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sabato 23 agosto 2025

Letture: Mishima, Gadda e altri


In questo periodo della mia vita così privo di emozioni e particolari turbamenti, una sorta di eterno presente à la Beautiful Dreamer, leggo molto. Quest'anno in particolare ho iniziato la temeraria lettura della Recerche di Proust, un gravoso impegno che tuttavia intervallo con letture più "leggere". Qui "recensisco" alcune di esse, in particolare I racconti della maturità di Checov, Il Maestro di Vigevano di Mastronardi, La Cognizione del Dolore di Gadda,  Lo Stadio di Wimbledon di Roberto del Giudice e infine, gran finale, Confessioni di una Maschera di Mishima Yukio. Ovviamente le edizioni che ho letto sono quelle che ho caricato come immagini di corredo al testo (occhio quindi a non comprare la versione tradotta dall'americano del libro di Mishima). Cover Photo (titolo: un abitacolo vuoto) by me. 

martedì 19 agosto 2025

Jakubisko e la morte dell'illusione (by Molly)

  

  


Uccelli, Orfani e Pazzi, titolo della pellicola di Juraj Jakubisko datata 1969, è un'opera che mette in luce il declino dell'animo umano con la follia intrinseca della corrente cinematografica della Nová Vlna. Una follia incisiva, decisiva, che in questo caso fa da tematica portante a quest’ora e venti di film.
I tre protagonisti sono orfani, non solo di genitori, ma anche di qualsivoglia identità sociale. Difatti vivono in un mondo devastato e privo di punti di riferimento, nel quale sono spronati ad andare avanti unicamente in nome della succitata follia.

Ma cos'è esattamente questa follia tanto nominata nel film? 

La follia è una filosofia di vita, schermo protettivo contro l'annichilimento emotivo, la tristezza e la consapevolezza. Una sorta di strategia di sopravvivenza
Yorick, Ondrej e Martha, infatti, rifuggono costantemente nella follia, salvo brevi attimi di perentoria lucidità.

domenica 10 agosto 2025

Ubik: Recensione e interpretazione


Questo è il mio primo approccio a Dick; di fantascienza avevo letto altri libri, cose ben più "classiche" e meno genuinamente postmoderne. Lo scrittore è inutile presentarlo: trattasi di un pezzo grosso della letteratura, e su internet è pieno di saggi e materiale biografico su di lui. La cosa che più mi ha colpito del personaggio, comunque, a parte le conclamate neurodivergenze e dipendenze da sostanze, è stato il trauma, mai risolto in vita, della prematura morte della sorella gemella. La grande prolificità di Dick, quindi, mi puzza molto di "strategia di sopravvivenza" a un dolore primigenio, un po' come quella di Enrico Fermi, che decise di dare tutto sé stesso alla fisica dopo la morte del fratello, o di Michelangelo, che  nelle sue madonne sembrava quasi ricercare il volto della defunta madre (addirittura, quando si trattava di vivisezionare i cadeveri per studiarne l'anatomia, l'artista si rifiutava di toccare i corpi femminili, giusto per non rievocare l'antico trauma). Ergo arte e scienza, così come la religione, sono a loro modo forme di cope, di compensazione psicologica di fronte all'insensatezza della schopenaueriana Wille che muove da dietro le quinte la Vorstellung, o velo di Maya che dir si voglia. Tutto torna quindi in questo Ubik, con le sue metafore gnostiche e filosofiche, i suoi sbalorditivi plot twist che mirano a indagare la natura del tempo, della coscienza, del Male e così via, senza mai giungere a una vera e propria risposta, perché una risposta in realtà non c'è, ma si potrebbe soltanto intuire sperando di attingere un po' di polvere dorata da qualche fugace stato superiore di coscienza. 

domenica 27 luglio 2025

Lilja 4-ever: Riflessioni


Questo film, che ho deciso di visionare dopo un lungo periodo di astinenza dal medium visivo, è stato come una coltellata, e ci ho messo qualche giorno per riprendermi dal trauma (necessario ai fini della consapevolezza, per carità) che mi ha causato. Ovviamente è tratto da una storia vera, ed è girato altresì in modo ruvido, grezzo, in modo tale da svincolarsi dal concetto stesso di finzione. Lilja 4-ever tra l'altro non è nemmeno definibile come intrattenimento, anche se mantiene incollati allo schermo per tutto il tempo. Il regista è svedese, la pellicola datata duemiladue, una buona annata per il cinema in generale. Lilja, interpretata da una fenomenale Oksana Akin'šina, è una sedicenne che viene abbandonata dalla madre e dal patrigno in un paesino sperduto dell'Estonia, un luogo di cattiveria e miseria ancora reduce della caduta dell'Unione Sovietica. Tradita dalla zia, che la caccia di casa, e dalla sua migliore amica, che la fa passare per zoccola al suo posto per salvarsi la faccia, Lilja, una volta ufficialmente diseredata (la madre comunica per lettera ai servizi sociali la rinuncia alla propria patria potestà), si ritrova sola e senza un soldo in compagnia  del giovane amico Volodja, un dodicenne dalla situazione famigliare disastrata che, fortemente innamorato di lei, ne fa una sorta di figura genitoriale sostituto. Per Lilja non resta altro da fare che prostituirsi, e farsi ingannare da quello che sembra essere il suo "principe azzurro". Il resto del film è mera meccanica, ossia una spirale di rabbia, brutalità, dolore e rassegnazione prive di voce, fino all'ovvio, devastante finale. 

