giovedì 4 luglio 2024

Dino Buzzati, il trauma del tempo e altre riflessioni




Di recente ho letto Quando muori resta a me di Zerocalcare, e mi è sembrato un passo indietro rispetto alla sua seconda serie animata, che mi era parsa molto più onesta e ben scritta. Ormai i due denominatori comuni del fumettista da milioni di copie sono il senso di colpa per il privilegio della propria adolescenza agiata protratta ad libitum nell'età adulta e la solita epica antifà in un occidente che ormai si è fatto post-ideologico (se non post-umano, vedasi l'opera di Walter Siti e di altri prima di lui). La domanda che mi sono fatto è comunque la seguente: perché questo fumettista in ogni sua opera deve inserire l'epica di fasci contro antifasci, di nonni partigiani, delle botte al G8 eccetera eccetera? Anche io ho preso botte a scuola, giravo con le cumpe disagiate delle strade e ho assistito alla venuta delle macerie sociali post governo Monti. Eppure ho affrontato tutto in solitudine, al limite con l'aiuto dei pochissimi a me vicini. L'unica vera dimensione epica (ed edipica) della mia vita è stata  una continua lotta di attrito con i miei fantasmi interiori nonché la Wasteland del mondo esteriore; non me ne è mai fregato niente delle pseudo-narrazioni da centro sociale, di destra o sinistra che fossero: le ho sempre trovate parecchio superficiali, dei simulacri di guerra necessari a chi ha questo bisogno viscerale di definirsi mediante la violenza, sia elargita che subita. Il fascismo degli antifascisti, scriveva non a torto Pasolini. Ebbene sì, questa volta sono rimasto deluso dal fumettista semidio dell'Italia post-umana dei maranza, delle Ilarie Salis al parlamento europeo, delle ragazzine che scrivono "ho sk0pat0" su Threads, della politica che sia a destra che a sinistra si preoccupa di sciocchezze mentre i nostri schiavi d'importazione muoiono mutilati per la strada e la criminalità ha le mani in pasta ovunque (notare che nessun politico, neanche quelli di estrema destra o sinistra parla mai di lotta alla mafia). Con i coglioni diventati grossi così sono quindi passato a Dino Buzzati, un artista  (non scrivo autore perché oltre a scrivere disegna anche da dio) che ho scoperto soltanto di recente. In pratica in una libreria ho visto Un Amore e  il libro, un po' come era accaduto con  Joséphine, mi ha chiamato. 


Le abitudini lo riprendevano nel solito ritmo e Drogo non pensava più agli altri, ai compagni che erano fuggiti in tempo, ai vecchi  amici che diventavano ricchi e famosi, egli si consolava alla vista degli ufficiali che vivevano come lui nel medesimo esilio, senza pensare che essi potevano essere i deboli o i vinti, l'ultimo esempio da seguire. Di giorno in giorno Drogo rimandava la decisione, si sentiva del resto ancora giovane, appena venticinque anni. [Da Il Deserto dei Tartari]


Comunque dopo Un Amore, consumato in pochi giorni e diventato subito uno dei miei libri preferiti di sempre, ho anche letto il Deserto dei Tartari, la cui allegoria esistenzialistica l'ho trovata più attuale che mai. Certo, la fortezza in cui Drogo va a congelare il suo tempo nell'attesa di soddisfare  il proprio bisogno di epica bellicista è modellata sulla sede del Corriere della Sera di Via Solferino a Milano, in cui Buzzati ha lavorato una vita; eppure, allo stesso tempo, è la stessa  confortevole fortezza in cui si rifugiano tutti i vari paladini pseudo-ideologici dell'oggidì. Soltanto che i Tartari, il Nemico, quello di cui anche il povero Ikari  Shinji doveva ammettere di aver bisogno per potersi dare un senso, sembrano non arrivare mai. Arriveranno, sì, ma arriveranno tardi, troppo tardi: si sarà invecchiati, non si avranno più energie, li si dovrà affrontare in solitudine perché il bisogno di epica è un retaggio del passato, una cosa incompatibile con il comodo Brave new World dell'oggidì  a meno di vivere in una propria nicchia di alienati, sicché la postmodernità è costituita da frattali sociali. La microsetta, il centro sociale, gli adepti dello pseudo-filosofo con la barbetta bionda e i capelli leccati dalla mucca, il divulgatore sciatto che mostra il cazzo su Onlyfans per arrotondare e così via. Ma anche soltanto camminare perennemente con lo smartphone in mano, la schiena china e le dita che scrollano sempre le solite chat con le solite persone significa stagnazione, lo starsene in una bolla che pur sembrando aperta invero è occlusa dal tappo della solitudine. Sì, sì, va bene. E quindi? Il punto è che anche Buzzati era solo: era il 1940, la guerra alle porte, il fascismo (quello vero, non quello della cinghiamattanza o della Meloni che alla fin fine è chinata a novanta con gli americani e l'alta finanza esattamente come lo è la Le Pen, la sinistra e il deep state italiano tutto). Ai tempi dell'artista i frattali avevano già iniziato a formarsi, e i violenti socialismi minimali di cui ancora oggi si sentono degli echi stantii altro non erano stati che un tentativo disperato di fare marcia indietro. 


