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mercoledì 17 maggio 2023

Il Cielo sopra Berlino: Recensione

 

Mi sono interessato a questo film per via del carisma dell'immagine di copertina, l'angelo triste che osserva la Berlino degli anni ottanta dall'alto. Penso che sia un film abbastanza noioso, ma tutto sommato ha un suo significato ben preciso, che penso sia sfuggito alla maggiorparte della critica specializzata, che lo inquadra come un semplice film storico e politico. Il cielo sopra Berlino è in primis un film tedesco, tedesco nei suoi strati più reconditi, sia nella sua malinconia romantica che nel suo significato umanistico. Non per nulla l'ho visto in lingua originale e con i sottotitoli. La storia è semplice: un angelo si innamora di una trapezista, di una femmina umana, e decide di rinunziare alla propria immortalità per farla sua. Rinunzierà quindi alla sua rappresentazione onnisciente del mondo per entrare nel dominio della vita per la vita, il dominio del tempo e dell'impermanenza delle cose. Già qui c'è un po' di Schopenauer, più precisamente Die Welt als Wille und Vorstellung : l'angelo, l'elemento maschile (tutti gli angeli del film sono maschi) è la rappresentazione del mondo, la femmina umana, la trapezista del circo della vita, la voglia di vivere. 

lunedì 8 febbraio 2021

Fushigi no Umi no Nadia [ Il mistero della Pietra Azzurra ]: Recensione 2.1 (by AkiraSakura & Shito)

Titolo originale: Fushigi no Umi no Nadia
Regia: Anno Hideaki
Progetto: Miyazaki Hayao (non creditato), Kubota Hiroshi
Struttura della serie: Ookawa Hisao,
Sceneggiatura: Ookawa Hisao, Tanami Yasuo (come: Umino Kaoru)
Character Design: Sadamoto Yoshiyuki
Mechanical Design: Yamashita Ikuto, Anno Hideaki
Musiche: Sagisu Shirou
Realizzazione: GAiNAX, Group TAC
Animazione: Touhou, KORAD
Formato: serie televisiva di 39 episodi
Emittente: NHK
Anni di trasmissione: 1990~1991
 
 
«Nadia... donna ni atte mo, ikirou!» 
(«Nadia... per quel che dovesse accadere, vivi!»)
 
 
L'ennesima revisione di Nadia dei Mari delle Meraviglie, una serie animata che nel passato di chi scrive (e qui sono ben due teste e quattro mani!) ha in qualche modo lasciato un segno, o quantomeno contribuito a un arricchimento personale, non fa altro che reiterare un nostro atavico dubbio. Ossia: ma Evangelion era davvero necessario?
Molto probabilmente, considerando la sua universalità di anime sulla crescita/vita (così come volendo lo era Galaxy Express 999, altro totem dell'animazione giapponese seriale), Nadia potrebbe per paradosso dirsi l'opera più "matura" di Anno Hideaki. Matura proprio perché rivolta ad un pubblico infantile, senza tuttavia essere banale; per i bambini, infatti, è facile subirne il fascino senza coglierne appieno i vari significati. Da adulti, invece, a parte le sbavature dovute a una produzione fin troppo caotica (tratto tipico della GAiNAX, quand'era ancora la GAiNAX), l'opera si rivela come un intreccio brillante di filosofia, psicologia, relazioni umane. E tanta fascinazione fantascientifica.
 

venerdì 25 dicembre 2020

Narutaru: Recensione 2 .0

 Titolo originale: Narutaru

Autore: Kitoh Mohiro

Tipologia: Seinen Manga

Edizione italiana: Star Comics 

Volumi: 12

Anno di uscita: 1998

 


Opera dalle molteplici stratificazioni, Narutaru è indubbiamente una tragedia. Se si vuole affrontare un’analisi del manga, bisogna quindi partire da questo presupposto, per poi arrivare a considerare, più in superficie, la denuncia sociale (e politica) messa in atto dall’autore.

In primis ci si potrebbe chiedere, come fece Nietzsche, da dove abbia avuto origine la tragedia, considerando purtuttavia che l’opera è orientale, ed ergo costruita su fondamenta ben diverse dal romanticismo tedesco, dall’idealismo e dal dualismo Cartesiano. Rimane comunque un nesso con la tragedia greca antica: forse, la cosa più angosciante di Narutaru, è come esso evidenzi, con il suo essere violento, morboso e malato, sia l’inettitudine dell’essere umano – non ci sono eroismi nell’opera, solo bassezze -, sia il suo essere predestinato all’inevitabile fine, che per Kitoh, autore dalle influenze taoiste, è allo stesso tempo rinascita.

