lunedì 15 settembre 2025

Dieci giorni all'esecuzione (un racconto originale by Molly)

 

 * * * Giorno 1 * * *

 

Mi ci rispecchio a malapena nel riflesso di questa enorme finestra che mi separa dal resto del mondo: da qui, dalla mia prigionia, posso ammirare tutta la città. Ho come l’impressione che i miei capelli non siano mai stati così spenti, né i miei occhi così rossi.

Tra dieci giorni non sarò più qui: in piazza tutti potranno ammirare la mia esecuzione. Così ha stabilito il sovrano, così è scritto nelle leggi. E io le ho violate.

Qui uccidere non è la cosa più grave che si possa fare, o meglio, dipende chi si uccide, dato che il valore delle persone non sempre è lo stesso. Io comunque non ho ucciso nessuno: forse è stata la mia sola presenza a uccidere, il mio respiro affannato, il mio passo incerto e pesante.

Mi accorgo di come si vede bene la città da quassù: si vede il Palazzo Reale, che in tutta la sua magnificenza sembra quasi un gigante intento a guardarti con aria di sfida. Chissà se oltre le mura che la circondano ci sono luoghi più umani, sussurro tra me e me.

Abbassando lo sguardo, sempre più in basso, ci sono le case di noi abitanti. Occorre sapere che vivere qui è un privilegio, questo ci viene detto sin dall'infanzia. Le famiglie più ricche godono di ogni beneficio: noi di sotto possiamo soltanto alzare gli occhi al cielo, apprezzare la loro fortuna e ritenerci graziati dalla loro presenza.

 Non ho la minima idea di quando sia iniziato tutto questo: venti anni fa, quando sono nata, da quel che dicono c’era sempre lo stesso sovrano, così come le stesse leggi. Chiedendo alla gente si riceve sempre la stessa risposta: tutti i sovrani si comportano allo stesso modo, e le leggi ci sono sempre state, immutabili.

All'età di sei anni, per ogni abitante della città, avviene un rituale che consiste nel baciare le mani del sovrano ringraziandolo di tutto ciò che ha fatto per noi. Questo avvenimento, come una sorta di battesimo, ci vincola eternamente a lui: da quel momento chi non rispetta il volere del sovrano viene portato via dalle guardie, ed è raro rivederlo in città. Nel mio caso, invece, è prevista una prigionia di dieci giorni, al termine della quale si è condannati a morte. L’asprezza della pena crea clamore, e dissuade gli abitanti dal commettere reati gravi come quelli che ho compiuto io.

Ho trovato quasi divertente dover firmare un ringraziamento scritto per esprimere gratitudine al sovrano, che mi ha concesso di vivere i miei ultimi giorni con una vista tanto magnifica.
 
Decido di rannicchiarmi sulle gambe. La sera si fa sempre più buia. Inizio a sentire freddo. È ora di andare a dormire. 

 

* * * Giorno 2 * * *

 

Un raggio di sole irradia la stanza. Mi accorgo della colazione lasciatami a terra dalle guardie: per ora mi è ancora permesso di vivere. Il pavimento sul quale sono sdraiata è freddo, e mi viene in mente che fra pochi giorni lo sarò pure io. 
Mangio il pane e bevo l'acqua che mi sono stati concessi, poi rimetto il vassoio vicino alla porta. La finestra occupa tutta la facciata della stanza: mi avvicino per guardare fuori ma vengo subito colta dalle vertigini. Penso che se fossi dotata di una forza disumana riuscirei a distruggere la finestra, giusto per potermi lanciare da un'altezza che mi farebbe sfracellare al suolo. Ma il vetro è robusto, inscalfibile: il sovrano non ammette morti prive di significato. 

Ah, il sovrano. L'essere più viscido e ripugnante che ci sia sulla faccia della terra. Quando in tenera età espressi i miei primi dubbi in merito a lui, i miei genitori mi guardarono in modo truce e mi fecero lavare la bocca con il sapone. Questo non fece che alimentare le mie perplessità.

Mentre andavo a scuola, capitava che il sovrano passeggiasse per la città. Accolto con affetto e riverenza da chiunque, era evidente la sua preferenza per le famiglie di sopra. Le famiglie provenienti da sotto, quelle come la mia, venivano sempre ignorate. 
Così, un giorno, a scuola, chiesi alla maestra cosa noi ragazzini avremmo potuto fare per vivere come quelle famiglie così speciali. La maestra, per tutta reazione, si mise a battere sulle mie mani più e più volte, con frenesia, fino a quando non iniziarono a perdere sangue.

