Molte volte ci troviamo di fronte ad opere trascendentali, metafisiche ed introspettive. Penso che Eraserhead, lungometraggio immerso in un'impronta simbolica, onirica e psicoanalitica, sia proprio una di queste. David Lynch è un regista noto per l'impronta sfuggente e spesso apparentemente priva di senso delle sue pellicole, una caratteristica che rende impossibile darne un'analisi univoca e concreta. Questo perché l'artista lascia parlare il proprio inconscio, mettendosi in disparte e ricercando il senso, per l'appunto, nel proprio nonsenso interiore.
Direi che in generale il cinema vanta, per sua natura, un mix di arti diverse: immagini, musica, dialoghi. Ma in concreto si tratta di un modo di narrare che si fa strada principalmente mediante la vista, la più immediata modalità della percezione. Le immagini sono più veloci nel parlare all'inconscio rispetto alle parole e Lynch lo sa benissimo, tant'è che pare quasi ricercare nello spettatore una sorta di compatibilità emotiva. E la mia, in questo caso, l'ha sicuramente trovata. Eraserhead, indipendente opera prima (parlando di lungometraggi) di Lynch, girata a strettissimo budget nell'arco di cinque anni, rappresenta, a detta dell'autore, il suo film più personale e spirituale, ed è certamente reo di avermi regalato, nella sua angosciante atmosfera, una delle esperienze più affascinanti della mia vita.
Eraserhead narra una parentesi della vita di Henry Spencer, un giovane tipografo che trascorre la sua monotona esistenza in una fredda, sporca ed angosciosa città industriale. Il film ci introduce a questo setting in un modo assai peculiare: dopo un'inquadratura sul volto sospeso nel vuoto del protagonista, la telecamera ci trasporta in una magione distrutta, situata sul terreno di un piccolo, roccioso pianeta. A questo punto appare una delle immagini più impattanti ed esplicative dell'essenza del cinema di Lynch: un uomo, ricoperto di ferite ed escrescenze, osserva il pianeta di fuori attraverso una finestra rotta.
Il senso di estraneazione è immediato: non è soltanto il pianeta a sembrare un satellite, ma anche la scena di per sé, che pare un qualcosa di completamente alieno allo stesso film di cui fa parte. L'uomo aziona una leva, e dalla bocca di Henry fuoriesce una creatura spermatozoica che viene gettata in un laghetto. Una sorta di logos spermaticos del cristianesimo arcaico, con l'uomo del pianeta che sembra quasi assumere connotati divini, simboleggiando allo stesso tempo la coscienza che muove le leve della meccanicità nel marasma del caos.
Quasi come un bambino che sta venendo al mondo, veniamo trasportati di fronte all'incerto volto del tipografo Henry e del triste, degradante ambiente che lo sovrasta. Camminando su detriti e pozzanghere, il nostro protagonista attraversa con timore la desolazione in cui vive, giungendo infine nel suo appartamento. Lì la sua vicina lo avvisa di essere stato invitato a cena a casa della sua ragazza, con cui intuiamo, per via una foto strappata di quest'ultima, che le cose non stiano andando molto bene.
Arrivato a casa della fidanzata Mary, Henry non può immaginare il grottesco delirio che lo attende. Mentre Mary sembra avere degli spasmi, Henry e la madre della ragazza parlano per la prima volta, facendo subito dopo la conoscenza del padre Bill. Dopo aver annunciato che per cena ci saranno dei deliziosi polletti fatti a mano, Bill si sfoga in merito al suo lavoro di idraulico, nonché sull'effettivo eccesso di tubature in tutta la città. Ma quello che inizia a destabilizzarci è la sua voce, che si alza prepotentemente di pari passo ai rumori esterni: un treno che passa, cani che abbaiano, una palpabile sensazione di pericolo e tensione.