domenica 27 aprile 2025

Rivedere Ideon nel 2024


Ho provato a vedermi una serie Netflix a tempo perso: ho resistito un episodio, uno soltanto, poi ho smesso. Ho pensato: "Perché devo sprecare il mio tempo così?" E allora niente, siccome ho da poco rivisto La Rivoluzione Utena, decido di rivedermi anche Space Runaway Ideon, un anime che mi ossessionò non poco durante gli anni universitari. Ideon è austero, duro, un calcio sui denti, un po' come lo erano i laboratori al terzo piano sottoterra della facoltà di fisica di Torino. Le vecchie sale computer vicino all'entrata, le lavagnette, il silenzio e poca gente che vagava assorta nei suoi pensieri. I corridoi claustrofobici, che ai miei occhi presero vita soltanto quando li vidi percorsi dal cammino incerto di una ragazza alta e magra col caschetto, che avevo portato lì in qualità di fidanzata giusto per farle vedere i luoghi della mia solitudine (tra l'altro le scrissi una poesia che finiva con qualcosa del tipo "grazie a te non sono più solo"). Ma  prima di lei, quando il professore spiegava i buchi neri alla lavagna, io nel mentre pensavo al robottone che i buchi neri li creava ad hoc per distruggere i nemici. Ero proprio un otaku, sì, uno di quelli veri. E allora a trentaquattro anni (questo post l'ho scritto l'anno scorso) decido di rivedermi Ideon, e la cosa mi manda inevitabilmente indietro nel tempo. Il mondo è cambiato: la pandemia ha resettato la mia vita precedente, portandomi di fatto in un "mondo nuovo" fatto di persone ancora più sole e alienate di prima; alla pandemia è poi seguita la possibilità di una guerra mondiale atomica, più un genocidio tutt'ora in corso. Tante pecore incapaci di pensare, tanta tecnologia, le imminenti intelligenze artificiali, il potere sempre più  potente e sfacciato, nonché le crescenti difficoltà di riuscire a comunicare col prossimo,  sempre se nella testa del prossimo, effettivamente, ci sia qualcosa di diverso dalla spazzatura (quest'ultimo punto tra l'altro è uno dei temi portanti di Ideon). Insomma, il 2024 è il periodo giusto per rivedersi un anime figlio della guerra fredda, una situazione storica molto simile a quella attuale. Paradossalmente Ideon, pur vantando contenuti tremendamente maturi, è un anime rivolto ai bambini; ma ricordiamoci che era pur sempre il lontano 1980. Ora invece per l'intrattenimento ho come l'impressione che valga la regola opposta: opere tremendamente infantili che hanno come target principale gli adulti. Com'è cambiato il mondo, eh?

