domenica 30 dicembre 2018

Lamù - Beautiful Dreamer: Recensione

Titolo originale: Urusei Yatsura 2 - Beautiful Dreamer
Regia: Mamoru Oshii
Soggetto & sceneggiatura: Mamoru Oshii
Character Design: Akemi Takada
Musiche: Masaru Hoshi
Studio: Studio Pierrot
Formato: lungometraggio cinematografico
Anno di uscita: 1984


Poco tempo dopo l’anime boom di inizio anni ottanta (i riferimenti nel film ci sono tutti), nel quale gli animefan adulti avevano messo in atto il loro primo, storico “coming out” (1982) in una società giapponese a loro indifferente se non ostile, dopo aver girato il trascurabile Only you, primo film omaggio al mondo di Urusei Yatsura, Mamuru Oshii, con il qui presente Beautiful Dreamer, decide di analizzare l’otakuzoku dall’esterno, mediante un’opera decisamente complessa, matura e d’autore (una delle prime nel suo genere).
Il contesto è quello del Giappone della bolla finanziaria fittizia indotta dagli investimenti esteri e dalle incoscienti politiche della banca centrale nipponica: analizzando tutti i vari media del periodo, canzoni pop incluse (una su tutte: la storica Merry-go-Round di Tatsuro Yamashita, 1983), è possibile farsi un’idea dell’opulenza della Tokyo di allora, ben distante dagli attuali standard recessivi dell’economia giapponese. L’eterna estate di Beautiful dreamer è analoga al “migliore dei mondi possibili” di Megazone 23 e alla città contenuta dalla colossale SDF-1 di Macross. E’ l’estate della Tokyo “congelata” nell’occidentalizzazione, nell’apatia e nella dimenticanza del passato.

 
La trama di Beautiful Dreamer è pretestuosa: semplicemente, grazie ad un desiderio di Lum, esaudito dal folletto Mujaki, l’area cittadina circostante al liceo Tomobiki si “congela” in un eterno presente alla Urashima Tarou (le citazioni all’atavico racconto giapponese sono più che esplicite, dacché la città di Ataru e soci si trova al di sopra di una gigantesca tartaruga). All’infuori del microcosmo nel quale vivono gli “eterni teenager” amici di Lum, si estende un torrido e arido deserto post-apocalittico, sebbene i supermercati siano sempre strapieni di cibo e di superflue leccornie (con la bottiglia di Coca-Cola, così come nell’OVA Gosenzosama Banbanzai!, Oshii rappresenta la fenomenologia dell’americanizzazione – o globalizzazione, è la stessa cosa -, in particolare l’invasione dei prodotti di consumo occidentali avvenuta nel dopoguerra). Ci si chiede quindi quale sarebbe la linea di demarcazione tra benessere e solitudine, e si riceve, senza alcun fraintendimento, il messaggio che l’otakuzoku è figlio di un deterioramento della società dovuto alla succitata globalizzazione. Non a caso nel film, gli unici che cercano di risolvere il mistero dell’eterno presente sono Mendo e Sakura, ossia un rappresentante metaforico della destra giapponese (è di famiglia nobiliare, sa guidare un carro armato e un aereo militare, possiede la cultura del samurai) e una sorta di Miko shintoista, ossia due personaggi che in qualche modo non hanno dimenticato le radici della loro cultura. Gli altri, invece, mangiano in continuazione e vivono nell’indifferenza, talvolta anche consapevolmente (Ataru, che rappresenta l’otaku onanista “innamorato” di Lum e del suo harem di ragazzine bidimensionali, sa di vivere in un inganno, ma non se ne cura: “moe is commodity” lessi una volta su internet. Niente di più vero). 


