giovedì 5 aprile 2018

Violence Jack: Recensione

Titolo originale: Violence Jack
 Autore: Go Nagai
  Tipologia: Shounen Manga, Seinen Manga  
Edizione italiana completa: J-POP
 Volumi originali: 36
Anni di pubblicazione:  1973-1990


Violence Jack, pubblicato per la prima volta nel millenovecentosettantatre e protrattosi lungo gran parte della carriera di Go Nagai, fino al diciottesimo numero, uscito più di dieci anni dopo, può essere considerato come la “summa” della poetica dell’autore, una sorta di testamento spirituale che fa da complemento al suo capolavoro di gioventù, il ben più conosciuto Devilman. A scanso di equivoci, l’incipit dell’opera anticipa il ben noto film Mad Max di sei anni: nel primo volume di Violence Jack, un terremoto apocalittico rade al suolo il Kanto facendo più di sei milioni di morti, cancellando ogni traccia di civiltà – o meglio, citando un personaggio del manga, smascherando la società dalle sue apparenze, per poi mostrare la vera natura degli esseri umani. In questo nuovo Kanto in cui, approfittando della mancanza di leggi, insensati predoni in motocicletta, yakuza, militari impazziti e redivivi samurai del periodo Sengoku vagano per lande desolate a maltrattare i più deboli, a violentare donne e ad uccidere per mero piacere personale, emerge la figura del superuomo, Violence Jack appunto, che possiede sì la brutalità e il vigore animalesco riemerso dalla razza umana privata della sua maschera di civiltà, ma anche l’etica necessaria per la ricostruzione di quanto è andato distrutto. Con il suo coltellaccio/machete, la sua altezza smisurata, gli abiti trasandati e il suo sguardo da demone, Violence Jack scatena “tempeste di violenza” che non risparmiano nessuno, a parte quelle giovani generazioni che secondo lui sono “pure”, “genuinamente forti” e in grado di poter ricostruire un mondo migliore (i.e. un Giappone migliore, considerato il contesto reale del dopoguerra, cosa ben nota alla generazione di Nagai). Ciò detto, l’unico che può competere con il gigante nagaiano, e che gli terrà testa fino all’ultimo volume, è un altro mostro come lui, Slum King, un essere costituito da pura ferocia, forza, sadismo, il cui corpo è soffocato in un’armatura da samurai in quanto i muscoli che lo formano sono troppo potenti anche per il loro proprietario.


Un eventuale paragone con l’opera Buronsoniana è più che legittimo in questo caso, dacché Hokuto no Ken, oltre all’idea di base, più volte si rifà al lunghissimo calvario firmato Go Nagai, anche nei concetti. Violence Jack, come Kenshiro, nonostante la sua brutalità e violenza (sempre legittimata e spettacolarizzata: in fondo si sta parlando di un’opera del creatore di Devilman), si fa portatore di valori, di stoicismo, ed è in grado, con la sua sola apparizione, di galvanizzare le masse oppresse dal nonsenso, dalla mancanza di scopo e di legge. Egli incarna, con ciò, più un ideale di volontà di potenza che un essere (oltre) umano succube delle debolezze tipiche della sua natura inferiore e scimmiesca. Tale fardello spetta al ben più realistico Slum King, un personaggio che, come fa notare Baku Yumemakura nel suo commento al manga*, risulta talvolta patetico nella sua tragica umanità. Slum King vuole il potere, il piacere continuo e gratuito, ma ha paura della vita e non è mai stato amato. E’ nato squarciando il ventre della madre e le due donne della sua vita lo hanno tradito. E’ stato escluso dalla società fin da piccolo ed è sempre stato rabbioso e sofferente, cose che hanno alimentato la sua scioccante cattiveria. Slum King non ha il lusso di potersi erigere a simbolo, e infatti Go Nagai nel corso del manga gli dedica un sacco di spazio, quasi a voler esplorare il dramma della sofferenza e della perdita in sé stessa. In altre parole, il dolore assoluto e viscerale che comporta l’essere semplicemente al mondo (cosa molto cristiana negli intenti, ma in fondo si sa che Nagai è un grande estimatore della Bibbia e della Divina Commedia di Dante Alighieri).


Nel bagno di sangue che si protrae lungo i diciotto volumi dell’opera, nella quale bambini innocenti vengono fatti a pezzi e donne violentate una volta sì e l’altra pure, ed eserciti di samurai dotati di carri armati e bazooka radono al suolo ogni cosa, in una vera e propria guerra totale rappresentata senza sconto alcuno, a parte la carica surreale ed esagerata conferitale del tratto grezzo e sproporzionato del maestro - magistrale comunque quando si tratta di raffigurare demoni, mostri e belve che si dilaniano a vicenda in un turbine di potenza assoluta -, la ripetitività purtroppo fa da padrona, mostrando chiaramente la tendenza all’improvvisazione tipica dell’autore, che scrive di getto basandosi sul suo (geniale, sia chiaro) istinto. Istintivo è altresì il finale del manga, finale che, nonostante Nagai abbia dichiarato di averlo sempre avuto in mente fin dall’inizio*, fonde il mondo di Violence Jack con quello di Devilman in modo incongruente con le altre pubblicazioni legate all’universo dell’uomo demone, tabù autorale indigesto per alcuni ma comunque dotato di un certo fascino, avendo ben presente lo stile da sempre “schizofrenico” del maestro (che tra l’altro, come era lecito aspettarsi, infarcisce Violence Jack di una certa quantità di fanservice e di un troppo spesso ridondante autocitazionismo).