sabato 14 dicembre 2024

I pilastri dell'umanità


"Non mi piacciono i ragazzi che si isolano" ha detto una collega ad altri colleghi in una discussione oziosa davanti alla macchinetta del caffè. Ne ho dedotto che per lei le persone devono essere tutte estroverse, altrimenti ciccia. Un'altra collega, una bionda molto bella, si ingobbisce, avvicina gli occhi allo smartphone ed esclama: "Uno da quaranta kappa follower mi segue, è famoso!". Sembra proprio che ci uscirà insieme, chi lo sa. Un altro giorno parlo per caso con un influencer di successo che conosco da una vita per via delle carte di Magic e, seguendo il filo di un discorso, lui a un certo punto mi dice: "Ieri ne ho provata una magra, conosciuta in chat come tante altre. Deludente, non sa scopare". E così via, gli esempi sono infiniti. In tutto ciò ho come l'impressione che la maggiorparte delle femmine adulte selezionino i propri partner sessuali in base al loro grado di coerenza con i dettami sociali prestabiliti; l'accesso al sesso, quindi, il più grande piacere concesso in natura all'uomo, verrebbe elargito, a meno ch'egli non paghi (un sesso più scadente, sicché privo di validazione femminile), in base al suo grado di omologazione sociale, ergo al suo grado di attinenza alla moda del momento. Non per niente le femmine vanno a momenti, a fasi (mi vengono in mente i calendari lunari del matriarcato, basati sul ciclo mestruale). Niente di cui stupirsi, il loro ventre dopotutto è come un orologio che da millenni stabilisce la predisposizione e i tempi di fioritura della vita. Ciò detto, il vuoto dettato dalla noia, d'altro canto, spinge le persone a ricercare maggiormente il sesso, anche con partner diversi: uno scientista direbbe che ciò è necessario alla diversificazione del genoma ("L'infedeltà è figlia dell'istinto naturale // Contribuisce al miglioramento della specie" cantava una volta qualcuno su MTV). Moda e noia sono pertanto due cose fondamentali nella nostra natura: se gli esseri umani fossero tutti asceti refrattari al mondano e perennemente impegnati in attività intellettuali, si riprodurrebbero con una frequenza molto più bassa; d'altro canto più una persona acquisisce conoscenza e diventa consapevole di sé e della vita, più tende a sviluppare una forma di pensiero tendente al nichilismo o al pessimismo, nonché un mindset che induce a comportamenti antisociali (mi viene in mente CHAЯLY, un film molto discusso su questo blog). "Quando andavo al Leoncavallo dovevo farmi piacere musica di merda per poter scopare" mi disse una volta un metallaro diventato finto ska-boy per raccattare un po' di vagina. Luigi Mangione, invece, non potendo più scopare a causa dei chiodi che i medici gli hanno piantato nella colonna vertebrale, legge tantissimo e a un certo punto, un po' come Fantozzi, scopre che il neoliberismo capitalista è una truffa a danno dei più deboli. Si fa una pistola con la stampante 3D nella sua cameretta, una sorta di cripta monacale postmoderna, e va a uccidere un CEO dell'healthcare per la strada. Mi viene quasi il dubbio che la pornografia gratuita sia un modo utilizzato dal potere per prevenire cose come questa, se non rivolte peggiori. Chi lo sa.

lunedì 18 novembre 2024

Trilogia di New York, Nietzsche, Hesse e altre letture autunnali


Questo autunno ho letto e scritto molto. Faccio quindi un post con le recensioni delle mie letture autunnali, ossia un libro di Michel Houellebecq, un libro di Paul Auster, un libro di Herman Hesse, un libro di Friedrich Nietzsche e infine un libro contemporaneo di un'autrice minore. I voti, come nel mio precedente post estivo, sono stati dati in scala da uno a cinque. La foto qua sopra è uno scorcio autunnale di Padova, che nel corso degli anni è rimasta uno dei miei luoghi preferiti.   

sabato 28 settembre 2024

Utena è un anime woke? Ripercorrendo un vecchio capolavoro.


Mi  è capitato da poco di rivedere La Rivoluzione di Utena, un anime che per chi non lo sapesse dà nome, citazioni e grafica a questo blog. Trattasi indubbiamente di una delle serie televisive più importanti della mia vita, nel senso che mi ha fatto (ri)appassionare a questo media quando facevo l'università e mi ha permesso di conoscere il cofondatore di questo blog nonché quella che fu la mia ex, che ne era una grande appassionata (senza Ikuhara Kunihiko a fare da cupido nei miei twenties, molto probabilmente non avrei mai avuto una vita sentimentale). Ciò detto, su questo blog c'è già la ottima recensione di Onizuka90, il cofondatore di cui sopra, uno scritto appartenente a un'epoca passata in cui eravamo più giovani, più ottimisti, vivevamo in un mondo meno "social" di oggi e così via. Ora, a trentaquattro anni, ho voluto fare un esperimento e rivedermi quello che nella nostra nicchia consideravamo il miglior anime di tutti i tempi, un'opera simbolista, filosofica, esoterica, totalizzante e chi più ne ha ne metta. All'epoca la cosiddetta cultura woke non era ancora martellante come nell'oggidì, cosicché, quella che oggi si potrebbe definire come "l'omosessualità di Utena", era  un argomento che nelle discussioni tematiche non veniva quasi mai toccato né considerato. Ora invece, nel duemilaventiquattro, anche alla luce di una nuova leva di animefan che spesso si associano alla cultura woke decifrando Utena in tale ottica (i.e. Utena eroina lgbtq+ che sconfigge il patriarcato rappresentato da Akio e si mette con la mulatta), durante la visione non ho potuto evitare di pormi la fatidica domanda: "Ma non è che l'anime che pensavo fosse una genialata simbolista e allegorica in realtà sia soltanto quello?". Non che ci sia qualcosa di male, sia ben inteso, ma l'anime me lo ricordavo molto più profondo. E infatti, andando avanti con la visione, ho avuto la riconferma che invero Ikuahara voleva andare a parare altrove; e forse questa volta, dico a trentaquattro anni, penso di aver addirittura capito abbastanza chiaramente dove

lunedì 5 agosto 2024

X, il "contenitore dell'umanità". Riflessioni di un lettore.



