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sabato 14 dicembre 2024

I pilastri dell'umanità


"Non mi piacciono i ragazzi che si isolano" ha detto una collega ad altri colleghi in una discussione oziosa davanti alla macchinetta del caffè. Ne ho dedotto che per lei le persone devono essere tutte estroverse, altrimenti ciccia. Un'altra collega, una bionda molto bella, si ingobbisce, avvicina gli occhi allo smartphone ed esclama: "Uno da quaranta kappa follower mi segue, è famoso!". Sembra proprio che ci uscirà insieme, chi lo sa. Un altro giorno parlo per caso con un influencer di successo che conosco da una vita per via delle carte di Magic e, seguendo il filo di un discorso, lui a un certo punto mi dice: "Ieri ne ho provata una magra, conosciuta in chat come tante altre. Deludente, non sa scopare". E così via, gli esempi sono infiniti. In tutto ciò ho come l'impressione che la maggiorparte delle femmine adulte selezionino i propri partner sessuali in base al loro grado di coerenza con i dettami sociali prestabiliti; l'accesso al sesso, quindi, il più grande piacere concesso in natura all'uomo, verrebbe elargito, a meno ch'egli non paghi (un sesso più scadente, sicché privo di validazione femminile), in base al suo grado di omologazione sociale, ergo al suo grado di attinenza alla moda del momento. Non per niente le femmine vanno a momenti, a fasi (mi vengono in mente i calendari lunari del matriarcato, basati sul ciclo mestruale). Niente di cui stupirsi, il loro ventre dopotutto è come un orologio che da millenni stabilisce la predisposizione e i tempi di fioritura della vita. Ciò detto, il vuoto dettato dalla noia, d'altro canto, spinge le persone a ricercare maggiormente il sesso, anche con partner diversi: uno scientista direbbe che ciò è necessario alla diversificazione del genoma ("L'infedeltà è figlia dell'istinto naturale // Contribuisce al miglioramento della specie" cantava una volta qualcuno su MTV). Moda e noia sono pertanto due cose fondamentali nella nostra natura: se gli esseri umani fossero tutti asceti refrattari al mondano e perennemente impegnati in attività intellettuali, si riprodurrebbero con una frequenza molto più bassa; d'altro canto più una persona acquisisce conoscenza e diventa consapevole di sé e della vita, più tende a sviluppare una forma di pensiero tendente al nichilismo o al pessimismo, nonché un mindset che induce a comportamenti antisociali (mi viene in mente CHAЯLY, un film molto discusso su questo blog). "Quando andavo al Leoncavallo dovevo farmi piacere musica di merda per poter scopare" mi disse una volta un metallaro diventato finto ska-boy per raccattare un po' di vagina. Luigi Mangione, invece, non potendo più scopare a causa dei chiodi che i medici gli hanno piantato nella colonna vertebrale, legge tantissimo e a un certo punto, un po' come Fantozzi, scopre che il neoliberismo capitalista è una truffa a danno dei più deboli. Si fa una pistola con la stampante 3D nella sua cameretta, una sorta di cripta monacale postmoderna, e va a uccidere un CEO dell'healthcare per la strada. Mi viene quasi il dubbio che la pornografia gratuita sia un modo utilizzato dal potere per prevenire cose come questa, se non rivolte peggiori. Chi lo sa.

giovedì 16 maggio 2024

Joséphine, un libro di Jean Rolin


Cazzeggiando al Salone del Libro questo volumetto mi ha trovato, nel senso che alla prima occhiata ho intuito che avrei dovuto a tutti i costi leggerlo. Ho quindi deciso di comprare a scatola chiusa, dodici euro scontati, il tentativo dichiarato di uno scrittore francese misconosciuto in Italia, tale Jean Rolin, di far rivivere la sua amante Joséphine (ossia la moglie tossicodipendente del filosofo Félix Guattari) per mezzo della letteratura. Un tentativo disperato, sofferto, di sconfiggere la morte e il senso di perdita per mezzo dell'arte. Ovviamente è una battaglia persa in partenza: non si può fare altro che sublimare i ricordi (l'opera sembra quasi un vecchio raccoglitore di fotografie sbiadite) e accettare la propria sconfitta. Per questo motivo il libro è l'apice dell'onestà (non credo esistano né un dolore disonesto né una sofferenza menzognera: le ferite sono luoghi di verità). Volendo riassumere, "la ragazza che amavo si faceva di eroina, ma la mia cultura non è stata in grado di salvarla. Io non sono stato in grado di fare nulla". Eppure Joséphine era  tutta vita: nel ritratto cartaceo di Rolin emerge una eterna adolescente un po' abulica, una piccola intellettualoide da salotto dedita a ricercare la gioia nelle piccole cose (il cappello del pigiama a pois simile a quello degli gnomi, l'entusiasmo per gli insetti). Più che una lotta contro la droga, quella di Joséphine sembra quasi una lotta contro il tempo, che lei vorrebbe fermare allo stesso modo di Urashima nel palazzo del Dio Drago. Ma si sa che lo scotto da pagare all'inevitabile apertura della scatola di Otohime è il diventare cenere. 