Ad Henry viene affidato il compito di tagliare il pollo, che inizia però a muoversi e a spurgare una schifosa brodaglia sanguinolenta. La domanda qui sorge spontanea: cosa diamine sta succedendo?
La madre di Mary inizia ad emettere versi, finendo con il fuggire via, seguita dalla figlia. Il padre sorride, un sorriso grottesco, disgustoso, un sorriso che dura un minuto e mezzo. Disagio ed alienazione, un silenzio assordante, il timore di essere in errore, senza manco saperne il perché. Così Eraserhead gioca le sue carte, facendo passare l'assurdo per ordinario.
La madre torna dirompente e dopo aver assediato Henry in merito ai suoi rapporti sessuali con la figlia, inizia a molestarlo e baciarlo. Reminiscenze freudiane a parte, il fatto è che Mary ha avuto un parto prematuro ed Henry, per volere dei suoceri, dovrà sposarla e andare a vivere con lei. Il protagonista, sotto shock ma senza la forza di controbattere, è ben consapevole che non potrà più vivere come prima: la sua esistenza da questo punto in poi verrà completamente stravolta.
In seguito vi è un salto diretto alla vita post-matrimoniale della coppia: ammiriamo il nostro protagonista che entra nel suo palazzo, trova nella cassetta postale una scatolina contenente uno strano verme arrotolato a mo' di anello, sale in casa e guarda amorevolmente il suo pargolo. La gioia di un padre, se solo il figlio non sembrasse uscito direttamente da Il mondo perduto. Trattasi infatti di una creatura mostruosa, dalle fattezze rettili, certamente qualcosa di non umano. Forse perché è il frutto di un amore presumibilmente inesistente e di una vita imposta e forzata.
La vita di coppia non procede bene: lo stress e la mancanza di sonno causata dai continui lamenti del figlio portano Mary a tornare improvvisamente a casa dai genitori per poter dormire. Henry rimane così in solitudine, alle prese con un pargolo mostruoso che, malgrado le sue attenzioni, non tarda ad ammalarsi.
Henry, come solito fare, volge il suo sguardo verso il termosifone, che a mio avviso rappresenta una sorta di porta verso un mondo altro fatto di maggior introspezione, ricerca di conforto e pace interiore. Qui giunge una nuova figura dall'impatto devastante: una ragazza impacciata, timida, ma apparentemente positiva e gioiosa, con due enormi guance rovinate e deformi. Un'immagine che biforca l'opinione dello spettatore: se da un lato la ragazza sconvolge e destabilizza per il suo aspetto, dall'altro mantiene un'aura pacifica ed amichevole.
La linea che divide realtà e illusione diviene sempre più sottile, mentre lo stesso scorrere del tempo procede in maniera confusionaria e incerta. Mary è infatti di nuovo nel letto insieme ad Henry, poi scompare nuovamente ed iniziano a comparire dei vermi tra le coperte. A questo punto il mobile nella stanza si apre da sé: ed ecco un vermetto animato in stop-motion che emette versi striduli e raccapriccianti.
Il fatto è che Henry sta impazzendo, e noi insieme a lui.
Poco dopo, la vicina di casa che abbiamo conosciuto ad inizio film, fa visita a casa del protagonista, essendo rimasta chiusa fuori, e si accerta dell'assenza di sua moglie. I due ben presto iniziano a fare sesso e la donna scorge non solo il figlio, ma anche il piccolo roccioso pianeta alle spalle di Henry.
La vicina, visibilmente turbata, qui sembra entrare in contatto con l'inconscio del protagonista. Il pianeta della scena iniziale del film è una presenza fondamentale nella vita di Henry.
