mercoledì 9 dicembre 2020

Blue Spring: Recensione

Titolo originale: Aoi Haru
Regia & Sceneggiatura: Toyoda Toshiaki
Soggetto: Tratto dall'omonimo manga di Matsumoto Tayou
Musiche: Thee Michelle Gun Elephant
Formato: film cinematografico
Anno di uscita:2001

 
 Sul tetto di una scuola di ultima categoria, nella periferia di qualche città sperduta del Giappone, si sta decidendo chi sarà il nuovo leader di una gang di violenti ragazzini. Kujo, Aoki, Yukio, Yoshimura e Ota stanno affrontando un rituale che consiste nel battere le mani ripetutamente mentre si è sospesi nel vuoto. Chi batte le mani più volte, rimanendo più tempo staccato dalla ringhiera, sarà il nuovo leader. 

A questo modo, Kujo, battendo le mani sette volte, diventa il boss indiscusso della scuola, dacché i professori sono completamente succubi degli allievi, e, in generale, della legge del più forte. Il suo braccio destro, Aoki, efferato picchiatore, è entusiasta della cosa, e si diletta a organizzare purghe delle bande rivali, che vengono brutalmente pestate a colpi di mazza da baseball. Tuttavia, una volta scoperto che il suo idolo è diventato boss soltanto per noia, rischiando la vita per pura apatia, la gang si sgretolerà, con conseguenze drammatiche. 

Sorvolando sulla regia, che è buona, anche se ogni tanto ha dei cali di qualità tendenti al kitsch, è bene inquadrare questo film, tratto dall'omonimo manga di Matumoto Tayou, come una sorta di opera "intellettuale". Nonostante i cessi sporchi pieni di merda, il cui fetore si sente fin da fuori al televisore, le botte secche, realistiche, e le onnipresenti scritte sui muri, il messaggio che passa è sostanziale. «La gente che sa quel che vuole mi spaventa» dice Kujo, che è il perfetto animale senza regole, il cui spirito anarchico è incoraggiato dall'assenza delle istituzioni (i professori). Il "liberi tutti" sessantottino ha quindi liberato gli adolescenti di qualsivoglia finalità, dacché non sono neanche più in grado di definirsi. Aoi Haru è infatti un dramma adolescenziale, anche se filtrato dalla situazione sociale dei ragazzi delle strade.  Ciononostante, i loro sogni son del tutto infantili, tipo quello che vuole diventare Ultraman e finisce per accoltellare uno yakuza che vorrebbe arruolarlo, o lo stesso Aoki, che voleva fare il pilota. L'aereo è infatti una simbologia ricorrente nel film, e rappresenta un po' i sogni della tenera età, che invero, la maggiorparte delle volte, non possono essere realizzati - tutti guardano all'aereo che passa nel cielo come un qualcosa impossibile da raggiungere, ma che affascina. Se nel sogno americano del fordismo anche un povero, facendo l'operaio, poteva diventare un buon consumatore -la metanarrazione del consumo necessario alla famiglia, la macchina, la lavatrice etc. -, con la disgregazione totale del sociale, e l'estrema spinta del libertarianismo, abbiamo ragazzini intrappolati nella loro dimensione idealistico-infantile, che tuttavia temono la finalità stessa (chi sa cosa vuole, mi fa paura), perseguendo atti efferati ed insensati di violenza (vedo alcune analogie tra questo film e Clockwork Orange, nel quale i bulli bevono il latte come i bambini, anche se in questo caso i ragazzini sono samurai in un contesto di vuoto ideologico e sociale).

 

 Il tema della crescita viene quindi qui decostruito allo stesso modo di altri media novantini giapponesi del periodo, e date le regole ferree del passaggio all'età adulta che sussistono in Giappone, il risultato è  drastico. Violenza, noia, miti costruiti in serie e completa assenza di empatia. Tutto nella norma per il nostro tempo, così come gli scarabocchi sui muri, che invero non sono nient'altro che proiezioni egotistiche prive di alcuna limitazione. Eppure, al di fuori dei muri della scuola, c'è quel mondo brutto e cattivo della yakuza, dei campi della provincia in cui non accade nulla, e in cui non si può far altro che condurre esistenze vuote e solitarie. Ribellione post-punk quindi, certamente. Ma verso cosa, se non c'è neanche una vera autorità contro la quale ribellarsi? Questo disperato risentimento non è forse un atto di violenza verso se stessi, verso il proprio nonsenso interiore? Di certo, come gridavano i Sex Pistols, «There is no future for you». E con questa constatazione, sia il film che il qui presente scritto si concludono.



3 commenti:

  1. Caspita, non conosco né il manga né quest'opera.
    Facciamo una premessa: quando parli di qualche passaggio trash, beh per me è una cosa che succede spesso, con le opere giapponesi. Evidentemente è proprio qualcosa del loro linguaggio cinematografico (o anche narrativo: pensiamo a certe "trovate" sceniche negli anime, che accettiamo in modo naturale solo perché PENSO le abbiamo assorbite da subito e per sempre).

    Tornando all'opera, so che in Giappone queste tematiche (scuola, bande, bullismo, generazioni x perdute) sono molto sentite.
    Infatti penso tu me lo abbia venduto, questo film.
    Ottima rece, as usual^^

    Moz-

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    1. Ciao, grazie per l'apprezzamento. Penso che i passaggi trash in questo film, anche se stridenti (tipo lo stronzo in mano durante una rissa nel cesso) siano voluti, dato che il regista cerca ogni tanto di fare dell'ironia di fondo ad una situazione invero drammatica. Molto probabilmente è la goliardia secca e grottesca di un ex ragazzo delle strade, perché penso che gli autori di quest'opera (mangaka e regista) abbiano in qualche modo vissuto (almeno in parte) quanto narrato. Le riflessioni che ne conseguono, poi, una volta adulti e più consapevoli, sono automatiche.

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    2. Beh, è bello.
      Se raccontano di cose che SANNO, perché vissute, è sempre una figata.
      Lì si crea veramente qualcosa di forte.

      Moz-

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