Siamo nel 1998, e i Pokémon sono una realtà commerciale molto popolare presso i giovani, mentre Evangelion lo è per gli adulti. L’idea di base dell’autore è di coniugare le due cose: avremo dei ragazzini con i loro mostri (Shiina, la protagonista, esteticamente è molto affine alle ragazzine della Nintendo) in un contesto drammatico, psicologico, filosofico e metanarrativo alla Evangelion. Essendo poi Narutaru un seinen manga, l’autore non si pone alcun limite nell’esporre situazioni molto violente e morbose, coadiuvate da un tratto tagliente e asettico che rende i personaggi molto simili alle bambole – e quindi incapaci di svincolarsi dalla loro condizione di tragici, di marionette mosse dalle fila del destino.

giovedì 9 novembre 2017

Fate/Zero: Recensione

  Titolo originale: Fate/Zero
Regia: Ei Aoki
Soggetto: Gen Urobuchi
Sceneggiatura: Akira Hiyama, Kazeharu Satou, Gen Urobuchi
Character Design: Takashi Takeuchi (originale)
Musiche: Yuki Kajiura
Studio: Ufotable
Formato: serie televisiva di 13 +13 episodi
Anni di trasmissione: 2011-2012


Presso gli animefan (prevalentemente otaku) di tutto il mondo, il franchise Type Moon è cosa ben nota. Il tutto nasce verso la fine degli anni novanta con la light novel Kara no Kyoukai di Kinoku Nasu, che grazie al successo del suo successivo lavoro di inizio anni duemila, il bel Tsukihime (altra novel prodotta in casa, inizialmente venduta nelle bancherelle dei Comiket), riesce a trovare i soldi per fondare la Type Moon con il compagno “illustratore” Takeshi Takeuchi. Il successo internazionale e la ricchezza tuttavia arrivano soltanto con Fate/stay night, che riprende l'idea di base di una delle serie di JoJo (personaggi che combattono invocando guerrieri che se le danno a loro volta), idea tra l'altro squisitamente shounen e ben lontana dai toni adulti delle due opere precedenti. Fate/stay night può essere definito come una sorta di “Battle Royale” all'ultimo sangue tra maghi che lottano per ottenere il Sacro Graal, oggetto magico in grado di esaudire ogni desiderio (forse). Al di là del fanservice, dei momenti slice-of-life noiosissimi (assenti nelle glorie passate), dell'imbarazzo che si prova nel vedere un Re Artù in versione ragazzina moe che si prende la prima cotta adolescenziale per un rosso malpelo cliché (tirando le somme Shirou è il tipico protagonista harem imbranato ma di buon cuore), il messaggio che vuole (dichiaratamente) trasmettere Nasu con la sua novel è quello della “conquista di sé stessi”, e questo tema viene riproposto in modo diverso in ognuna delle tre route dell'opera (ovvero le tre storie alternative che si sbloccano in base alle scelte del giocatore). In merito alla prima Nasu parla di un “sé come ideale”, in merito alla seconda “dei sacrifici che si compiono a causa di questo sé ideale” e in merito alla terza “dell'attrito tra ideale e reale” - tematica molto cara agli otaku di tutte le ere, ossia quei bambini che non riescono a far coincidere la loro dimensione idealistico-infantile con la grigia banalità della realtà adulta.
Il qui presente Fate/Zero è l'adattamento animato dei quattro romanzi scritti da Gen Urobuchi (sceneggiatore di Madoka Magica e Psycho-Pass) sotto la “supervisione” dell'autore originale, che fanno da prequel a Fate/stay night. Lo studio scelto da Type Moon per la realizzazione di questa serie, dopo la delusione J. C. Staff (“There is no Tsukihime anime”, scrivevano all'epoca gli otaku nelle board online), ricade nuovamente su Ufotable, che aveva già realizzato – con successo - i film di Kara no Kyoukai nel duemilatredici. 

sabato 1 ottobre 2016

Mind Game: Recensione

Titolo Originale: Mind Game
Regia: Masaaki Yuasa
Soggetto: Robin Nishi
Character Design: Yūichiro Sueyoshi
Direzione dell'animazione: Yūichiro Sueyoshi
Produzione: Eiko Tanaka
Musiche: Seiichi Yamamoto
Studio: Studio 4°C
Formato: film cinematografico
Anno di uscita: 2004