Tutto succederà nella stanza  di una locanda ignota, al lume di una candela, nella più nuda solitudine. Non si combatte per tornare coronati i fuori, in un mattino di sole, fra i sorrisi di giovani donne. Non c'è nessuno che guardi, nessuno che dirà bravo. [Da Il Deserto dei Tartari]


Ritornando a noi, Massimo Fini, altro giornalista milenese annoiato come Buzzati, scriveva in un saggio denominato Elogio della Guerra che gli esseri umani hanno bisogno di combattere per darsi un senso e che la guerra, una volta diventata iper tecnologica, ha perso la sua dimensione umana. Parlare di guerra nel 2024 significa infatti parlare di Armageddon o di guerre fatte andare avanti ad libitum per permettere all'economia USA di fatturare grazie al dividi et impera e alla vendita di armamenti. Non si tratta più di una cosa elegante con le regole della cavalleria, Achilles Last Stand o le succitate graziose fanciulle pronte a darsi ai cavalieri che rientrano vittoriosi dal fronte. Nella fortezza di Buzzati non per  nulla i soldati sognano questa dimensione romantica della guerra, ma l'arrivo dei Tartari dimostra ch'essa è ormai un retaggio del passato. Si è quindi costretti a una pace fittizia che si prolunga ad libitum e la morte arriva all'improvviso nella propria cameretta, per di più in modo del tutto asincrono. E ciò sorprende, sicché nel torpore quotidiano della Fortezza/SDF-1/Megazona-23/Palazzo di Otohime, non percependo più lo scorrere del tempo, ci si atteggiava a immortali. L'invecchiamento del corpo non era più in sincronia con quello della mente. La pace e la stasi, sempre ritirando dentro anche Fini, oltre a ciò inducono nell'animale uomo una marcata assenza di senso; ben vengano quindi le risse per strada degli Ultras, quelle tra i fà e gli antifà e così via. Sono tutti bisogni fisiologici di animali impauriti. E se non ci si accontenta si può anche andare a picchiare gente all'estero, tanto quelli sono internazionalmente kattivi e noi siamo i buoni. Il padre del fumettista può essere riabilitato perché andava a fare le manifestazioni rosse con la pistola in tasca e oh, le botte al G8 le ho prese quindi la mia vita, nonostante mi senta un po' in colpa perché i miei amici delle strade sono rimasti poveri e sfigati, ha ancora un senso. Ma i Tartari sono veramente arrivati? O sono soltanto un miraggio e quegli altri lì non sono poi così diversi da me?  Se nel Tartaro rivedessi la mia stessa faccia potrei impazzire, per questo il nemico va sempre demonizzato, deve sempre essere qualcosa di distante, di alieno. In fondo è lui a darci un senso, è troppo importante per essere uguale a noi. 