Non essendo capace (e non avendo nemmeno l'intenzione) di vendermi, di "vendermi bene" come si suol dire, il mio post precedente (di cui questo altro "articolo" è un mero corollario) è stato letto da pochissimi. I commenti pubblici sono stati abbastanza omogenei; tuttavia nel privato mi sono arrivate opinioni abbastanza discordanti: da un lato le solite manfrine liberal progressiste che sono un po' cascate nel mio citazionismo SF e nelle provocazioni; dall'altro invece alcune osservazioni intelligenti e degne nota. In particolare ***, un amico anonimo, ha formulato un punto di vista che riporto qui affinché non vada perduto. La sua premessa è questa: "Tu, AkiraSakura, non conosci Elon Musk, così come non puoi conoscere il futuro del genere umano ecc. Tuttavia è possibile creare un modello della sua psiche interpretandone i primi anni dello sviluppo, perché è lì che si forma la personalità. Bene. Quindi, Elon Musk, essendo nato ricco e diventato ancora più ricco seguendo il suo sogno, bullismo a parte, di fatto è un po' un  bambinone, un otaku ante litteram con una spiccata intelligenza logico-matematica...". 

giovedì 4 luglio 2024

Dino Buzzati, il trauma del tempo e altre riflessioni




Di recente ho letto Quando muori resta a me di Zerocalcare, e mi è sembrato un passo indietro rispetto alla sua seconda serie animata, che mi era parsa molto più onesta e ben scritta. Ormai i due denominatori comuni del fumettista da milioni di copie sono il senso di colpa per il privilegio della propria adolescenza agiata protratta ad libitum nell'età adulta e la solita epica antifà in un occidente che ormai si è fatto post-ideologico (se non post-umano, vedasi l'opera di Walter Siti e di altri prima di lui). La domanda che mi sono fatto è comunque la seguente: perché questo fumettista in ogni sua opera deve inserire l'epica di fasci contro antifasci, di nonni partigiani, delle botte al G8 eccetera eccetera? Anche io ho preso botte a scuola, giravo con le cumpe disagiate delle strade e ho assistito alla venuta delle macerie sociali post governo Monti. Eppure ho affrontato tutto in solitudine, al limite con l'aiuto dei pochissimi a me vicini. L'unica vera dimensione epica (ed edipica) della mia vita è stata  una continua lotta di attrito con i miei fantasmi interiori nonché la Wasteland del mondo esteriore; non me ne è mai fregato niente delle pseudo-narrazioni da centro sociale, di destra o sinistra che fossero: le ho sempre trovate parecchio superficiali, dei simulacri di guerra necessari a chi ha questo bisogno viscerale di definirsi mediante la violenza, sia elargita che subita. Il fascismo degli antifascisti, scriveva non a torto Pasolini. Ebbene sì, questa volta sono rimasto deluso dal fumettista semidio dell'Italia post-umana dei maranza, delle Ilarie Salis al parlamento europeo, delle ragazzine che scrivono "ho sk0pat0" su Threads, della politica che sia a destra che a sinistra si preoccupa di sciocchezze mentre i nostri schiavi d'importazione muoiono mutilati per la strada e la criminalità ha le mani in pasta ovunque (notare che nessun politico, neanche quelli di estrema destra o sinistra parla mai di lotta alla mafia). Con i coglioni diventati grossi così sono quindi passato a Dino Buzzati, un artista  (non scrivo autore perché oltre a scrivere disegna anche da dio) che ho scoperto soltanto di recente. In pratica in una libreria ho visto Un Amore e  il libro, un po' come era accaduto con  Joséphine, mi ha chiamato. 

venerdì 7 giugno 2024

Walter Siti, Craig Thompson, Oshii Mamoru e le tre "T": La cultura può "salvare"? Riflessioni