Era il 2004 quando un titolo passato quasi in sordina in patria, diretto da un regista di mezz'età sconosciuto ai più, fece le sue prime apparizioni nei festival nazionali. Come un vero e proprio pugno in faccia, il film sconvolse fin nelle fondamenta il cinema d'animazione giapponese: distanziandosi dagli ormai abusati tòpoi che monopolizzavano il mercato, l'allora trentanovenne Masaaki Yuasa (questo il nome del regista) e i produttori del vulcanico Studio 4°C decisero di calcare con forza il pedale dell'originalità, mettendo totalmente da parte la logica delle vendite per consegnare alla storia un prodotto quantomai anarchico, unico e irripetibile, fondamentalmente diverso da qualsiasi altra opera fosse stata concepita in precedenza. Trasposizione dell'omonimo manga semi-autobiografico di Robin Nishi, serializzato sulle pagine di "Comic Are!" di Magazine House, "Mind Game" si dimostra fin dai primi fotogrammi un vero e proprio esperimento visionario e anticonvenzionale, capace di amalgamare codici e correnti artistiche differenti – tra cui psichedelia, pop art, surrealismo, avant-garde e materiale live action – come nessun altro lungometraggio cinematografico aveva mai osato prima. Il risultato è un'opera che al momento dell'uscita fu ovviamente ignorata dalle masse, ma che pervenne quasi subito allo status di cult movie celebrato parimenti da critica nazionale e internazionale, persino nei circuiti che fino ad allora avevano bellamente ignorato l'animazione giapponese: il film fu lodato apertamente da mostri sacri dell'industria occidentale come Bill Plympton ("Idiots and Angels") e ottenne diverse candidature a rassegne di grande prestigio, arrivando a vincere il Grand Prize al Japan Media Arts Festival (superando, tra gli altri concorrenti, "Il castello errante di Howl") e ben cinque premi al Fantasia International Film Festival di Montréal, tra cui miglior film, regista e sceneggiatura. La stessa Madhouse, del tutto estranea alla produzione dell'opera, fu colta da un tale entusiasmo nei suoi confronti che si mise a promuovere la pellicola a spese proprie; difatti non è un caso che quasi tutti i lavori successivi del regista – tra cui i celebratissimi "Kaiba" e "The Tatami Galaxy" – saranno prodotti e realizzati dal noto studio d'animazione fondato da Masao Maruyama.

sabato 24 settembre 2016

Suicide Club: Recensione del film

Titolo originale: Jisatsu Sākuru
Regia: Sion Sono
Soggetto: Sion Sono
Sceneggiatura: Sion Sono
Musiche: Tomoki Hasegawa
Casa di produzione: For Peace Co. Ltd., Omega Project
Formato: film cinematografico
Anno di uscita: 2001


Tōkyō, primi anni Duemila. Una squadra speciale della polizia indaga su una tendenza che sta prendendo piede negli ultimi tempi tra i giovani Giapponesi: quella di mettere in atto dei veri e propri suicidi di massa, in cui nutriti gruppi di adolescenti si tolgono la vita con una sconcertante quanto agghiacciante indifferenza, nelle modalità e nei luoghi più disparati. Credendo che dietro a tutto ciò ci sia un vero e proprio culto istigatore, il detective Kurada – indirizzato da una ragazza nota sulle community online con il nickname di Kōmori ("Pipistrello") – inizia a seguire la pista di un misterioso sito internet che riporta quotidianamente il numero delle vittime; nel frattempo un nuovo gruppo j-pop composto da cinque ragazzine inizia a fare le sue prime apparizioni televisive, riscontrando in tutto il Giappone un successo clamoroso.

sabato 3 settembre 2016

Mushishi: Recensione

Titolo originale: Mushi-shi
Regia: Hiroshi Nagahama
Soggetto: Yuki Urushibara
Composizione della serie: Hiroshi Nagahama
Character Design: Yoshihiko Umakoshi
Musiche: Toshio Masuda
Studio: Artland
Formato: serie televisiva di 26 episodi
Anni di trasmissione: 2005-2006


