domenica 1 novembre 2020

Cyborg 009: Recensione

Titolo originale: Cyborg 009
Regia: Takahashi Ryōsuke
Soggetto: Tratto dall'omonimo manga di Ishinomori Shotarou
Character Design: Ashida Toyoo
Musiche: Sugiyama Kouchi
Studio: Toei Animation
Formato: serie televisiva di 50 episodi
Anno di trasmissione:1978
 
 
Ho sempre visto Cyborg 009 come la miglior risposta supereroistica giapponese agli ovvi rivali americani. Sì, certo: superpoteri, superuomini, superdonne. Forse. 
Il tutto non era comunque banale perché, appunto, quest'opera era giapponese: giapponese nel senso di "dopoguerra". Perché sì, come era facile prevedere, i nove supermagnifici sono invero degli orfani disadattati: chi ex teppista delle strade, chi ex guerrigliero ecc. Per non parlare poi del tedesco che aveva visto morire la sua amata attraversando per disperazione il muro di Berlino; o dell'ex attore/macchietta alcoolizzato. Le etnie che compongono questo gruppo di supereroi sono varie: dal Giappone (il protagonista ovviamente è giapponese) all'Africa, passando per l'America, verso cui i giapponesi dell'epoca avevano una certa avversione. I nove, come intesi originariamente da Ishinomori, sono una "oltreumanità" che ha superato, mediante il dolore, le barriere dettate dalle differenze. Certo, non mancheranno screzi tra i membri del gruppo, ma saranno sempre mirati a una simbolica risoluzione. 
 
Questa è una delle mie sigle preferite: un vero gioiello. Il carisma dei personaggi, la fludità delle animazioni per l'epoca, la musica trionfale, il retrogusto malinconico. Ti mette proprio dentro, lì nel mood degli anime anni settanta/inizio ottanta. La ED invece è un bel messaggio pacifista, catartico e consolatorio.

La serie che preferisco è la seconda, quella del 1978, diretta da Takahashi Ryousuke. Nella prima, fin troppo datata, i protagonisti erano intenti a combattere contro l'organizzazione Black Ghost (che simbolicamente rappresenta il male nel cuore degli uomini), che li aveva resi cyborg; in questa invece c'è tutto un mischione tra la Guerra degli Dei (palesemente ispirata al Ciclo dei Giganti di Hogan) e la lotta contro ciò che rimane dei Black Ghost, ossia i Neo-Black Ghost. Dal canto suo, Takahashi, che si sarebbe poi pienamente espresso con capolavori di realismo robotico quali Armored Trooper Votoms e Dougram, ci ha anche messo del suo - innumerevoli, davvero innumerevoli gli scenari di guerriglia nel deserto, talvolta sfiancanti in un mero contesto supereroistico.

 

Questa serie è uno dei grandi lavori dell'anime boom: non di certo ai livelli dei classici di Matsumoto, ma comunque meritevole di attenzione. Inutile dire che il suo punto di forza siano i personaggi, che nonostante il design macchiettistico e volutamente Tezukiano, lasciano sempre e comunque il segno. A partire dal Prof. Gilmore, che fa da figura paterna (non priva di tormenti) alle sue "creazioni", le quali, come accennavo all'inizio, rimangono pur sempre esseri umani legati ai loro rispettivi passati (in fondo è ciò che abbiamo vissuto che determina ciò che siamo ora). 

 

Come negli altri anime del periodo, vi era tutta una metanarrazione scientifica improntata sull'ambivalenza della scienza stessa. Per esempio, anche se dotati di superpoteri e di qualsiasi cosa desiderino (009, ad esempio, va in giro con una sorta di Lamborghini), i supermagnifici soffrono comunque di solitudine, e alla pari di un Casshern a caso, spesso vengono altresì ripudiati da coloro che proteggono. In particolare, la saga degli dei è tutta una satira della religione e del fanatismo, e di come tutto questo porti le masse a compiere atti efferati (tipo dare bambini in pasto ai lupi) per pura paura, inettitudine e codardia. La banalità del male è comune anche al messaggio che vuole trasmettere Ishinomori/Takahashi. E poi non mancheranno gruppi neonazisti, sotterfugi vari, tradimenti di vecchi amici etc.


Tutto quanto detto converge ad un'analisi, di stampo molto Tezukiano, in merito a dove e come l'umanità in se stessa effettivamente pecchi, e di come dovrebbe essere una ipotetica trans-umanità che la superi, in modo tale da eliminare, o quantomeno contenere, il Male. Di certo, a tutto questo si può dare una connotazione ottimistica, volendo pessimistica (sicuramente più plausibile), ma la questione rimane molto spinosa, essendo l'essere umano in balia della complessità. Forse, come accennava Galaxy Express 999, è meglio partire dall'individuo e dal suo percorso di crescita personale; in fondo, anche i Cyborg sono uomini meccanici, ma comunque dotati di Spirito. Può questo Spirito liberarsi dalle grinfie del Male, del Black Ghost, inteso come divisione, frammentazione, sia interna che esterna? Anche tenendo conto del corpo meccanico in cui dimora? Ai posteri (Oshii in primis) l'ardua sentenza.




2 commenti:

  1. Sono d'accordo con te, è un anime che mi sempre affascinato (anche se sono riuscito a seguirlo poco su TMC), sopratutto per il tema degli eroi con profonde ferite personali.

    In effetti è un tipo di storia che rifletteva molto il Giappone dell'epoca e che oggi nelle produzioni attuali si è completamente perso.

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    1. Sì, adoro i Cyborg. Se il manga da 27 volumi non costasse un occhio della testa lo prenderei!

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