Ho appena finito di leggere I figli sono finiti di Walter Siti. Lui è un ex professore universitario in pensione, noto soprattutto per essere il curatore dell’opera di Pier Paolo Pasolini in Italia e aver vinto il Premio Strega con Resistere non serve a niente, un romanzo vérité sul marciume della finanza speculativa. Parlando di scrittura,  intelligenza e conoscenza dello scibile umanistico a Siti non gli si può rinfacciare nulla: in un mondo editoriale polarizzato, privo di idee e  succube del politicamente corretto e della tecnologia – ci sono già editori che propongono agli autori di scrivere con l'I.A., così poi avranno più tempo per dedicarsi all'autopromozione sui social media (!) – uno scrittore come Walter Siti, aiutato altresì dall'invulnerabilità conferita dal suo essere vecchio e omosessuale, può facilmente emergere dal conformismo e scrivere  cose scandalose, vere, cupe, impensabili per un autore "normale". Ed ecco arrivare nell'odierno totalitarismo alla Brave New World l'intellettuale che, come tanti altri prima di lui, ci dice che siamo al tramonto dell'umanità, che la condizione umana è un Orrore, che il seme dell'autodistruzione giace minaccioso tra i rintocchi dell'edonismo dei paesi benestanti. Walter Siti è un missile proveniente dal passato che, forse perché ai tempi del premio era ancora il duemilatredici o giù di lì, è riuscito per un attimo a squarciare la monotonia borghese con la puzza sotto al naso dei salotti letterari che contano. Il suo stile di scrittura è a metà strada tra il romanzo confessionale giapponese d'autore e la cripticità dei saggi pasoliniani: con i giapponesi Siti condivide l'attitudine "kamikaze" all'arte, sicché lo scrittore nei suoi romanzi ha il vizio di decostruire se stesso,  di farsi esplodere in diretta, di mettersi a nudo e chissenefrega delle conseguenze. La sua critica sociale è tutta subordinata alla propria stessa auto-immolazione. Prendiamo ad esempio il suo capolavoro, Troppi Paradisi, che in ciò è emblematico: Io sono l'Occidente: sia perché appartengo a quel tipo di omosessuali che hanno fornito il modello dell'Eccessivo come obbiettivo del desiderio, sia perché come individuo singolare e irripetibile tendo a difendermi da ciò che mi ferisce mediante una sua trasposizione in immagine. [...] Sono l'occidente perché odio le emergenze e ho fatto della comodità il mio Dio [...] Sono l'occidente perché detesto i bambini e il futuro non m'interessa. Sono l'Occidente perché godo di un tale benessere che posso occuparmi di sciocchezze [...] 

giovedì 16 maggio 2024

Joséphine, un libro di Jean Rolin


Cazzeggiando al Salone del Libro questo volumetto mi ha trovato, nel senso che alla prima occhiata ho intuito che avrei dovuto a tutti i costi leggerlo. Ho quindi deciso di comprare a scatola chiusa, dodici euro scontati, il tentativo dichiarato di uno scrittore francese misconosciuto in Italia, tale Jean Rolin, di far rivivere la sua amante Joséphine (ossia la moglie tossicodipendente del filosofo Félix Guattari) per mezzo della letteratura. Un tentativo disperato, sofferto, di sconfiggere la morte e il senso di perdita per mezzo dell'arte. Ovviamente è una battaglia persa in partenza: non si può fare altro che sublimare i ricordi (l'opera sembra quasi un vecchio raccoglitore di fotografie sbiadite) e accettare la propria sconfitta. Per questo motivo il libro è l'apice dell'onestà (non credo esistano né un dolore disonesto né una sofferenza menzognera: le ferite sono luoghi di verità). Volendo riassumere, "la ragazza che amavo si faceva di eroina, ma la mia cultura non è stata in grado di salvarla. Io non sono stato in grado di fare nulla". Eppure Joséphine era  tutta vita: nel ritratto cartaceo di Rolin emerge una eterna adolescente un po' abulica, una piccola intellettualoide da salotto dedita a ricercare la gioia nelle piccole cose (il cappello del pigiama a pois simile a quello degli gnomi, l'entusiasmo per gli insetti). Più che una lotta contro la droga, quella di Joséphine sembra quasi una lotta contro il tempo, che lei vorrebbe fermare allo stesso modo di Urashima nel palazzo del Dio Drago. Ma si sa che lo scotto da pagare all'inevitabile apertura della scatola di Otohime è il diventare cenere. 