"Mushishi", serie animata del 2005 tratta dall'omonimo manga di Yuki Urushibara, può definirsi alla stregua dell'identità interiore di un Giappone ormai iper-modernizzato, ma che al contempo ha sempre gelosamente conservato quelle caratteristiche ancestrali che si concretizzano nel legame spirituale con la natura, nel rapporto con gli antenati e nella fedeltà alle proprie tradizioni. Anche nel vastissimo campo dell'animazione i modelli pratici di tutto ciò sono svariati – si pensi al capolavoro miyazakiano "La città incantata", riconosciuto a livello internazionale con il premio Oscar – e spesso si ritrovano nascosti e integrati persino all'interno di opere di tutt'altro genere o contesto. È per questo che ritengo "Mushishi" – che si fonda esclusivamente sulla magnificenza del folklore nipponico – una serie profondamente giapponese, tanto nella forma quanto nei contenuti; nell'estrema rarefazione dei modelli visivi e narrativi incontra e riporta alla luce l'identità culturale del Sol levante, sopita ma al contempo sempre viva e rimpianta.
In un vortice di emozioni, filosofia e padronanza del mezzo espressivo, "Mushishi" si impone così come una delle migliori serie animate degli anni Duemila.

giovedì 28 luglio 2016

Shinsekai Yori: Recensione

Titolo originale: Shinsekai Yori
Regia: Masashi Ishihama
 Soggetto: Yusuke Kishi
Sceneggiatura: Masashi Sogo
Character Design: Chikashi Kubota
 Musiche: Shigeo Komori
 Studio: A-1 Pictures
Formato: serie televisiva di 25 episodi
Anni di trasmissione: 2012 - 2013


«Non ti pare che veniamo trattati alla stregua del vasellame? Una volta che il forno viene aperto e la ceramica ispezionata, tutti i pezzi che presentano crepe o deformazioni sono destinati ad essere distrutti. Dato che tutto ciò che ci attendeva era il destino di una ceramica fracassata, abbiamo deciso di fuggire, nella speranza di trovare un futuro diverso.» [Dalla lettera di Maria a Saki]

Inevitabilmente, nel contesto della società giapponese, la “morte” dell'individuo avviene col suo ingresso nell'età adulta e nel mondo del lavoro. Ad una fanciullezza libera, spensierata e privilegiata, giunta una precisa scadenza, seguono una pressoché completa rinuncia alla propria identità personale e una totale dipendenza dal gruppo di appartenenza, il cui invadente sguardo s'insinua in tutti gli aspetti della vita del singolo, inclusi quelli più intimi e privati. Nell'adulto nipponico non è pertanto ammesso un “lato oscuro”: l'ombra va rimossa, e i tratti psicologici incompatibili con i dettami imposti dall'esterno devono essere soppressi, pena la totale esclusione dalla società. Gli individui che non si adeguano al sistema vengono considerati alla stregua del fango, isolati e demonizzati, in modo tale che la loro carica “sovversiva” non possa danneggiare un meccanismo costruito sulle fragili fondamenta del formalismo, dell'apparenza e, in primis, della vergogna. La vergogna di non essere all'altezza delle aspettative altrui; la vergogna di esternare le proprie emozioni; la vergogna che si prova nella gestione del rimosso psicologico, che rimane sempre in agguato nel subconscio, pronto a minare la coesione sociale del gruppo. Giusto per rendere l'idea della rigidità della società giapponese, in seguito all'arresto dell'otaku serial killer di bambine Tsutomu Miyazaki (1989), gli otaku che si recavano nei negozi per comprare o noleggiare videocassette contenenti cartoni animati, venivano schedati dalla polizia come se fossero dei potenziali criminali, anche se nei fatti erano innocenti ed innocui. Da questo esempio – una goccia nel mare – si deduce che, inevitabilmente, all'interno di un insieme di persone basato sulla totale dipendenza dal gruppo, la paura per il diverso e la paranoia diventano delle reazioni meccaniche immediate, che inevitabilmente portano a crudeli “cacce alle streghe” coadiuvate da misure repressive prive di giudizio, figlie di psicosi collettive ben mascherate da volti brillanti, puliti e sorridenti.
Dal canto suo, “Shinsekai Yori” (lett. “From the New World”, palese citazione all'omonima sinfonia di Dvořák, che fa da leit motiv all'intera opera), oltre ad interrogarsi sulla legittimità di una società del genere, va molto più a fondo, decostruendola e sezionandola mediante potenti strumenti allegorici. L'anime tratto dal corposo romanzo di Yusuke Kishi (grande successo di pubblico e critica in madrepatria), unisce geniali trovate grafiche e registiche ad un coacervo di riflessioni sulla natura umana, rivelandosi uno degli anime più meritevoli, innovativi e complessi recentemente creati.

