Dato che un piccolo editore della provincia di Bari ha deciso di pubblicarmi il libro, un libro che uscirà a breve e che ha assorbito gli ultimi due anni della mia vita, e di pubblicarlo proprio a me, emerito Signor Nessuno della società italiana (ah, esiste veramente una "società italiana"? Forse mi sbaglio), ora mi chiedo: cosa dovrò dire della mia opera nelle presentazioni che sarò tenuto a fare? Il libro di punta della casa editrice, quello che ha venduto di più, che sta in alto nelle classifiche di Amazon eccetera eccetera, è quello di una ragazza borderline che racconta le sue sofferenze e le sofferenze che ha inflitto agli altri. Un'autobiografia molto sincera e onesta, ben scritta, tant'è che la ragazza in questione è finita pure in TV e ha avviato sui social un'attività parallela alla scrittura. Il mio libro, pur non essendo autobiografico, parla anch'esso di disturbi mentali e disagi sociali (e da qui credo sia nato l'interesse dell'editore), anche se, salendo sul predellino, non posso di certo dire "oh, raga, è la storia della mia vita di merda". E tutti: "poveraccio, ci fai quasi pena, mo' te lo compriamo". Questo perché Antropofogia, questo il titolo, è un'opera di narrativa, una cosa che vorrei avesse vita propria e, soprattutto, fosse slegata dalla figura del suo autore, cioè io. Ciò premesso, trattasi della storia di tre personaggi che hanno avuto gravi latenze genitoriali, che si ritrovano a lottare per sopravvivere in un mondo in cui le battaglie non avvengono mai ad armi pari, e in cui dietro a una facciata di buonismo, ottimismo e parvenza di benessere giace quel vecchio istinto antropofago che ha sempre caratterizzato la razza umana: una razza umana la quale, stordita dalle sue stesse nevrosi, dalla tecnologia e da falsi miti del progresso, è incapace di prendere coscienza della sua inevitabile autoconsunzione.
Il governo italiano ha appena decretato la fine dello stato di emergenza legato al Coronavirus. Ulrico Niemand è un informatico che si aggira da solo per le strade di Milano. L'incontro casuale con due strane ragazze diverse in tutto, e così dal protagonista, porterà ulteriore sconvolgimento in una vita già di per sè turbata. Lalah è una giovane e affascinante marocchina intenta ad inseguire il suo sogno di diventare modella. Lena una trentenne ucraina tanto geniale quanto ferita, sempre china sul suo computer portatile. Tre strade dissestate e cariche di misteri si incrociano nell'antropofaga metropoli, in cui ogni punto di riferimento è andato perduto. [Antropofagia, quarta di copertina]
In pratica un impiegato italo-tedesco a cui è mancata la madre, completamente solo a causa di un padre assente, della pandemia e di una città quanto mai ipocrita e indifferente, incontra una delle tante modelle wannabe di origine nordafricana che girano per Milano, e se ne innamora. In un club notturno che frequenta per disperazione, poi, conosce altresì una darkettona ucraina abbastanza scontrosa e dura di carattere, che inspiegabilmente si interessa a lui. Nascerà una relazione di reciproca tossicità tra lui e la marocchina, con l'ucraina che farà da mentore/guida a entrambi. Ulrico narra tutto in prima persona, dalla sua iniziale ossessione per la pornografia, un problema di vuoto interiore superato poi grazie alle "cure" e alla strana gentilezza della ragazza ucraina, fino alla sua effettiva maturazione: un uomo adulto in una società di bambini. Abbiamo quindi nel trittico due persone che non potendosi affidare a nessuno a causa di un ambiente ostile e privo di empatia, devono per forza di cose contare su una ragazza misteriosa proveniente da un paese molto povero, che nonostante si dichiari agnostica, in realtà è molto legata, anche se inconsciamente, al cristianesimo ortodosso. In un mondo privo di amore, quindi, uno scientista deluso dalla vita e una ragazza che ha rifiutato l'Islam, non senza problemi e attriti, in un certo senso si rivolgono all'ortodossia dell'est. Il libro poi è lungo, succedono molte cose e le carte in tavola cambiano, ma questa osservazione mi pare fondamentale per l'effettiva comprensione del testo: senza amore, nonché senza un imprinting religioso/spirituale di alcun tipo, la razza umana va in autoconsunzione, si autodistrugge, si svaluta e squalifica da sé.
