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domenica 29 ottobre 2023

Io, il mio Nemico: Retrospettiva & Riflessioni personali


Dato quello che sta succedendo in giro per il mondo, ho deciso di rispolverare una vecchia lettura sconosciuta ai più, ma ben nota a mia madre, che da giovane, un po' come me, era un'avida lettrice con una discreta sensibilità verso il sociale. Quindi, per ovvi motivi, lessi "Io, il mio nemico" da ragazzino, anche se all'epoca non avevo ancora la maturità necessaria per poterlo veramente capire, nonostante comunque, in qualche modo, lo avessi visceralmente assorbito e fatto mio (mi sembra di ricordare una fase della mia vita in cui volevo fare il militare e il giornalista). Fatte queste premesse, l'opera è appunto un capolavoro di giornalismo, quando il giornalismo ancora esisteva e non era perlopiù fake news o l'emblema dello sputtanamento e del partito preso come oggi. In sostanza, l'autore è un giornalista ebreo con un passato nell'esercito israeliano (paracadutisti, antiterrorismo), che nel 1986, di comune accordo con il suo giornale, decide di sfruttare il suo aspetto fisico e la sua profonda conoscenza della lingua e della cultura araba per fingersi palestinese. 

venerdì 25 dicembre 2020

Narutaru: Recensione 2 .0

 Titolo originale: Narutaru

Autore: Kitoh Mohiro

Tipologia: Seinen Manga

Edizione italiana: Star Comics 

Volumi: 12

Anno di uscita: 1998

 


Opera dalle molteplici stratificazioni, Narutaru è indubbiamente una tragedia. Se si vuole affrontare un’analisi del manga, bisogna quindi partire da questo presupposto, per poi arrivare a considerare, più in superficie, la denuncia sociale (e politica) messa in atto dall’autore.

In primis ci si potrebbe chiedere, come fece Nietzsche, da dove abbia avuto origine la tragedia, considerando purtuttavia che l’opera è orientale, ed ergo costruita su fondamenta ben diverse dal romanticismo tedesco, dall’idealismo e dal dualismo Cartesiano. Rimane comunque un nesso con la tragedia greca antica: forse, la cosa più angosciante di Narutaru, è come esso evidenzi, con il suo essere violento, morboso e malato, sia l’inettitudine dell’essere umano – non ci sono eroismi nell’opera, solo bassezze -, sia il suo essere predestinato all’inevitabile fine, che per Kitoh, autore dalle influenze taoiste, è allo stesso tempo rinascita.

Siamo nel 1998, e i Pokémon sono una realtà commerciale molto popolare presso i giovani, mentre Evangelion lo è per gli adulti. L’idea di base dell’autore è di coniugare le due cose: avremo dei ragazzini con i loro mostri (Shiina, la protagonista, esteticamente è molto affine alle ragazzine della Nintendo) in un contesto drammatico, psicologico, filosofico e metanarrativo alla Evangelion. Essendo poi Narutaru un seinen manga, l’autore non si pone alcun limite nell’esporre situazioni molto violente e morbose, coadiuvate da un tratto tagliente e asettico che rende i personaggi molto simili alle bambole – e quindi incapaci di svincolarsi dalla loro condizione di tragici, di marionette mosse dalle fila del destino.

domenica 7 gennaio 2018

Capitan Harlock, il pirata dello spazio: Recensione

Titolo originale: Uchuu Kaizoku Captain Harlock
Regia: Rintaro
Soggetto: basato sull'omonimo manga di Leiji Matsumoto
Sceneggiatura: Haruya Yamazaki, Shozo Uehara
Character Design: Kazuo Komatsubara
Musiche: Seiji Yokoyama
Studio: Toei Animation
Formato: serie televisiva di 42 episodi
Anni di trasmissione: 1978 - 1980


«Se ti va, sali a bordo di questa nave.
Soltanto qui i sogni che avevi perduto tanto tempo fa tornano a vivere.
Dov'è andato quel bel fiore?
Dov'è finito quell'animo gentile?
Sali a bordo di questa nave, se hai bisogno di una ragione per cui vivere.
Soltanto qui i sogni che avevi perduto tanto tempo fa tornano a vivere.
»