Nonostante l’analisi sociologica, che culmina quando i protagonisti vanno al cinema a vedersi Godzilla, ossia l’incarnazione del terrore dei giapponesi per le bombe atomiche americane, senza tuttavia provare nulla a parte noia e indifferenza (i.e. ormai il livello di americanizzazione raggiunto dalla società è irreversibile), Beautiful Dreamer presenta altri due livelli di complessità (essendo Oshii un genio). Il primo è la riflessione filosofica sulla natura del tempo: come fa notare un Mujaki travestito da tassista a Sakura, il tempo è tale soltanto in quanto percepito dai nostri  (limitati) sensi. Se non esistesse più alcun osservatore, si potrebbe ancora parlare dello scorrere del tempo? Non è forse il tempo un metodo di indicizzazione creato dalla nostra mente per dare una spiegazione a delle sequenze di immagini che ci paiono collegate da un nesso logico che tuttavia potrebbe non esistere a priori? Un singolo istante immobile nell’infinita catena temporale ha lo stesso valore dell’eternità? Qual’è la linea di demarcazione tra ciò che ritengo “vero” e ciò che non lo è, se comunque sono veicolato a percepire il percettibile soltanto con la mia mente e i miei sensi? Oppure: e se la realtà in cui viviamo fosse invero il sogno (inconscio) di una mente superiore? Con questo interrogativo si passa quindi al terzo layer del film, quello più ricorrente nella filmografia dell’autore, ossia il rapporto tra sogno e realtà, ovvero, più precisamente, l’interrogativo e la conseguente riflessione sul ruolo della mente nella definizione della materia e viceversa (interrogativo che tra l’altro ha scosso grandi menti come il padre della psicologia analitica Carl Jung e il fisico premio nobel Wolfgang Pauli, si pensi al loro criptico saggio Naturer-klung und Psyche). 


Analogamente al precedente capolavoro Tenshi no Tamago, in Beautiful Dreamer Oshii utilizza il simbolismo dell’acqua per scandire surrealisticamente la fusione tra spazio e tempo all’interno del sogno. Se l’acqua in Tenshi no Tamago scorreva, in Beautiful Dreamer ristagna, oppure si allarga e riflette il cielo, purtuttavia rimanendo senza alcun pozzo o fonte. Il mutamento rappresentato da Oshii, paradossalmente, non è scandito da alcun “divenire” à la Talete di Mileto. Tutto è fermo e il fiume del reale ha ceduto il passo al lago surreale dell’inconscio, che, con tutte le sue stranezze, allarga il suo dominio approfittando della solitudine dell’individuo. Ciò detto, la regia, che segna, assieme a quella di Tenshi no Tamago, la maturità artistica del regista, contribuisce attivamente a creare contenuto: si assiste a immagini che si ripetono all’infinito in uno specchio; inquietanti prospettive escheriane; vicoli cittadini che si trasformano in visioni oniriche di luoghi surreali (la scena dei campanellini in sé stessa è già di per sé un indimenticabile capolavoro di regia) e altro ancora. Il successivo traguardo nella poetica cinematografica dell’autore, manco a  dirlo, sarà  il durissimo Patlabor 2, altro film che si distaccherà dal mood della serie originale per parlar di gente che guarda la televisione nell’apatia, carri armati, sociologia, filosofia e politica (tutto è politica nel mondo degli esseri umani) alla Oshii, colui che tutt’ora rimane uno dei più grandi registi viventi della storia dell’animazione.







20 commenti:

  1. è sempre un piacere leggere una tua nuova recensione

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  2. Oh che bello, una nuova recensione! Nuova quantomeno per me, che (colpevolmente) mancavo da qualche settimana su queste pagine

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  3. Il problema di Oshii è che tutta la sua intelligenza si spreca quasi sempre in una speculazione oziosa, in senso deteriore. Non è frivolo, ma la sua oziosità è venefica. Come molti (dei pochi) mostra un intelletto sovradimensionato alla sua forza emotiva, e quindi è vacuo. Come il suo esistenzialismo pseudosolipsista. Da cui i cani, la cui catessi è tutta rivolta al padrone, per natura. In toto, uno spreco, tante occasioni perse. Peccato.

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    1. Da giovane Oshii era in prima fila nei ranghi dei dissidenti "rossi" all'americanismo imperante. Scendeva in piazza e distribuiva volantini. Lo stesso "The Red Spectacles" a suo dire è una visione allucinata del suo periodo "pre-postmoderno". Il fatto è che poi, una volta persa la battaglia, si diventa impotenti e soli. Perché è la società a sgretolarsi in preda ai moti global-capitalisti. Oshii è un po' come la Fallaci, grande intelligenza, grande solitudine. E sì, dopo un po' diventa alienazione (vedi Twilight Q, il secondo pezzo).

