giovedì 16 maggio 2024

Joséphine, un libro di Jean Rolin


Cazzeggiando al Salone del Libro questo volumetto mi ha trovato, nel senso che alla prima occhiata ho intuito che avrei dovuto a tutti i costi leggerlo. Ho quindi deciso di comprare a scatola chiusa, dodici euro scontati, il tentativo dichiarato di uno scrittore francese misconosciuto in Italia, tale Jean Rolin, di far rivivere la sua amante Joséphine (ossia la moglie tossicodipendente del filosofo Félix Guattari) per mezzo della letteratura. Un tentativo disperato, sofferto, di sconfiggere la morte e il senso di perdita per mezzo dell'arte. Ovviamente è una battaglia persa in partenza: non si può fare altro che sublimare i ricordi (l'opera sembra quasi un vecchio raccoglitore di fotografie sbiadite) e accettare la propria sconfitta. Per questo motivo il libro è l'apice dell'onestà (non credo esistano né un dolore disonesto né una sofferenza menzognera: le ferite sono luoghi di verità). Volendo riassumere, "la ragazza che amavo si faceva di eroina, ma la mia cultura non è stata in grado di salvarla. Io non sono stato in grado di fare nulla". Eppure Joséphine era  tutta vita: nel ritratto cartaceo di Rolin emerge una eterna adolescente un po' abulica, una piccola intellettualoide da salotto dedita a ricercare la gioia nelle piccole cose (il cappello del pigiama a pois simile a quello degli gnomi, l'entusiasmo per gli insetti). Più che una lotta contro la droga, quella di Joséphine sembra quasi una lotta contro il tempo, che lei vorrebbe fermare allo stesso modo di Urashima nel palazzo del Dio Drago. Ma si sa che lo scotto da pagare all'inevitabile apertura della scatola di Otohime è il diventare cenere. 


E quando Joséphine capì che la "gattina" era irrimediabilmente scomparsa, e che tutta l'organizzazione messa in piedi per il suo arrivo era stata vana, ne fu scossa come avevo immaginato, e non certo perché la perdita fosse in sé irreparabile, dato che per comprare un gatto sarebbe bastato andare al Quai de la Mégisserie, ma perché vi vide il segno che tutto ciò che intraprendeva era destinato a fallire. 


Provo a dare una definizione dell'amore: l'amore è la possibilità di dissimularsi in un altro, di dimenticare di esistere (...). [Dal quaderno blu di  Joséphine, citato dall'autore nel libretto]


Le gioie fugaci, gli scherzi, i litigi. Una concezione dell'amore come codipendenza, un fatto fisiologico dato per scontato e del tutto refrattario all'ipocrisia individualista dell'oggidì. Il problema è l'esistenza in sé stessa, la struttura umana di per sé: vivere nei panni di un essere dotato di autocoscienza ma mortale. Tutto sta nel tempo: un essere immortale e autocosciente non avrebbe avuto problemi di sorta nell'affrontare la vita. Oppure un essere mortale ma non cosciente, tipo gli animali. In un dialogo di Antropofagia, il mio libro, una commerciante spagnola di Palma di Maiorca ricorda al protagonista che gli esseri umani stanno a metà tra l'essere dèi e l'essere bestie. Questa frattura è insanabile, non c'è niente da fare, e conduce al vuoto interiore. D'altro canto, tutti i buoni propositi sulla natura dell'essere umano, dal mito del buon selvaggio all'uomo come animale sociale, tutte malformazioni derivanti da un approccio illuministico e cartesiano alla vita, hanno aggravato la situazione, siccome dando per scontata la natura umana hanno delegato all'individuo solitario la propria stessa salvezza (Camus, il titanismo francese, la psicoanalisi, il positivismo stupido hi-tech). Ed ecco che negli elevati ambienti intellettuali parigini, una ragazza ossessionata dalle sue nevrosi semplicemente muore giovane, muore sola. Ciò che Rolin fa leggere tra righe è un qualcosa del tipo "siamo persone intelligenti, ma pur sempre bambini. Andiamo a far compere,  andiamo a vedere la casa di Céline. Se non posso dissolvermi in te e tu non puoi dissolverti in me che senso ha esistere?" E poi lei che saltella in giro come una jeune fille, una sigaretta, si ferma e s'arrabbia. Insomma, l'Être et le Néant. Il problema è sempre lì: come questo nulla lo si affronta. Evidentemente l'esistenzialismo di per sé non basta, così come non bastano il consumo di oggetti, di sapere, di persone. Planet Earth is blue and there's nothing I can do, cantava qualcuno. 