Già nelle strofe della poetica sigla di chiusura di Uchuu Kaizoku Captain Herlock, la malinconica Warera no Tabidachi, si assaporava la necessità di Leiji Matsumoto (classe 1938) di un rifugio carico di atavica idealità mediante il quale "fuggire" dall'americazzazione imperante e dall'apatia portate dal boom economico settantino. L'umanità del 2977, quella in cui si muove il più celebre pirata dell'animazione giapponese, vive nel più bieco benessere, priva di valori e memoria storica, ipnotizzata dai media e da tutti quei numerosissimi vizietti  consumistici che, oggi più che mai, drogano l'uomo rendondolo ottuso, infantile e insensibile. I politici della Terra, all'alba dell'invasione delle Mazoniane, preferiscono ignorare la realtà, giocando a golf e assistendo alle corse dei cavalli. Dal canto suo, Harlock, il guerriero Matsumotiano per eccellenza (guardacaso creato dall'autore fin dal principio,  durante la sua infanzia), schifato dai suoi simili, si ritrova a vagare per lo spazio con un pugno di pirati, rinnegato dalla sua gente e destinato purtuttavia a difenderla dall'attacco alieno che mira a conquistarne il pianeta natale, spinto soltanto dalla promessa fatta al suo migliore amico e dagli ideali di cavalleria del passato. 

sabato 25 giugno 2016

House: Recensione

Titolo originale: Hausu
Regia: Nobuhiko Obayashi
Soggetto: Chigumi Obayashi
Sceneggiatura: Chiho Katsura
Musiche: Asei Kobayashi, Mickie Yoshino
Effetti speciali: Nobuhiko Obayashi
Produzione: Nobuhiko Obayashi, Toho Company
Formato: film cinematografico
Anno di uscita: 1977
 

A detta di Nobuhiko Obayashi, regista, produttore e addetto agli effetti speciali di "House" (Hausu, 1977), fu sua figlia Chigumi – all'epoca frequentante il sesto anno delle elementari –, a suggerirgli l'idea di una casa che divorasse i propri abitanti. Mentre si stava pettinando davanti allo specchio del bagno, la ragazzina iniziò a fantasticare su quanto sarebbe stato terrificante se il suo stesso riflesso, in quell'attimo, fosse uscito dallo specchio per mangiarsela. Il padre, colpito e affascinato da quest'insolita immagine, chiese alla figlia cos'altro all'interno della loro casa avrebbe potuto attaccarla: «a volte, mentre suono il piano, le dita iniziano a farmi molto male; mi sento come se la tastiera me le stesse masticando». Incoraggiata dal padre, la piccola Chigumi Obayashi continuò così a concepire orrori nati dalla propria casa: fu in questo modo che, lentamente, iniziò a prendere forma la struttura narrativa e l'approccio visivo di "House".

sabato 10 ottobre 2015

Eureka Seven: Recensione

Titolo originale: Kōkyōshihen Eureka Seven
Regia: Tomoki Kyoda
Soggetto: BONES, Dai Sato
Sceneggiatura: Dai Sato
Character Design: Kenichi Yoshida
Mechanical Design: Shoji Kawamori
Musiche: Naoki Sato
Studio: BONES
Formato: serie televisiva di 50 episodi
Anni di trasmissione: 2005 - 2006


Per chi scrive, “Eureka Seven” gioca un ruolo abbastanza importante nel suo genere di riferimento, in quanto si tratta dell'ultimo grande – in tutti i sensi: parliamo di uno staff stellare, di un budget spropositato e di una cinquantina di puntate - robotico “classico” della storia; il canto del cigno di quella corrente stilistica originatasi in passato grazie alle lezioni impartite dai seminali “Gundam” e “Macross”, aggiornato secondo i dettami grafici del suo tempo e fornito di una dimensione epica, sentimentale e psicologica in parte affine alle correnti stilistiche in voga negli anni novanta.
Dopo “Eureka Seven”, il robotico diventerà sempre più di nicchia, e lascerà spazio – salvo poche eccezioni - a stridenti commistioni di pochi episodi nate più che altro per motivi pubblicitari, nonché prive di autori di razza in grado di elevare il genere a qualcosa di più riflessivo, iconico e concettuale. Creato da uno staff formato da alcuni degli artisti che in passato avevano lavorato al fianco di Yoshiyuki Tomino - il primo grande intellettuale del robotico - in “Overman King Gainer”, “Eureka Seven” si discosta moltissimo dall'infelice manierismo Sunrise caratterizzato da quelle opere che prenderanno piede dopo il tanto discusso “Code Geass”, guarda caso datato 2006 e responsabile - a prescindere dalla sua effettiva qualità, sulla quale si potrebbe sempre discutere - di aver generato dei raccapriccianti “figli” che contribuiranno alla parabola discendente del genere, che dovrà altresì lasciar spazio al fashion moe di nuova generazione introdotto da “Suzumiya Haruhi no yūutsu – anch'essa opera targata 2006. Insomma, il 2006 a tutti gli effetti rappresenta la data di chiusura di quel fecondo dopo-Eva in cui, seguendo i dettami di Anno e Imagawa, una capace generazione di autori aveva dato alla luce molteplici robotici di grande qualità e spessore.