Tornata a casa, cercai di nascondere le mani ai miei genitori, ma mia madre scoprì subito il misfatto. Fui messa in punizione tutto il giorno, nello sgabuzzino, senza cibo.


* * * Giorno 3 * * *

 

Lo scorrere del tempo sembra aver perso la sua linearità. Passo le giornate pensando, ma la mia mente, pregna di immagini nitide che si alternano a immagini sfuocate, sembra ricalcare il tempo là fuori: sole, pioggia, vento, nubi e ancora sole, senza che niente sia ben definito.
Volgendo lo sguardo al vetro che mi separa dal resto del mondo mi rendo conto che la città è addobbata a festa. Questo perché diverse volte al mese si festeggia il fatto che il sovrano esista, ed è gravissimo non presenziare. Anche noi di sotto siamo tenuti a partecipare, ma senza poter prendere parte al buffet.

Un anno fa, in una di quelle feste, conobbi M., un ragazzo dallo sguardo intelligente che mi fece trascorrere con piacere quella patetica giornata. Col tempo imparai a conoscerlo meglio: M. era una persona molto gentile, e sapeva senz’altro distinguersi dagli altri. Inutile dire che pian piano me ne innamorai. Quando diventammo sufficientemente intimi, presi coraggio e gli chiesi la sua opinione in merito al sovrano. Dopo qualche tentennamento, mi rispose: “Non mi è mai sembrato molto giusto, il sovrano: ha sempre trattato male la mia famiglia e io ho sempre avuto paura di dire qualcosa a riguardo".

Capii che io e M. la vedevamo allo stesso modo, ma non mi capacitai di come tutti, a parte noi due, sembrassero non riuscire a capire la vera natura del sovrano. Accomunati dall’odio verso di lui, passammo le giornate di festa scherzando e prendendolo in giro, che smacco! E poi, in quel clima amichevole, tra un insulto e l'altro, un giorno decisi di dichiararmi. Fui felicissima di sapere che M. mi ricambiava.

 

* * * Giorno 4 * * *

 
Chissà cosa staranno pensando in questi giorni i miei genitori: quando sono stata arrestata mio padre era furibondo, e mia madre non mi guardò nemmeno in faccia. Devo dire che il rapporto con loro è sempre stato qualcosa di molto ambiguo; in verità nemmeno così negativo, a parte le poche volte che osavo toccare l’argomento sovrano. E io, ad accettare il loro atteggiamento nei suoi confronti, proprio non ci riuscivo. 


In questo momento sto indossando un vestito celeste. Lo cucì mia madre per il mio diciottesimo compleanno. È il vestito che mi accompagnerà fino alla morte: un vestito che adoro. Un giorno, quando ero ragazzina, ne vidi uno simile nella vetrina di un negozio per le famiglie della gente di sopra, e mia madre ne cucì uno ancora più bello soltanto per me. 
Mi rasserena avere dei bei ricordi a cui aggrapparmi in attesa della mia condanna a morte. Ma è molto difficile sia afferrarli che cercare di dare loro una consistenza duratura. Il freddo della cella, nonché la ruvidezza del lastricato sul quale trascorro le mie notti, alla fine prevalgono sempre sulla bellezza che ricerco nei meandri della mia sventurata memoria. 


Non avrei mai pensato che il giorno della mia morte avrei proprio indossato quel vestito. Mi dispiace mamma, mi dispiace papà, ma non sono io ad essere sbagliata.


* * * Giorno 5 * * *


Ricordo di quella volta in cui chiesi a M.: "Ma se il sovrano venisse ucciso?". 
Lui spalancò gli occhi ed esclamò: "Perché me lo chiedi?". 
“Se il sovrano muore, noi tutti non vivremo più le sue ingiustizie”. Ma M. non sembrava affatto convinto dalle mie parole: di sicuro non riusciva a capacitarsi di come potessi credere che la morte del sovrano avrebbe potuto cambiare qualcosa. 

Ripetetti quel concetto più volte: “Dobbiamo ucciderlo, la rivoluzione è un atto di violenza”. 
“Tutta  la gente di sopra sarebbe dalla sua parte, è inutile” ribatté lui. 
“Se sei così disfattista, perché non hai almeno il coraggio di fuggire?” gli chiesi io. E lui: “Le vedi quelle mura laggiù? Sono altissime, e nessuno sa cosa ci sia all’infuori di esse. Potrebbe esserci un deserto sconfinato, oppure il regno di un sovrano ancora peggiore del nostro. Nessuno può sapere. E nessuno avrebbe il coraggio di rischiare”. 