mercoledì 27 aprile 2016

Taiyou no Ouji - Hols no Daibouken: Recensione

 Titolo originale: Taiyo no ouji - Hols no Daiboken
Regia: Isao Takahata
Soggetto & sceneggiatura: Kazuo Fukuzawa
Character Design: Yoichi Kotabe
Musiche: Michio Mamiya
Studio: Toei Animation
Formato: film cinematografico
Anno di uscita: 1968


"Taiyou no Ouji - Hols no Daibouken" ("Il Principe del Sole - La grande avventura di Hols"), il primo film diretto da Isao Takahata, è uno dei lavori fondamentali della storia dell'animazione. Siamo nel lontano 1968, nell'epoca delle rivolte studentesche, della guerra del Vietnam, delle agitazioni sociali, dell'occupazione americana in Giappone. L'animazione nel paese del Sol Levante è ancora allo stato embrionale: sono passati soltanto cinque anni da quel fatidico 1963 in cui Osamu Tezuka creava "Tetsuwan Atom", la prima serie televisiva giapponese animata della storia. Per emulare il successo dell'opera, la colossale Toei animation produceva anime per bambini utilizzando le tecniche di animazione low budget ideate da Tezuka - "bank system" in primis - e imponendo agli sceneggiatori trame e soggetti alquanto banali, generando nel frattempo il malcontento degli animatori - sfruttati e sottopagati - tra i quali vi erano non pochi giovani volenterosi pieni di idee, che avevano visto i loro sogni stroncati sul nascere da ritmi di lavoro frenetici e dalla più completa mancanza di libertà di espressione. In questo contesto, nascevano i primi sindacati degli animatori, e gli ideali socialisti prendevano piede anche negli studi Toei; Takahata e Miyazaki - all'epoca ancora giovanissimi - si conoscono proprio perché Miyazaki, animatore di base (praticamente l'ultima ruota del carro nella catena di produzione) impegnato nella lotta proletaria come segretario del sindacato degli animatori, ha l'opportunità, grazie al suo incarico politico, di intrattenere rapporti con gli inavvicinabili senpai della Toei. I due fanno amicizia grazie alla loro comune passione per Grimault e il cinema sovietico, in particolare Lev Atamanov ("La Regina delle Nevi" è un'opera che li ha visceralmente colpiti, proprio come il modo di fare cinema di Grimault, che consisteva nella trasposizione fiabesca delle idee populiste di Prévert e compagni - il socialismo come condizione necessaria e sufficiente di convivenza armonica tra gli uomini).

venerdì 4 settembre 2015

I segreti di Twin Peaks: Recensione

 Titolo originale: Twin Peaks
Regia: David Lynch, Lesli Linka Glatter, Caleb Deschanel, Duwayne Dunham, Tim Hunter, Todd Holland, Tina Rathborne, Graeme Clifford, Mark Frost, Uli Edel, James Foley, Stephen Gyllenhaal, Diane Keaton, Jonathan Sanger
Soggetto: David Lynch, Mark Frost
Sceneggiatura: Mark Frost, David Lynch, Harley Peyton, Robert Engels, Barry Pullman, Tricia Brock, Scott Frost, Jerry Stah
Musiche: Angelo Badalamenti
Formato: serie televisiva di 30 episodi
Anni di trasmissione: 1990 -1991


Il misterioso omicidio di Laura Palmer; quel cadavere nudo, ritrovato per caso, avvolto in un telo di plastica. Era la ragazza più popolare di Twin Peaks, una piccola cittadina di montagna come tante altre; conduceva una doppia vita, indossando la maschera della brava studentessa solare e amichevole con tutti, nascondendo la sua dipendenza da cocaina e la sua attività di prostituta.
Spetterà all'agente dell'FBI Dale Cooper svolgere le indagini inerenti il macabro fatto, che sembra in qualche modo collegato ad un vecchio caso sul quale aveva in precedenza lavorato all'infuori della cittadina. Ma nulla è scontato a Twin Peaks, dacché ogni abitante sembra nascondere un lato oscuro alquanto inquietante: potrebbero essere stati tutti ad uccidere Laura Palmer, forse l'universo intero; e se sogno e realtà fossero intimamente collegati? E se la chiave del mistero di Twin Peaks non fosse contenuta all'esterno, nel mondo percepito dai nostri sensi, ma nella nostra mente? Soltanto una cosa rimane da dire: Let's Rock!