sabato 25 aprile 2015

General Daimos: Recensione

 Titolo originale: Tōshō Daimos
Regia: Tadao Nagahama
Soggetto: Saburo Yatsude, Tadao Nagahama
Sceneggiatura: Masaki Tsuji, Saburo Yatte
Character Design: Yuki Hijiri
Mechanical Design: Studio Nue
Musiche: Shunsuke Kikuchi
Studio: Sunrise, Toei Animation
Formato: serie televisiva di 44 episodi
Anni di trasmissione: 1978-1979


Kazuya e Erika si amano. Non è un amore dettato dalle leggi della materia, nato per qualche tornaconto personale, o stroncato dalle difficoltà della guerra. E' un amore istantaneo, assoluto e platonico, che supera la diversità, l'odio e le incomprensioni. Non può essere condizionato dal dubbio e dalla distanza, né tantomeno dall'incombente tragedia: l'amore di Kazuya, coraggioso e leale guerriero, verso Erika, la principessa del popolo contro cui egli deve combattere, non ha barriere, è più forte di qualsiasi arma, di qualsiasi ideologia. E' così che prende vita l'intenso mood di "General Daimos", il celebre "Romeo e Giulietta" del robotico.

sabato 11 aprile 2015

Mobile Suit Z Gundam: Recensione

Titolo originale: Kidō Senshi Z Gundam
Regia: Yoshiyuki Tomino
Soggetto: Hajime Yatate, Yoshiyuki Tomino
Sceneggiatura: Yoshiyuki Tomino, Akinori Endo, Hiroshi Ohnogi, Miho Maruo, Tomoko Kawasaki, Yasushi Hirano, Yumiko Suzuki
Character Design: Yoshikazu Yasuhiko
Mechanical Design: Kunio Okawara, Kazumi Fujita, Mamoru Nagano
Musiche: Shigeaki Saegusa
Studio: Sunrise
Formato: serie televisiva di 50 episodi
Anni di trasmissione: 1985 - 1986


1985. Contemporaneamente all'ibrido real/super robot "Layzner", lo studio Sunrise sforna "Mobile Suit Z Gundam", il seguito diretto della leggendaria prima serie gundamica. Si tratta di un progetto ambizioso e dal budget spropositato, un mastodontico kolossal dagli aspetti tecnici all'avanguardia e dall'inaudito fascino stilistico; con quest'opera, l'obbiettivo primario dello staff guidato da Yoshiyuki Tomino fu quello di creare una versione molto piu' complessa della prima serie televisiva, ossia un thriller fantascientifico dalla trama oltremodo sofisticata, nonché infarcito con una marcata dose di fantapolitica e melodramma. Nonostante tutte queste buone premesse, il risultato finale in un certo senso contraddice la pietra miliare del 1979, scadendo nella spettacolarizzazione della guerra e trascurando quelle importanti riflessioni su di essa che avevano reso il primo "Gundam" un'opera coraggiosa, concettuale e profonda. Non c'è quindi da stupirsi del fatto che Tomino abbia per lungo tempo rinnegato "Z Gundam", non ritenendolo in alcun modo rappresentativo della sua poetica.

martedì 17 febbraio 2015

Barefoot Gen (Gen di Hiroshima): Recensione

  Titolo originale: Hadashi no Gen
Regia: Mori Masaki
Soggetto: basato sull'omonimo manga di Keiji Nakazawa
Sceneggiatura: Keiji Nakazawa
Character Design: Kazuo Tomisawa
Musiche: Kentarou Aneda
Studio: Madhouse
Formato: film cinematografico
Anno di uscita: 1983 