Lo stesso maggiore Ortiz, c'era già sulla cinquantina, assisteva apatico alla fuga delle settimane e dei mesi. [...] Che cosa avrebbe fatto Ortiz, laggiù tra i borghesi senza più nessuno scopo, solo? [Da Il Deserto dei Tartari]


A un certo punto in Buzzati avviene il passaggio da  Drogo (il protagonista del Deserto dei Tartari) a Dorigo (Un Amore). È sempre lui, sì, un avatar dello scrittore, ma nel secondo caso è più vecchio, quindi può tranquillamente prendere atto della sconfitta senza ricorrere al fantastico. La sua Ultima Fatica sarà Laide, una giovanissima prostituta che diventerà per lui un'ossessione.  Questo articolo scovato nella rete è mirabile per quanto concerne l'analisi e la contestualizzazione del libro; in particolar modo Un Amore viene ivi paragonato a Nanà di Émile Zola, e viene sottolineato che nell'opera dello scrittore  francese veniva mossa una marcata critica sociale, si cercava di puntare il dito contro un colpevole, mentre invece Buzzati si crogiola nella catarsi dell'arte come mezzo autoriparativo (si pensi al finale del libro, che sa molto di affettuosa consolazione: in fondo Laide è veramente esistita, era una ballerina della Scala).  Non c'è niente di strano comunque: puntare il ditino è una cosa un po' giacobina, per non dire infantile (pure io lo faccio; lo faccio quasi meccanicamente, poi ci penso bene e dico "boh...". Sono nato a Torino dopotutto, che non dista molto dalla Francia). L'illuminismo e il socialismo di derivazione Hegeliana a parer mio sono stati due strumenti molto potenti per evitare di guardare in faccia l'Orrore dell'umano, ma hanno comunque prodotto risultati nefasti (e qui, oltre a un'attenta  osservazione della Storia, rimando nuovamente a Fini, in particolare a La Ragione aveva Torto). Eh beh, in fondo i socialismi sono creazioni pur sempre umane, no? Umane, troppo umane, avrebbe detto qualcuno. Di fronte all'amore invece si è inermi e nudi, per questo motivo alla ragione non piace tanto il sentimento e un romantico non potrebbe mai fare il rivoluzionario. Nel post-umanesimo, poi, amore è soltanto una parola priva di significato. 

...Laide?

Mentre lui l'amava veramente e non la desiderava soltanto, era impossibile che lei corrispondesse il suo amore. Certamente la Laide lo considerava ormai un vecchio. Alla Laide, la sua personalità artistica, quel fascino intellettuale che qualche volta faceva colpo sulle donne del suo mondo, era del tutto indifferente. Per farsi prendere in considerazione da lei, una bella Maserati ultimo modello contava molto di più che aver costruito il Partenone. [Da Un Amore]


C'è qualcosa nella ragazzuola invereconda, di pulito, di sano e bello. Cosa? Non è tutta una fantasia letteraria? La nuda e triste verità non è invece che lui sta ormai per diventare vecchio e si aggrappa a Laide come l'ultima possibile occasione della giovinezza perduta? Questa cosa bella, sana e pulita non sono forse soltanto i suoi vent'anni, i capelli lunghi neri, i seni da bambina, i fianchi stretti alla Degas, le cosce lunghe da ballerina? Non mentiva a se stesso? [Da Un Amore]


Dorigo e Laide mi sono sembrati un po' come Anno Hideaki e la sua Asuka. "Il film con Brazzi è ok, ma  il libro è pieno di seghe mentali e credo sia difficile trasporle correttamente in cinematografia" mi ha detto mia madre. Io le ho risposto: "Il regista di Evangelion sarebbe stato in grado di trasporlo bene, Un Amore... Anzi, lo ha già fatto". Lo sentite quel pianoforte lento, elegante e rassegnato?  Provate a  leggerci sopra questo: "E allora si dibatte per uscire dalla buca, vuol far vedere agli altri, quelli che dalla riva le sorridono ma non la rispettano più, che anche lei è una creatura degna di vivere e, dimenticando tutto quello che è successo, torna bambina, quasi per rincominciare tutto daccapo. Tale è la Laide che, ballando il cha-cha-cha da sola dinanzi a un uomo a lei estraneo, si trasforma in disinteressato gesto di bellezza, diventa una rosa, una piccola nube, un innocente uccellino lontana da ogni bruttura, realizzando così un minuto di purezza". Pensate poi all'End of Eva: "Ognuno può ritornare al suo stato originale, se lo desidera". O qualcosa del genere, tanto qui abbiamo l'adattatore ufficiale e al limite mi correggerà. Chissà perché proprio quella frase poi, quel sentore, quella  sensazione di fuga disperata da un qualcosa di irreparabile...

