venerdì 7 giugno 2024

Walter Siti, Craig Thompson, Oshii Mamoru e le tre "T": La cultura può "salvare"? Riflessioni


Ho appena finito di leggere I figli sono finiti di Walter Siti. Lui è un ex professore universitario in pensione, noto soprattutto per essere il curatore dell’opera di Pier Paolo Pasolini in Italia e aver vinto il Premio Strega con Resistere non serve a niente, un romanzo vérité sul marciume della finanza speculativa. Parlando di scrittura,  intelligenza e conoscenza dello scibile umanistico a Siti non gli si può rinfacciare nulla: in un mondo editoriale polarizzato, privo di idee e  succube del politicamente corretto e della tecnologia – ci sono già editori che propongono agli autori di scrivere con l'I.A., così poi avranno più tempo per dedicarsi all'autopromozione sui social media (!) – uno scrittore come Walter Siti, aiutato altresì dall'invulnerabilità conferita dal suo essere vecchio e omosessuale, può facilmente emergere dal conformismo e scrivere  cose scandalose, vere, cupe, impensabili per un autore "normale". Ed ecco arrivare nell'odierno totalitarismo alla Brave New World l'intellettuale che, come tanti altri prima di lui, ci dice che siamo al tramonto dell'umanità, che la condizione umana è un Orrore, che il seme dell'autodistruzione giace minaccioso tra i rintocchi dell'edonismo dei paesi benestanti. Walter Siti è un missile proveniente dal passato che, forse perché ai tempi del premio era ancora il duemilatredici o giù di lì, è riuscito per un attimo a squarciare la monotonia borghese con la puzza sotto al naso dei salotti letterari che contano. Il suo stile di scrittura è a metà strada tra il romanzo confessionale giapponese d'autore e la cripticità dei saggi pasoliniani: con i giapponesi Siti condivide l'attitudine "kamikaze" all'arte, sicché lo scrittore nei suoi romanzi ha il vizio di decostruire se stesso,  di farsi esplodere in diretta, di mettersi a nudo e chissenefrega delle conseguenze. La sua critica sociale è tutta subordinata alla propria stessa auto-immolazione. Prendiamo ad esempio il suo capolavoro, Troppi Paradisi, che in ciò è emblematico: Io sono l'Occidente: sia perché appartengo a quel tipo di omosessuali che hanno fornito il modello dell'Eccessivo come obbiettivo del desiderio, sia perché come individuo singolare e irripetibile tendo a difendermi da ciò che mi ferisce mediante una sua trasposizione in immagine. [...] Sono l'occidente perché odio le emergenze e ho fatto della comodità il mio Dio [...] Sono l'occidente perché detesto i bambini e il futuro non m'interessa. Sono l'Occidente perché godo di un tale benessere che posso occuparmi di sciocchezze [...] 