Anche se spesso guardando anime recenti ho la vaga impressione che i giapponesi l'abbiano dimenticato, la tragedia di Hiroshima e Nagasaki è stata una delle più grandi ferite ricevute dal loro popolo. Tale nefasto evento è stato ricordato nella maggiorparte degli anime e manga che vanno dagli anni '60 fino agli inizi del ventunesimo secolo - tra i più recenti mi torna subito in mente l'apocalittico e validissimo "Saikano" -. Sopratutto durante il periodo della guerra fredda, in cui la minaccia atomica era temuta in tutto il mondo, nell'animazione giapponese fiorivano molte opere apocalittiche e impegnate sull'argomento. "Barefoot Gen"si colloca perfettamente in questo tipo di opere (non a caso è uscito nel 1983, lo stesso anno di "Dunbine", l'anime di Tomino in cui è presente uno dei più grandi moniti autorali nei confronti della guerra e delle armi nucleari). Siamo di fronte ad un lungometraggio tratto dall'omonimo manga autobiografico di Keiji Nakazawa. Autobiografico, è questa la parola che sconvolge: quello che vedremo in "Barefoot Gen" è la vera e propria testimonianza di un bambino riuscito a sopravvivere alla tragedia nucleare di Hiroshima.

venerdì 9 gennaio 2015

Now and Then, Here and There: Recensione

  Titolo originale: Ima, Soko ni Iru Boku
Regia: Akitaro Daichi
Soggetto: Akitaro Daichi
Sceneggiatura: Hideyuki Kurata
Character Design: Atsushi Ohizumi, Rie Nishino
Musiche: Taku Iwasaki
Studio: AIC, Geneon
Formato: serie televisiva di 13 episodi
Anni di uscita: 1999-2000


Non è raro nella nostra breve esperienza di vita rimanere imprigionati in meccanismi che ci obbligano ad agire contro la nostra volontà, proibendoci di essere noi stessi, influenzandoci sino al punto di mutare la nostra visione del mondo. Perché, in fondo, anche noi uomini siamo un complesso meccanismo, allo stesso modo di tutto ciò che ci circonda. Il meccanismo di un orologio funziona in un modo molto preciso, ma non è dotato di coscienza: un orologio non sa di essere un orologio, e non si pone neanche il problema degli altri meccanismi presenti nel mondo. L'uomo è un meccanismo molto più complicato dell'orologio, siccome, almeno in teoria, dovrebbe possedere la coscienza di sé stesso e delle sue azioni. Ma nel momento in cui ci si dimentica di essere uomini, e si agisce come delle macchine, si diventa molto più pericolosi di un semplice orologio. La follia e la sete di potere prendono piede, e, nel peggiore dei casi, vengono legittimate e giustificate da determinate ideologie, eserciti e assetti sociali.
"Ima, Soko ni Iru Boku", alias "Now and Then, Here and There" per gli occidentali, è una rappresentazione fantasiosa, ma allo stesso tempo tremendamente realistica, del meccanismo più atroce mai sperimentato dall'uomo: la guerra. Atmosfere cupe e angosciose, condite da ambientazioni fantastiche e allo stesso tempo terribili, convergono in un dramma umano in cui un soffice tocco di poesia, congiunto alla crudezza della realtà più spaventevole, rapisce e incanta, sferrando un grande pugno nello stomaco allo spettatore, al fine di metterlo in guardia su determinati fatti che sono realmente accaduti e che accadono tutt'ora nel mondo (secondo il regista, l'anime è stato creato ispirandosi ai rapporti del genocidio ruandese, e il suo scopo è quello di denunciare l'utilizzo dei bambini negli eserciti dell'Africa Orientale).

giovedì 8 gennaio 2015

Area 88 (OAV): Recensione

 Titolo originale: Eria Hachi-Jū-Hachi
Regia: Hisayuki Toriumi
Soggetto: basato sull'omonimo manga di Kaoru Shintani
Sceneggiatura: Akiyoshi Sakai
Character Design: Toshiyasu Okada
Monster Design: Junichi Watanabe
Musiche: Ichiro Nitta
Studio: Studio Pierrot
 Formato: serie OVA di 3 episodi
Anni di uscita: 1985 - 1986


Shin Kazama è un giovane pilota di aerei di linea. Le sue prospettive per l'avvenire sono cariche di speranza: egli ama la splendida Ryoko Tsugomo, figlia del presidente della compagnia per cui lavora, la Yamato Airways, ed è da ella dolcemente ricambiato. Il matrimonio sembra imminente. Una sera, un collega ed amico d'infanzia di Shin, tale Satoru Kanzaki, per sbarazzarsi del rivale in amore decide di giocare sporco: per mezzo dell'inganno, egli fa firmare ad uno Shin completamente ubriaco un documento che lo obbliga ad arruolarsi nell'Area 88, una base aerea collocata nel deserto e coinvolta in un conflitto medio-orientale che si protrae ad oltranza da anni. L'inferno per Shin ha inizio. Addio amore, addio futuro, addio normalità. Egli viene trasformato in breve tempo in un assassino, uno dei migliori assassini sul mercato. E' impossibile disertare dall'Area 88, si viene istantaneamente uccisi. E' impossibile scorgere qualcosa di rassicurante in un posto che puzza di morte. Il quotidiano timore dell'imminente raid aereo, le lacrime, l'odore della polvere da sparo, la morte in agguato, la rabbia per l'inganno subito dal proprio migliore amico... questo è "Area 88": una realistica, cruda storia di guerra. La storia di un'uomo che viene privato della sua umanità in seguito ad una beffa del destino.