A sx Poema a Fumetti, a dx invece lo sapete. Ognuno tragga le sue conclusioni. 


Perché amare Laide è un po' come fare la guerra, ci si sente vivi e a un certo punto lo stesso Dorigo, tra un flusso di coscienza e l'altro, arriva ad ammetterlo. Nella Milano decadente di fine anni sessanta, a Porta Venezia, prima c'erano le streghette, come le chiamava Buzzati, ora ci sono i maranza con le ragazzine siliconate e le fumetterie con le loro storie di ragazzine e robottoni guerrieri. Ma Laide non era di plastica o di carta: era viva, vera, teneva Dorigo per le palle e gli sbatteva in faccia la realtà della sua inadeguatezza (Marcello è soltanto un amico, non è come pensi tu...). Laide era spietata, così come la vita. "Se la amavi tanto, perché non te la sei sposata?" chiedeva una prostituta a Dorigo verso il finale del libro. Si potrebbe sicuramente fare un discorso sul divario di classe sociale presente tra i due (lui ricco, lei borgatara), perché all'epoca queste cose ancora si discutevano e non giacevano nell'indifferenza generalizzata del Nuovo Mondo. Si potrebbe dire che Dorigo voleva soffrire, perché farsi del male provoca una reazione, un impulso, mentre la noia è un po' come la morte. La risposta soltanto Buzzati la sa: la lettura avvicina molto all'esperienza dell'autore, ma si tratta pur sempre di rielaborare il vissuto altrui nel flusso composto dai frammenti del proprio, incorrendo così in una sorta di autoinganno. È proprio difficile uscire dal proprio ego, dalla propria naturale solitudine, eh? Sembra quasi che questa sia la condanna primigenia dell'essere umani. 


...vede la gente, gli uomini, le donne, le ragazze come lei che non ci pensano neppure di tentare la scorciatoia del fosso e vivono e lavorano apparentemente tranquilli e alla sera chiudono la porta di casa e la casa diventa pulita e sicura, non squillano telefonate ambigue, non cigola la serratura del cancello alle tre di notte, non si fermano, subito dietro l'angolo per non essere notate, le potenti fuoriserie con al volante il quarantenne sanguigno tirato a lucido, ecco la vita delle famiglie giuste, così ordinata, mediocre e noiosa, che disprezzare è tanto facile eppure di tanto in tanto le viene il sospetto che sarebbe bello vivere così, anzi capisce che proprio quello è il suo vero profondo desiderio, il porto a cui lei sarebbe felice di approdare, il mondo diverso dal suo e a lei negato. [Da Un Amore]


Nel Nuovo Mondo, in cui le prostitute si chiamano "sex worker" e va tutto bene così com'è nonostante dalle loro borsette ogni tanto cada qualche scatoletta di Resilient, la riflessione di cui sopra potrebbe sembrare stridente; la cosa certa è che Dorigo e Laide sono le due facce della stessa medaglia, ossia una giovanissima che ha dovuto vivere anzitempo l'adultità e un vecchio ancora crogiolato nel ricordo della propria giovinezza. C'è quindi nuovamente l'asincronia temporale de Il Deserto dei Tartari, c'è di nuovo l'effetto Urashima e possiamo concludere che tutti i grandi sembrano dire sempre le stesse cose, a prescindere dal loro posizionamento geografico. L'umanità, dopotutto, è una soltanto. L'ultima opera di Buzzati sarà poi la prima Graphic Novel italiana, ossia Poema a Fumetti, una rivisitazione postmoderna del mito di Orfeo ed Euridice in cui l'avatar dell'autore si lancia nel mondo dei morti alla ricerca dell'immagine di ciò che sembra essere stato il suo amore giovanile, la cui perdita ha forse innescato quel sentimento disperato per la ballerina dai fianchi stretti alla Degas. È tutto un po' come Lolita, sì, è lapalissiano. L'umanità è (o meglio, era) sempre la stessa. Un segreto molto semplice: L'amore. Tutto ciò che ci affascina nel mondo inanimato, i boschi, le pianure, i fiumi, le montagne, i mari, le valli, le steppe, di più, di più, le città, i palazzi, le pietre, di più, il cielo, i tramonti,  le tempeste, di più, la neve, di più, la notte, le stelle, il vento, tutte queste cose, di per sé vuote e indifferenti, si caricano di un significato umano perché, senza che noi lo sospettiamo, contendono un presentimento d'amore. [Da Un Amore]

