolare analizzare la subcultura otaku come “movimento
apocalittico” ha senz'altro il suo fascino: in nessun altro libro,
ad esempio, avevo letto del rapporto tra moe, kawaii e militarismo,
con una spiegazione sociologica pertinente su tale accostamento. Gli
spunti di riflessione che ne derivano sono innumerevoli, sopratutto
per chi ha una soddisfacente visione d'insieme di anime, manga e
cultura nipponica. In conclusione, coloro i quali seguono il mio blog
sono immuni alle barriere imposte dalla rarità e dal prezzo del
libro: spesso, allo stesso modo di quello di Prandoni, lo utilizzo
come fonte d'ispirazione e di retroscena, nonché come punto di
partenza per eventuali approfondimenti a tema.
In questo libro molto godibile, Yasuhiro Takeda, uno dei membri fondatori della GAINAX, racconta in prima persona la storia del suo fortunato studio d'animazione - creato da otaku per altri otaku - nonché del suo operato nel “General Products”, seminale negozio di Model Kit fondato dal "Re degli otaku" Toshio Okada. Si parla del primo incontro dell'autore con Hideaki Anno, Hiroyuki Yamaga, Takami Akai e co., nonché della sua divertente vita universitaria dedita al cazzeggio più spinto, alimentata dalle SF Convention di Osaka e dalla produzione dello storico “Daicon III” - e altro ancora. Il libro copre l'arco temporale presente dagli anni sessanta agli anni novanta, e si focalizza più che altro sulle origini dello studio; in esso sono inoltre presenti interessanti retroscena sulle opere GAINAX del suddetto periodo, come ad esempio il fatto che durante la lavorazione di “Daicon III” Okada aveva espressamente richiesto di far apparire in esso una vagina al posto dell'Ideon Gauge (proposta ovviamente respinta dal resto dello staff), oppure che “Evangelion” era stato originariamente pensato come un sequel di “Honneamise no Tsubasa” (!). Come è lecito aspettarsi da degli otaku di prima generazione, nelle prime pagine del libro guardacaso si parla dell'Expo di Osaka '70 e della sua carica ideologica; detto questo, Takeda espone il modo di essere della sua “tribù” senza evidenziarne gli aspetti negativi, ma prendendo il tutto con leggerezza e passione. Sembra quasi di leggere il racconto di un ragazzino fiero di andare in motocicletta, che ha fatto di questa cosa il suo lavoro senza tuttavia mai prendersi troppo sul serio.
Questa lettura a mio
avviso va coadiuvata dalla scoppiettante e divertente serie
televisiva live-action “Aoi Honoo”, che racconta le epiche
vicende universitarie di alcuni dei membri fondatori della futura
GAINAX.
Opera folgorante e intelligente, quella di Bouissou - ricecatore, accademico ed esperto di storia e cultura giapponesi – si tratta di uno dei libri più utili per approcciarsi alla contestualizzazione del medium fumettistico giapponese. Partendo dalle antiche e-maki e tracciando un percorso storico in cui la storia del manga e il suo background socio-culturale – nonché politico - coesistono in modo naturale, senza alcuna forzatura ed imprecisione di sorta, Bouissou, con il suo stile di scrittura avvincente, ironico e tagliente – molto “prandoniano” a mio avviso -, fornisce al lettore un contesto sul quale porre le basi per la comprensione – una sezione del libro s'intitola proprio comprendere il manga – del media di cui si sta parlando, grazie altresì all'ausilio della psicoanalisi (nel libro vengono citati Freud e Jung, e guardacaso, cosa che mi ha abbastanza commosso – i miei lettori più assidui capiranno il perché -, viene dedicata un'intera pagina al concetto di ombra junghiana e al suo rapporto con i contenuti delle opere creative giapponesi). Giusto per rendere l'idea dell'intelligenza e della conoscenza di Bouissou, quando nel libro si parla del manga di “Nana” viene fatto notare che la disposizione delle vignette di una determinata scena ad alto impatto emozionale ricalca un kanji il quale, in modo completamente opposto alla concezione fumettistica occidentale - statica e basata sullo scorrere unidirezionale del tempo -, comunica l'emozione che l'autrice vuole trasmettere al lettore in modo totalizzante, secondo una linea di pensiero conforme alla filosofia orientale. Nell'opera viene inoltre citato Hiroki Azuma, e il suo pensiero viene utilizzato per imbastire alcune brevi riflessioni sulla postmodernità. La relazione tra il sesso, la società giapponese e il manga viene affrontata in modo diretto, senza ipocrisia; inoltre, il libro è pieno di illustrazioni, foto di tavole e di antiche riviste originali giapponesi, cosa che contribuisce ulteriormente a rendere la lettura un vero piacere.
Anime from Akira to Howl's Moving Castle:
Experiencing Contemporary Japanese Animation, di Susan Napier
Susan Napier,
professoressa di cultura e letteratura giapponese all'Università del
Texas, nonché visiting
professor ad Harvard, è
una delle studiose di anime più note a livello mondiale, e i suoi
lavori sono citati in ogni dove da critici, studiosi e ricercatori.
Il suo libro più famoso, “Anime
from Akira to Howl’s Moving Castle: Experiencing Japanese
Animation”, è
stato una fonte d'ispirazione per molti, me compreso, dacché
l'autrice in esso dimostra una solida competenza antropologica,
cinematografica, psicoanalitica e culturale, che viene applicata
all'animazione con indubbia capacità critica, sebbene talvolta
alcuni passaggi analitici si rivelino leggermente stridenti e forzati
– per chi scrive, i giapponesi rimangono i più adatti a parlare
del Giappone e dei suoi prodotti, dacché le barriere culturali che
separano l'oriente dall'occidente sono molto difficili da superare,
anche per gli accademici più prestigiosi.
In questo
bellissimo libro sono trattati molti film e serie televisive, inclusi
cult quali “La Rivoluzione di Utena”, “Haibane Renmei” e
“serial experiments lain”, che vengono messi in relazione tra
loro in base a precisi risvolti culturali, psicologici, antropologici
e folkloristici – allo stesso modo di opere più mainstream quali
“Ranma 1/2”, “Bubblegum Crisis”, “Wicked City”, gli OAV
pornografici ottantini e novantini ecc. Chi si aspetta della Napier
dei retroscena sulle opere e i loro autori verrà deluso: ella ha un
approccio da studiosa tout court
e non da fan, pertanto guarda l'animazione con gli occhi di chi
conosce a menadito la cultura che l'ha prodotta, fornendo del
materiale speculativo su di essa in modo tale da fare la gioia di chi
è interessato al perché e
non
al come.
Particolarmente brillante tutta la riflessione
sul corpo che
l'autrice sviluppa nel corso dell'opera, citando altri eminenti
critici e studiosi americani; tuttavia, come è comune alla
maggiorparte degli accademici e critici yankee, la Napier si sofferma
prevalentemente su “Akira”, “Ghost in the Shell”,
“Evangelion” e i film di Miyazaki, che di fatto sono gli anime
più popolari nel suo paese, tralasciando molte opere meritevoli che
avrebbero permesso un'analisi più completa e approfondita. Il prezzo
del libro si aggira attorno ai 22 dollari, e ovviamente è reperibile
soltanto mediante l'importazione dall'estero.
Culture
del Giappone contemporaneo. Manga, anime, videogiochi, arti visive,
cinema, letteratura, teatro, architettura, a cura di Matteo Casari e
con interventi di Giorgio Amitrano, Ariane Beldi, Jean-Marie
Bouissou, Matteo Casari, Gianluca Coci, Bernd Dolle-Weinkauff,
Fabriano Fabbri, Marcello Ghilardi, Toshio Miyake, Maria Roberta
Novielli, Marco Pellitteri, Gaetano Ruvolo, Sagiyama Ikuko, Leone
Spita, Laura Testaverde
Questo libro
è la risultante di un insieme di conferenze sul rapporto tra la
tradizione giapponese e la postmodernità, riunite sotto il
significativo appellativo di Wabi-Sabi Cyber.
Alla luce di ciò, i capitoli introduttivi del tomo sono incentrati
sull'analisi di alcuni aspetti culturali della cultura giapponese
antica (wabi-sabi,
Teatro No,
Genji Monogatari ecc.),
mentre in quelli intermedi/finali si passa al superflat
di Takashi Murakami e alla sua analisi sulla “mostruosità” dei
giapponesi, nonché ad anime, manga, videogiochi, Cool
Japan, Soft-Power,
non-luoghi architettonici, letteratura postmoderna (in particolare
quella di Takashi Gen'ichiro) e così via. Per ovvi motivi gli anime
trattati sono quelli incentrati sui cyborg e sul rapporto
uomo-macchina, tematiche molto care a questa serie di conferenze,
basate su delle riflessioni tuttavia già trattate in modo molto più
esaustivo da Murakami e Greenfield nei loro libri. Abbastanza fuori
luogo l'intervento dell'ottimo Bouissou, che tratta il mercato del
manga in Europa in un libro polarizzato verso ben altre riflessioni.