Area 88: Recensione

 Titolo originale: Eria Hachi-Jū-Hachi

 Titolo inglese: Area 88

Autore: Kaoru Shintani

 Tipologia: Shounen Manga 

 Edizione italiana: non disponibile

Volumi: 23

Anni di Pubblicazione: 1979-1986 



Il mio personale trascorso con "Area 88" è stato molto travagliato. In primis ero rimasto letteralmente folgorato dall'OAV tratto dal suddetto manga di Kaoru Shintani, celebre mangaka ed ex assistente di Leiji Matsumoto (una piccola curiosità: lo Yattaran di "Capitan Harlock" è una palese caricatura di Shintani. Egli era il costruttore dei modellini di plastica che Matsumoto utilizzava per realizzare i suoi disegni). Tuttavia, tale OAV era solamente un antipasto al lunghissimo ed articolato omonimo manga, ed il suo finale era un vero e proprio "coito interrotto": una conclusione sin troppo aperta e vaga. Constatato ciò, decisi di acquistare su internet, a buon prezzo, un blocco contenente l'edizione americana del manga: sin dai primi capitoli, avevo immediatamente compreso di trovarmi di fronte ad un'opera di grande caratura, che meritava pienamente la fama che tutt'ora ha in Giappone; ma la cattiva politica editoriale della Viz Media mi ha costretto ad andare incontro ad un secondo "coito interrotto": l'edizione americana di "Area 88" è stata sospesa al quarantaduesimo capitolo, proprio sul più bello. In preda ad un sincero sconforto, giacché le vicende ed i personaggi di questo dramma cartaceo mi avevano letteralmente conquistato, ho dovuto ricorrere alle raw giapponesi e ad internet per conoscerne il finale e la sorte dei vari - amati - personaggi. Infatti, molto stranamente, "Area 88" non è mai uscito in Italia, nonostante il suo status di "cult" in madrepatria.

martedì 6 gennaio 2015

The Vision of Escaflowne: Recensione

Titolo originale: Tenku no Escaflowne
Regia: Kazuki Akane
Soggetto: Hajime Yatate, Shoji Kawamori
Sceneggiatura: Akihiko Inari, Hiroaki Kitajima, Ryota Yamaguchi
Character Design: Nobuteru Yuki
Mechanical Design: Kimitoshi Yamane
Musiche: Yoko Kanno, Hajime Mizoguchi
Studio: Sunrise
Formato: serie televisiva di 26 episodi
Anno di trasmissione: 1996

 
E' risaputo che negli anni '90 la MTV anime night fosse stata un'evento epocale per tutti gli appassionati di animazione giapponese del belpaese. Titoli come "Evangelion", "Cowboy Bebop", "Trigun", "Escaflowne" e compagnia andavano in onda regolarmente, facendo appassionare le nuove generazioni alla cultura nipponica. Questo status mitologico dell'evento ha fatto sì che spesso si commettesse l'errore di associare a quasi tutte le opere andate in onda all'epoca lo status di capolavoro assoluto/pietra miliare dell'animazione, in quanto il fansub e la cultura anime su internet non erano ancora sviluppati a sufficienza. Questo è quello che a mio avviso è successo con "Escaflowne", un anime pienamente nella media, stereotipato al massimo, dalle notevoli lacune di sceneggiatura; ma, tuttavia, dipinto dai più come mostro sacro dell'animazione, a causa del fatto che sia uscito al posto giusto e nel momento giusto, quando l'animazione giapponese di tipo mecha in Italia non era ancora un fenomeno di larga portata - in precedenza, comunque, erano stati trasmessi dalle televisioni regionali un gran numero di robotici anni '70 (martoriati da dialoghi inventati e doppiaggi casarecci), ma non i robotici anni '80, quelli più affini alle opere mandate in onda su MTV. Vorrei inoltre osservare che spesso questo fatto accade anche con "Evangelion", che pur essendo un ottimo prodotto, in Italia viene quasi all'unanimità ritenuto un "mostro sacro" prima del quale non c'era assolutamente nulla, nonostante i suoi debiti nei confronti dell'opera di Tomino ed il suo palese citazionismo robotico anni '70/'80, tuttavia innovativamente aggiornato con filosofia esistenzialista, postmodernismo e introspezione psicologica, a discapito della trama. "Escaflowne", nonostante goda anch'esso tra i più dello status di capolavoro intoccabile, è un caso diverso da "Evangelion": non ha praticamente innovato nulla, neanche il modo di raccontare il "drama" robotico: si tratta del classico anime ad alto budget costruito a tavolino per avere successo di pubblico, senza alcun merito effettivo a parte il vile denaro sborsato dai produttori, che fa sì che la grafica sia così bella e le animazioni così fluide da rendere il prodotto comunque appetibile al consumatore. Anche le musiche di Yoko Kanno sono un punto di forza dell'opera, anche se non sono al livello delle OST di "Cowboy Bebop" e "Turn A Gundam", a mio avviso i suoi vertici massimi.