11 commenti:

  1. «Né il gorilla né la divinità sanno che moriranno, solo noi, che siamo a metà strada, tra carne e spirito, tra bene e male, tra sesso e cervello, tra esistenza e inesistenza, abbiamo impressa sulla fronte la sentenza. Solo per noi c’è questo lager di sterminio. Solo per noi, che tessiamo giorno dopo giorno, negli occhi della mente, il futuro, è stata preparata, tramite questo stesso meraviglioso dono, la pena suprema: saremo sterminati, tutti, tutti fino all’ultimo, così com’è certo che il sole sorgerà domani. Non il fatto che questo accadrà è il tormento che ci è stato dato nel nostro inferno quotidiano, poiché anche tutti i cani e gli elefanti, gli eucalipti e i pidocchi, i licheni e i paramei morranno allo stesso modo fino all’ultimo, insieme con gli astri e le galassie e con la sostanza diamantina del nostro mondo, ma la conoscenza del nostro destino comune è il ferro rovente con cui veniamo marcati, direttamente sul cervello, come gli armenti su un fianco, prima dell’esecuzione finale» (Solenoide, M. Cartarescu)

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    1. Non conosco l'opera che mi citi ma ti ringrazio perché fa da complemento al mio post. Lieto che comunque da questo angolino del web passino persone intelligenti. Ciao

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    2. Io ho fatto semplicemente da latore (immagino che “ambasciator non porta pena” sia valido anche nell’accezione opposta), al massimo la persona intelligente è Cartarescu :D grazie a te, comunque, per questa piccola oasi nel mare magnum di internet, che seguo sempre con piacere pur non commentando quasi mai

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  2. "Dis-moi que c'est pur toutjours!" - piangeva una sorellina incestuosa al fratello cinefilo, come lei. "We accept him, one of us!", dopo la re-interpretazione della corsa al Louvre. Ma sono tutte crudeli bugie, perché sono autoinganni condivisi. I "borderline" esistono da prima che il DSM coniasse questo odioso termine. Nerone era così. Ludwig II era così. Si tratta semplicemente di un ego infantile che si è corazzato, grazie al benessere e per colpa di soggettivi micro o macro traumi, in una eternizzazione di fase orale. Eterni bambini, ma sempre infelici, i tristi reucci di castelli diroccati fatti di costrutti totemici di infanzia rimpianta e spregi pseudo vandalistici che sono sempre e solo richiami d'attenzione. Di chi, poi, non si capisce bene. Dopo un po' non resta che la sedazione, da cui l'apoteosi della morte suicidaria fintamente involontaria. Anche i bambini vecchi di Akira erano ottimismo. But no, we have no NewTypes here. Just the same old humans we are, in such a brave new world. Not so new though, not brave at all. Pitiful, that is. Our world, where you either live on the brink of starvation, or die on the verge of overeating. Little boy, fat man.

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    1. Lo aveva capito anche Dino Buzzati. In Un Amore, 1963, la Giuseppina della situazione, Laide, dice: "Sai che cosa ho io? Che sono ancora una bambina ma sono terribilmente femmina".

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  3. Davvero non credo. Anzi il passo citsto mi sembrava ben scritto ma ampolloso e sciocco.

    Forse la coscienza di ciò rende piu intenso il piacere, e più angoscianti i giorni grigi ed insignificanti. Questo forse si.

    Con vari tentativi fallimentari e disperati, che tu ben dicevi, di rendere meno mediocri vite ahime ben tristi. Eppure le uniche date da vivere

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  4. Che fine hai fatto
    Ti sei sistemato
    Che prezzo hai pagato
    Che effetto ti fa
    Vivi ancora in provincia
    Ci pensi ogni tanto alle rane?

    L'ultima volta ti ho visto cambiato
    Bevevi un amaro al bancone del bar
    Perché il tempo ci sfugge
    Ma il segno del tempo rimane

    L'ultima volta che ti ho salutato
    Poi sono scappato nel cesso del bar
    Ed ho pianto sul tempo che fugge
    E su ciò che rimane

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    1. "Solo i tempi erano sbagliati
      potessi riprovare, potessimo rifare...".

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    2. Bella la frase, finira nel prossimo ordine da libraccio.it

      La mia logica cmq era non asciugare lacrime che si sarebbero potute evitare. Diciamo è il freno a mano vs l eccessivo autolesionismo

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    3. Stavo citando una ben nota canzone italiana, non un passo del libro...

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  5. Non la conoscevo, googlando ho visto che è dei pooh quindi suppongo sia effettivamente molto famosa.

    Però scritte in quel modo sembrava attagliarsi al libro, che dalla recensione che hai fatto sembra davvero bello.

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