Ciò detto, nonostante sia stato curato da un professore
universitario, il qui presente “Culture del Giappone
Contemporaneo”, data la sua intrinseca natura di collage
composto da articoli diversi scritti da persone diverse, si rivela
nel suo complesso abbastanza approssimativo: una lettura consigliata
ai neofiti, in cui tuttavia non mancano degli spunti di
approfondimento rivolti ai lettori più esperti e navigati.
The Anime Encyclopedia: A Guide to Japanese
Animation Since 1917 is a 2001, di Jonathan Clements e Helen McCarthy
Più che a un'enciclopedia, siamo di fronte ad un grande, pesantissimo dizionario sull'animazione, in cui gli autori si dilungano al 90% sulla trama di ogni singolo anime, per poi inserire alla fine di ogni riassunto una frasetta finale per indicare qualche eventuale (di solito, inesistente) curiosità. Pertanto, considerato il costo esorbitante – siamo intorno ai 74 dollari – e la generale inutilità di questo noiosissimo tomo, ne sconsiglio con tutto il cuore l'acquisto. [Parere di Jacopo Mistè]
Anime Interviews: The First Five Years of
Animerica, Anime & Manga Monthly (1992-97), di Trish Ledoux
Questo utilissimo tomo raccoglie un sacco di
interviste lunghe e articolate a un sacco di registi anime e mangaka,
contenenti dei retroscena molto interessanti (tipo come sono nati
“Macross Plus” e “Macross 7”, cosa ne pensa Tomino del Gundam
Universe etc.). Ovviamente
però bisogna tener presente che le interviste riguardano i lavori
degli artisti fino al 1997.
Gli autori intervistati sono Yoshiyuki Tomino, Rumiko Takahashi, Hayao Miyazaki, Masamune Shirow, Ryoichi Ikegami, Yukito Kishiro, Takaya Yoshiki, Kosuke Fujishima, Yasuhiro Imagawa, Hiroki Hayashi, Haruka Takachiho, Hiroyuki Kitazume, Shoji Kawamori, Kei Kusunoki, Buichi Terasawa, Mamoru Oshii, Gisaburo Sugii, Leiji Matsumoto, Ryousuke Takahashi e Nanase Okawa.
Oltre a questa utilissima fonte d'informazioni – ormai reperibile soltanto più su ebay in seguito a qualche colpo di fortuna - è uscito "The Best of Animerica Anime & Manga Monthly: The Year's Best Articles 2003 Edition", un mini-volume che contiene, a detta dei redattori, una selezione degli articoli più interessanti della rivista Animerica di quell'anno, ma a parte un'intervista inedita a Tomino su “Turn A Gundam”, il resto consiste in delle analisi sui soliti anime mainstream americani (“Escaflowne”, “Evangelion”, forse “serial experiments lain” e “Cowboy Bebop”). [Parere di Jacopo Mistè]
Guida ai Super e Real Robot, di Jacopo Mistè
La recensione, per non intasare ulteriormente questo post, è stata pubblicata qui.
Gli autori intervistati sono Yoshiyuki Tomino, Rumiko Takahashi, Hayao Miyazaki, Masamune Shirow, Ryoichi Ikegami, Yukito Kishiro, Takaya Yoshiki, Kosuke Fujishima, Yasuhiro Imagawa, Hiroki Hayashi, Haruka Takachiho, Hiroyuki Kitazume, Shoji Kawamori, Kei Kusunoki, Buichi Terasawa, Mamoru Oshii, Gisaburo Sugii, Leiji Matsumoto, Ryousuke Takahashi e Nanase Okawa.
Oltre a questa utilissima fonte d'informazioni – ormai reperibile soltanto più su ebay in seguito a qualche colpo di fortuna - è uscito "The Best of Animerica Anime & Manga Monthly: The Year's Best Articles 2003 Edition", un mini-volume che contiene, a detta dei redattori, una selezione degli articoli più interessanti della rivista Animerica di quell'anno, ma a parte un'intervista inedita a Tomino su “Turn A Gundam”, il resto consiste in delle analisi sui soliti anime mainstream americani (“Escaflowne”, “Evangelion”, forse “serial experiments lain” e “Cowboy Bebop”). [Parere di Jacopo Mistè]
Guida ai Super e Real Robot, di Jacopo Mistè
La recensione, per non intasare ulteriormente questo post, è stata pubblicata qui.
Yoshiyuki Tomino & Gundam, di Jacopo Mistè
La presentazione la trovate qui.
Super Robot Files 1963-1978. L'età d'oro dei robot giapponesi nella storia degli anime e del collezionismo, di Fabrizio Modina
Il libro consiste in una semplice lista di sinossi. A ogni serie è dedicata un'intera, corposa sintesi dell'intera trama, dall'inizio alla fine, che si dilunga per tre/quattro pagine. A seguire, qualche striminzitissima analisi, qualche piccola curiosità qua e là (ma roba inutile, tipo quali altri remake animati sono usciti nel tempo) e pochissimo altro e giusto per fare testo. Insomma, da un'opera simile e con i suoi intenti ci si aspetterebbe enormemente di più. Più che ai collezionisti (a cui non penso freghi molto sbavare sui modellini robotici di un "rivale", modellini che già sicuramente conoscono benissimo), direi che è rivolto a un pubblico estremamente occasionale, il tipico pubblico mainstream che va ai musei per dirsi: «apperò quanti giocattoli di robot hanno tratto da questa serie!». Il vero scopo del libro a parer mio è soltanto quello di dare visibilità alla collezione privata del Modina (mentre lo scopo fasullo ma dichiarato è di essere un saggio sul genere robotico che analizzi ogni singola serie). [Parere di Jacopo Mistè]
Storia dell'animazione giapponese, di Guido
Tavassi
Saggio (dichiaratamente) molto ambizioso – e costoso, 24 euro -, attorno al quale c'è stato un certo proliferare di recensioni favorevoli e pareri entusiastici, per chi scrive si tratta invece di un lavoro in larga misura trascurabile: sebbene si parli di un ottimo archivio di artisti e opere, sembra quasi che l'autore, nonostante le sue altisonanti ambizioni, non riesca ad andare oltre alla mera prospettiva del fan, rinunciando a fornire la sua opera di un solido bagaglio antropologico e sociologico in grado di dare adito a riflessioni degne di nota. Sebbene Tavassi dia molto spazio all'industria dell'animazione giapponese – nonché ai vari ruoli degli addetti ai lavori – e alle congiunture economiche di ogni periodo della storia del media (cose abbastanza utili a parer mio), gli manca una conoscenza solida della cultura giapponese, delle tradizioni, dell'estetica, della postmodernità e così via, carenza che gli impedisce di andare oltre ad un prolisso elenco di artisti e opere coadiuvato da qualche accenno di trama, dei retroscena un po' miserelli e delle considerazioni alquanto soggettive. Durante la lettura, ho spesso avuto la sensazione di trovarmi di fronte a delle informazioni e descrizioni di “seconda mano”, ovvero non soggette all'esperienza diretta di chi le ha scritte: giusto per rendere l'idea, vengono citati capolavori assoluti fondamentali nella storia dell'animazione come “Legend of the Galactic Heroes”, “Armored Trooper VOTOMS” e “Dougram”, ma l'autore su di essi non scrive un rigo di approfondimento, in quanto molto probabilmente non li ha neanche visionati o forse, ancora peggio, non ha compreso la loro importanza nei rispettivi generi di riferimento. Ciò premesso, viene citato “Z Gundam” ma viene ignorato il “Layzner” di Ryosuke Takahashi; viene dato tanto spazio a Miyazaki ma viene detto poco o nulla su molti altri autori meritevoli, sui quali bisognerebbe scrivere dei libri a parte per comprenderne appieno la poetica (uno su tutti: Gisaburo Sugii); si parla di “Gasaraki” e “Flag” senza ricordare che sono discendenti diretti dei già citati “Armored Trooper VOTOMS” e “Dougram”, dello stesso regista; viene lodato “Shingetsutan Tsukihime” senza che venga fatto presente l'ignobile meme gli gravita attorno sin dall'uscita, indice della sua scarsa qualità oggettiva e della sua infedeltà nei confronti della leggendaria, omonima novel – e altro ancora. E' presente inoltre un luogo comune a tutti i libri di storia dell'animazione da me letti che trattano il dopo-Eva: in questi testi, il “Brain Powerd” di Tomino viene fatto passare come una sorta di “figlio” di “Evangelion”, quando in realtà era già stato concepito dall'autore nel lontano 1983 - sebbene sotto forma di film cinematografico.