lunedì 24 novembre 2014

Simoun: Recensione

Titolo originale: Simoun
Regia: Junji Nishimura
Soggetto: Fūkyōshi Oyamada
Character Design: Asako Nishida
Musiche: Toshihiko Sahashi
Studio: Studio Deen
Formato: serie televisiva di 26 episodi
Anno di trasmissione: 2006


Incredibile come certe opere d'animazione possano passare del tutto inosservate al grande pubblico, senza che venga loro dato un minimo di attenzione o di interesse nonostante il pregio di cui si possono fregiare. Simoun è di certo un esempio eclatante di questo fenomeno che, ingiustamente, lo ha reso quasi sconosciuto ai più. In effetti difficile è immaginare il target di pubblico a cui sia ipoteticamente destinata una tale opera, data la pesantezza e difficoltà dei temi trattati ci si rende conto che abbiamo di fronte una serie estremamente di nicchia.

domenica 7 settembre 2014

Mobile Suit Gundam: Recensione

 Titolo originale: Kidō Senshi Gundam
Regia: Yoshiyuki Tomino
Soggetto: Hajime Yatate, Yoshiyuki Tomino
Sceneggiatura: Hiroyuki Hoshiyama, Yoshihisa Araki, Masaru Yamamoto, Kenichi Matsuzaki, Yoshiyuki Tomino
Character Design: Yoshikazu Yasuhiko
Mechanical Design: Kunio Okawara
Musiche: Yuji Matsuyama, Takeo Watanabe
Studio: Sunrise
Formato: serie televisiva di 43 episodi
Anni di trasmissione: 1979 - 1980


Universal Century, anno 0079. L'umanità ha raggiunto un livello di progresso tecnologico talmente avanzato che le ha permesso di colonizzare lo spazio. Il Principato di Zeon, situato nella colonia spaziale orbitante di Side 3, dichiara la sua indipendenza nei confronti della Federazione Terrestre, scatenando un violento conflitto noto come "Guerra di un anno".
Zeon è inizialmente avvantaggiato dall'uso di un rivoluzionario tipo di arma, il Mobile Suit Zaku, un robot corazzato antropomorfo pilotato da un essere umano. Durante l'intrusione di una squadra di Zaku nella colonia federale di Side 7, il giovane Amuro Rei si ritroverà, in seguito ad alcune circostanze casuali, a dover pilotare il Gundam, un prototipo di Mobile Suit creato dalla Federazione al fine di fronteggiare la minaccia di Zeon. Il giovane, assieme agli altri soldati improvvisati della White Base, un mezzo bellico dalla tecnologia d'avanguardia adibito a nave profughi, si ritroverà nel bel mezzo di una vera e propria guerra, nella quale il talento dei suoi giovanissimi compagni, unito alla tecnologia della White Base e dei Mobile Suit, potrebbe contribuire a ribaltare le sorti del conflitto a favore della Federazione...

domenica 24 agosto 2014

Legend of the Galactic Heroes: Recensione

Titolo originale: Ginga Eiyū Densetsu
Regia: Noboru Ishiguro
Soggetto: (basato sui romanzi originali di Yoshiki Tanaka)
Sceneggiatura: Shimao Kawanaka
Character Design: Matsuri Okuda
Mechanical Design: Naoyuki Kato
Musiche: Shin Kawabe
Studio: Artland, Magic Bus
Formato: serie OVA di 110 episodi
Anni di uscita: 1988 - 1997