Rimasi in silenzio e pensai molto alle sue parole, senza mai riuscire a venirne a capo. 


* * * Giorno 6 * * *


Mi sono svegliata pensando a M.. Ciò mi conforta e addolora al tempo stesso. Sento il desiderio di sposarlo.
Penso a quando i miei genitori, dopo aver consultato un funzionario pubblico, mi promisero come sposa a un ragazzo che a stento conoscevo. Funziona così nel regno in cui vivo: non è possibile scegliersi a vicenda. Soltanto il sovrano e chi ne fa le veci può farlo. Per questo motivo la nostra relazione doveva a tutti i costi rimanere segreta. 

Raccontai tutto a M. e lui rispose: "Sapevamo che questo momento sarebbe arrivato… ma ora come facciamo?". 
Nessuno di noi due ci aveva mai pensato concretamente: ci eravamo conosciuti per caso, ci eravamo innamorati ed ora ci trovavamo faccia a faccia con la realtà. Dichiarare la nostra relazione significava essere marcati di adulterio, un crimine terribile per il regno. 

Eppure sentii la vita scorrere dentro di me. Provai a baciare M. ma lui, vagamente impaurito, si ritrasse. Gli sussurrai allora di lasciarmi fare, lo presi dolcemente per il collo e lui cedette. Quella fu la nostra prima volta: ricordo con nostalgia il profumo del vero amore e della ribellione. In quel momento ci trovavamo in un anfratto desolato sul versante di una montagnetta composta da rifiuti e ferri vecchi: per forza di cose decidemmo di dormire lì riparandoci con dei pezzi di cartone, come due senzatetto.

Quando i miei genitori, dopo avermi cercato per tutta la notte, mi trovarono abbracciata a M., esplosero dalla rabbia.  Io per tutta risposta dichiarai il mio amore per M. e di essermi unita carnalmente a lui: i miei genitori dapprima rimasero attoniti e privi di parole, dopodiché la rabbia nei loro cuori lasciò spazio alla disperazione, e si misero a latrare come dei cani feriti. Questo perché il nostro gesto li avrebbe senz’altro rovinati. 
Non vedendo in noi alcuna reazione, i miei genitori se ne andarono via in silenzio, con i volti contorti dalle lacrime.  

“Quindi mi hai condannato!” borbottò M. interropendo il suo silenzio. 
“Il nostro amore vale di più delle stupide leggi di questo regno” risposi io. 
M. non rispose, e dopo qualche minuto di silenzio se ne scappò via pure lui, piangendo. Fu in quel momento che lo persi per sempre. 


* * * Giorno 7 * * *


Manca sempre meno tempo ormai. Penso che forse, dopotutto, merito eccome di morire. L’adulterio verso lo sposo a me predestinato aveva ulteriormente declassato la mia famiglia,  che dovette abbandonare il proprio appartamento per una dimora ancor più malandata; inutile dire che per i miei genitori tirare avanti diventò ben più difficile. Il rapporto tra me e loro per forza  di cose si inasprì parecchio, e i giorni che passavo ai lavori forzati non potevo pensare ad altro che a ciò che avevo combinato (e ovviamente a M.). Tra una roccia e l'altra, tra la polvere e le carriole, ogni tanto alzavo la testa e guardavo con rammarico una delle zone in cui io e lui ci incontravamo spesso, là sulla montagnetta di rifiuti che sovrastava il cantiere. 
Ricordo che una volta mi distrassi dal lavoro e sporcai di polvere una donna che passava da quelle parti; ma le mie scuse non furono sufficienti a evitare la valanga di insulti che ella mi rivolse, così come non evitai le sue occhiate piene di rancore e disprezzo. Il mio capo, dopo aver assistito alla scena, mi prese a frustate e mi assegnò una mansione ancora più onerosa della precedente.
Così il mio rancore, sporcato dalla terra come dal rimorso, cresceva sempre più, di giorno in giorno. 

Quando la signora passò nuovamente dalla stradina che attraversava la distesa in cui lavoravamo noi schiavi, mi assicurai di non essere osservata e le andai dietro fino a quando, approfittando di una sua distrazione, non riuscii a sottrarle una collana che le pendeva dalla borsa. 
A quel punto l'adrenalina mi pervase ed ebbi la sensazione di aver agito nel giusto. D’altronde, con i soldi che avrei potuto ricavare dalla vendita, sarebbe stato facile aiutare la mia famiglia, e sentirmi meno in colpa nei loro confronti.

Durante la notte, la luce bianca della luna alta in cielo, guardai con attenzione la collana. Era davvero bella: pensai che i ricchi del regno non potessero fare altro che comprare la bellezza che mancava al loro animo.