Molto utile, forse il lato migliore del libro, il
dossier sull'animazione indipendente: sebbene esso soffra degli
stessi schematismi quasi “a elenco puntato” degli altri capitoli,
si rivela una risorsa da consultare per conoscere qualche titolo di
nicchia ignoto ai più.
In definitiva, siamo di fronte ad una sorta di
“Pagine Gialle” dell'animazione giapponese, un enorme archivio
molto pretenzioso che sembra essere rimasto nel limbo, partito con
grandi aspirazioni di completezza e terminato come uno sterile elenco
di nomi, un archivio di dati nel quale senz'altro, tuttavia, si può
pescare qualche titolo sconosciuto basandosi sugli innumerevoli
accenni di trama in esso presenti – che tra l'altro vengono tirati
fuori anche nell'esposizione di opere postmoderne e simboliche come
“La Rivoluzione di Utena” e “serial experiments lain”, che di
fatto sono grandi non-narrazioni e pertanto, paradossalmente, in esse
la “narrazione” non conta nulla, in quanto le priorità sono ben
altre, come è ben noto a tutti gli studiosi di cinema. Anche sotto
questo aspetto, si nota la visione strettamente da fan
dell'autore, che indubbiamente, nonostante la sua ammirabilissima
passione, mostra tutti i limiti del mero “approccio del fan” fine
a sé stesso. Ciò detto, passiamo agli errori presenti nel libro:
Pag 99: Secondo Tavassi, l'anime di "Dororo" riscosse un «notevole successo», mentre nei fatti, Francesco Prandoni e lo stesso Tezuka (vedasi postfazione dell'omonimo manga) parlano di «serie sfortunata» e «chiusa per bassi ascolti».
Pag 134: l'autore, senza allegare alcuna fonte,
asserisce che “Ideon” aveva goduto di scarso successo a causa
della sua narrazione farraginosa: in realtà la maggiorparte dei
robotici del periodo erano molto più schematici di “Ideon”, in
quanto rivolti ad un pubblico infantile, e l'insuccesso dell'anime
presso tale target di spettatori – ricordando sempre che tra gli
otaku dell'epoca “Ideon” diventò istantaneamente un cult,
nonostante il basso share – fu più che altro dovuto ai continui
cambiamenti dell'orario di trasmissione dell'opera, a causa dei contenuti ritenuti troppo
adulti (fonte: recensione di Anime Asteroid coadiuvata dalla consulenza di Garion-Oh). Ovviamente nel libro non
viene fatta notare l'importanza di “Ideon” nel contesto della
storia dell'animazione giapponese e la sua oggettiva influenza sulle
opere successive dello stesso genere – e non solo.
Pag 145: viene detto che “Gundam” e “Corazzata Spaziale Yamato” avevano goduto di ascolti molto alti, senza far
presente che nella prima messa in onda erano stati dei flop,
sopratutto il secondo, che era stato trasmesso assieme a “Heidi”
con risultati alquanto fallimentari (6% di share). Questo errore è
comune a molti libri, che non pongono la dovuta enfasi sulla prima
messa in onda di “Corazzata Spaziale Yamato” e sull'evento
cinematografico del 1981- l'unico vero grande successo epocale che
consacrò “Gundam” alla storia, mutando il paradigma
dell'animazione -, facendo passare tra le righe le suddette serie
televisive come degli immediati successi di pubblico - cosa
effettivamente accaduta soltanto con le successive repliche: ad
esempio, nel caso di “Gundam”, dall'iniziale 5% della prima messa
in onda, lo share era passato al 15% nella seconda replica e poi al
20% nella terza replica (fonte: Francesco Prandoni).
Pag 248: in questa pagina, senza citare alcuna
fonte, l'autore scrive che “Evangelion” nella prima messa in onda
veniva trasmesso la mattina presto e a tarda sera: sbagliato, la
prima - nonché fallimentare - messa in onda della serie avvenne alle
18:30, su Tokyo Channel 12 (fonte: l'ultimo spot pre-messa in onda, pubblicato come contenuto speciale fin dai LD originali).
Come è ben noto a chi conosce nei dettagli la storia
dell'animazione, è stato proprio “Evangelion” (assieme a “Erufu
o Karu Mono Tachi”)
a
dare il via alla fascia notturna riservata agli anime otaku-oriented
(a dire il vero esistevano già prima degli anime trasmessi nell'arco
temporale che va dalle undici alle quattro di mattina, ovvero “Lemon
Angel” - spin off dell'OAV pornografico “Cream Lemon” -,
“Sennin Buraku” e “Super Zugan”, tre casi isolati privi di
rilevanza storica).
Pag 519: nei romanzi di “Gundam Unicorn” non
compare Kunio Okawara come disegnatore: sono presenti soltanto YAS e Hajime
Katoki.
Pag 525: l'autore descrive “Madoka Magica” come l'anime che ha presentato in modo inedito il lato oscuro dell'essere
una ragazza magica, personaggio cliché tipico dell'animazione
giapponese che secondo lui nell'opera - in modo del tutto originale - verrebbe
costretto a relazionarsi «al male, alla morte e alla solitudine».
Ovviamente questa affermazione è un vero e proprio affronto alla
povera, piccola Hotaru Tomoe di “Sailor Moon S” (1994), opera
seminale e influente che tra l'altro, come molte altre, viene
snobbata dall'autore senza le dovute precauzioni – i debiti di
“Madoka Magica” nei confronti dell'anime diretto da Kunihiko
Ikuhara sono palesi, pertanto parlare di approccio inedito al genere
suscita un po' il riso nel momento in cui si prende atto
dell'esistenza di quei majokko cupi, seri e impegnati risalenti agli
anni novanta e ai primi anni del duemila, tali "Uta Kata", "Princess Tutu", "Mahou shoujo Lyrical Nanoha", “Chikyuu shoujo Arjuna” ecc. Fatto salvo ciò,
nel libro non viene neanche minimamente accennato che già nel
vetusto e illustre “Miracle Shoujo Limit chan” (1973) la
protagonista magica affrontava direttamente, in modo alquanto
straziante, la morte e la solitudine.
La Bomba e l'Onda: storia dell'animazione
giapponese da Hiroshima a Fukushima, di Andrea Fontana
Apprezzabile tentativo di coniugare la storia
giapponese del dopo-bomba a quella dell'animazione, questo libro
cerca di fondere l'acutezza, il gusto e il background socio/culturale
di Takashi Murakami con la maestria di Francesco Prandoni, senza
tuttavia riuscire ad eguagliarli, né dal punto di vista della
precisione (nel libro sono presenti alcune forzature nella
contestualizzazione del media) né per quanto concerne la completezza
della trattazione (obbiettivo comunque difficile da raggiungere
quando si parla di un medium vasto e prolifico come l'animazione
giapponese). L'autore si concentra su pochi registi da lui scelti –
e approfonditi – più che altro in base ai suoi gusti personali (fa
un po' strano vedere trattati con tanto amore Kawajiri e Shinkai,
mentre invece Tomino viene ridotto solamente a “Gundam” e
Takahata ad un perenne regista eco-politico); inoltre, viene ignorato
il “pre-Tetsuwan Atom” e viene concesso un po' di spazio alla
Tatsunoko, azienda centrale nel panorama dell'animazione del
dopoguerra. Ciò premesso, la foga “contestualizzatrice ad ogni
costo” di Fontana in alcune occasioni forza degli anime molto
complessi all'interno di schematismi prestabiliti, semplicistici e
aprioristici: si pensi a come viene trattato il “Tenshi no Tamago”
di Oshii (pag 67), che secondo Fontana si tratta semplicemente di una «velata critica al sistema militare come scelta di vita» (!).
Molto positivo che si parli – sebbene con analisi
non troppo brillanti - di Yuuasa e Hosoda, registi solitamente
snobbati dalla critica italiana, anche se, paradossalmente, il più
grande pregio del libro sono i due appendici non scritti da Fontana,
ovvero quello sull'evoluzione del genere jidaimono, del
competente e preciso Massimo Soumaré, e quello sulla differenza sociologica tra le donne giapponesi reali e quelle di anime e
manga, questa volta realizzato da Susanna Scrivo.