Il suddetto libro era del lontano duemilasei; I figli sono finiti, pubblicato con Rizzoli qualche mese fa, altro non è che il suo aggiornamento. Entrambi sono libri sulla cosiddetta "fine dell'esperienza umana" (nel primo viene esaminato il mondo televisivo, nel secondo quello dei social media e dell'hi-tech). A livello d'impostazione concettualmente sembrano quasi due Patlabor 2 con i culturisti, Pasolini e una certa aggressivo-passività di sottofondo. Quello più profondo a mio parere è quello più recente, sicché viene messa in primo piano la questione della disgregazione della famiglia, degli affetti e della conseguente disumanizzazione di questi "figli che sono finiti". Il passaggio seguente parla da sé (Gloria e Piero sono i genitori di Astore, lo zoomer protagonista della storia): Astore si allontana dalla porta, convinto che se il cuore umano è così pieno di ipocrisie, di menzogne, di ragioni che si trasformano in torti e viceversa, la soluzione è mettersi un computer al posto del cuore. C'è mai stato un giorno in cui papà e mamma sono stati felici? Forse all'inizio, quando io non c'ero o ero così piccolo da essere un semplice animaletto. "Allora muori" non è una frase che Gloria ha detto a Piero, sono le macchine insensibili che lo dicono alla psicologia. La madre di Astore, un po' come tutte le madri messe in scena da Siti, è una demente cannibalizzata dal consumismo di massa: "I figli sono finiti" significa che le madri non sono più madri, e che quindi, tasso di natalità ridicolo a parte, l'occidente di fatto è matricida e infanticida (qual è tra  l'altro il suo più grande alleato in medio-oriente? E cosa sta facendo?). Pasolini avrebbe detto che il femminismo altro non è che un'invenzione propagandata dagli industriali per distruggere il matriarcato naturale, un modo di non rendere la donna "madre" ma consumatore (uso appositamente il termine maschile) e forza lavoro al tempo stesso. Il punto a cui è voluto arrivare Siti con il suo testamento spirituale mi è sembrato proprio questo. Il sesso umiliante è una garanzia contro l'appiccicoso dell'amore: i cazzi che inghiotte appartengono a maschi che è facile sputare, essere bitch 2.0 equivale a essere vergini... scrive l'autore in merito alla solita ragazzina borderline della movida milanese (Astore ovviamente rimarrà solo: non è riuscito ad adattarsi a questo tipo di femmine, a questo tipo di società). Il passo successivo all'uccisione delle potenziali madri, che tra l'altro sono quelle che per natura insegnano ai figlioletti l'empatia, è la transizione completa nel Mondo Nuovo: Che cosa vuoi che contino ormai i "legami affettivi" o le  congiunzioni più fantasiose tra ogni variante di sessi? E le trentaquattro guerre  in giro per il mondo? Se si arriverà a sfruttare le risorse  minerarie della luna (tantalio, allio, rodio più che in africa e in Cina), ci saranno metalli rari a disposizione di tutti. Le emozioni libidiche si potranno vivere mediante stimolazioni elettriche, senza intervento di pene o vulva. Il sentore dell'autore per l'imminente fine dell'umano, che è conseguenza come accennavo della fine dell'esperienza umana, si contorce su di sé pagina per pagina, perché lo scrittore di fatto sa di essere privilegiato e impotente al tempo stesso, ci soffre pure e maschera la sua sofferenza con una certa dose di sarcasmo. A inserire i dati sono dei nerd tremebondi... adesso sembra che la AI sia prigioniera del woke, ma sembra soltanto... invece lo supererà rendendolo inutile, col postumano spariranno le distinzioni. 



Allo stesso modo dell'occidente che uccide le madri, lo stesso Siti, nella postfazione de La Natura è Innocente (un romanzo che per l'appunto narra la storia reale di un matricida siciliano diventato poi caso di cronaca), scrive:  Siccome consideravo mia madre colpevole di avermi trattenuto troppo a lungo nel forno, accusavo la Natura di colpe che non le appartengono. Sono entrato nel corpo di infiniti culturisti pur di rinnegare la gestazione. [...] Mia madre non ha mai fatto scenate per gli uomini nudi che trovava tra i miei libri e per i miei vizi sessuali, non ho mai dovuto tapparle la bocca con le mani per impedirle quelle parole che avrebbero dato soddisfazione agli infami; ma ogni volta che sottomettevo un bodybuilder, assecondando le mie ossessioni, profanavo lei  – l'orgia era un modo per allontanarmi da lei, senza accorgermi che così  facendo ogni volta la convocavo in un rito. 

In questo caso scrivere del matricida diventa quindi una modalità di autoanalisi dell'autore: la madre è  il Tempo, è la Vita, è l'incarnazione della Natura e per il bambino è come Dio. L'occidente vuole quindi uccidere le madri perché non accetta più l'esistenza del tempo, che è un elemento tutto femminile – è troppo debole per farlo, troppo debole per ergersi dal monopolio dell'Orrore, per ripercorrere il principium individuationis junghiano, per soffocare la propria intima spinta al Male, che altro non è che la pulsione di morte e autodistruzione, il sonno meccanico ad occhi aperti di cui Gurdjieff, la frammentazione dell'Io a causa del troppo piacere, la scarsa capacità a metabolizzare il Dolore. Non per niente Siti scrive quasi sempre di re-infantilizzazione: Astore alla fin fine è un hikikomori; il culturista borderline della borgata altro non è che un bambinone; c'è anche Bruciare Tutto, un libro nel quale il protagonista, un prete pedofilo,  ripercorre il solito mito di Urashima Tarou (che è ben noto ai pochi che frequentano questo blog). In pratica l'otaku in abito talare possiede l'amante bambino nonché compagno di giochi, si crogiola in un mondo di infinita adolescenza à la Beautiful Dreamer e poi, arrivato il sentore dell'Orrore, si dà fuoco (ops, la scatoletta di Otohime, per gli intenditori la camera del Guf, è stata aperta: il problema dell'essere umano è sempre lo stesso, cambiano soltanto le perversioni). Essere contenti per quel che ci rovinerà è una delle contraddizioni che aiutano a vivere, no?