 
Ci sono pochi casi, rarissime eccezioni, nelle quali un semplice mezzo d'intrattenimento diventa vera e propria arte, nonché veicolo di profonde argomentazioni - in qusto caso filosofia politica, storia, natura umana, etica - rendendole accessibili ai più in modo genuino, avvincente, senza alcuna mistificazione ed ambiguità di sorta. "Ginga eiyū densetsu" - "Legend of the Galactic Heroes", alias "LOGH" per noi occidentali - è una di queste rare opere, un vero e proprio capolavoro riconosciuto all'unaminità in tutto il mondo per la sua indubbia caratura artistica. Questa mastodontica serie di OAV, tratta dai romanzi fantascientifici di Yoshiki Tanaka, è il punto d'arrivo finale della space opera epica giapponese, filone inaugurato dall'epocale "Corazzata Spaziale Yamato", altro capolavoro indimenticabile con il quale "Ginga eiyū densetsu" condivide il regista, Noboru Ishiguro, il maggiore direttore di space opera del Sol Levante.

sabato 9 agosto 2014

La Principessa Spettro: Recensione

Titolo originale: Mononoke Hime
Regia: Hayao Miyazaki
Soggetto & sceneggiatura: Hayao Miyazaki
Character Design: Masashi Ando, Yoshifumi Kondo
Musiche: Joe Hisaishi
Studio: Studio Ghibli
Formato: film cinematografico 
Durata: 133'
Anno di uscita: 1997

 
Nell'antico Giappone del periodo Muromachi, un villaggio Emishi viene attaccato da un cinghiale posseduto da un demone. L'ultimo principe degli Emishi, Ashitaka, riesce a sconfiggerlo prima che raggiunga il villaggio, tuttavia, durante lo scontro, il suo braccio destro viene infettato dall'energia negativa di tale misteriosa carogna infuriata. L'oracolo del villaggio invierà Ashitaka nelle terre dell'ovest, alla ricerca della cura contro la maledizione, e in questo viaggio il giovane farà la conoscenza di San, la principessa spettro, ragazza selvaggia e inquieta, abbandonata dai genitori in tenera età e cresciuta dai lupi del bosco; Eboshi, una carismatica capo villaggio che ha creato una micro-società industrializzata di stampo matriarcale (la donna fa costruire archibugi ai suoi fabbri al fine di fare la guerra ai samurai e agli animali del bosco); incontrerà il Dio bestia, lo spirito che occupa il gradino più alto nella gerarchia degli spiriti degli alberi, delle piante e della natura in sé. Ashitaka cercherà, con fare molto compromettente, di far interrompere la vera e propria guerra in corso tra Eboshi, che rappresenta il progresso della tecnica, e San, la tradizione, l'attaccamento incondizionato verso la natura, verso il passato. Tuttavia, l'accanimento di Eboshi verso il Dio bestia, al quale vuole a tutti i costi staccare la testa, complicherà ulteriormente le cose...

mercoledì 6 agosto 2014

Mobile Suit Victory Gundam: Recensione

 Titolo originale: Kidō Senshi V Gundam
Regia: Yoshiyuki Tomino
Soggetto: Hajime Yatate, Yoshiyuki Tomino
Sceneggiatura: Hideki Sonoda, Kazuhiro Kanbe, Ken Oketani, Minoru Onoya, Sukehiro Tomita
Character Design: Hiroshi Osaka
Mechanical Design: Kunio Okawara, Hajime Katoki, Junya Ishigaki
Musiche: Akira Senjou
Studio: Sunrise
Formato: serie televisiva di 51 episodi
Anni di trasmissione: 1993 - 1994

«Se usato per connettere le persone, questo Mobile Suit potrebbe anche piacermi.» [Shakti, rivolgendosi ad Uso]

«Non acquistate questi DVD, non è roba da guardare!» [Yoshiyuki Tomino, rivolgendosi ai potenziali acquirenti dei DVD di "V Gundam"]


"Victory Gundam" è a tutto diritto l'anime più sadico, triste e violento mai concepito da Yoshiyuki Tomino, il leggendario creatore di "Gundam" e "Ideon". Si tratta della trasposizione animata della suprema depressione e dello scazzo più totale nei confronti della vita, della donna e dello stesso "Gundam", reo di aver generato un merchandising sfrenato di gunpla, che, dai tempi "Z Gundam", rende l'autore insofferente e impossibilitato a sfogare la sua illimitata creatività in modo indipendente dalle pressioni dei produttori (all'epoca di "Victory" Tomino si era opposto alla fusione della Sunrise con Bandai, ma era stato ignorato e costretto a lavarore controvoglia). L'agognata libertà espressiva e la fine della depressione arriveranno solamente nella seconda metà degli anni '90, in cui l'autore partorirà i personalissimi e ottimisti "Turn A Gundam" e "Brain Powerd".