Il libro costa la bellezza di 19 euro (decisamente
troppo rispetto alla sua qualità effettiva) e contiene i seguenti
errori:
Pag 48: l'autore asserisce che in “Mazinger Z”
l'esplosione del mostro tokusatsu della settimana veniva
rappresentata da un fungo atomico: sbagliato, questo cliché nel
robotico arriverà più avanti, con i lavori di Tadao Nagahama. Detto
ciò, è da notare che questo è uno dei casi in cui l'autore forza
gli anime all'interno della sua – a parer mio alquanto
approssimativa e forzata - contestualizzazione: siccome nel capitolo
si parlava del trauma atomico, allora per forza in “Mazinger Z”
devono apparire funghi atomici, anche se ciò non corrisponde al
vero.
Pag 54: il seminale e fondamentale “Hols no Daibouken” in questa sede viene liquidato come un mero anime per
bambini in cui sono presenti le basi per la «politica di approccio»
(?) dello Studio Ghibli, senza alcuna trattazione sulla sua
importanza storica e senza tener presente che era stato realizzato
dai suoi autori per gli studenti delle contestazioni e gli adulti
(fonte: Francesco Prandoni).
Pag 83: l'anime di “Ashita no Joe” diretto da
Osamu Dezaki viene accreditato alla Tatsunoko, quando in realtà è
stato realizzato dalla Mushi Productions di Tezuka.
Pag 119: secondo Fontana la data di fondazione
dell'Aum Shinrikyo risale al 1987, mentre invero la data corretta è
il 1984. Ovviamente la trattazione del fenomeno e della sua
correlazione con l'otakuzoku, l'animazione e la società giapponese è
quanto mai approssimativa.
Pag 124: viene fatto passare l'anime di “Sailor Moon” come un successo immediato di pubblico, quando in realtà lo
share medio della prima serie si aggirava attorno ad un misero 10%,
tant'è che i produttori pensarono addirittura di sospenderla (fonte:
Francesco Prandoni).
Pag 137: di nuovo, come nel caso del libro di
Tavassi, l'autore dipinge “Brain Powerd” come un anime in qualche
modo debitore di “Evangelion” - allo stesso modo di “RahXephon”,
che invero non è nient'altro che il remake di un robotico del 1975
(“Yuusha Reideen ”) scritto dallo stesso Hideaki Anno (sebbene
non venga accreditato).
Animerama - Storia del cinema d'animazione
giapponese, di Maria Roberta Novielli
Si parla di un bel libro, dall'edizione molto
elegante ed essenziale, scritto da una docente universitaria di
discipline legate al cinema e alla letteratura giapponese della Ca'
Foscari di Venezia. La provenienza accademica del tomo si nota subito
nel suo modo insolito - completamente scevro dal tipico approccio del
fan al media - di gestire la storia del cinema d'animazione
giapponese: viene dato grande spazio alle opere del “pre-Tetsuwan
Atom” (e pertanto create nel lasso di tempo che va dal 1917 al
1963) con degli approfondimenti molto specifici, quasi del tutto
assenti negli altri libri sulla storia dell'animazione da me letti (è
palese che l'autrice si sia vista centinaia di film e cortometraggi
muti e in bianco e nero, in quanto la sua conoscenza è molto precisa
e non dà affatto l'idea di essere di "seconda mano").
Terminata la corposa dissertazione sulle origini del
media trattato, come si evince dal titolo del libro, la Novielli si
focalizza sull'animazione sperimentale, dando particolare spazio al
Tezuka animatore e alle sue opere meno mainstream – inclusi i suoi
numerosi cortometraggi sperimentali. Finalmente viene concesso il
giusto spazio a Rintaro e Gisaburo Sugii; tuttavia, detto questo, il
libro si sofferma molto sullo studio Ghibli senza compiere analisi
che non siano già state fatte da studiosi yankee come la Napier (che
tra l'altro viene anche citata). Stesso discorso vale altresì nel
caso di “Akira”, “Ghost in the Shell” e “The End of
Evangelion”. Satoshi Kon viene affrontato mediante uno sguardo
abbastanza - ma non troppo - approfondito, giacché evidentemente
piace molto all'autrice – come anche Mamoru Hosoda e Makoto
Shinkai, ai quali viene riservato un trattamento d'onore. Nel libro è
presente una certa tendenza alla contestualizzazione, infatti non
mancano dissertazioni storiche, sociologiche e antropologiche che
coadiuvano l'analisi di determinate opere – come è lecito
aspettarsi da un approccio accademico all'animazione giapponese.
Il principale difetto del saggio consiste
nell'eccessiva superficialità della sua ultima parte, sia dal punto
di vista dell'analisi delle opere trattate che della
contestualizzazione – ad esempio, l'Aum, gli hikkikomori, gli
otaku, il moezoku ecc. vengono soltanto accennati (sebbene nel libro
si parli di artisti come Takashi Murakami, profondamente legati a
questi substrati sociali assai poco compresi dagli occidentali).
Inoltre, Yoshiyuki Tomino, come da prassi, viene ridotto esclusivamente a “Gundam”, senza che
venga citata l'importanza del suo lungometraggio “Ideon: Be
Envoked”, uno degli apici della cinematografia animata – e non
solo – di tutti i tempi (bel paradosso che si parli del film
conclusivo di “Evangelion” e non della sua fonte d'ispirazione
primaria a detta dello stesso autore).
In conclusione, dato l'elevato prezzo del tomo (24
euro) e la competenza dell'autrice in materia accademica, devo
ammettere che personalmente mi sarei aspettato più tecnicismi e
approfondimenti cinematografici tout court, nonché una parte
conclusiva meno affrettata e pregna d'incompletezza.
Come Bambole. Storia e analisi del fumetto
giapponese per ragazze, di Mario A. Rumor
Il libro tratta in modo abbastanza approssimativo la
storia dello shoujo manga, fornendo al lettore una panoramica
generale sul media abbastanza scarna, prevalentemente infarcita dalle
riflessioni puramente soggettive dell'autore, che non allega
retroscena succosi ed evita d'immergersi in speculazioni
socio-antropologiche degne di nota. L'approccio strutturale di questa
dissertazione a mio avviso assai pregna di vani leziosismi – ah, lo shoujo
manga! Ah, il Takarazuka! Sic! - consiste nell'esposizione
cronologica degli autori e delle autrici dei manga per ragazze,
coadiuvata da qualche riassunto delle trame che stanno più a cuore
allo scrittore e da analisi decisamente poco approfondite –
sopratutto quando vengono tirate in ballo opere come “Glass no Kamen” e “La Rivoluzione di Utena”, che non si possono di certo
liquidare in poche pagine. Molto striminzita altresì la trattazione
del celebre Gruppo 24, che a mio avviso avrebbe meritato un
libro a parte.
Fatte le premesse di cui sopra, paradossalmente la
parte più utile del libro è quella finale, in cui è presente un
glossario, una lista degli shoujo manga pubblicati in Italia, una
filmografia shoujo estesa agli anime inediti in Italia e un rimando a
due utili siti web: www.shoujo-manga.net
e www.matt-thorn.com,
professore universitario esperto di shoujo e a diretto contatto con
le stesse autrici (stando a Rumor, egli conosce in prima persona
nientepopodimenoche Keiko Takemiya e Keiko Nishi, pertanto ben venga
una sbirciatina al suo blog).
The Art of Emotion – il cinema d'animazione di
Isao Takahata, di Mario A. Rumor
Decisamente di tutt'altra caratura rispetto al
precedente “Come Bambole”, il libro di Rumor su Takahata è
dettagliato, pregevole e ben scritto, nonché dotato di alcune interviste interessanti (in primis per quanto concerne “La Tomba
delle Lucciole” - del quale tuttavia l'autore ignora il tema principale a detta stessa del regista, ovvero il comportamento di un ragazzino edonista ed escapista figlio della bolla economica ottantina nel contesto della WWII - e il seminale “Hols no Daibouken”). Messi da
parte i ridondanti leziosismi del precedente lavoro, Rumor fornisce
al lettore una panoramica dell'opera di uno dei più grandi registi
dell'animazione giapponese abbastanza esaustiva, in cui vengono citate le
influenze cinematografiche del regista – Grimault in primis -,
l'evolversi della sua poetica e il suo – stretto - rapporto con
l'opera di Kenji Miyazawa. Molto giustamente, Rumor parla di Takahata
come un giapponese che osserva la postmodernità dall'esterno,
siccome appartiene a quella generazione di autori che ha vissuto il
dopoguerra direttamente, in prima persona; brillante inoltre il
passaggio in cui viene fatta notare l'analogia tra i messaggi
dell'autore e il Mono no Aware, la commozione estetica
suscitata dalle cose del mondo (pag 53).
Molto spazio viene dato alle principali serie
televisive firmate dal regista, ovvero “Akage no Anne”, “Hahawo Tazunete Sanzenri” e “Heidi” - assai ben noti nel nostro
paese. In questo delicato frangente, l'autore non cede eccessivamente
alla nostalgia e fornisce al lettore delle belle analisi - in cui tuttavia prevale una certa dose di soggettività - delle opere,
criticando (giustamente) gli adattamenti e i doppiaggi dell'epoca.