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  4. Quindi è anche lui uno scemotto vittima della sua ingenuità? Dare i volantini in strada è degno di un socialista idiota davvero, che pensa che i suoi consimili sappiano leggere, e quando poi scopre che no ci rimane male, si sente solo e si deprime. Pigliandosi un cane invece d'una moglie. E il capitalismo è uno spauracchio abusato da chi deve proiettare la sua mollezza sul nome del cattivo di turno. Al popolo poco cambia che dietro alla distribuzione che riempe gli scaffalibdei supermarket ci sia un re dell'ancient regime o una megacorporazione. Al popolano cambia avere i soldi in tasca per allungare la mano sugli scaffali o meno. Non è il capitalismo a sgretolare la società, ma la diffusione del benessere, che rivela la miseria umana. Perché tolta la necessità di combattere davvero per vivere, l'uomo si mostra per l'ameba che è. Così in Beautiful Dreamer, così nell'assunto di Eva (dove il mondo post Second Impact è una metafora del Giappone postbellico, un Ryuugujo cristallizzato nella sedativa illusione del benessere fasullo dei konbini), così pure nel monito di Hotaru no Haka, ma in fondo lo diceva già Natsume Souseki: l'uomo è decente solo nella disgrazia. L'uomo è virtù di necessità, tolta la seconda mai vi sarà la prima.

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  5. "Quindi è anche lui uno scemotto vittima della sua ingenuità? Dare i volantini in strada è degno di un socialista idiota davvero, che pensa che i suoi consimili sappiano leggere, e quando poi scopre che no ci rimane male, si sente solo e si deprime. Pigliandosi un cane invece d'una moglie."

    Sì, questo è vero. La sostanza è questa. Ma c'è anche tutta una sua presa di coscienza che secondo me stai trascurando. O che forse non ti è affine, dipende sempre con che occhi si guardano le cose.

    "Non è il capitalismo a sgretolare la società, ma la diffusione del benessere, che rivela la miseria umana."

    Stai un po' generalizzando. Lo sai benissimo come l'americanismo abbia sgretolato il tessuto sociale nipponico nel dopoguerra. Oshii non a caso si sofferma molte volte sull'articolo 9 della costituzione, sulla tecnologia occidentale, sull'alienazione da essa. Patlabor 2 parla chiaro.

    Dal mio canto lo stimo, perché è un grande regista dotato di una grande intelligenza. Certo, fa solipsismi meta-politico-psicologici-wtf. E queste cose son capolavori.

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  6. Ma la "presa di coscienza", nel mio caso, è una cosa da scuola elementare. Dico, scuola elementare davvero. Se per giungere a quella "presa di coscienza" ti ci vuole l'adultità sei scemotto davvero. Perché è palese, è banale, ed è intorno a noi tutti che viviamo nella società postmoderna, qui come lì. E Oshii non è vecchio abbastanza per giustificare una difficoltà di presa visione. L'americanismo, dici, ma l'americanismo non è niente. L'americanismo è solo l'industrialismo inglese aumentato di un ordine di grandezza. Per produre sempre più devi vendere sempre più, quindi dei produrre a costi e prezzi di vendita sempre più bassi e mettere spiccioli in tasca a tutti o quasi. La "globalizzazione" è lo stadio successivo. La Cina l'India quello dopo ancora, l'Africa portata in giro quello dopo ancora - ma i nomi non cambiano la realtà. Se fornisci all'essere umano il suo benessere minimo diffusamente, rendendolo un mero consumatore, lo reanimalizzi. Tutto qui.

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    1. L'americanismo non è soltanto industrialismo, ma tutto un modo di intendere la società (non ti dice nulla la Rivolta di Atlante?). E' un'ideologia basata sul materialismo, sull'individualismo e sulla sopraffazione del più debole, con tutta un'ipocrisia liberale di fondo.

      Detto questo, sono convinto che l'uomo sia meccanico e poco adatto alla coscienza. La vera coscienza non è facile da raggiugnere. Si sguazza nel proprio ego e nelle proprie illusioni. Infatti per me le opere più intelligenti sono quelle che mettono in scena la caduta delle umane illusioni (Utena, Tenshi no Tamago).