Mentre ripenso a questi fatti me ne sto appoggiata al vetro della mia prigione. Sento di non avere più le forze. Mi addormento. 


* * * Giorno 8 * * *


Inizio questa giornata con i pensieri che tornano a soffermarsi sulla famosa collana. Ricordo che il giorno successivo al furto, nel breve lasso di tempo che mi era concesso dal lavoro, andai dal gioielliere del regno e gliela mostrai. Ma lui, nonostante sembrasse alquanto insospettito, si fece convincere dalle mie scuse (è un regalo da cui purtroppo devo separarmi, gli dissi). Venni quindi pagata con una cifra che mai avevo e mai avrei più rivisto in vita mia.

Tuttavia, poco tempo dopo, mi resi conto di aver di nuovo agito d'impulso. Forse M. non aveva tutti i torti, dissi tra me e me. Come avrei giustificato una tale somma ai miei genitori? Se la verità fosse venuta a galla, sarei stata nuovamente nei guai.
Tenni quindi quei soldi da parte e, una volta terminato il periodo di lavori forzati, dissi ai miei che avevo iniziato a lavorare presso una bottega che pagava abbastanza bene. Allo stesso modo del gioielliere, anche i miei genitori, dapprima diffidenti nei miei confronti, si lasciarono convincere di fronte al gruzzoletto che poco per volta consegnavo nelle loro mani. 

Mentre loro credevano che lavorassi, in realtà me ne andavo a zonzo per passare il tempo, e a volte mi avventuravo nei borghi alti della città, spiando il benessere delle famiglie fortunate che ci vivevano.


* * * Giorno 9 * * *

 

Domani è il grande giorno: presto la mia breve esistenza verrà terminata. Fino a questo momento non ho mai pianto: la cosa mi sembra strana, e me ne chiedo il perché.

Forse l'ingiustizia che da sempre mi accompagna mi ha come anestetizzata; forse cerco soltanto di fuggire, alienandomi da ciò che mi circonda… Io non lo so, davvero. La cosa certa è che devo rimettermi a pensare: in questa prigione il pensiero è l’unica cosa che può farmi sentire viva.

Catene di pensieri mi rimandano quindi alle mie passeggiate senza meta per il regno. Mi sovviene che  giorno dopo giorno, in quel periodo maturai un’ossessione in merito a una famiglia che spiavo. La moglie, vestita sempre benissimo, accarezzava il figlio pronto per la scuola, un pargolo sorridente e speranzoso; poi baciava il marito che, contrariamente a mio padre, non aveva la schiena piegata in due dalla fatica.

Sembravano godere di buona salute, gli sposi: erano felici, senza particolari problemi. Sembrava tutto così irreale ai miei occhi; mai sono stata invidiosa come per la vita di quella donna: fantasticavo di essere al suo posto, di poter condurre un'esistenza felice. E invece anche la salute sembrava mi stesse abbandonando.

Mi sentivo giorno dopo giorno sempre più debole: nausea, fitte all’addome. Capii di essere incinta. 

 

* * * Giorno 10 * * *


La notte prima della mia esecuzione non riesco a dormire. Osservo la città di notte, le sue ciminiere fumanti, le stelle alte nel cielo. Spero di diventare una stella luminosa come quelle quando sarò morta. Ho paura: non riesco più a trattenermi, non riesco più a non pensare al mio bambino. D'altronde, questo è il motivo della mia esecuzione. Per me fu impossibile nascondere la gravidanza, né sarei mai stata capace di abortire. Quando mio figlio nacque, mi fu subito portato via dai funzionari del regno, e io venni condannata a morte. 
Mi viene da piangere perché penso che mio figlio non potrà mai conoscere sua madre.

Che luogo assurdo questo regno in cui sono nata! E dire che sognavo di fuggire eroicamente con mio figlio oltre le mura, alla ricerca di un posto felice.

Tra un pensiero e l'altro si è già fatta mattina: è infine giunta la mia ora. La porta della cella si spalanca. Mi rispecchio per un ultima volta nel riflesso della finestra: non sono mai stata così sporca e malridotta, faccio davvero pena. Le guardie mi scortano fino alla piazza, una piazza gremita di gente. Mi chiedo perché ci siano così tante persone.

La ghigliottina svetta alta e tagliente sopra di me. Cerco con lo sguardo i miei genitori, ma non riesco a distinguerli in mezzo a tutta quella folla. A un certo punto, alzando la testa, vedo il sovrano, tutto fiero e sorridente, affacciarsi dal balcone del palazzo reale. Il Re porta tra le sue braccia un neonato: lo riconosco, strabuzzo gli occhi, mi metto a gridare, allungo le braccia verso l’alto ma le guardie mi prendono per i capelli e mi consegnano tra le mani del boia.