Giusto per
rendere l'idea della completezza del libro, in esso viene dedicato
un'intero capitolo al documentario “Yanagawa Horiwari
Monogatari”, una delle regie di Takahata meno conosciute dai suoi
estimatori occidentali; a questo pregio si aggiunge un appendice
molto corposo, in cui fanno capolino delle schede filmografiche
contenenti l'intera opera del regista, un glossario dei termini e
un'antologia critica. Ciò premesso, preso atto della qualità dei
contenuti del libro, considerando altresì il fatto che le
immagini e le foto contenute nel suddetto siano tutte a colori, il
suo prezzo di copertina (20 euro) è più che ragionevole.
PS: essendo stato pubblicato nel 2007, per ovvi
motivi il saggio non contiene la trattazione di “Kaguya Hime no Monogatari”, il testamento spirituale-capolavoro del regista uscito
nel 2013.
Stray Dog of Anime: The Films of Mamoru Oshii, di
Brian Ruth
Quello di Brian Ruh è – in una certa misura - un
saggio critico molto pertinente, accurato e ricco di retroscena su
uno dei maggiori registi della storia dell'animazione, del quale
vengono analizzate (quasi) tutte le opere, da “Urusei Yatsura”
sino ad “Avalon”. L'approccio dell'autore è molto simile a
quello della Napier – che viene citata direttamente in alcuni
passaggi -, pertanto non mancano quelle incursioni nel folklore e nel
contesto postmoderno nipponico necessarie a comprendere la poetica
del regista. I grandi difetti del libro sono un'eccessiva prolissità
nel riportare le trame dei film (cosa neanche necessaria quando si
parla di nouvelle vague estremamente simboliche come “Tenshi no Tamago”) e gli inutili elenchi dei personaggi di ogni opera, che
paiono inseriti più che altro per rendere il tomo più corposo –
nell'era di internet, per conoscere i personaggi di un'opera basta
fare qualche click su Myanimelist, con buona pace di Ruth.
Peccato che nel libro non vengano trattati gioielli
misconosciuti come “Gosenzosama Banbanzai!”, molto probabilmente
trascurati per la loro scarsa presa presso l'audience americana.
La filosofia nei manga. Estetica e immaginario
nel Giappone contemporaneo, di Marcello Ghirardi
Libri come questo rendono davvero l'idea di quanto
sia complicato trattare anime, manga e otaku correlandoli alla
postmodernità e alla tradizione giapponese. Non tanto per
l'effettiva qualità del libro in sé stesso – che imbastisce
alcune riflessioni interessanti senza mai svilupparle a dovere, in un
marasma di citazioni e termini tecnici che vanno e vengono senza il
dovuto riguardo -, ma per via delle sue pretese di “universalità”
frustrate da una trattazione a dir poco approssimativa, che
costituisce un punto di partenza “sfuocato” per ulteriori
approfondimenti (puntigliosamente elencati dall'autore in un utile
elenco di piè di pagina).
Nel libro si citano i soliti Azuma, Murakami (quello
del “Little Boy”), Kojève ecc., e si innesta un percorso
“pellitteriano” di miscelamento di culture occidentali e
orientali che complica ulteriormente lo scopo prefissato del libro,
che ovviamente si perde in una miriade di riferimenti ad altre opere
privi della giusta polarizzazione. Molto interessanti le riflessioni
mutuate da “La Bambola e il Robottone” di Goramasca (libro ormai
introvabile anche su internet, che personalmente non ho mai letto)
inerenti l'archetipo junghiano della Grande Madre nella tradizione
giapponese e la sua correlazione con il rifiuto di superare il
freudiano principio di realtà tipico della mentalità otaku
(nel mio dossier sull'Urashima Tarou ero autonomamente arrivato a
delle conclusioni simili, pertanto chi mi legge sa di cosa si sta
parlando). Notevole il saggio di Pellitteri “Giappornologie”, in
cui vengono sviluppate interessanti riflessioni sulla morbosa
pornografia nipponica e sulle tendenze masturbatorie otaku (si parla
di bambole sessuali, lolicon et similia, e si mettono in relazione
tali tendenze con la società giapponese e la sua misofobia mista a
solitudine e necessità di evasione). Ciò detto, afflitto dal morbo
dei ricercatori statunitensi, Ghirardi “approfondisce” soltanto
“Evangelion”, “Ghost in the Shell” (fortunatamente questa
volta di Miyazaki non si parla) e Satoshi Kon – sempre in modo
approssimativo e privo di retroscena succosi. Inoltre, nel momento in
cui il suddetto si mette a scrivere sul genere robotico e sul suo
rapporto con la tradizione storico/folkloristica, accenna quanto
detto in modo – leggermente – più completo in “Culture del
Giappone Contemporaneo”, che come dicevo in questa sede fa del
rapporto tra wabi-sabi e cyber il suo leit motiv
principale.
Infine, assolutamente inutili i tentativi
dell'autore di imbastire un percorso storico inerente anime e manga,
che si rivelano a dir poco incompleti. Ciò che rimane è un quadro
generale potenzialmente interessante per i neofiti, ma assolutamente
inutile per esperti e addetti ai lavori.
Wrong About Japan, di Peter Carey
Un romanzo sostanzialmente inutile, che narra del
viaggio in Giappone dello scrittore Peter Carey con suo figlio, un
piccolo appassionato di anime e manga cresciuto a pane, Takeshi
Kitano, “Akira” e “Gundam”. Nel loro (breve) viaggio i due
incontrano un sopravvissuto ai bombardamenti americani della WWII
(fatto che viene messo subito in relazione con il film “La Tomba
delle Lucciole” di Isao Takahata), un(a) otaku, un esperto di
cultura giapponese antica (il quale spiega ai due il significato che
ha per i giapponesi la forgiatura della spada dei Samurai), Yoshiyuki
Tomino e Hayao Miyazaki (che ovviamente viene fatto passare dall'autore per un vero e proprio "Dio in Terra").
Il libro fornisce degli indizi molto precisi sulla
cultura giapponese (il Mobile Suit come “utero” materno,
l'otaku come animale accumula-dati, il trauma della guerra e la sua
influenza sulle prime generazioni di creatori di anime e manga), senza tuttavia
approfondirli a dovere (si tratta pur sempre di un romanzo mirato a
fare interessare gli yankee ad una cultura altra, da loro
quanto mai fraintesa e “violentata”). Fatto salvo ciò, è un
vero dispiacere leggere le interviste fatte a Miyazaki e Tomino, che
nonostante il fervore del narratore e tutto l'impegno da lui messo
per incontrarli, si rivelano prive di contenuti di spessore a causa
della non trascurabile ignoranza in materia dei due protagonisti, due
veri e propri gaijin “turisti per caso” in un paese
completamente agli antipodi rispetto al loro modo di vivere e
pensare.
Le anime disegnate, di Luca Raffaelli
Il libro di Luca Raffaelli, figura ben nota nel campo dell’animazione in Italia, se devo essere sincero, mi è sembrato molto approssimativo (esiste anche una versione riveduta della Tunuè, più consistente, ma non penso che i cambiamenti siano radicali rispetto a quella del ‘95 che ho letto). La prima metà, che è la più corposa e della quale si vede che l’autore è veramente esperto, riguarda i cartoni animati americani, ossia Disney (figura che viene analizzata molto profondamente, anche dal punto di vista psicologico) e gli altri studi americani che gli facevano concorrenza, tipo la Warner. Molto interessante apprendere che Walt Disney era stato maltrattato dal padre in tenera età, e che questo trauma primigenio venne poi iterato in modo riparativo/sublimativo nelle sue varie opere (e nel suo dispotismo nei confronti dei vari collaboratori e animatori). L’animazione americana inoltre viene distinta da quella giapponese con la discriminante del modello sociale: in quello americano conta il singolo, in quello giapponese il gruppo. Il buon punto di partenza, comunque, così come le altre “frasette intelligenti” sparse qua e là per il libro, non viene approfondito a sufficienza: vi sono degli spunti sociologici brillanti, ma muoiono subito lì, risultando fini a sé stessi. Talvolta ho anche notato frasi ad effetto senza contesto, il che mi ha dato abbastanza fastidio.