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    2. Per esserci una caduta d'illusione bisogna essere illusi in prima istanza. E' per questo che trovo quel genere di opera banale, stupida. Perché parte dal presupposto stupido che è l'illusione. E una buona illusione è dare nome alle cose, e poi credere alla loro esistenza. Come per la scienza che si fa scientismo. Oh, Descartes! Fantasma nella macchina? Due parole vacue, usate come metafore semantiche del tutto inutili. Ockham le rasa via entrambe, lietamente.

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    3. Trovo molto superficiale il tuo modo di approcciarti a Oshii e a certe tematiche. Più che un'analisi il tuo mi sembra un monologo rimpastato in un ego esuberante. Ma va bene così, è impossibile uscire dalla propria soggettività.

      La razza umana vive di illusioni e così è sempre stato. Il problema dello spirito, dell'incoscio "collettivo" e del suo rapporto con la materia ci sono sempre stati (vedi gli studi di Pauli e Jung). Spazzare tutto via come fai tu è un po' ridicolo. Ma ci sta, a ognuno la sua.

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  7. Penso che cmq, al di là del discorso sociologico, Oshii rappresenti benissimo il tema dell'incomunicabilità umana, nonché alcune sottigliezze ancestrali che ci sono sempre state. Come la fede, in particolare la perdita della fede (Tenshi no Tamago). L'ignoto, la solitudine, la complessità della mente (per chi ce l'ha). Può esistere uno spirito in una macchina (cioè il nostro corpo?) Il software può esistere senza l'hardware?

    Al di là dei trascorsi personali di Oshii, sui quali sembri accanirti un po' troppo (ma in fondo siamo tutti un po' otaku, quindi o si pestano i piedi richiamandosi a qualche "imago" di bellezza nella sofferenza (ma a nessuno piace soffrire, sia chiaro, fa figo fare gli asceti, ma il desiderio è in tutti noi) o si accetta la complessità dell'esistenza e la si analizza come fa Oshii, che cmq è un privilegiato perché può permettersi di farlo.

    E' stato un finto socialista? E' andato a vivere con il cane in provincia senza trovarsi una moglie? Caxxi suoi, rimane cmq una persona intelligente (e ormai rara, dato che la coscienza nella postmodernità è roba per pochi).

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    1. A onor del vero Oshii è sposato da anni ;-)
      E di cani ne ha 101 (dato del 2017)

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  8. Credo di capire cosa intendi, e certo nessuno può uscire dalla propria soggettività - come dici. Il tentativo di comunicare è però il tentativo di approcciarsi all'altro, e redo debba essere genuino, sennò perché? Quindi nel dirti che i temi di Oshii mi sembrano banali non dico che lui sia un idiota, anzi. Anzi trovo mirabile l'averli messi in scena in quello che è intrattenimento giovanile: Uruseiyatsura. Amo molto Beautiful Dreamer, e credo sia un film che meritava di essere fatto, e mostrato. Però però, ogni denuncia (e Beautiful Dreamer credo davvero lo sia) un po' deve preludere non dico a un'indicazione di soluzione (potrebbe non esserci), ma almeno a una proposta di elaborazione. Altrimenti fare la denuncia stessa diventa solo un mezzo di (cattiva) sublimazione del proprio stesso trauma (la presa di coscienza, la solitudine che ne deriva), e fa male al prossimo. Se ne sono visti, di cattivi filosofi così.

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    1. Messa così direi di essere d'accordo con te, almeno su Beautiful Dreamer (e ritorniamo in topic). Il fatto è che secondo me l'arte non deve per forza essere etica. Può anche essere pura forma (che cos'è la musica altrimenti? Ascoltare Bach non mi incita a fare la carità agli altri o a metterli sulla retta via... io stesso non penso di avere i titoli per dare lezioni di morale o di rettitudine agli altri).

      Con tutto ciò di cui sopra, Oshii non può essere criticato per essere 100% postmoderno. Capisco che un Tomino o un Takahata, che osservavano la postmodernità dall'esterno elargendo moniti e tentando di educare gli spettatori, possano sembrare il meglio del meglio. E infatti lo sono. Ma l'arte rimane arte e l'uomo rimane uomo.