lunedì 23 marzo 2015

Hotarubi no Mori e: Recensione

 Titolo originale: Hotarubi no mori e
Titolo inglese: Into the Forest of Fireflies' Light
Regia: Takahiro Oomori
Soggetto originale:Yuki Midorikawa
Sceneggiatura: Takahiro Oomori
Character Design: Akira Takada
Musiche: Makoto Yoshimori
 Studio: Brian's Base
Formato: Film
Anno di uscita: 2011


L'atmosfera calda ed elegiaca di un paesino di campagna in piena estate, una misteriosa e sovrannaturale foresta ai piedi di un monte in cui il mito e la leggenda vogliono vi dimori una antica divinità; la diafana e impalpabile linea tra sogno e realtà si assottiglia, caldeggiata da una soave atmosfera di bucolica tranquillità che permea l'ambiente circostante, conferendogli un sapore trasognato.

venerdì 9 gennaio 2015

Now and Then, Here and There: Recensione

  Titolo originale: Ima, Soko ni Iru Boku
Regia: Akitaro Daichi
Soggetto: Akitaro Daichi
Sceneggiatura: Hideyuki Kurata
Character Design: Atsushi Ohizumi, Rie Nishino
Musiche: Taku Iwasaki
Studio: AIC, Geneon
Formato: serie televisiva di 13 episodi
Anni di uscita: 1999-2000


Non è raro nella nostra breve esperienza di vita rimanere imprigionati in meccanismi che ci obbligano ad agire contro la nostra volontà, proibendoci di essere noi stessi, influenzandoci sino al punto di mutare la nostra visione del mondo. Perché, in fondo, anche noi uomini siamo un complesso meccanismo, allo stesso modo di tutto ciò che ci circonda. Il meccanismo di un orologio funziona in un modo molto preciso, ma non è dotato di coscienza: un orologio non sa di essere un orologio, e non si pone neanche il problema degli altri meccanismi presenti nel mondo. L'uomo è un meccanismo molto più complicato dell'orologio, siccome, almeno in teoria, dovrebbe possedere la coscienza di sé stesso e delle sue azioni. Ma nel momento in cui ci si dimentica di essere uomini, e si agisce come delle macchine, si diventa molto più pericolosi di un semplice orologio. La follia e la sete di potere prendono piede, e, nel peggiore dei casi, vengono legittimate e giustificate da determinate ideologie, eserciti e assetti sociali.
"Ima, Soko ni Iru Boku", alias "Now and Then, Here and There" per gli occidentali, è una rappresentazione fantasiosa, ma allo stesso tempo tremendamente realistica, del meccanismo più atroce mai sperimentato dall'uomo: la guerra. Atmosfere cupe e angosciose, condite da ambientazioni fantastiche e allo stesso tempo terribili, convergono in un dramma umano in cui un soffice tocco di poesia, congiunto alla crudezza della realtà più spaventevole, rapisce e incanta, sferrando un grande pugno nello stomaco allo spettatore, al fine di metterlo in guardia su determinati fatti che sono realmente accaduti e che accadono tutt'ora nel mondo (secondo il regista, l'anime è stato creato ispirandosi ai rapporti del genocidio ruandese, e il suo scopo è quello di denunciare l'utilizzo dei bambini negli eserciti dell'Africa Orientale).

lunedì 24 novembre 2014

Simoun: Recensione

Titolo originale: Simoun
Regia: Junji Nishimura
Soggetto: Fūkyōshi Oyamada
Character Design: Asako Nishida
Musiche: Toshihiko Sahashi
Studio: Studio Deen
Formato: serie televisiva di 26 episodi
Anno di trasmissione: 2006


Incredibile come certe opere d'animazione possano passare del tutto inosservate al grande pubblico, senza che venga loro dato un minimo di attenzione o di interesse nonostante il pregio di cui si possono fregiare. Simoun è di certo un esempio eclatante di questo fenomeno che, ingiustamente, lo ha reso quasi sconosciuto ai più. In effetti difficile è immaginare il target di pubblico a cui sia ipoteticamente destinata una tale opera, data la pesantezza e difficoltà dei temi trattati ci si rende conto che abbiamo di fronte una serie estremamente di nicchia.