La parte inerente gli anime giapponesi è molto stringata e riguarda soltanto qualche vecchio titolo come Heidi, i robottoni televisivi girellici ecc. L’autore si sofferma sulla figura dell’orfano senza fare una corretta contestualizzazione degli orfani di guerra giapponesi, uscendosene con cose del tipo “quanti credono ancora che l’infanzia sia il periodo più bello della vita?”, con un paragrafo che sembra un piagnisteo dell’Unicef. Inoltre, la frasetta “la pressione sociale esercitata sui giovani fin dai primi anni di età” mi sembra erronea e tirata fuori per far quadrare il discorso a mio parere fin troppo personale e decontestualizzato sugli orfani. In realtà, periodo postbellico a parte (che tra l'altro fu molto breve, data la velocità dell'industrializzazione nipponica), l’infanzia è il periodo più felice e libero per i giapponesi, la pressione sociale arriva in seguito (vedasi “La Società Giapponese” di Nakane Chie per approfondire, anche se la cosa è ben nota dall’onnipresente culto dell’infanzia tipico della cultura giapponese). In conclusione, non mi sento di consigliare questo libro, ormai troppo datato e superficiale, a chi segue il mio blog.
La parte inerente gli anime giapponesi è molto stringata e riguarda soltanto qualche vecchio titolo come Heidi, i robottoni televisivi girellici ecc. L’autore si sofferma sulla figura dell’orfano senza fare una corretta contestualizzazione degli orfani di guerra giapponesi, uscendosene con cose del tipo “quanti credono ancora che l’infanzia sia il periodo più bello della vita?”, con un paragrafo che sembra un piagnisteo dell’Unicef. Inoltre, la frasetta “la pressione sociale esercitata sui giovani fin dai primi anni di età” mi sembra erronea e tirata fuori per far quadrare il discorso a mio parere fin troppo personale e decontestualizzato sugli orfani. In realtà, periodo postbellico a parte (che tra l'altro fu molto breve, data la velocità dell'industrializzazione nipponica), l’infanzia è il periodo più felice e libero per i giapponesi, la pressione sociale arriva in seguito (vedasi “La Società Giapponese” di Nakane Chie per approfondire, anche se la cosa è ben nota dall’onnipresente culto dell’infanzia tipico della cultura giapponese). In conclusione, non mi sento di consigliare questo libro, ormai troppo datato e superficiale, a chi segue il mio blog.
Conclusioni
Come si evince dalla lettura di molteplici libri di
questo tipo, utilizzare soltanto l'approccio “accademico”,
oppure, al contrario, affidarsi unicamente all'approccio “del fan”,
è quantomeno limitante in ambo i casi. Postmodernità, cultura
giapponese, psicologia, antropologia, religiosità, concezione del
mondo ecc. sono tutte cose rintracciabili negli oggetti della nostra
passione, ma che a parer mio vanno approfondite sia dall'esperienza
che dal confronto diretto con altre persone (possibilmente competenti
ed esperte), sia su internet che nella vita reale (per coloro i quali
hanno avuto la fortuna di conoscerne alcune, in questo marasma
odierno in cui l'anti-intellettualismo figlio della subordinazione
del sapere ai criteri di efficienza di cui parla Lyotard è la
norma). Per chi scrive il libro non deve essere il fine, ma un mezzo,
nonché il punto di arrivo di una solida e duratura esperienza
culturale, personale e sensoriale, che attinge da più cose
possibili, anche da libri o articoli scritti da autori che non hanno
nulla a che fare con anime, manga e otaku.
Ritornando al discorso precedente, mediante
l'approccio accademico si rischia di ripetere sempre le stesse cose –
e alcune volte, ancora peggio, di ripetere cose sbagliate scritte da
altre persone legittimate a scriverle dal loro titolo di studio e
dalla loro posizione accademica - senza analizzare le opere con
l'interesse puntiglioso del fan, che sviscera ogni sorta
d'informazione sugli anime e manga che gli interessano, sui loro
autori ecc. ignorando tuttavia la contestualizzazione e
l'intellettualizzazione dei suddetti media. A mio avviso l'approccio corretto
da utilizzare consiste nella fusione di queste due tendenze con
l'ausilio di un background culturale variegato, possibilmente a
“trecentosessanta gradi”: non a caso i migliori libri esposti in
questa sede sono stati scritti da persone come Hiroki Azuma o Takashi
Murakami, entrambi fan (anzi, direi proprio otaku) ed entrambi
intellettuali nel senso più accademico del termine. E, sopratutto,
entrambi giapponesi, sicché questa cultura, nonostante tutte
le pretese morali e conoscitive che i più nutrono nei suoi
confronti, rimane comunque agli antipodi rispetto alla nostra e
pertanto complicata da comprendere per una mente occidentale. Ciò
premesso, se ci si sforza e ci s'impegna in questo interessante
percorso, ciò che ne resta è un arricchimento culturale e spirituale
notevole, che oltre a fare luce sul carismatico oriente, contribuisce
altresì a scoprire sé stessi e il proprio background, sicché
proprio dalle differenze vengono messi in luce i tratti comuni ad un
unico denominatore chiamato “essere umano”.
Forse sbaglio, ma per quanto ne so , Saburo Murakami è un italiano che abita in Giappone come Prandoni ( che nella vita fa il professore di nonricordocosa) che si firma con uno pseudonimo per chissà quale oscuro motivo.
RispondiEliminaAnche io ritengo il libro di Prandoni fondamentale per capire il fenomeno anime, peccato che quel titolo, "aniem al cinema" sia fuoriviante, visto che tratta la storia di tutta l'animazione jap, sia essa cinema, tv o OVA.
Cmq , complimenti per il blog
Salve,volevo prima di tutto farvi i complimenti per il blog che è davvero ben fatto e si differenzia alla grande dalla maggior parte di blog/siti che trattano l'argomento. Le vostre analisi,così profonde e ricercate,sono davvero esaurienti ed in alcuni casi illuminanti ;)
RispondiEliminaVolevo segnalare un libro che tratta di Anime e Cinema,certo non è del tutto coerente con l'articolo di cui sopra,ma visto che il sito tratta anche di cinema ci può stare :D
Inoltre sono sicurissimo che gli anime ed il cinema trattati in questo libro saranno di vostro sicuro interesse.
Il libro si chiama "Tokyo cyberpunk",io l'ho scoperto grazie a questo celebre sito http://www.asianfeast.org/biblioteca/tokyo-cyberpunk/
Un saluto!
Grazie di tutto, sia dei complimenti che del link. :)
EliminaIn futuro potrei leggere il libro da te proposto e recensirlo, tempo permettendo.
Sarebbe davvero interessante un tuo articolo/dossier sull'argomento!
RispondiEliminaComunque di niente, è stato un piacere ;)
In effetti si potrebbe fare un dossier a parte sul cyberpunk nipponico. Ottima idea.
EliminaSai io ho diverso materiale, tra film e oav,oltre ai soliti titoli noti e fondamentali. Molti di questi li conoscerai a menadito però,chissà, magari ci potrebbe anche scappare qualche inedito.
EliminaNel caso fossi interessato fammi sapere ;)
Un saluto!
Mah, francamente io Storia dell'animazione giapponese di Tavassi l'ho trovato un ottimo testo, utile e godibile. Non capisco questo accanimento critico, se non per l'evidente approccio da nerd del commentatore di turno. Su 600 pagine ci richiami in modo fin troppo pignolo (al limite della parodia) un paio di imprecisioni nozionistiche davvero trascurabili (se fosse Otsuka o Miyazaki il sindacalista di turno nulla muta nella ricostruzione della genesi di Hols; l'orario della primissima messa in onda di Evangelion poco importa nell'analisi dell'opera e del suo successo... per non parlare del ruolo di Okawara nelle illustrazioni del romanzo di Unicorn). Sulla questione degli ascolti tv della prima serie di Gundam a pag. 145, va detto per onestà, che a scrivere lì è Pellitteri, non Tavassi, il quale invece dà puntualmente e ampiamente conto dell'articolata storia del successo dell'anime a pag. 129. Quanto alla lamentata poca attenzione all'opera di Takahashi, a parte che nel libro è uno degli autori più citati, non può essere l'opinione (legittima per carità) di un fan deluso a decidere della bontà delle ricostruzioni storiche. D'altra parte Votom e Dougram non avrebbero mai visto la luce senza Gundam. A margine, mi viene da osservare che a volte basterebbe leggere i libri per intero per essere onesti nei commenti, e se si legge la premessa del libro si capisce subito che l'autore non ha nessuna pretesa critica sull'argomento, ma prevalentemente l'obiettivo di fornire informazioni e dati su tutto il panorama dell'animazione nipponica, come non era stato ancora fatto in modo organico.
RispondiEliminaTutti giudizi di valore soggettivi i tuoi, e il libro di mio l'ho letto per intero.
EliminaE poi chiamiamo gli errori con il loro nome, non con "imprecisioni nozionistiche trascurabili". Saranno trascurabili per te, ma per me no.