Il weekend del 25-26 maggio ero a Cassino a cazzeggiare con amici. Eravamo seduti al tavolo di un baretto e a un certo punto il discorso è virato sui "veri intellettuali" dell'animazione giapponese, ossia la sacra triade, le tre "T": Tezuka Osamu, Tomino Yoshiyuki e Takahata Isao. Ma perché secondo noi loro erano "veri intellettuali" e uno come Oshii Mamoru, ad esempio, non lo era? Eppure tutti e quattro erano giunti a mirabili considerazioni filosofiche e sociologiche; tutti e quattro erano arrivati a capire, soprattutto vivendo (un eccesso di cultura è a mio avviso inutile), che in fondo Schopenauer e Leopardi avevano ragione, che una volta acquisito un certo livello di consapevolezza la condizione umana appare come un incubo, il famoso Orrore di cui sopra. Last but not least, udite, udite, la vita è ingiustamente subordinata alla fortuna (Carl Orff, Carmina Burana, i poemi medievali: siamo sempre lì). La coscienza data a un essere mortale è invero una crudeltà innocente della Natura; il Tempo è tiranno, la specie  umana tende all'autodistruzione perché è più facile cedere al Male che fare il Bene (il Bene richiede la sconfitta dell'ego e del solipsismo, quindi è innaturale per l'uomo) e così via. Ciò premesso, il fatto è che Tezuka, Tomino e Takahata (ricordo che tutti e tre avevano vissuto, sebbene in modi diversi, le atrocità della guerra), raggiunta questa forma di illuminazione – minchia rega la vita è lammerda! Siamo irrilevanti nel cosmo e dobbiamo soffrire e morire! I nostri cari  ci lasceranno o moriranno davanti ai nostri occhi! –  avevano deciso di diventare narratori per l'infanzia. Nel senso che, tramite questo cartone animato, a te, bambino (un cervello più recettivo e in divenire di un adulto), provo a fornire degli strumenti che in futuro ti serviranno a soffrire di meno. E, soprattutto, ad aiutare gli altri a soffrire di meno. In fondo è questo il vero scopo delle religioni, no?  Lasciate che i bambini vengano da me; non glielo vietate, perché il regno di Dio è di chi è come loro. In verità io vi dico che chiunque non avrà ricevuto il regno di Dio come un bambino, non vi entrerà affatto... 



Oshii, invece, dal canto suo, contrariamente alle tre "T" di cui sopra, ci ha dato l'impressione di essere rimasto shockato dalla sua stessa consapevolezza, rimanendo sterile e incapace all'azione (ossia fare qualcosa di buono per il prossimo tramite la propria arte). Una mia amica, a un certo punto della discussione – le avevo molto parlato de I figli sono Finiti –, mi  aveva fatto notare: "Oshii è proprio come Walter Siti". L'odio per la specie umana (mi vengono in mente i rant di Siti nella postfazione de La Natura è Innocente), che poi in fondo è una forma di solipsismo (e in questo Oshii è un maestro), la presa in atto dell'assurdità del mondo contemporaneo, la presa di coscienza della propria impotenza e dell'impossibilità di rinunziare alla tanto criticata tecnica, che siamo tutti d'accordo essere umanicida e planeticida – Motoko Kasunagi che si fonde con la macchina e il Siti letterario che nel finale di Troppi Paradisi si fa innestare il cazzo bionico per sconfiggere l'impotenza e potersi finalmente scopare il culturista borderline. Le tematiche sono sempre le stesse: Heidegger, Sartre, Eco e infiniti altri nomi. C'è tantissima carta stampata, ci sono università e biblioteche ricolme di sovrastrutture, ma tutte queste cattedrali, scienza e religione incluse,  sono costruite su un unico basamento: il trauma di essere umani. C'è chi scrive (come Siti) che la cultura non può salvare dalla vita; ci sono altri che si barricano in torri d'avorio di conoscenza senza accorgersi di non essere poi così diversi da una egirl che passa tutto il giorno in camera a farsi i selfie o nel cesso a guardarsi allo specchio. Questo perché il solipsismo è sempre la solita trappola dorata (c'era già tutto ne Le Roi et l'Oiseau, opera tanto cara a Takahata Isao). Il me stesso di un anno fa avrebbe detto di odiare gli americani, eppure non riesco proprio a  immaginare la mia adolescenza senza Magic: The Gathering (gioco di carte collezionabili nato a Seattle nel '93).  Odio l'industrialismo, sì, un po' come lo odia lo stimato Massimo Fini, eppure ho la lavatrice, il frigorifero, per farmi la doccia uso il sapone chimico,  ho una Jeep Renegade bianca e ora sto scrivendo su un computer nuovo che ho pagato ottocento euro. Il mio blog sta su Google, azienda americana. Insomma, mi sento un po' come Oshii, che tanto critica il postmoderno ma poi alla fin fine vuole soltanto dare da mangiare al cane. Io critico il postmoderno ma gioco a Magic e mi piacciono le ragazze dark. Siti critica il postmoderno ma vuole possedere il culturista (un altro simulacro di origine yankee, un po' come la darkettona,  no?). 