lunedì 22 settembre 2014

Wolf Children - Ame e Yuki i bambini lupo: Recensione

Titolo originale: Ōkami Kodomo no Ame to Yuki
Regia: Mamoru Hosoda
Soggetto: Mamoru Hosoda
Sceneggiatura: Mamoru Hosoda, Satoko Okudera
Character Design: Yoshiyuki Sadamoto
Musiche: Masakatsu Takagi
Studio: Studio Chizu
Formato: film cinematografico 
Durata 117'
Anno di uscita: 2012


Hana è una ragazza mite, solare e riservata, che un giorno, all'università, si innamora di un misterioso uomo-lupo. Diventata madre, divide i suoi sforzi tra l'impresa di arrivare alla fine del mese e l'educazione dei suoi figli Ame e Yuki. Per proteggere il segreto dei suoi bambini, che mutano continuamente da cuccioli pelosi a marmocchi con le guance rosee, una volta rimasta sola, Hana decide di trasferirsi con loro in un piccolo villaggio di campagna. Circondati dalla vegetazione lussureggiante, Ame e Yuki dovranno scegliere se diventare uomini o lupi, preparandosi ad affrontare la vita e il destino...

sabato 9 agosto 2014

Porco Rosso: Recensione

Titolo originale: Kurenai no buta
Regia: Hayao Miyazaki
Soggetto & sceneggiatura: Hayao Miyazaki
Musiche: Joe Hisaishi
Studio: Studio Ghibli
Formato: film cinematografico
Durata: 94'
Anno di uscita: 1992


Nel periodo storico compreso tra le due guerre mondiali, Marco Pagot alias Porco Rosso, un ex pilota veterano della prima guerra mondiale, lavora come cacciatore di taglie. Egli è vittima di un sortilegio che l'ha trasformato in maiale, ed è combattuto per il suo amore verso l'amica d'infanzia Gina, una bellissima cantante italiana rimasta vedova più volte a causa della guerra. L'arrivo di Curtis, un pilota americano tanto abile quanto sfacciato e pieno di sé, è una nuova sfida per l'asso dalle sembianze suine, il quale, durante la sua ordinaria caccia ai pirati, farà anche conoscenza della geniale e giovanissima meccanica Fio, e di tanti altri personaggi...

La Principessa Spettro: Recensione

Titolo originale: Mononoke Hime
Regia: Hayao Miyazaki
Soggetto & sceneggiatura: Hayao Miyazaki
Character Design: Masashi Ando, Yoshifumi Kondo
Musiche: Joe Hisaishi
Studio: Studio Ghibli
Formato: film cinematografico 
Durata: 133'
Anno di uscita: 1997

 
Nell'antico Giappone del periodo Muromachi, un villaggio Emishi viene attaccato da un cinghiale posseduto da un demone. L'ultimo principe degli Emishi, Ashitaka, riesce a sconfiggerlo prima che raggiunga il villaggio, tuttavia, durante lo scontro, il suo braccio destro viene infettato dall'energia negativa di tale misteriosa carogna infuriata. L'oracolo del villaggio invierà Ashitaka nelle terre dell'ovest, alla ricerca della cura contro la maledizione, e in questo viaggio il giovane farà la conoscenza di San, la principessa spettro, ragazza selvaggia e inquieta, abbandonata dai genitori in tenera età e cresciuta dai lupi del bosco; Eboshi, una carismatica capo villaggio che ha creato una micro-società industrializzata di stampo matriarcale (la donna fa costruire archibugi ai suoi fabbri al fine di fare la guerra ai samurai e agli animali del bosco); incontrerà il Dio bestia, lo spirito che occupa il gradino più alto nella gerarchia degli spiriti degli alberi, delle piante e della natura in sé. Ashitaka cercherà, con fare molto compromettente, di far interrompere la vera e propria guerra in corso tra Eboshi, che rappresenta il progresso della tecnica, e San, la tradizione, l'attaccamento incondizionato verso la natura, verso il passato. Tuttavia, l'accanimento di Eboshi verso il Dio bestia, al quale vuole a tutti i costi staccare la testa, complicherà ulteriormente le cose...

martedì 24 giugno 2014

Princess Tutu: Recensione

 Titolo originale: Princess Tutu
Regia: Jun'ichi Satō/Shōgo Kōmoto
Soggetto: Chiaki J. Konaka/Mamiko Ikeda/Michiko Yokote/Rika Nakase/Takuya Sato
Sceneggiatura: Jun'ichi Satō/Kiyoko Sayama/Shougo Kawamoto/Tatsufumi Tamagawa/Yū Kō
Character Design: Ikuko Itō
Musiche: Kaoru Wada
Studio: Hal Film Maker
Formato: serie televisiva di 26 episodi
Anno di trasmissione: 2002