Grazie per la risposta. Anche tu però definisci "errori" quelle che in realtà a me paiono delle valutazioni dell'autore che non corrispondono al tuo punto di vista, cioè all'opinione di un fan. Non puoi chiamare "errore" un giudizio diverso dal tuo. Magari puoi dire che sia una posizione non adeguatamente motivata - ammesso che sia così - ma non puoi definirla un errore. E poi, se proprio vogliamo fare i pignoli su quelli da te evidenziati che effettivamente possono essere degli errori, ad esempio Tavassi non specifica l'orario della prima messa in onda di Eva, scrive che in principio l'anime ebbe messe in onda a orari diversi (a Tokyo era trasmessa alle 18:30, ma ad esempio a Nagoya andava in onda alle 7:00 di mattina, come scrive Saburo Murakami). Quel che conta davvero è che all'inizio la serie fu ignorata. Insomma, a me pare che in diversi passaggi del tuo commento spacci per errori delle mere disparità di opinioni su alcune opere, quasi che volessi sostituirti all'autore. E poi glorifichi il libro di Prandoni che, per carità, è senz'altro una lettura interessante e pure avvincente, ma scientificamente è molto molto debole, dal momento che non cita mai una fonte che sia una. D'altra parte, scendendo sul tuo terreno, ti riporto quello che proprio Prandoni scrive su Ideon - sul quale secondo te Tavassi avrebbe commesso gravi errori e mistificazioni: "la nuova serie di Tomino realizzata dopo Gundam, parla di attrito culturale e di reincarnazione, ma risulta talmente complicata da venire troncata prima della fine. Risorto sotto forma di due lungometraggi l'anno successivo, Ideon rimane tuttavia senza ulteriori sviluppi, incapace di replicare il successo del suo predecessore" (pag. 88). Tutto qui. Un'opera minore, senza dubbio, che a te è piaciuta ma senza eco nella storia del medium. Per non parlare di come Prandoni - il cui libro tu definisci "quasi-capolavoro" - consideri l'opera di Ryosuke Takahashi: semplicemente non la considera affatto, laddove nemmeno cita Votoms e Dougram e Takahashi è citato una sola volta a pag. 99, ma solo a proposito dei flop dei film Sunrise degli anni 80. E che dire su Ginga eiyu densetsu, OAV su cui Prandoni tira giù solo poche righe anodine a pag. 132 (e secondo me indubbiamente a ragione).
RispondiEliminaIo penso che il libro che tanto sembri disprezzare sia stato invece un dono sinceramente apprezzabile per il fandom italiano, che sicuramente aiuta il pubblico a crescere, se consideri che il consumatore medio di animazione giapponese è giovane e spesso sprovvisto di grandi mezzi culturali.
Ma in fondo, leggendo le tue "conclusioni", capisco che in realtà sei uno che cerca l'oro nei pagliai: come si fa ad accostare un testo di storia a uno di sociologia e lamentarsi che l'uno non tratti l'argomento dell'altro?
"Non puoi chiamare "errore" un giudizio diverso dal tuo."
EliminaSe una cosa non corrisponde a realtà, è un errore. Di nuovo, è tutta soggettività la tua. Nella scienza (e Tavassi ha grandi ambizioni scientifiche in merito al suo libro) funziona così: bisogna postulare l'esistenza di un mondo oggettivo esterno al tuo Dio/Io.
"a Nagoya andava in onda alle 7:00 di mattina, come scrive Saburo Murakami"
Ma cmq non andava in onda la SERA, siccome non esisteva ancora la fascia serale (errore grave).
"quasi che volessi sostituirti all'autore"
Ma neanche per sogno, fidati. Recensire negativamente una cosa non vuol dire soffrire di invidia penis. Magari dal tuo punto di vista di fan - direi fanboy? - dell'opera e del suo autore sì, ma di mio ho cercato di essere più imparziale possibile (infatti ne lodo la parte sull'animazione indipendente e le cose che ritengo utili).
" ma scientificamente è molto molto debole, dal momento che non cita mai una fonte che sia una"
Prandoni gode di un'autorità così grande che non ha bisogno di citare fonti.
" Tutto qui. Un'opera minore, senza dubbio, che a te è piaciuta ma senza eco nella storia del medium."
Guarda, dire che Ideon non ha influenzato l'animazione e che non abbia avuto eco nella storia del suo medium è semplicemente ridicolo. Vallo a dire a quelli della GAINAX. E Prandoni cmq non scrive la falsità che Ideon è stato tagliato a causa della sua "narrazione farraginosa" (cosa comune a pressoché tutti i robotici dell'epoca).
[CONTINUA]
Elimina"Per non parlare di come Prandoni - il cui libro tu definisci "quasi-capolavoro" - consideri l'opera di Ryosuke Takahashi: semplicemente non la considera affatto, laddove nemmeno cita Votoms e Dougram e Takahashi è citato una sola volta a pag. 99, ma solo a proposito dei flop dei film Sunrise degli anni 80. E che dire su Ginga eiyu densetsu, OAV su cui Prandoni tira giù solo poche righe anodine a pag. 132 (e secondo me indubbiamente a ragione)."
Il saggio di Prandoni NON HA le pretese di completezza (e il prezzo e le ambizioni) di quello di Tavassi, ed è molto più vecchio. Francamente, di nuovo, ricaschi in metri di paragone miserelli dettati dalla soggettività e dal tuo bisogno di difendere a spada tratta il libro che ti è piaciuto. Che il libro di Prandoni sia un "quasi capolavoro" lo dicono addetti ai lavori con i quali mi sono consultato prima di scrivere questo dossier. E di certo, una cosa per essere un capolavoro deve avere dei contenuti, delle osservazioni intelligenti, un contesto – il capitolo sull'Aum. Tutte cose che mancano nella “guida telefonica” di Tavassi.
“Io penso che il libro che tanto sembri disprezzare sia stato invece un dono sinceramente apprezzabile per il fandom italiano, che sicuramente aiuta il pubblico a crescere, se consideri che il consumatore medio di animazione giapponese è giovane e spesso sprovvisto di grandi mezzi culturali.
Ma in fondo, leggendo le tue "conclusioni", capisco che in realtà sei uno che cerca l'oro nei pagliai: come si fa ad accostare un testo di storia a uno di sociologia e lamentarsi che l'uno non tratti l'argomento dell'altro?”
Insomma, dato che il fandom italiano è giovane e ignorante, il libro di Tavassi è un bel libro (?).
Non ti va bene che sia esigente in fatto di letteratura a tema? Che voglia anche dei contenuti di spessore in libri che parlano di anime e manga? Troppo elitario? Poco proletario? E' un punto di vista che vale quanto il tuo, perché se vogliamo ridurre il tutto a “ciò che pensa la maggiorparte della gente è la cosa giusta” - e questa mi pare la tua velata intenzione -, allora non c'è proprio niente da fare: questo non è di certo il mio modo di essere/pensare. E neanche il modo di essere di questo blog.
Concludo dicendo che un libro di animazione con storia e sociologia allo stesso tempo esiste già (e non solo, vedi anche “La filosofia nei manga” ecc.): è proprio quello di Prandoni. Io vorrei un libro che fosse "cronologicamente completo" come quello di Tavassi, ma alla Prandoni. Il tuo commento dimostra quanto tu sia attaccato alla famosa “prospettiva del fan” di cui sopra. Ma pazienza, lasciamo a ognuno la sua visione del mondo/media. Difficilmente la cambierà. :)
Guarda, forse è il caso di chiarire che io non ho intenzioni polemiche nei tuoi confronti, ci mancherebbe. Ovviamente sei padrone in casa tua e scrivi quello che vuoi, solo che nel momento in cui decidi di pubblicarlo, chi legge si sente legittimato ad esprimere la sua opinione anche se critica. Quindi diciamo che darmi del fanboy per sminuire (?) il mio punto di vista stride con il senso del blog. Se decidi di aprire un dialogo con i lettori, devi saperlo reggere. Io sono semplicemente rimasto colpito dal tuo accanimento contro questo libro che effettivamente a me è piaciuto, sia per come è concepito, sia e soprattutto come iniziativa editoriale: insomma, finora in italiano c'erano stati o titoli davvero inconsistenti fan-to-fan (quelli sì degli elenchi telefonici, penso allo stesso Anime di Baricordi & co., i tomi di Francato, ecc.) oppure delle monografie molto parziali. Tra queste probabilmente i tre libri editi da Yamato alla fine degli anni 90 (Prandoni, Murakami, Mognato) sono stati tra i migliori scritti in italiano sull'argomento anime, ma poggiano tutti su un indebito principio d'autorità (che tu stesso avalli, forte (?) dei pareri di sconosciuti "addetti ai lavori"). Allora, se tu auspichi - come mi sembra di capire - un impegno serio sul tema a noi caro, mi pare controproducente dare addosso in modo (permettimi) così snob all'opera di chi è riuscito tutto sommato abbastanza bene nell'impresa di consentire all'appassionato medio di poter approfondire non poco la sua conoscenza in materia senza sovraccaricarlo di contenuti poco digeribili, ma nemmeno di lasciarlo completamente a digiuno. Forse anche per questo l'approccio storico nel testo è più economico-politico che sociologico. Considera poi che un editore sano di mente non investe i soldi che ci vogliono per pubblicare un libro non tascabile di 600 pagine con inserti a colori se poi non è almeno un po' vendibile.