martedì 9 aprile 2024

Fame Blu, un libro di Viola Di Grado: Riflessioni personali


Premetto che il libro in questione mi è piaciuto. Lo stile dell'autrice (che deve molto ai classici giapponesi), la copertina, l'impaginazione, la scelta della carta... Insomma, non ho alcuna voglia di donarlo alla biblioteca, come spesso faccio con i libri che non mi lasciano niente. La trama narra della relazione omosessuale tra un'insegnante di lingua italiana e una giovane femme fatale cinese, tale Xu. L'incontro avviene a Shangai, che viene abilmente fatta rivivere dalla rodata tecnica della scrittrice. Per quanto cliché, Fame Blu si presenta come una storia di alienazione ben fatta: la protagonista narrante è abulica, in lutto per la morte del fratello e la sovrainformazione della sua nuova città la sommerge, diventando man mano parte di lei. L'esperienza dei rapporti umani, in primis il sesso, si mescola in un tutt'uno a quella del cibo, venendo per di più ostacolata dai limiti linguistici (l'autrice conosce il cinese e utilizza la sua conoscenza per creare incomunicabilità tra i personaggi). L'identità delle due protagoniste, che fanno sesso al mattatoio abbandonato mordendosi a vicenda, è un po' come uno specchio caduto a terra: frammenti dispersi nei quali non si vede altro che se stessi. Il cibo, così come l'amore macabro e tossico, riempiono vuoti compulsivi, ma non curano alcunché. Il tutto, finale a parte (è questa l'unica nota dolente, ma ne parlerò  più avanti) sembra quasi un film di Shin'ya Tsukamoto girato da un punto di vista femminile. Poi c'è il locale notturno amato dalla femme fatale, lo spleen e tutto ciò che vogliamo. Questo libro in un certo senso assomiglia prima parte del mio, anche se io lì raccontavo un amore tossico tra un lui e una lei. Eh sì, la borderline straniera. La modella superfiga che ti fa soffrire. Il/la partner tossico/a che a te, te che sei così debole e insicuro/a, sembra infondere un po' di brivido, un po' di voglia di strisciare a terra, le emozioni forti. Qualcosa di nuovo e di poco noioso. Perché ormai scriviamo tutti storie così?

sabato 13 gennaio 2024

Frivolezza o vittimismo: pesca la tua carta, AkiraSakura


L'utilizzo dei social media per me sta diventando un'esperienza psicologicamente miserabile, tant'è che ho quasi sempre la tentazione di cancellarmi da ogni dove, cosa che tuttavia non posso fare per via del mio "hobby" di scrittore (bisogna tenere d'occhio cosa fa l'editore, bisogna andare dalle book influencer a elemosinare un po' di promozione; c'è gente nel mondo della piccola editoria che ho conosciuto proprio lì, su Instagram, quindi cancellarlo mi precluderebbe alcuni contatti che un giorno potrebbero tornarmi utili). TikTok in particolare è un qualcosa di feroce: ognuno/a cerca di spammare la supercazzola o il meme più grottesco possibile per tentare di diventare virale per qualche minuto; il resto sono flame fatti in modalità video, la fiera dei casi umani, il dissing e il contro-dissing, il minchione che fa le marchette con millemila like e così via. Gente con la faccia spenta scrolla questi microvideo uno dopo l'altro col ditino: sulla metro, per strada, nei bar malfamati, mentre mangia, mentre fa cagare il cane... Insomma, in ogni dove. E lì, sul social cinese, c'è la fiera del solipsismo, un generalizzato "tutti contro tutti" che tende all'infinito, una spirale di trash che di fatto è l'evoluzione maligna della televisione. Ora sono gli sketch a essere venduti, è l'umanità stessa che si vende da sé, basti pensare alla Ferragni che oltre a vendere i pandori scam vende altresì l'immagine di qualsiasi cosa riguardi la sua sfera privata, in primis i figli. Nella televisione quando ero ragazzino c'erano le pubblicità della Mulino Bianco, con la famiglia felice che si mangiava i biscotti; ma ora qualcosa è cambiato. Sembra proprio che qualsiasi cosa possa essere venduta: anche l'omicidio di una ragazzina può diventare un qualcosa su cui fare business (e non soltanto sui social). In tutto questo marasma raccapricciante, comunque, possiamo identificare due categorie di "espressione", se così le vogliamo chiamare: la prima è la frivolezza, la seconda il vittimismo. Che poi, alla fin fine, sono modalità esistenziali infantili. 

martedì 22 agosto 2023

Natsume Sōseki e i suoi libri: una specie di monografia


"L'ombra del bambù // spazza la scala // ma immobile rimane la polvere". 