martedì 5 agosto 2014

The Sky Crawlers: Recensione

Titolo originale: Sky Crowlers
Regia: Mamoru Oshii
Soggetto: (basato sui romanzi originali di Hiroshi Mori)
Sceneggiatura: Chihiro Ito
Character Design: Tetsuya Nishio
Mechanical Design: Atsushi Takeuchi
Musiche: Kenji Kawai
Studio: Production I.G
Formato: film cinematografico
Durata: 121' 
Anno di uscita: 2008

  
In un tempo in cui il termine "capolavoro" risulta essere un'espressione ormai inflazionata, tanto da essere impiegata, nella maggior parte dei casi, con tanta leggerezza quanto poco spirito critico, non si commetterebbe, invero, empietà ne inesattezza alcuna nel riferirlo ad un titolo quale il qui in esame The Sky Crawlers. Se infatti mi si chiedesse, in tutta franchezza, quale opera d'animazione relativa agli ultimi tempi meriti siffatto elogio, non potrei esimermi dall'indicare tale lungometraggio, partorito dal genio creativo di uno tra i più meritevoli artisti della sua epoca: Momoru Oshii. 

lunedì 4 agosto 2014

Turn A Gundam: Recensione

Titolo originale: ∀ Gundam Called Turn "A" Gundam
Regia: Yoshiyuki Tomino
Soggetto: Hajime Yatate, Yoshiyuki Tomino
Sceneggiatura: Yoshiyuki Tomino, Ai Ota, Hiroyuki Hoshiyama, Ichirou Ohkouchi, Jiro Takayama, Katsuhiko Chiba, Minoru Onoya, Miya Asakawa, Tetsuko Takahashi
Character Design: Akira Yasuda
Mechanical Design: Atsushi Shigeta, Kunio Okawara, Syd Mead, Takumi Sakura
Musiche: Yoko Kanno
Studio: Sunrise
Formato: serie televisiva di 50 episodi
Anni di trasmissione: 1999 - 2000


Il rapporto di Tomino con "Gundam" non è mai stato idilliaco: in molte interviste il maestro ha ammesso di essere stato molto frustrato dalle pressioni della produzione e alienato dall'infinito franchise associato al titolo. Nel 1999, per celebrare il ventennio della saga, la Sunrise lasciò a Tomino piena libertà espressiva e un budget considerevole, permettendo la realizzazione del "Gundam definitivo", che avrebbe concluso la saga secondo la volontà del suo autore. Nasceva così "Turn A Gundam", che vantava uno staff prestigiosissimo, tra cui spiccavano Yoko Kanno alle musiche e Syd Mead ("Blade Runner") al mecha design.

venerdì 30 maggio 2014

Apollo no Uta: Recensione

 Titolo originale:Apollo no Uta

 Titolo inglese: Apollo's Song 

Autore: Osamu Tezuka

 Tipologia: Shonen Manga 

 Edizione italiana: inedito (disponibile solo in lingua inglese)

Volumi: 3 

Anno di uscita: 1970



«I wanted to run away from everyone, to live in a world of my own, where nobody would ever find me. This is that world, my world.»

«When you love someone, it puts you above life and death.»

Se pensate che queste citazioni vengano fuori da un anime psicologico anni '90 vi sbagliate di grosso. Le ho prese da "Apollo no Uta", quello che ritengo uno dei migliori Tezuka che abbia mai letto. Si tratta di una grande metafora della vita e dell'amore uomo-donna, in chiave psicologica, filosofica, con un forte nichilismo di fondo e un evidente richiamo alle tragedie greche (l'idea di base sulla quale si sviluppa il manga è il mito di Apollo e Daphne). Per la prima volta, il complesso di Edipo e la psico-analisi compaiono in un media di intrattenimento giapponese; "Apollo no Uta", infatti, è stato inizialmente concepito da Tezuka come mero manuale di educazione sessuale per i ragazzi del periodo, anche se il risultato finale è ben differente; l'infinita fertilità artistica del maestro, anche in questo caso, ha fatto sì che l'opera trascendesse a qualcosa di ben più profondo - un dramma umano struggente, dai molteplici livelli di lettura.