Se il mio Ulrico ha un leggero comportamento compulsivo, di mio non sono mai stato etichettato con una patologia precisa, anche se penso di avere un qualcosa di simile a quello che psichiatri e compagnia cantante definiscono come "disturbo bipolare". Ci sono infatti delle volte in cui mi sento abbastanza iperattivo, in cui i miei pensieri si moltiplicano e incatenano come una miriade di ingranaggi, e altre in cui sento un forte senso di malinconia e vuoto interiore contro il quale, per sopravvivere, sono costretto a elaborare delle strategie. Il libro è una di queste. Quando l'ho scritto stavo parecchio male: dopo un post pandemia in cui ho toccato il fondo perdendo tutte le cose a cui tenevo, ho deciso di scrivere per darmi uno scopo nella vita e farmi dimenticare per un po' quel vuoto abissale che da sempre dimora in me. I libri di autori più famosi a me coetanei mi sembravano abbastanza banali, quindi ho deciso di metterci dentro più contenuto e onestà possibili, ovviamente attraverso la narrazione in se stessa - dalla quale ognuno, contrariamente a un saggio, può trarre la sua "porzione di verità" e la sua interpretazione delle vicende narrate - in modo tale da evitare il didascalismo, cosicché ogni lettore possa carpire ciò che gli interessa da "una storia avvincente e ben scritta nonostante il suo nichilismo" (cfr. Jacopo Mistè per il giudizio virgolettato). Non ho comunque confezionato la storia per gli altri e con l'idea di vendere copie o vincere concorsi: io ho soltanto buttato giù le cose in modo tale da trarre un personalissimo conforto da esse. Il momento cruciale è arrivato quando il libro, in una delle sue bozze iniziali (le revisioni sono state infinite: si parla di un lavoro immenso), è stato letto da una mia amica, che poi si è offerta di aiutarmi a editarlo e ne ha pure realizzato una splendida copertina, il cui soggetto è un personalissimo omaggio a Murakami Ryuu (la copertina del mio libro è infatti ispirata a quella originale giapponese del suo romanzo di esordio). Questa ragazza era appena uscita da una relazione durata quattordici anni, e conclusasi nel peggior modo possibile. Pure lei, proprio come me, non se la passava bene. Ma leggere il libro in qualche modo l'ha aiutata. Quando mi ha detto che ciò che avevo scritto l'aveva fatta stare meglio, ho capito che avrei dovuto provare a pubblicarlo, anche se Antropofagia è l'antitesi del politicamente corretto e delle opere escapistiche e autoreferenziali che vanno tanto di moda oggigiorno (di fatto viviamo in una distopia alla Brave New World, e i due personaggi principali del mio libro, di fatto, sarebbero i selvaggi, quelli che lottano per non adattarsi a un mondo capziosamente disumano). Le big infatti lo hanno ignorato; una casa editrice media, comandata da un professore universitario settantenne, si è dimostrata molto infastidita da contenuti e personaggi (in una società basata sulla finzione le cose verosimili e di buonsenso causano sgomento); altri ancora invece sono stati infastiditi dal turpiloquio, che comunque è indispensabile per descrivere con realismo certi ambienti degradati. Ovviamente tralascio i vari tentativi puramente antropofaghi di certi gruppi editoriali creati apposta per spremere gli autori chiedendo loro di acquistare duecento/trecento copie (ossia pagare migliaia di euro per pubblicare), una pratica che a mio parere andrebbe perseguita penalmente. Insomma, un anno di giungla. Alla fine dei conti, su centinaia, soltanto due sono state le case editrici che si sono dimostrate realmente interessate al manoscritto: la prima una casa editrice veneta che campa di letteratura erotica, il cui titolare è un signore simpaticissimo al quale farò spedire una copia con affetto; la seconda questa piccola realtà di Bari, gestita da un ex parrucchiere tuttofare. Ho scelto la seconda sia per via dell'impegno sociale del suo titolare che per la buona immagine che questa casa editrice ha sui social (si sbattono tantissimo per la promozione, hanno un bel sito ecc.). E, soprattutto, mi hanno permesso di tenere la copertina creata dalla mia amica, una cosa che sarebbe stata proibita dall'altra casa editrice per motivi di linea editoriale.