domenica 13 agosto 2023

Dogville: Recensione



Dogville è un film del 2003 diretto da Lars Von Trier, un regista di cui avevo già sentito parlare ma che non ho mai mai approcciato per puro disinteresse. Detto questo, di recente ho chiesto a un'amica esperta di cinema di consigliarmi un film, e  uno soltanto: considerando il suo bagaglio conoscitivo, tra un'infinità di titoli che ha visionato, ha scelto proprio questo. La sua scelta, dato che lo sto recensendo, direi che è stata azzeccata. Nonostante nel film appaiano attori americani e il regista nonché sceneggiatore e soggettista sia danese, di fatto Dogville è un film tedesco nella sostanza, tant'è che assomiglia a certe pièce teatrali di Bertolt Brecht. Non è un film breve (dura quasi tre ore) e lo sconsiglio alle anime belle a causa della sua "violenza filosofica" (e in ciò si avvicina molto ai manga di Mohiro Kitoh, che guardacaso è giapponese). In questo post ne stendo una breve analisi. 

martedì 21 marzo 2023

Viaggio al Termine della Notte: Retrospettiva

Louis Ferdinand Céline me lo aveva fatto conoscere il poeta Sergio Bertolino durante i miei anni universitari, in cui suonavo con lui in un gruppo prog rock caratterizzato dalla voce potente e melodica della talentuosa Gemma Conforti, la sua fidanzata di allora (che oggigiorno ha inciso un disco solista e vanta un meritato seguito). Prima di conoscere Sergio (una delle tante figure di passaggio della mia vita) per me l'esistenzialismo era soltanto Moby Dick, e nient'altro (e no, gli anime, anche i migliori, non possono competere con la letteratura). Grazie a lui poi ho conosciuto quello francese: il maniaco pedofilo Sartre, a me indigesto; l'asciutto Camus e infine colui il quale ho amato di più, a cui voglio dedicare questo post. Per me Voyage au bout de la nuit è un capolavoro, giusto un gradino sotto Moby Dick. Nel corso degli anni l'ho riletto tre volte, due intorno ai vent'anni, la terza qualche mese fa. Ai tempi delle prime due letture l'avevo fatto leggere anche ad alcuni ex-amici delle strade, che contrariamente a me non avevano un'istruzione. Lo amarono e lo finirono in poco tempo, discutendone animosamente tra di loro e con me. Perché? Perché è un romanzo onesto, grezzo, schietto: dice che l'uomo è merda, e merda rimarrà sempre, anche se sotto sotto l'autore, essendo francese, vorrebbe che fosse qualcosa di più (un po' come me, in fin dei conti: sono piemontese e la mia terra natale non dista molto dalla Francia). Da qui la sua delusione, in cui mi ci sono sempre ritrovato. Céline non è tipo un Akutagawa, che è nichilista al 100% e tutta la sua letteratura è permeata da un sincero alone di morte (e infatti lo scrittore giapponese è ricordato più che altro per il suo suicidio). Contrariamente a lui Céline è nichilista, sì, ma pieno di vita e di amore per la vita. Un idealista tradito insomma, tant'è che prima di essere uno scrittore era un medico per i poveri (e il più delle volte non si faceva neanche pagare le visite). 

sabato 26 novembre 2022

Gris: Recensione

 Sviluppatore: Nomada Studio
Piattaforma: PC (Windows, Mac), Nintendo Switch, PS4, Android
Soggetto & Disegni: Conrad Roset
 Musica: Berinist
  Durata: 4 ore di gioco circa
     Anno di uscita: 2018



Gris è un piccolo capolavoro e questo non si discute. Lo presi su Steam anni fa per la mia ex, ma poi mi lasciò e il gioco mi rimase lì sul pc, inerte e ignorato. Soltanto una settimana fa ho deciso di giocarci (l'ultimo videogioco che ho "preso in mano" è stato OFF, un altro indie). Ciò detto,  Gris è un platform dallo stile simbolico e surreale, non per nulla ideato da un pittore catalano, tale Conrad Roset. Un artista vero, fuori dal comune, che nei suoi dipinti traspone quella spiritualità carnale e passionale tipica della Catalogna (e qui mi viene in mente ciò che diceva Dalì in merito alla sua terra). Ma Gris non è un gioco erotico: è un gioco psicologico. Il grigio è il colore della depressione, del nonsenso derivante dalla perdita; e ogni livello del gioco è associato a un determinato colore/emozione. La storia inizia con la protagonista che viene tenuta su dalla mano di una statua femminile, forse la madre, forse la compagna, forse se stessa. Ma ad un certo punto, questa statua si sgretola: il punto di appoggio non c'è più. Come uno squarcio nell'abisso si fa strada il senso di perdita, la mancanza, la frammentazione, la crisi. Quando il giocatore prende il controllo della protagonista, lei a malapena ce la fa a camminare. E andando avanti con i livelli acquisirà sempre più abilità, ciascuna legata a un determinato stato del disagio esistenziale, fino alla guarigione (si parte dalla rabbia, tradotta nella capacità di trasformarsi in un macigno in grado di frantumare i sassi, al canto salvifico, perché l'unica vera cura alla "malattia mortale" del vivere è l'arte).