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  9. Il punto è pure che "arte" è una parola ambigua, e abusata. Dunque parliamo piuttosto di "comunicazione artistica", ché un film va in sala e non resta nel cassetto come una composizione poetica o sinfonica mai pubblicata. Invero, se si intenta una comunicazione artistica, ovvero artificiale, deliberata, lo si fa con intenzione - quindi sì, qui vorrei ci fosse un'etica, perché nulla di deliberato è obbligatorio, e quando si fa qualcosa (specie polarizzando la comunicazione di uno verso molti) almeno bisogna giustificare la propria autolegittimazione - credo io. Sennò si stanno usando gli altri, e come atropofagia mi parrebbe e eccessiva. Non a caso questa logica della responsabilità autoriale è quella che Oshii odia forse di più del "Cremlino Ghibli", e credo che la odi perché sotto sotto gli sbatte in faccia un suo torto umano. OH, credo che Takahata fosse il più egocentrico di tutti, ma almeno usava *solo* il suo staff, in un modo o nell'altro il pubblico era, se non un vero fine, almeno inteso come un genuino ricevente. Considerato come tale. Seppur nella follia di un'eco bolscevica, e quindi totalitaria, la platea era considerata come esistente.

    Quindi, arte... se è comunicazione, sicuramente non può essere "per sé stessa". Chi parla di "arte per arte" in genere è un artista egoista (oltre che egocentrico, che è inevitabile) che in realtà pensa "arte - è il pubblico che richiama - per me stesso". Al che risponderei: "mh".

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    1. Tu comunque presupponi che la comunicazione debba per forza avvenire per narrazioni, o surrogati di essa (tipo il socialismo ridicolo di Miyazaki e Takahata... Tomino resta su un altro livello). La comunicazione può avvenire anche per immagini, per impressioni. Il surrealismo simbolico di TnT per me rimane inarrivabile, e quel film l'ho veramente "sentito" nonostante sia tutto simbolismo.

      Ma poi Oshii non è neanche tutto così. Patlabor 2 non mi sembra affatto criptico ed autoreferenziale. E' un thriller duro come il marmo sì, ma anche un trattato di politica e sociologia.

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  10. Io stesso, per quanto apprezzi Tomino e (in misura minore) Takahata, non penso di riuscire a trovare un punto "esterno" alla postmodernità in cui piazzarmi. Sono un osservatore e certe volte sento l'esigenza di analizzare ciò che mi circonda, ma nonostante conviva con una donna da anni (e non con un cane), penso di essere pure io un prodotto del postmoderno. In fondo a 30 anni ancora gioco a figurine e penso a quei pochi cartoni animati che reputo capolavori. Praticamente per essere felice devo congelare la mia adolescenza. Ma anche questo è adattamento ad un certo modo di vivere, che non sempre è collegato al mero "benessere", ma più che altro ad un grande vuoto ideologico e ad uno sgretolamento della società/Stato. Alla ripetitività del modello industriale, alla meccanizzazione di ogni cosa, alla perdita di dignità generale dell'uomo.

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  11. Questo tuo commento è proprio meraviglioso. Credo che la "tragedia", più che cacciarsi nel Castello del Dio Drago, sia... nascerci. IN fondo è questo, no? Credo sia anche una questione generazionale: gli ideali che Tomino o Takahata indicano al pubblico sono, di riffa o di raffa, delle forme di revanscismo umanista. Ma chi la caduta la sente come vissuta può ricordarsi cosa c'era prima. E chi è proprio nato dopo? Citerò un (credo) felicissima definizione di ZeroCalcare, i "nativi delle macerie". Loro non sanno neppure quale "strategia di sopravvivenza" poter mettere in atto, no? Come dei pinguini nati a calotte polari già del tutto disciolte, ecco.

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    1. Direi che ci siamo. La mia generazione, indipendentemente dalla dose di "benessere" in cui vive, può ancora giocare con le figurine degli anni '90 e pensare ai cartoni degli anni '90. Ma dopo non c'è più neanche questo. Ci sono le varie ragazzine che si drogano e che si fanno fare a fatte dal pusher di turno. Ci sono i supermega bulli che picchiano gli handicappati. Sul 90% dei muri ci sono graffiti orrendi. Del futuro, anche solo personale, non ne parliamo. L'unica certezza rimane la famiglia, sempre se non si è sgretolata prima.

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