In questo post parlerò di Natsume Sōseki e "recensirò" i suoi libri. Innanzitutto, chi è Natsume Sōseki? In Italia pochi lo sanno, dato che a scuola non viene insegnata la letteratura giapponese e comunque le elite intellettuali del belpaese capiscono poco o nulla dell'argomento (in Italia vigono le equazioni Giappone = Gardaland e letteratura giapponese = Murakami Haruki + Banana Yoshimoto, quindi è logico che il più grande scrittore giapponese moderno venga perlopiù ignorato o affrontato in modo superficiale). Ma come sono arrivato io, Francesco tal dei tali, a Sōseki? Ci sono arrivato a ritroso, partendo dalla riflessione di Anno Hideaki, il regista di Evangelion. Nella sua opera prima Anno parlava di solitudine nella postmodernità, della difficoltà a definire se stessi in assenza di punti di riferimento sociali e affettivi, nonché del vuoto interiore che da tutto ciò derivava. Scavando poi nel pensiero e nell'opera dell'autore, sono quindi pervenuto a Love & Pop, che altro non è che l'adattamento filmico di TopazII, un romanzo di Murakami Ryuu (da non confondere con Murakami Haruki, che fa libri giocattolo a mio avviso privi di spessore intellettuale, da qui forse la ragione della sua fama in occidente). Ciò premesso, Murakami Ryuu è lo scrittore preferito di Anno Hideaki e pertanto il suo intellettuale di riferimento: tutto ciò che c'è di sociologicamente o psicologicamente elevato in Evangelion c'è anche nelle opere di Murakami Ryuu, e infatti, non per nulla, l'apice registico di Anno è l'adattamento diretto di un suo libro. A Murakami Ryuu tra l'altro si deve anche parte del successo di Evangelion in patria: fu proprio lui a capire immediatamente le potenzialità dell'opera e a parlarne bene nei suoi editoriali, contribuendo così ad alimentarne il mito. Partendo dall'animazione e passando per il cinema, siamo quindi giunti nel campo della letteratura giapponese. Dotato di un talento fenomenale e di uno sguardo disilluso e onesto nei confronti della società della Baburu, nonché della crisi che era conseguita dallo scoppio di questa bolla finanziaria che arricchì a dismisura il Giappone degli anni ottanta, con il suo romanzo d'esordio, Blu quasi infinitamente trasparente, Murakami Ryuu vinse il premio letterario più prestigioso del Giappone, il premio Akutagawa, e si sa che le raccomandazioni e il politically correct lì non contavano (e tutt'ora non contano). Il romanzo infatti, allo stesso modo di Evangelion, creò un certo scandalo e spaccò in due l'opinione pubblica. Murakami Ryuu e Anno Hideaki avevano colpito nel segno, additando i problemi di una società piena di contraddizioni e quantomai succube di un'occidentalizzazione più subita che assimilata. In pratica fecero la stessa cosa che fece Sōseki a suo tempo. Siamo quindi partiti da Evangelion, opera pop abbastanza conosciuta (e ancora a suo modo attuale) e siamo arrivati all'origine della letteratura giapponese moderna, ossia al protagonista di questa specie di monografia. 

venerdì 19 maggio 2023

Sette consigli del tutto disinteressati

 Ulrico e Lena, by Diletta Pasquini

Ogni tanto capita che qualcuno mi scriva in privato per parlarmi di cose della sua vita e per chiedermi consigli, cosa che non mi stupisce affatto. È infatti ormai chiaro che io non faccio propriamente parte del "mondo nerd", né del giro degli "anime fan", ecc. La mia vita è stata troppo eterogenea per questo tipo di etichette. E d'altro canto anche questo spazio non è mai stato monotematico, a parte nella sua fase d'incertezza iniziale. A parer mio, l'atteggiamento monomaniacale verso una determinata cosa è il modo migliore per mettere sé stessi in moratoria e annoiare il prossimo, annullando le proprie possibilità di crescita. Il consumismo vuole proprio questo, così che la gente compri e non si faccia domande; lo spirito invece necessita di quanti più stimoli e impressioni possibili. Cosa intendo per spirito? Per spirito intendo la cristallizzazione del linguaggio che in qualche modo è sedimentato in noi. "In principio era il verbo" è una verità tanto iconica quanto scontata e di facile comprensione: il linguaggio è ciò che ci distingue dalle bestie. Leggere, scrivere, imparare a suonare uno strumento e a leggere la musica, imparare la matematica (che alla fin fine è un linguaggio), imparare una nuova lingua, imparare l'Arte, ecc. sono tutti modi di fornire cibo al proprio spirito. Non sorprende pertanto che il capitalismo contemporaneo stia facendo di tutto per far diventare la gente analfabeta e mentalmente pigra, facendo leva sulla parte più animale dell'uomo, che equivale appunto alla parte più analfabeta. Tutte le riforme politiche volte alla distruzione dello Stato, dell'istruzione, dell'Arte e della ricerca sono lapalissiane. Fatto salvo ciò, in questo post lascio alcuni appunti in merito ad alcune pratiche di vita che reputo salutari per l'uomo contemporaneo. Ovviamente nessuno è obbligato a seguirle dato che provengono dalla mia soggettività, che è diversa da quella di tutti gli altri. Il mio scopo è fornire spunti, non dettare leggi. 

mercoledì 17 maggio 2023

Il Cielo sopra Berlino: Recensione

 