Il libro è altresì nato per colmare il vuoto che l'esperienza della morte ha lasciato in me: a un certo punto, parlo di qualche anno fa, ho capito di non essere eterno e di dover lasciare qualcosa a questo mondo, dato che un giorno non ci sarò più. Certo, lascio pochissimo, un romanzetto di 400 e passa pagine che leggeranno in quattro gatti più un blog di stranicchia e qualche calcolo sulle onde gravitazionali, ma tutto ciò è pur sempre meglio che niente. Non penso che Antropofagia sia un capolavoro, sicuramente ha i suoi difetti, ma uno dei suoi personaggi mi è rimasto molto caro e strada facendo mi ha aiutato parecchio. Se un recondito giorno del futuro sarò ancora vivo, magari rileggerò ancora una volta una copia fuori tiratura del libro da me custodita, e quel personaggio sarà sempre lì per me, esattamente come l'avevo immaginato anni e anni prima. Magari anche dopo la mia morte sarà sempre lì, anche se dimenticato dai più o bruciato o dalle bombe atomiche di una razza umana al collasso, o dal calore di un vecchio, grasso Sole, ormai intento a ingoiare la Terra. Ma almeno sarà "esistito" e, soprattutto, sarà sopravvissuto alla mia morte.
Il punto cruciale riguardante invece la nascita vera e propria del libro è che Milano per me è stata come la caduta dall'Eden. Cocainomani in ogni dove, ambienti lavorativi tossici, caos, solitudine; l'aggressività e competitività della gente, che vuole comunque sentirsi pulita nascondendosi dietro al paravento di certi ideali di facciata a cui soltanto i benestanti possono credere; la perenne sensazione di essere tagliati fuori perché Milano è una città per ricchi e stranieri, non per italiani medi. Insomma, fin da quando ci vivevo con la mia ex Milano mi ha sverginato e traumatizzato per bene (ci ero andato a vivere per avvicinarmi al Veneto, la sua regione di nascita, ma poi, per una serie di circostanze, vuoi anche per pigrizia e mancanza di quattrini, ci sono rimasto intrappolato dentro come un topo in gabbia). L'Eden, molto probabilmente mi illudevo, per me sarebbe stato potermene andare a vivere in provincia e mettere su famiglia. Questa cosa così banale e di facile realizzazione per molti miei coetanei, quando ancora credevo nel futuro, era stato il mio desiderio più profondo, essendo io il figlio di due divorziati e di una wasteland sentimentale e relazionale di cui ancora oggi sento le cicatrici. Detto tutto ciò, il mio modo di affrontare la vita, grazie alla scrittura, è sicuramente cambiato. Ora la vita è sempre una merda come prima: se devo essere sincero, la voglia che ho di vivere sta scemando sempre più; ma almeno, scrivendo e creando, posso dare un senso a questa vita, esorcizzarla e usare le delusioni come carburante, prenderla per ciò che è realmente cercandoci dentro una qualche recondita forma di bellezza. Poco importa se ormai non legge quasi più nessuno; poco importa che nell'epoca del post-umanesimo tecnologico campare esclusivamente di scrittura sia pressoché impossibile. Detto questo, penso che trattare delle tematiche tramite la narrativa sia molto più efficace che scrivere sterili saggi privi di emozioni: faccio questa osservazione anche perché, nonostante i miei studi, non sono mai stato una persona così "mentale", ma invero assai emotiva e altalenante.
E questo è tutto, almeno per ora. Inutile dire che comprarlo e passare parola nel caso in cui vi sia piaciuto è un bel modo per supportarmi: se il libro venderà bene, potrò pubblicarne altri senza eccessive complicazioni. Ovviamente, quando uscirà, vi avviserò con un nuovo post interamente dedicato alla sua uscita.
Per le presentazioni brevissime (tipo annuncio sui social ecc.) mi limiterei a indorare la pillola specificando suppergiù: "Grazie a questi rapporti sociali anomali alla fine la solitudine del protagonista viene alleviata". Per quelle più lunghe, penso che si tratti di non dare le tue conclusioni etiche per scontate e farle piombare all'improvviso sulla platea... io magari punterei, anche per farlo sembrare appunto non autobiografico, su un'inquadratura più collettiva e "politica" (col rischio però di essere preso per un cretino invece che per un moralista...).
RispondiEliminaConsiglio non richiesto fornito e auguri ancora per la tua impresa editoriale!
Grazie, in effetti hai ragione. Potrei anche ammorbare la platea con gli innumerevoli riferimenti filosofici e psicologici, buttarla sul politico e sulla critica sociale... I livelli di lettura della storia sono tanti. Forse la cosa migliore è che qualcuno che lo abbia letto mi faccia delle domande, racconterò allora la genesi della stesura parlando un po', ma non troppo, della mia "arte" come forma riparativa. Vedremo, comunque.
EliminaAltra cosa da dire: "Quelli che si salvano sono gli invisibili". E no, non è Epicuro.
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