Fisso il pavimento con le mani legate dietro la schiena: sento un rumore sordo e ai miei occhi è ancora concessa qualche immagine confusa, un istante di mondo che ruota attorno a me per poi spegnersi in un tonfo secco. Il buio. 

8 commenti:

  1. Trovo ci sia il classico stereotipo nella narrazione dove il ricco è cattivo a prescindere mentre il povero è quasi giustificato dalle circostanze avverse.. Magari le cose fossero cosi semplici e lineari, ma scrivendo una cosa banale, non è mai tutto bianco o nero dobbiamo tutti convivere con la nostra parte di grigio. Mi pare inoltre che ci siano dei riferimenti al film Upside Down del 2012 con Kirsten Dunst . L ho cmq letto volentieri .


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    1. Ciao, ho deciso di pubblicarlo perché nonostante ciò che fai giustamente notare, è un racconto molto attuale, nel senso che il divario sociale, almeno nel nostro paese, è sempre più marcato, e il potere sempre più coercitivo e spersonalizzante. Il racconto cmq, preso atto della visione sociale dell'autrice, si può aprire a più interpretazioni.

      Andremo cmq avanti con altri racconti, in fondo su questo blog è stato già detto abbastanza sulle opere altrui.

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  2. Ai protagonisti del racconto consiglierei la lettura della Genealogia della Morale di Nietzsche, librettino molto banale eh.

    All'autrice di provarsi a cimentare con racconti non fantasy e senza mistificare. Le donne in genere sono migliori scrittrici degli uomini che usano la teoretica come.escapismo, sono migliori scrittrici a patto che non mistificazione anche il quotidiano pur di ridurre la violenza emozionale insita nella vita

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    1. Senz'altro l'autrice è potenzialmente una migliore scrittrice del sottoscritto, dato che scrive a questo modo pur non avendo una vera e propria istruzione (al netto di un leggero mio editing). L'influsso del cristianesimo e il tentativo di riduzione della violenza emozionale insita nella vita cmq sì, sono molto potenti in questo primo suo racconto. Spero che scriverà altro, cmq.

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    2. Per violenza emozionale, intendo che le cose più concrete, banali, comuni, tanto comuni da essere miserabili spesso sono più violente emozionalmente di quelle più grandiose proprio perché più vere.

      Non a tutti è dato avere una vita ricca di emozioni, ma a ciascuno il suo.

      Proust ha scritto la Recherche, tomasi di Lampedusa il gattopardo, miller la crocifissione in rosa e i giorni tranquilli a cliché.

      Svevo la sua triade di operette su quello che chiamerei fantozzino.

      Sono cmq libri emozionalmente violenti, dico la vita dei fantozzini di svevo, perché così reali, così veri

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    3. Aggiungo scrittrici femminili ... non sono un così gran lettore come sembra ma tra il poco che conosco

      Simone de Beauvoir la cui opera letteraria spicca tanto più se a confronto con i romanzi di Sartre.

      La Sagan, quanto verità in bonjour tristezze e le piace brahms


      La duras, in un po tutto quel.chr scrisse.

      C'è un tocco che in nessun maschio.

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  3. Ciao Molly! Sono contenta che hai preso a scrivere, l'arte è anche autoterapia. Se posso permettermi un commento tecnico, da autrice o ex tale, ti suggerisco di fare tantissima palestra: leggere leggere leggere, e poi scrivere scrivere scrivere. Riscrivere. Rileggere quando finisce la fase di innamoramento nei confronti del proprio testo , circa due settimane. Studia story di Robert McKee e il viaggio dell'eroe di Christopher Vogler. Leggi romanzi di narrativa e raccolte di racconti; poi scrivi su un foglio a parte cosa ti è piaciuto di un libro e cosa no, cosa avresti scritto diversamente e perché. Non farti abbattere da commenti odiosi come questo. La scintilla c'è. Cose da raccontare ne hai. Solo che come tutte le arti, per una comunicazione efficace del messaggio che si ha in testa, nella scrittura c'è bisogno di possedere un bagaglio tecnico e culturale. Alla prossima stesura!

    P.s. sostengo anche la proposta di dedicare uno spazio di questo blog a racconti o poesie inedite, sempre meglio creare che distruggere.

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    1. Sì, ho già messo tra i widget in alto la sezione "i nostri racconti", in cui metterò sia i miei che quelli della Molly.

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