Spesso si può essere portati erroneamente a credere che le fiabe siano un genere di racconti adatti solamente ai bambini, solite propinare una qualche morale costruita a puntino senza riuscire ad addentrarsi in riflessioni dotate di una certa maturità e profondità. Ritengo che questo sia uno dei più gravi errori e pregiudizi in cui si possa incorrere. "Princess Tutu" è la prova inoppugnabile di come una fiaba possa rivelarsi incredibilmente significativa, tragica e dolce. Questa serie non è altro, infatti, se non una bellissima fiaba, anzi, a voler essere precisi, la si dovrebbe considerare la fiaba delle fiabe, la storia per antonomasia, poiché la riflessione che propone va a incidere sul significato stesso della costruzione di una storia, del ruolo dei suoi personaggi e della funzione del suo autore.

sabato 7 giugno 2014

Kaiba: Recensione

 Titolo originale: Kaiba
Regia: Masaaki Yuasa
Soggetto: Masaaki Yuasa/Madhouse
Sceneggiatura: Masaaki Yuasa
Character Design: Nobutake Ito
Musiche: Kiyoshi Yoshida
Studio: Madhouse
Formato: serie televisiva di 12 episodi
Anni di trasmissione: 2008


Un inaspettato incipit in "medias res" ci catapulta in un mondo a noi totalmente sconosciuto e incomprensibile, di cui non conosciamo nulla e di cui nulla ci viene spiegato. L'assenza di una voce narrante esterna agli avvenimenti dona alla serie quel tocco di realismo che lascia in un primo momento confusi, smarriti, sensazioni che condividiamo con il protagonista stesso che, come lo spettatore, si ritrova precipitato in un mondo alieno e oscuro. Egli ha perduto infatti le sue memorie e, dimentico del suo passato, inizia un surreale e onirico viaggio alla ricerca di se stesso.

venerdì 30 maggio 2014

Apollo no Uta: Recensione

 Titolo originale:Apollo no Uta

 Titolo inglese: Apollo's Song 

Autore: Osamu Tezuka

 Tipologia: Shonen Manga 

 Edizione italiana: inedito (disponibile solo in lingua inglese)

Volumi: 3 

Anno di uscita: 1970



«I wanted to run away from everyone, to live in a world of my own, where nobody would ever find me. This is that world, my world.»

«When you love someone, it puts you above life and death.»

Se pensate che queste citazioni vengano fuori da un anime psicologico anni '90 vi sbagliate di grosso. Le ho prese da "Apollo no Uta", quello che ritengo uno dei migliori Tezuka che abbia mai letto. Si tratta di una grande metafora della vita e dell'amore uomo-donna, in chiave psicologica, filosofica, con un forte nichilismo di fondo e un evidente richiamo alle tragedie greche (l'idea di base sulla quale si sviluppa il manga è il mito di Apollo e Daphne). Per la prima volta, il complesso di Edipo e la psico-analisi compaiono in un media di intrattenimento giapponese; "Apollo no Uta", infatti, è stato inizialmente concepito da Tezuka come mero manuale di educazione sessuale per i ragazzi del periodo, anche se il risultato finale è ben differente; l'infinita fertilità artistica del maestro, anche in questo caso, ha fatto sì che l'opera trascendesse a qualcosa di ben più profondo - un dramma umano struggente, dai molteplici livelli di lettura.

sabato 3 maggio 2014

Le ali di Vendemiaire: Recensione

 Titolo originale: Vandemieru no Tsubasa

Titolo inglese: Wings of Vendemiaire

Autore: Mohiro Kitoh

Tipologia: Seinen

Edizione italiana: Star Comics 

Volumi: 2

Anno di uscita: 1996

 


Iniziai a leggere "Le ali di Vendemiaire" sospinto dal fascino e dall'interesse che in me avevano destato le altre due opere, ben più note, di Mohiro Kitoh ("Narutaru" e "Bokurano") autore dall'inconfondibile stile grafico piuttosto asettico e algido, volto in funzione di una sceneggiatura affilata e crudele, che lascia la riflessione ad appannaggio del lettore, senza svolgerla a suo beneficio, aprendo così la possibilità ad una rielaborazione del tutto personale dei contenuti, i quali si connotano spesso per un cinismo decisamente marcato.