Mi sono interessato a questo film per via del carisma dell'immagine di copertina, l'angelo triste che osserva la Berlino degli anni ottanta dall'alto. Penso che sia un film abbastanza noioso, ma tutto sommato ha un suo significato ben preciso, che penso sia sfuggito alla maggiorparte della critica specializzata, che lo inquadra come un semplice film storico e politico. Il cielo sopra Berlino è in primis un film tedesco, tedesco nei suoi strati più reconditi, sia nella sua malinconia romantica che nel suo significato umanistico. Non per nulla l'ho visto in lingua originale e con i sottotitoli. La storia è semplice: un angelo si innamora di una trapezista, di una femmina umana, e decide di rinunziare alla propria immortalità per farla sua. Rinunzierà quindi alla sua rappresentazione onnisciente del mondo per entrare nel dominio della vita per la vita, il dominio del tempo e dell'impermanenza delle cose. Già qui c'è un po' di Schopenauer, più precisamente Die Welt als Wille und Vorstellung : l'angelo, l'elemento maschile (tutti gli angeli del film sono maschi) è la rappresentazione del mondo, la femmina umana, la trapezista del circo della vita, la voglia di vivere. 

giovedì 6 aprile 2023

La vera origine del complottismo


Ho tenuto la "conferenza" su Gurdjieff  un po' controvoglia, se devo essere sincero. Fatto sta che l'ho comunque tenuta. La sostanza di ciò che ho detto era più o meno la seguente: 1) questo tipo di insegnamenti non sono roba per tutti, è necessario essere abbastanza feriti dalla vita per riuscire a introiettarli; 2) siamo bestie, ma possiamo essere qualcosa di più esercitando la nostra coscienza e tenendo sotto controllo il corpo; 3) la società in cui viviamo privilegia soltanto la bestia che è in noi sminuendo del tutto lo spirito, quindi il lavoro da fare è difficile e bisogna andare controcorrente. 

martedì 28 febbraio 2023

オカエリナサイ ~ C H A Я LY

Mentre scrivevo il mio secondo adattamento di Shinseiki Evangelion, poiché quella seconda volta dovetti infine, e finalmente, scrivere anche l'adattamento dell'originale conclusione cinematografica della serie televisiva, recuperai anche la versione giapponese del film statunitense CHAЯLY, che si intitola まごころを君に. Dunque per qualcuno sarà ora evidente perché dovessi recuperarlo, e recuperarla. Ma quando ancora avevo soltanto capito che quello era il titolo giapponese del film, non del racconto né del libro originali (entrambi intitolati Flowers for Algernon, in giapponese アルジャーノンに花束を), ancora mi chiedevo il senso del titolo cinematografico inventato dai distributori giapponesi. Poi vedendo il film (originale, in americano) lo capii, quel senso.


"They say to love is to let go." – era lo slogan originale della pellicola in questione, che rispetto al testo letterario da cui è derivata sposta molto il fuoco della narrazione sul rapporto relazionale, interpersonale e sentimentale dei due protagonisti (no, non il topo). Mi mancava ancora di reperire il film in giapponese, però. Per completare il quadro. Beh, poi l'ho trovato e studiato. In fondo, nel suo anno – a parte la vittoria di un a mio dire meritato Oscar – quel film era stato in lizza anche per il premio Hugo, poi vinto a mani basse da 2001 ASO – ma che sincronie, eh? Era il 1968, e poi venne il '69, l'anno dello sbarco dell'uomo sulla Luna, opinabilmente reale (c'è chi dice che il regista di quest'altro film fu lo stesso di quello, però). Un anno dopo ancora ci fu Osaka70, con le rocce lunari nel padiglione americano, e le file interminabili di bimbi giapponesi per vederle. Sappiamo che in fila c'erano anche certi volti poi divenuti noti in età un po' più adulta...

Bellezza: Recensione


Bellezza è un fumetto scritto da Hubert Boulard e illustrato dai Kerascoët (pseudonimo della coppia di disegnatori Sébastien Cosset e Marie Pommepuy). E' costituito da un unico volume di pregio edito da Bao Publishing. In soldoni trattasi di una fiabesca, volendo Shakesperiana riflessione sulla condizione femminile in generale. La protagonista, Baccalà, viene sfottuta da tutti nel suo paesello, in quanto brutta e puzzolente come un pesce. Un giorno, una sua lacrima di compassione nei confronti di un rospo brutto come lei le permette di rompere l'incantesimo che imprigiona la fata Mab, che per ricambiarla le offre, tramite un sortilegio, il potere di apparire bellissima agli occhi altrui. Baccalà si ribattezza quindi Bellezza e compie l'agognata, vendicativa scalata sociale, riuscendo infine a conquistare il principe del regno. Ma non andrà tutto come previsto, sicché gli uomini, accecati dalla passione per la bellezza illusoria della protagonista, si comporteranno in modo completamente irrazionale...