Il treno dei morti. Se si coprono gli occhi superiori della ragazza con il palmo della mano sembra più piccola, se si coprono quelli inferiori sembra più grande. Così con quattro occhi sembra come bloccata in una dimensione priva di tempo. 


Tutto era più vivo quando mi rispecchiavo negli occhi di ciò che l'inconscio aveva scelto per me. Me stesso come avrei voluto essere, la sensazione primigenia di unità nella molteplicità, eppure era un'altra persona. I sorrisi, gli occhi ricolmi di quell'entusiasmo innocente di chi ancora non è stato sporcato dalla tirannia del tempo. La città bianca con le sue arcate alla De Chirico, il campanile col tetto verde acqua. Un viale pieno di ciotoli, un porticato dalle austere arcate a volta e lei che  sbucava fuori come per giocare, si avvicinava e mi abbracciava forte. Il treno che partiva, lei che lo rincorreva e io che la salutavo dal finestrino trattenendo  le lacrime. Quando era lei a salirci sopra per andarsene, ogni volta mi sentivo morire. Autunno. Sulla panchina di fronte al tempio monoptero circondato dall'acqua immobile fotografavo il ponte che lo collegava al resto del parco: uno scatto a stagione, poi facevo il confronto tra foto che ormai non esistono più. Sembrava quasi il ponte di un giardino giapponese alla Monet, sbiadito dall'assenza di luce dell'inverno o dorato dai raggi del sole estivo. Le statue bianche tutte in fila, lei che mi prendeva per mano, si voltava verso di me e sorrideva. Nei muscoli del suo viso non c'era inganno, non c'era artifizio, lei era come un fiore che sbocciava ogni volta che percepiva il mio sguardo. Ero il suo Sole, mi diceva. Passò poi il tempo, arrivò la grande catastrofe, le porte si chiusero, la spesa con la maschera antigas e le ambulanze che suonavano a tutte le ore  della notte. "Sto male, aiutami, scusa". "Se tu vieni mi infetti i genitori". Con lei, con me, era cambiato tutto il mondo, che si era definitivamente fatto Nuovo Mondo. Anzi, Baldo Mondo Nuovo. Un giorno mi alzai dal divano, spostai la tenda, il cielo stellato e la Luna più vicina che mai. L'universo mi diede l'impressione di essersi rotto nel suo baricentro, nel punto più recondito e inarrivabile dell'oscurità insensata che lo anima. Forse era l'angelo caduto che gridava imprigionato dai ghiacci perenni laggiù, là dove non c'è nient'altro che il freddo. L'angelo che divide, l'angelo che entra nei cervelli e distrugge senza rendersene conto. L'angelo innocente, in fondo era il prediletto di Dio. 

D'improvviso si rende conto di quello che forse sapeva già ma finora non ha mai voluto crederci. Come chi da tempo avverte i sintomi inconfondibili di un male orrendo ma ostinatamente riesce a interpretarli in modo da poter continuare la vita come prima ma viene il momento che, per la violenza del dolore, egli si arrende e la verità gli appare dinanzi limpida e atroce e allora tutto della vita repentinamente cambia senso e le cose più care si allontanano diventando straniere, vacue e repulsive, e inutilmente l'uomo cerca intorno qualcosa a cui attaccarsi per sperare, egli è completamente disarmato e solo, nulla esiste oltre la malattia che lo divora, è qui se mai l'unico suo scampo, di riuscire a liberarsi, oppure di sopportarla almeno, di tenerla a bada, di resistere fino a che l'infezione col tempo esaurisca il suo furore.  [Da Un Amore]