La ragazza sul palco è tornata, dando atto a quella che reputo l'unica scena confortante del film. Il suo canto, semplice e ripetuto più volte, ci ricorda che nell'aldilà, nell'ipotetico regno di Dio, ognuno sta bene e ha le sue buone cose. Lì la paura, le insicurezze, gli errori e le responsabilità non esistono: non esiste nessun possibile ulteriore figlio, non esiste nessun ulteriore problema. Questo è il rifugio sicuro del protagonista: la sua ricerca di pace culmina nell'immagine della ragazza sul palco, unica ancora di salvezza nel mezzo di una vita disastrosa e sofferente. Ma quando egli prova ad entrarvi in diretto contatto, un lampo accecante lo stordisce, e la fanciulla viene sostituita dall'uomo sfigurato, che come una sorta di demiurgo gnostico, di Dio cattivo guardiano della Terra quanto mai distante dall'autentico Dio buono ed eterno, tende a giudicarlo trucemente, a respingerlo dall'accesso al mondo dell'eterna beatitudine, a manipolare gli eventi tramite le sue meccaniche leve. L'uomo sul pianeta è perennemente lì, ad osservare Henry con costanza, a disprezzarlo con ferocia.
La testa di Henry vorrebbe soltanto scollegarsi, fuggire, ed in effetti lo fa, saltando letteralmente via dal suo corpo. Al posto di essa compare quindi la testa di suo figlio, la creatura che sta prendendo controllo della sua vita.
Dopo questa tanto meravigliosa quanto grottesca immagine, il genio di Lynch colpisce ancora più duramente: la testa del tipografo sprofonda in un liquido, cadendo in quella che sembra essere un'altra dimensione. Viene poi raccolta da un bambino, che la porta in una fabbrica di gomme da cancellare. Dal cervello di Henry vengono quindi realizzate gomme per matite: Eraserhead, la testa-gomma per cancellare. Si tratta del desiderio di Henry di rimozione, di fuga dal trauma primigenio della vita, che altro non è che la vita in se stessa, con tutte le sue incomprensibili, irrazionali mostruosità.
A questo punto Henry si sveglia, e dalla finestra della sua camera vede soltanto buio e violenza. Decide di andare a bussare alla vicina, forse per capire se abbia veramente fatto sesso con lei, ma non ottiene alcuna risposta. Poco dopo la vicina rincasa con un uomo e lancia un'occhiata sdegnante nei confronti della casa di Henry, che nel frattempo la sta spiando dalla serratura. A questo punto il protagonista si sente ridicolo, giudicato aspramente: forse la donna vede in lui il mostruoso figlio che tanto cerca di nascondere.
Henry non ne può più: prende un paio di forbici, si dirige verso il pargolo e tagliando le fasce in cui è avvolto rivela un corpo aperto, che colpisce con violenza. Il figlio sputa sangue, e una strana sostanza fuoriesce dai suoi organi. Henry vede il mostro ovunque ormai, un mostro che lo perseguita, lo tormenta.
Scintille ovunque, terrore nei suoi occhi, le luci si spengono.
Henry osserva incredulo il suo piccolo pianeta sfaldarsi, l'uomo sfigurato cerca di contenere l'irreparabile stringendo le sue leve ormai rotte: ma nulla può essere fatto, il limite è stato superato. Il protagonista riesce finalmente a congiungersi con la ragazza dalle grandi guance e, abbracciandola, sembra si senta per la prima volta sollevato. Così termina l'esordio Lynchiano.
*** Considerazioni Personali***
Ad una prima visione quest'opera potrebbe apparire come eccessivamente delirante e criptica, un vero e proprio incubo dalla durata di un'ora e mezza. Tale percezione è in realtà perfettamente coerente con il cinema di David Lynch, che fa dell'onirico, del grottesco e dell'inspiegabile la base delle sue opere. Il surrealismo è l'esatto obiettivo, o meglio, la naturale conseguenza, di un approccio al cinema molto simile a un certo tipo di pittura: mi vengono in mente Goya, con la sua tetra Quinta del Sordo dalle pareti piene zeppe di demoni interiori e visioni da incubo, oppure Jan Frans De Boever, con i suoi indecifrabili fantasmi.