Fatta tutta questa premessa, sotto consiglio dell'amica di cui sopra mi è capitato di leggere Blankets, una Graphic Novel americana. Quasi a ogni pagina mi veniva da piangere e nascevano in me molteplici riflessioni: penso che quello di Craig Thompson sia uno dei maggiori capolavori del fumetto di sempre. L'autore ci parla del trauma della vita e del tempo: genitori opprimenti, povertà, solitudine, l'Orrore. L'amore e la religione? Non funzionano, non bastano, hanno entrambi una scadenza. Pur essendo americano, come tutte le persone intelligenti, Thompson a suo modo approda a Schopenauer (spettacolari le metafore naturalistiche presenti nel fumetto). Basta soltanto osservare la Natura e la Vita con una certa  dose di onestà, dopotutto. E rielaborare correttamente la propria sofferenza. Il passo successivo? O la nevrosi  (Sartre, Siti, Oshii ecc.) oppure l'accettazione serena delle cose del mondo, la creatività, la misericordia (che poi alla fin fine è l'unica vera forma reale di amore). Lo stile di Thompson  è grazioso, realistico nelle espressioni ma delicato nelle forme. Nei suoi dialoghi non c'è alcun vittimismo o apocalisse di conforto: meraviglia e bellezza vincono sull'Orrore. Quindi lui, proprio come le tre grandi "T" dell'animazione giapponese, si sta rivolgendo ai più giovani, e gli sta dicendo che nonostante tutto c'è l'arte, c'è la bellezza, c'è la possibilità di riparare alcune cose, non tutte, tramite lo sforzo cosciente (il protagonista che dopo la batosta riallaccia col fratello, oltre che con il disegno). Blankets, un po' come certi manga  di Tezuka – mi vengono in mente Buddha e Hi no tori –, è già misticismo,  quello vero. Quindi sì, in conclusione la cultura può salvare. Ma può salvare soltanto il salvabile.

8 commenti:

  1. Sulla cultura emo e i darkettoni ricordo che a 20anni frequentai per un po una donna piu grande di me... una volta eravamo in giro insieme.
    Io cercavo di vestirmi con camicia e in modo serio per sembrare meno ragazzino, di camicie ne avevo effettivamente ancora poche nel guardaroba.

    Quasi sbattiamo contro un ragazzone vestito da darkettone/emo in modo davvero vistoso... lei fa, toh un ragazzino.

    Capii tutto e mi passò per sempre anche un barlume di curiosità e desiderio

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    1. Ciao, andrebbe comunque detto che non c'è niente di più infantile della paura di apparire come tale. Solo i bambini sperano di essere visti come adulti, gli adulti semplicemente sono adulti.

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  2. Piu che altro credo che certi atteggiamenti, atteggiarsi a qualcosa, sia una spia di fragilità emotiva.

    Non porti nessun credo profondo, un adulto può solo sorriderne con bonarietà. Allora a 14anni,15, 16, 18anni atteggiarsi un pò ad emo ci può anche stare.

    Credo crescendo ci si senta semplicemente ridicoli. O si abbia qualche problema mentale, e no, non è una battuta. Poi io a vestirmi in un certo modo o atteggiarmi a darkettone mi sentivo ridicolo anche da adolescente, però mi erano simpatici gli adolescenti con certi gusti.

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  3. Diciamo che noi millennial abbiamo avuto un'adolescenza asincrona a causa di un contesto sociale ambiguo, incerto e di transizione e per ciò siamo attaccati a determinati feticci, di cui, ad esempio, la dark. Le modelle o le cosiddette strafigheh sono la stessa cosa, trattasi sempre di simulacri adolescenziali (la fighetta della scuola portata in età adulta). C'era già tutto scritto in Un Amore di Buzzati, che è diventato istantaneamente uno dei miei romanzi preferiti.