E’ curioso notare che, proprio come il suo prequel Devilman, Violence Jack sia stato inizialmente pubblicato avendo come target i bambini di sei anni, per poi essere successivamente “trasferito” in una rivista per ragazzi, dato l’inasprirsi dei contenuti e delle tematiche. A parte l’abituale violenza tipica dei prodotti cartacei dell’epoca, anche se destinati a giovanissimi, il registro cambia notevolmente quando Nagai incomincia ad invocare, nel suo mefistofelico calderone post-urbano, sessantotto e anni di piombo, infarcendo l’opera di sporadiche riflessioni sull’ipocrisia della società del tempo, che mascherava (e maschera tutt’ora, ma con un maggior grado di alienazione) la sua bestialità dietro alla chimera di un progresso che in realtà non c’è mai stato (infatti prima e dopo il terremoto le dinamiche dell’umanità non cambiano, cambia solo l’apparenza). Un ex terrorista refrattario all’ordine precostituito spadroneggerà per quasi tutto il manga (anche post-mortem, tanto per uno come Nagai, che può permettersi qualsiasi cosa, basta citare l’abusatissimo “multiverso” à la Devillady per ribaltare le carte in tavola a piacere, senza alcuna coerenza scenografica), quasi a voler emulare i fasti antisistema de Harenchi Gakuen, opera seminale (e all’epoca scandalizzante) della quale in Violence Jack viene altresì citato un personaggio, che da semplice omuncolo parodistico diventerà, in modo conforme al tenore del manga, una raccapricciante mostruosità assetata di sesso, sangue e potere.


Tirando a questo punto le conclusioni, nonostante gli evidenti difetti che non ne fanno di certo un capolavoro iconico come Devilman, Violence Jack rimane comunque una delle opere più significative di Go Nagai, nonché un lavoro pionieristico carico di un’energia vitale fortissima, proprio come il suo prequel, sebbene tale energia in questo caso venga spesso impiegata in modo ridondante. La carica grezza e virile del protagonista, e la violenza nichilista spinta all’estremo del mondo in cui si muove  – anche se la violenza che più spaventa non è tanto quella fisica, ma quella dello spirito svuotato da ogni scopo e ideale – , così come tutte le sanguigne riflessioni sulla natura umana e sul dolore che la accompagnano, sono ormai scolpite nel firmamento del fumetto giapponese.


*Si veda la fine dell’ultimo volume del manga, edito completamente in italiano dalla casa editrice J-POP con una nuova traduzione a cura dello stimato Francesco Nicodemo.

5 commenti:

  1. E mi permetto di aggiungere che, tra le ispirazioni nagaiane, come struttura narrativa probabilmente gli si avvicina Berserk di Miura.
    Con storie che lasciano dietro di sé dei tasselli (spesso ragazzini) a comporre un puzzle finale.

    Conobbi Jack tramite il manga Dynamic (solo 4 volumi, purtroppo: tutta la prima saga e l'inizio di quella dei motociclisti).
    Poi a Londra comprai il dvd con gli oav, e qualche anno dopo arrivarono anche in italiano.
    Carini ma nulla a che vedere col manga, che forse è l'espressione più totale di Nagai.

    Moz-

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  2. Ciao, grazie per il commento. In tutti questi anni di attività non mi sono mai approcciato a Berserk, non avendo esso un finale. Ho preso recentemente in blocco VJ una volta venuto a sapere che J-POP era riuscita (grazie a Dio) a completarlo, contrariamente alla vecchia (e fallita) d/v. Siamo stati fortunati.

    Io conobbi VJ proprio con l'OVA Evil Town , che reputo il migliore dei tre. E' stato una buona introduzione al mondo del manga direi.

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    1. Vero: ma pensa che io, che lo leggevo Dynamic nei primissimi anni 2000, fui piantato sul più bello...! E ho atteso anni (nel frattempo trovai il dvd inglese a Londra) per continuare a leggerlo!

      Berserk non ha un finale ma DEVI leggero, poi sarà un calvario con le attese, ma ne vale la pena: fidati.
      Anche perché è un'opera complessa che necessita riletture anche costanti, quindi occuperai il tempo che intercorre tra un'uscita e l'altra :)
      Fammi sapere, così posso darti anche consigli a riguardo :)

      Moz-

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  3. sono-l'anonimo-senza-nick

    Consiglio spassionato: lasciate stare Berserk.

    Al piu' lo si puo' considerare un enorme flashback capolavoro, della durata complessiva di 13 volumi.

    Poi basta.

    Inoltre, l'edizione italiana continua ad essere ribaltata e con i nomi traslitterati nel modo sbagliato -.-

    Cmq su quest'ultima edizione di Violence Jack mi pare si siano alternati vari traduttori, oltre al fidato Nicodemo ;-)

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    1. Sì, ho già sentito dire in giro che la prima parte è bella e che poi il manga si perde. Non mi attira visceralmente cmq, tranquillo. ;)

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