Lynch conferma che il film nacque dal suo terrore di diventare padre, e della sua allora angosciante e deprimente vita a Philadelphia. Eraserhead, oltre al sofisticato apparato mistico-esistenziale che caratterizza la poetica/le credenze personali del proprio autore, mette quindi in scena il terrore del peso delle responsabilità, in particolare della più grande delle responsabilità: il tirare fuori una nuova vita dal caos, un essere che dipenderà da noi e dalle nostre azioni. Da quel che vedo attorno a me spesso si cade nell'errore di trattare la cosa con leggerezza: uno step obbligato dalla società, oppure una sorta di acquisto di un bambolotto volto a colmare profondi vuoti interiori o la propria irrisoluzione in quanto individui. Certamente si tratta di un bel paradosso, di un controverso dilemma che da sempre risiede nei cuori degli esseri umani: mettere al mondo una vita significa mettere al mondo una nuova coscienza in un caotico flusso esterno al quale si rischia di non riuscire a stare al passo, un flusso che certamente causerà incomprensione e sofferenza.
Lynch fu colpito in pieno da tutto questo e lo traspose in questa pellicola, che rappresenta un lascito importantissimo nella storia, non solo cinematografica. Un dono inestimabile originato da uno sfogo, da un rifiuto e dal più sincero terrore. Henry Spencer impersonificava ciò che Lynch provava, ma allo stesso tempo l'uomo che egli non voleva essere.
Nel mistero e nell'incertezza che attornia i personaggi del film, ogni cosa è meritevole di riflessione o rivalutazione. Fra i simbolismi possiamo poi apprezzare l'ironico paradosso fra il desiderio di cancellare di Henry e il suo mestiere di tipografo, dal momento che una gomma da cancellare non potrà mai eliminare l'inchiostro con cui egli ha scritto i suoi errori. Ma se da un lato il protagonista soffre le conseguenze dei suoi sbagli, dall'altro accusa le condizioni di una vita imposta, che non ha voluto, sui cui non ha avuto il tempo di riflettere o alla quale comunque non ha saputo o avuto la forza di opporsi. Questo è ciò che a mio avviso lo porterà a commettere il crimine finale, probabilmente anticipato nella scena del pollo e intuito dalla madre di Mary.
E così Henry, che vive la sua vita in un mondo freddo e distante, dominato da un metallico e terrificante grigiore, non riesce a trovare conforto nemmeno nella sua relazione, nemmeno nella persona che ha amato e che molto probabilmente, in passato, gli ha fatto provare un sentimento di grande felicità e senso di appartenenza. Nella mia personale interpretazione, la ragazza deforme rappresenta l'idea del suicidio, l'unico pensiero che in qualche modo lo conforti. Colto dalla disperazione e dal desiderio di fuga Henry accarezza l'idea diverse volte, subendo anche il truce giudizio dell'uomo-dio sfigurato, ma la concretizza solamente dopo aver ucciso il suo neonato informe, abbracciando infine con fare liberatorio la ragazza.
"In Heaven everything is fine", recita poi la canzone facendogli assaporare la dolcezza della morte, una morte che tuttavia è soltanto una mera via di fuga, un'illusione, una sorta di escapismo. Alla luce di ciò, il messaggio che mi è arrivato è che dobbiamo sempre ponderare le nostre scelte e loro conseguenze: questo perché con le nostre azioni potremmo essere punitivi nei confronti nostri e delle persone che ci vogliono bene. Per quanto spesso ci si possa sentire abbandonati da una società fredda, meccanica e ben lontana dai nostri bisogni e dalla nostra felicità, bisogna sforzarsi di non rinnegare la propria vita, né la propria natura, evitando di lasciarsi travolgere e spersonalizzare dal caos del mondo esterno.
In ricordo del maestro David Lynch (1946-2025).






Nessun commento:
Posta un commento