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  4. Non so, la bellezza è oggettiva. Non se l"ho scritto ma quando da ragazzk studisvo la filosofia greca mi stupivo dell'importanza data alla concettualizzazione del bello, che poi mi pare percorra un pò tutta la storia della filosofia almeno fino al romanticismo, pur non essendo cosi ferrato a riguardo come sui greci.


    Credo, quella sia una base non mia. Non credo il bello possa essere un simulacro adolescenziale.

    Al piu il vestirsi chesso tipo megan fox in transformers per quanto diciamo si addica solo ad una ragazza giovane, o l'atteggiarsi un po da strafiga... quello sicuramente.


    Un amore lo ho a casa ma non l ho letto, era nella libreri della mia ex... meglio di foster wallace cmq presumo volendo citare i baustelle ;D.

    La parte che hai quotato qualche post fa pero non mi trova d accordo

    È ovvio che dopo il ciclo una ragazza sia gia donna.
    Poi tutto dipende dal vissuto, il tempo e la dimensione nel quale tale vissuto si accresce.

    Ci vuole il vissuto giusto.


    Ricordo quando usci lo scandalo di una premier scandinava che si divertiva come un adolescente, ho pensato questa non ha mai provato o si è data ad emozioni forte. Altrimenti avrebbe solo noia in quello.

    E per il pro lema della postmodernita è il rifiuto delle emozioni forti.
    Kaguya e il film che ho piu apprezzato dello studio ghibli.
    Il rifiuto moderno del sesso, ma non del flirtare, credo sia dovuto proprio a non farcela.


    Quindi credo che a 18-20anni ci si debba essere date. Credo sia una necessità di molte. Solo la società attuale condanna tale necessità ad un rapporto passeggero, stritolandola tra esigenze lavorative e di studio.

    Credo sia il motivo per cui una ragazza giovane e sveglia, che è quello che ti consiglio, alla fine con uno di 15-20anni di piu ci si mette pure se questo è giovanile... con un ragazzl giovane sarebbe spesso condannata all'insignificanza del se, con alto rischio di essere gettata via.

    Ij defintiva quella frase di un amore non mi torna troppo. Mi fa tanto da paura del sesso.

    A riguardo consiglio il racconto breve Pierre nella raccolga il delta di venere di anais nin.

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  5. Spero che i romanzi del Siti siano più leggibili di quanto appare dagli estratti... o meglio, che non sembrino un insieme di sfoghi gettati a piene mani e senza una "sostanza" a sostenerli. C'è sempre bisogno delle giuste dosi di idealizzazione, da un lato, e ironia, dall'altro :) E c'è da sperare che la sensibilità riesca a farsi empatia e non solo "proiezione" del sé (tanto più se è un anziano che parla di giovani). La cosa è difficile da chiedere se il sottotesto generale è nevrotico, ma immagino che ogni tipo di scrittore abbia le sue carenze.

    (Questi giudizi ovviamente sono gratuiti solo quando si parla di altre persone...)

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  6. Personalmente, al di là del forte nichilismo di fondo, non vedo molte analogie tra Oshii e Siti, né dal punto di vista concettuale né metodologico. Oshii è un regista che lavora per temi, in opere avulse dallo spazio-tempo circostante in cui la biografia dell’autore ha rilevanza nulla. Siti, al contrario, parte dall’osservazione della sempre cangiante realtà attorno a sé e la analizza di volta mediante un personaggio che fa le sue veci nella storia (in modo più diretto nelle prime opere e più sfumato successivamente, ma anche l’Augusto dell’ultimo libro in sostanza è lo scrittore stesso). Volendo proprio cercare un paragone, la tendenza all’autoumiliazione, l’odio di sé come carburante della narrazione, le grandi capacità analitiche e le infantili ossessioni sessuali mi fanno pensare di più a un Anno. Comunque in Siti ci dev’essere una certa voglia di soffrire, considerando tutte le torture cui si è sottoposto a quasi ottant’anni solo per sbeffeggiarle nel romanzo (siti di incontri, balletti su tiktok, reels su instagram con annessi commenti, adattamenti italiani dei film Ghibli, linguaggio adoperato nelle app di messaggistica, categorie pornografiche ecc).

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    1. Ci sta molto il paragone tra Siti e Anno che hai fatto. Nello scritto comunque li si paragonava in quanto autori eccessivamente solipsistici per essere realmente utili al prossimo, più che dal pdv stilistico. Ciao.

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