Ops, Fra, mi sa che ho ripreso a tagliarmi, guarda  un po' qui... Metto le scarpe nello zaino e arrivo. Mi piaceva come mi legava... il plug anale poi... in mezzo all'erba, sì, in mezzo all'erba, sai? [...] Se aspetti qualche mese il Rolex arriva... fai cinque mesi. Valla a trovare ogni tanto la G., però...  Fatti vedere in boutique. [...] L'amore? Devi volere, devi cercare, tu sei messo bene. Devi metterti in testa le cose per farle,  poi le fai. [...] Oh, ma come, non sei andato a votare? Ci sono i fascisti al governo! [...] Siediti un attimo, adesso ti metto il Gentalin, ecco qua... ma perché piangi? [...] Perché ti sei fatta fregare così, I.? Ti stanno soltanto usando! [...] Perché non mi ami? [...]  E tu saresti quello sveglio, eh? Ma per piacere! [...] Non essere così negativo, Francesco. Certe volte hai degli atteggiamenti che stanno sul cazzo, ma io ti accetto lo stesso. [...] Ma lo sai quanto prende quell'analfabeta? Se te lo dico impazzisci. [...] Le mie ossa sono di cristallo, di vetro, ma la malattia mi ha dato la possibilità di coltivare il mio Io interiore. [...] Oh, Fra, hai scopato? Te non scopi mai, eh? [...]  Di fatto, le mafie ultraviolente dei paesi sottosviluppati porranno fine al dominio delle mafie locali, secondo me. [...] Sono riusciti a fare in modo che uno sia solo a vita, è questo il problema, Francesco. [...] Oh, hai vinto il torneo, grande! E il nuovo lavoro? Lo so che non ci sentiamo da tanto, ti va comunque di uscire? [...] La coscienza la percepiamo come immortale, sì, ma in realtà non è così, si spegnerà con la morte del corpo, no? [...] Sì, Fra, tutto bene. Sono caduta, niente di che. [...] Con Dauthi  ho esiliato Echo, 14 danni di doppio orco. Suca oppo. 



Vita, giorni, notti, settimane, mesi, anni
Passa il tempo e non sei mai contento
Di' che non è vero, di' che cambierà
È uguale, uguale, è sempre lo stesso
Sei uscito con gli amici la sera
E la noia ti prendeva la gola
Sei uscito fuori, sei uscito fuori
Ma dove vai?

Ora che hai vissuto i tuoi vent'anni di noia
Hai deciso di muovere il mondo
Come, quando, perché, con chi tu non lo sai!
Basta una folla di gente smarrita
Una folla di gente contenta
Ti senti un capo, ti senti un leader
Che cosa vuoi?

Vita, sono passati quarant'anni di vita
Sono andati e tu hai fatto carriera
Di' che non è vero, di' che non è vero
Ti vedo, attento, ti vedo!
Prova a tornare con la mente a quegli anni
A tornare con la mente un po' indietro
Prova a ricordare, prova a ricordare
Eri proprio tu!

1 commento:

  1. Finiro di leggere. Mi permetto alcuni spunti...

    Credo che la cura alla misantropia sia per sua stessa natura una ragazza giovane, molto giovane. Credo sia un po il segreto dell'età d'oro della moda e della fotografia... tanti diorama a dirla con Bianconi.

    Poi si va da Monicelli a Toto a Picasso e chissa quanti altri ancora. Ancor prima che la bellezza , la giovinezza... credo entrambe conditio sine qua non.

    Sulla maserati... credo vada distinto il successo nel mondo dalla personalità e.brillantezza.di ogniuno
    Ho proprio notato che si puo essere brillanti, ed intelligenti e brave e belle ma.pesare piu l uno o piu l altro.

    Verrebbe da dire a ciascuno il suo. Chi vede più potere nella maserati, e chi in un bel ragionamento:)

    Stante che nel mondo ci si vive, e la bellezza e il comfort hanno una soglia minima necessaria.

    Il tutto credo sia nell'avere piacere.nell"ostentare.o godersi le.cose in solitudine, la solitudine di una coppia anche, e per se stesse.

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