mercoledì 8 ottobre 2014

L'invincibile Ninja Kamui: Recensione

 Titolo originale: Ninpuu Kamui Gaiden
Regia: Hio Kobayashi
Soggetto: basato sull'omonimo manga di Sampei Shirato
Sceneggiatura: Junji Tashiro
Character Design: Shuichi Seki
Musiche: Ryoichi Mizutani
Studio: Tele-Cartoon Japan, Eiken studio 
Formato: serie televisiva di 26 episodi
Anno di trasmissione: 1969


In un periodo Edo cupo, senza luce, pieno di povertà e ingiustizie, il Ninja disertore Kamui vaga senza meta, con il solo scopo di sopravvivere agli attacchi dei sicari inviati dal clan Iga, dal quale è stato allevato fin da bambino come killer professionista. La solitudine del guerriero è totale: egli può solamente continuare a fuggire, non può fidarsi di nessuno, pena la morte.


Salta subito all'occhio il fatto che questo anime sia uscito nel lontano 1969. All'epoca in Giappone erano in corso rivolte studentesche, agitazioni sociali di vario tipo, la povertà ed il caos derivanti dalla perdita della guerra, uniti al frenetico climax dell'industrializzazione, avevano temprato la generazione di giovani giapponesi del periodo, che richiedeva per il suo intrattenimento prodotti socialmente impegnati, nei quali fosse presente una ribellione contro la società e l'ordine costituito. Il gekiga di Sampei Shirato, autore del qui presente "Ninpuu Kamui gaiden ", nasce proprio per rispondere alle esigenze tipiche dei giovani dell'epoca: si tratta di storie adulte, impegnate, in cui la ribellione e la denuncia sociale fanno da padroni. Kamui è il giovane giapponese dell'epoca, che si ribella alla società di vecchio stampo tradizionalista legata al profitto - in questo caso rappresentata dal clan Iga, vero e proprio servo degli interessi dei ricchi proprietari terrieri - e che, nella sua fuga continua e senza speranza, incontra l'atroce indifferenza dei contadini, dei taglialegna, delle persone "non rivoluzionarie" che con la loro apatia e la loro cattiveria mantengono la società in stallo, privandola del cambiamento necessario ad una sua evoluzione.


Il periodo Edo di "Ninpuu Kamui gaiden" è un'evidente metafora del Giappone in crisi, appena uscito dalla guerra e travagliato dalle disparità sociali. Non ci sono regole, non ci sono valori, solamente frenesia, incomprensione, dolore e morte. Queste sono le cose che il giovane Ninja Kamui incontrerà lungo il suo cammino. La sua condizione ontologica di fuggitivo braccato ad eternum, in base alle numerose scene naturalistiche dell'anime - che raffigurano predatori e prede, mentre il sole si erge in alto come un disco monolitico ed impersonale, incurante del dramma umano - suggerisce il profondo pessimismo cosmico dell'opera: per Kamui la libertà è impossibile, in quanto la natura, con le sue leggi, ha decretato che ogni preda finirà immancabilmente nelle fauci del predatore. Non resta quindi che fuggire sottostando alle sue regole, uccidendo per sopravvivere e aspettando, nella più completa solitudine, la venuta della morte.


Valutata come anime Ninja in sé, la cupa epopea nichilista del Ninja Kamui eccelle sotto tutti i punti di vista: i combattimenti, nonostante siano stati animati più di quarant'anni fa, sono comunque spettacolari; il dramma è crudo, senza sconti per lo spettatore: l'umanizzazione di alcuni antagonisti - tra i quali sono presenti anche numerose donne - spesso renderà la loro dipartita un'evento tragico e drammatico; la storia d'amore presente nell'anime è anch'essa tragica, virile e senza speranza, ben lontana dal solito happy ending che va tanto di moda ai giorni nostri. La continuity degli episodi è serrata, anche se il solito canovaccio del Ninja che vuole ammazzare Kamui puntualmente fatto a pezzi - anche con l'ausilio di cavalli selvatici e tartarughe che spuntano fuori dal nulla al momento più opportuno (!) - in alcune puntate si dimostra leggermente ridondante. Quello che rimane comunque impresso è il messaggio di fondo dell'opera, la sua atmosfera scarna e cupa, la sua profonda "giapponesità"; infatti, " Ninpuu Kamui gaiden" è l'anime giapponese più "giapponese stricto sensu" che abbia mai visto. Siamo ben lontani dagli eroi perfetti ed immortali creati negli anni '80 prendendo ad esempio quelli dei comics americani: Kamui è un antieroe tragico che prova paura, smarrimento, che uccide donne e bambini innocenti temendo che siano sicari inviati dal clan Iga per ucciderlo. Non c'è alcun filtro inibitore nel mostrare personaggi che muiono, situazioni tragiche e nichilismo accompagnato da carneficine varie - il tutto senza musiche epiche, solamente con il rumore del vento che squarcia la quiete della notte sinistra e silenziosa; oppure il fruscio inquietante di un serpente che stritola la sua preda; gli angoscianti latrati dei cani selvatici. Si respira quella situazione di "annullamento" tipica della cultura orientale, in cui, a differenza del pensiero occidentale, la morte non è concepita come una cosa negativa, ma sfocia in un nulla che in questo caso ha valenza positiva e liberatoria. Anche il character design è tipicamente giapponese: i tratti dei personaggi, sopratutto quelli feminili, sono estremamente fedeli all'antica cultura artistica del sol levante, allo stesso modo del mare, che sembra appena uscito da un dipinto di Hokusai.


In conclusione, prendendo la maggiorparte degli anime shonen da combattimento odierni, pieni di fanservice otaku ed ipocrite ruffianate allo spettatore, e confrontandoli con opere come il suddetto "Ninpuu Kamui gaiden", personalmente ho notato l'abisso tra i giapponesi di adesso e i giapponesi di allora. Sembra quasi che essi abbiano perso la loro identità, le loro radici, oppure che non sappiano più trasmettere la loro cultura in modo soddisfacente attraverso gli anime (a parte poche eccezioni, sia inteso). Il continuo processo di occidentalizzazione in qualche modo ha snaturato l'antico carisma del paese del sol levante, che emerge senza eccessive contaminazioni dalle opere di animazione degli anni '60 e '70. Il ragazzo giapponese del dopoguerra che consumava opere gekiga era esattamente l'opposto dell'otaku rintanato in casa ad ammirare le capziosità degli interminabili shonen commerciali "alla Naruto", dove la patologica assenza di contenuti, di spessore delle vicende trattate, l'alienazione dai problemi dell'esistenza e della vita hanno avuto la meglio sul triste passato di un popolo orientale fiero, affascinante, segnato indelebilmente dalla tragedia del dopoguerra e dalla durezza della sua stessa tradizione. Evidentemente i tempi sono cambiati. 


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