sabato 9 agosto 2014

La Principessa Spettro: Recensione

Titolo originale: Mononoke Hime
Regia: Hayao Miyazaki
Soggetto & sceneggiatura: Hayao Miyazaki
Character Design: Masashi Ando, Yoshifumi Kondo
Musiche: Joe Hisaishi
Studio: Studio Ghibli
Formato: film cinematografico 
Durata: 133'
Anno di uscita: 1997

 
Nell'antico Giappone del periodo Muromachi, un villaggio Emishi viene attaccato da un cinghiale posseduto da un demone. L'ultimo principe degli Emishi, Ashitaka, riesce a sconfiggerlo prima che raggiunga il villaggio, tuttavia, durante lo scontro, il suo braccio destro viene infettato dall'energia negativa di tale misteriosa carogna infuriata. L'oracolo del villaggio invierà Ashitaka nelle terre dell'ovest, alla ricerca della cura contro la maledizione, e in questo viaggio il giovane farà la conoscenza di San, la principessa spettro, ragazza selvaggia e inquieta, abbandonata dai genitori in tenera età e cresciuta dai lupi del bosco; Eboshi, una carismatica capo villaggio che ha creato una micro-società industrializzata di stampo matriarcale (la donna fa costruire archibugi ai suoi fabbri al fine di fare la guerra ai samurai e agli animali del bosco); incontrerà il Dio bestia, lo spirito che occupa il gradino più alto nella gerarchia degli spiriti degli alberi, delle piante e della natura in sé. Ashitaka cercherà, con fare molto compromettente, di far interrompere la vera e propria guerra in corso tra Eboshi, che rappresenta il progresso della tecnica, e San, la tradizione, l'attaccamento incondizionato verso la natura, verso il passato. Tuttavia, l'accanimento di Eboshi verso il Dio bestia, al quale vuole a tutti i costi staccare la testa, complicherà ulteriormente le cose...


E' un Miyazaki "darkeggiante", quello di "Princess Mononoke". Insolitamente, il film, su ammissione stessa del regista, è rivolto a un pubblico adulto: è violento, con braccia, gambe e teste che volano qua e là appena colpite da una freccia; cupo - la stessa San è una versione "dark" e maledetta della purissima Nausicaa della valle del vento -, irriverente verso la tradizione patriarcale giapponese, ridicolizzata dalle donne della società matriarcale di Eboshi, che sfottono i mariti e uccidono samurai con molta disinvoltura - insolenza accentuata ulteriormente nel contesto del periodo storico scelto dall'autore, proibitivo più che mai nei confronti della figura femminile.


La concezione animista di Miyazaki è chiaramente ispirata allo shintoismo, in particolare la natura viene raffigurata come un'entità superiore impersonale e imparziale, nella quale si muovono, come atomi, animali che provano odio esattamente come gli uomini, fatto che li pone al loro stesso livello. Il solito tema ecologico tipico dell'autore non è così palese - il Dio bestia dà la vita, ma allo stesso tempo la toglie: quando tocca qualcosa con i suoi zoccoli, fa crescere delle piante, ma poi esse, subito dopo, appassiscono -. Penso che il film si soffermi più che altro sui problemi della guerra, dell'odio, della convivenza reciproca tra entità differenti. Detto questo, devo ammettere che le numerosissime scene di "Princess Mononoke" in cui gli spiriti del bosco si muovono, a centinaia, in mezzo al muschio e agli alberi sono assai suggestive, allo stesso modo delle numerose apparizioni del Dio bestia, sul quale la telecamera si sofferma con timore quasi reverenziale. Ovviamente le animazioni sono l'eccellenza (il film all'epoca godeva di un elevatissimo budget), e sono inserite in fondali pieni zeppi di panorami naturalistici iper dettagliati e affascinanti.


Fino allo scontro tra San e Eboshi, la sceneggiatura è veramente avvincente, ben dosata, coinvolgente al massimo. Tuttavia, successivamente, rallenta in modo troppo marcato, in quanto l'autore preferisce dilungarsi amoreggiando con la sua natura idealizzata, raffigurandola in modo molto ripetitivo, tralasciando la caratterizzazione dei personaggi (a parte Eboshi, l'unica con un minimo di personalità, tutti sembrano pupazzi prigionieri dei loro rispettivi ruoli). Due ore e mezza per un film dalla trama così semplice sono troppe, al di là della perizia tecnica del blasonato Miyazaki-san, che non si discute - anche registicamente parlando. Nota dolente è il finale, un frettoloso rush apocalittico (con tanto di Dio gigante "alla Nausicaa") che cerca in tutti i modi di salvare capre (anche in senso letterale) e cavoli nonostante gli eventi abbiano ormai assunto una piega decisamente drammatica e annichilente. Un finale a mio avviso poco efficace, che non riesce ad essere sufficientemente incisivo e chiaro nel lanciare il suo messaggio riguardante i difficili temi della guerra e dell'odio. Sicuramente il monito sulla violazione dell'equilibrio naturale è reso abbastanza bene, tuttavia le mie perplessità riguardano in particolare il cattivo dosaggio dei tempi nella sceneggiatura e il fatto che alcuni personaggi, che avrebbero ucciso la madre per denaro, diventino, dopo un certo evento, dei buoni samaritani sorridenti. Inoltre, la grandiosa novella Prometeo Eboshi poteva essere sfruttata meglio, dato il suo notevole carisma, così come tutti gli altri personaggi, la cui dipartita, nel caso di un ipotetico - e sicuramente più efficace - finale tominiano, mi sarebbe stata quanto mai indifferente, data la loro assoluta mono-caratterizzazione. Devo comunque far notare come le gelide parole finali di San mettano in chiaro che le cose non si siano affatto risolte nel migliore dei modi possibili. 


La cosa che più ho apprezzato del film è il suo lato insolitamente (per gli standard dell'autore) maledetto, horrorifico: vermi posseduti da emozioni negative che dilaniano cadaveri di cinghiali dalle sembianze mostruose; gli occhi fissi del Dio bestia, resi ancora più inquietanti dall'utilizzo dosato del grandangolo e dalle scelte sagge di prospettiva, lo sguardo animalesco e pieno di odio allo stato puro dell'inquietante principessa degli spettri, che fissa un sorpreso Ashitaka con la bocca sporcata dal sangue rossastro di un cane selvatico.


Secondo la volontà di Miyazaki, i dialoghi di "Princess Mononoke" sono volutamente aulici, in modo perfettamente coerente con il parlato risalente al periodo storico in cui è ambientato il film. Pertanto è fortemente consigliato l'adattamento fedele all'originale, operato recentemente da Gualtiero Cannarsi. Il vecchio doppiaggio deve essere ignorato, in quanto presenta addirittura frasi inventate che snaturano l'opera in sé come concepita originariamente dal suo autore. 




















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