RispondiEliminaUn'ultima osservazione, e poi non ti tedio più.
Scrivi:
[Se una cosa non corrisponde a realtà, è un errore.]
Sì, bene, ma quale realtà? La tua Weltanshauung?
“Guarda, forse è il caso di chiarire che io non ho intenzioni polemiche nei tuoi confronti, ci mancherebbe.”
EliminaA me è parso proprio il contrario, francamente.
“Ovviamente sei padrone in casa tua e scrivi quello che vuoi, solo che nel momento in cui decidi di pubblicarlo, chi legge si sente legittimato ad esprimere la sua opinione anche se critica. Quindi diciamo che darmi del fanboy per sminuire (?) il mio punto di vista stride con il senso del blog. Se decidi di aprire un dialogo con i lettori, devi saperlo reggere.”
Se devo essere sincero trovo questa affermazione alquanto irritante. Se non sapessi reggere il dialogo con te non ti avrei neanche dato la possibilità di esprimerti. E invece le tue opinioni (perché di opinioni si trattano) le ho pubblicate e vi ho risposto punto per punto, sebbene non sia d'accordo con esse. Insomma, la morale valla a fare a qualcun altro, non a me. Se ti ho dato del fanboy, l'ho fatto soltanto perché mi sembra che tu stia cercando di difendere a tutti i costi la cosa di cui sei fan senza riconoscerne i lati negativi.
“ma poggiano tutti su un indebito principio d'autorità (che tu stesso avalli, forte (?) dei pareri di sconosciuti "addetti ai lavori")”
Chiedi pure a Gualtiero Cannarsi cosa ne pensa del libro di Prandoni.
Non ti piace il principio di autorità? Ne prendo atto. A me piace. E quindi? Siamo sempre lì: soggettività. La prima risposta che ti ho dato.
“mi pare controproducente dare addosso in modo (permettimi) così snob all'opera di chi è riuscito tutto sommato abbastanza bene nell'impresa di consentire all'appassionato medio di poter approfondire non poco la sua conoscenza in materia senza sovraccaricarlo di contenuti poco digeribili, ma nemmeno di lasciarlo completamente a digiuno”
Non penso che recensire negativamente una cosa sia controproducente, altrimenti tutti i vari film di successo bocciati dalla critica sarebbero diventati dei flop. E' controproducente per te, che ti sei ritrovato il libro che ti piaceva tanto trattato in modo imparziale, senza le solite standing ovation e pareri entusistici. Non è che se una cosa è la prima ad essere in un determinato modo, allora non si può toccare. Almeno, per me non è così.
“Considera poi che un editore sano di mente non investe i soldi che ci vogliono per pubblicare un libro non tascabile di 600 pagine con inserti a colori se poi non è almeno un po' vendibile.”
E quindi? Non posso criticare ciò che è vendibile?
“Sì, bene, ma quale realtà? La tua Weltanshauung?”
Scusa, ma quindi il fatto che Eva alla sua prima messa in onda non sia stato trasmesso di notte fa parte della mia Weltanshauung? :)
PS: E poi cmq anche Tavassi quando si inventa le cose senza citare alcuna fonte ricorre al famigerato "principio di autorità". Però, paradossalmente,lui non è vissuto in Giappone, non sa il giapponese e non ha lavorato con Production I.G. per anni. :)
EliminaLetto da poco Generazione Otaku di Azuma, proprio dopo averlo scoperto spulciando le pagine di questo blog. Terminata la lettura mi sono reso conto di quanto la parola otaku sia usata in modo sconsiderato nel mondo occidentale, utilizzandola a volte come un vanto, quando in realtà essa rappresenta una triste deriva di ciò che l'individuo sta raggiungendo. Azuma riesce in modo brillante a comunicare le proprio riflessioni riguardanti argomenti piuttosto complessi, anche a chi come il sottoscritto, si avvicina a questo libro senza competenze accademiche ma solo per pura curiosità su temi come: otaku e postmodernità/postmodernismo.
RispondiEliminaTutto il discorso inerente alla scomparsa delle grandi narrazioni all'interno della società, con conseguente sostituzione falsata attraverso le piccole narrazioni (simulacri) e conseguentemente le grandi non-narrazioni (archivi di dati), mi ha davvero colpito.
Molto interessante anche la conclusione, in cui Azuma associa la comparsa del disturbo di personalità multipla all'inizio dell'era postmoderna, lasciando intendere a che punto sia arrivato l'uomo, bisognoso addirittura di sviluppare una patologia pur di difendere se stesso da uno stile di vita oramai sempre più debilitante per alcuni. Peccato che tutto ciò sia stato solo accennato (suppongo infatti che questo disturbo possa derivare anche da traumi infantili o fattori non legati alla postmodernità), seppur da uno scrittore/critico come Azuma non ci si può aspettare un'analisi più approfondita, perché sfocerebbe in campi non attinenti alle sue competenze.
In conclusione ti ringrazio per avermi fatto scoprire il suddetto libro, e proprio dall'interesse scaturito da esso, a breve leggerò il tuo lungo articolo sulla postmodernità.
Grazie a te per le belle parole, sono lieto che questo piccolo blog si riveli utile ai fini della conoscenza e della consapevolezza. Nel dossier sulla postmodernità troverai tutto quello che cerchi, con tanto di una ricca bibliografia sull'argomento utile a ulteriori approfondimenti.
EliminaQuesto post continua ad essere un assoluto paradigma dell'ambito. Torno a consultarlo periodicamente.
RispondiEliminaGrazie :)
EliminaE' (o era) un post dinamico, nel senso che ogniqualvolta leggevo un nuovo libro, lo recensivo qui e bumpavo il post.
Si nota, e il risultato è pregevole. :-)
RispondiEliminaIl grande assente di questo splendido post, che continuo a consigliare a tutti gli interessati, è "Le anime disegnate" di Luca Raffaelli, secondo me vero pilastro della stampa d settore in Italia. :-)
RispondiEliminaNon lo conoscevo, ma si può rimediare. Questo post è sempre in continuo aggiornamento. :)
EliminaIo ne lessi la primissima edizione (Castelvecchi, credo) alla sua prima uscita. Avevo vent'anni e la mia solita, immotivata puzza sotto il naso. Ma anche onestà: ne fui sorprendentemente conquistato. Da allora si sono susseguite varie edizioni che ne hanno ampliato il testo, l'ultima alquanto recente. In ogni caso, è un saggio lungo particolare, molto personale e critico, dal forte valore umano ed esperienziale. Un libro dei tempi in cui gli individui erano intitolati ad avere un proprio pensiero, ed esprimerlo, e proporlo. Secondo me un contributo prezioso e sempre fondante.
RispondiEliminaL'ho acquistato su ebay, dopo averlo letto aggiornerò questa pagina :)
EliminaPost aggiornato con la recensione del libro, ma non mi trovi d'accordo sulla sua effettiva qualità. :(
EliminaÈ molto interessante che tu abbia recuperato e valutato l'edizione originale, la stessa che lessi io all'uscita. Credo che le successive siano state grandemente ampliate, ma non le ho consultate. Credo anche che per valutare onestamente questo testo sia necessario collocarlo nella sua epoca, e nell'età dell'autore. Non si tratta di un saggio scientifico o enciclopedico, quanto – secondo me – di un testo personale da intellettuale un po' all'antica. Fornisce spunti, non trattazioni esaustive sul ambiti sociologici comparativi (tra generazioni, tra nazioni) che, certo, sono di nostro precipuo interesse, ma forse non erano al centro dell'interesse dell'autore. :-)
RispondiEliminaCiao, hai mai letto "Beautiful fighting girl" di Tamaki Saito? Chiedo perché di solito è un libro che si cita insieme a quello di Azuma, anche se la visione dei due su più punti mi pare fosse diversa.
RispondiEliminaCiao. Sì, ce l'ho in libreria ma non ho mai trovato il tempo/voglia di leggerlo. Ho anche adolescence without end, quello sugli hikikomori.
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