Titolo originale: Saber Marionette J
Regia: Masami Shimoda
Soggetto: Hiroshi Negishi, Satoru Akahori
Sceneggiatura: Katsumi Hasegawa, Kenichi Kanemaki, Masaharu Amiya, Mayori Sekijima, Sumio Uetake, Tomofumi Nobe
Character Design: Shuichi Shimamura
Musiche: Parome
Studio:Bandai Visual, Emotion, Hal Film Maker
Studio:Bandai Visual, Emotion, Hal Film Maker
Formato: serie televisiva di 25 episodi
Come erano fatti gli harem – genere che oggigiorno è sempre più inflazionato - degli anni novanta? Se ci si informa un poco, si deduce che la generazione di otaku dell'epoca prediligeva il moe alla “Di Gi Charat”, la fantascienza cliché contaminata dal cyberpunk e dalle sue perversioni tecnologiche, riflessioni inerenti il rapporto dei consumatori con i propri feticci virtuali, contenuti adulti filtrati attraverso un linguaggio di suoni, immagini e colori dai connotati strettamente infantili, volendo demenziali e voyeuristici. In virtù della legge della domanda, “Saber Marionette J” è un puro harem del suo tempo, nonché uno dei migliori: si tratta di un'opera demenziale e fracassona, la quale tuttavia non rinuncia ad alcune riflessioni – seppur superficiali - inerenti quelle tipiche tematiche novantine che non troveremo mai in un harem attuale.
Ma prima di addentrarsi nell'analisi dell'opera, vale la pena riportarne una breve sinossi.
In un mondo in cui non
esistono più donne, gli uomini hanno creato delle marionette atte a
sostituirle, le quali tuttavia si rivelano dei simulacri privi di
anima. Nondimeno, esistono delle rarissime marionette appartenenti ad
un lontano passato dotate di un circuito in grado di simulare l'animo
umano in base alle esperienze affettive, sociali e sentimentali
ch'esse vivranno in seguito alla loro attivazione. Otaru è un
ragazzo di buon cuore, coraggioso e leale, che si ritrova a possedere
ben tre di queste marionette speciali; ma Gerhardt von Faust, il
crudele e spietato dittatore dello stato di Garland, sembra
interessato ai Maiden Circuits delle tre marionette del
suddetto, e non esiterà ad inviare i suoi scagnozzi nella città
stato di Japoness, dov'egli vive, per procurarseli con le maniere
forti, sino ad attentare alla vita dello Shogun, facendo scoppiare
una vera e propria guerra.
“Saber Marionette J”
è un'opera che inquadra perfettamente la fenomenologia
dell'otakuzoku. Già il nome del protagonista – una palese
storpiatura del termine otaku – è tutto un programma; la
città in cui egli vive, Japoness, ricalca in tutto e per tutto il
periodo Edo del Giappone feudale, che lo studioso Hiroki Azuma nei
suoi scritti associa alla mentalità snobistica postmoderna tipica
della tribù otaku giapponese (si pensi a quanto scritto in
“Generazione Otaku”). Essendo la società giapponese
sostanzialmente misofoba, non stupisce che l'anime sia ambientato in
un mondo in cui non esistono donne e in cui gli uomini, per
riprodursi, sono costretti a ricorrere alla clonazione. La metafora
dei cloni e dell'assenza di una figura femminile reale in un mondo
“congelato” nel passato pone le basi per una riflessione inerente
l'autoreferenzialità di tale subcultura: il mondo di Japoness è
popolato da marionette, ovvero dei feticci senz'anima, e gli uomini
sono completamente uguali ai loro avi – non c'è pertanto alcuna
crescita né evoluzione dell'individuo, ognuno rimane sempre lo
stesso in ogni tempo e incarnazione.
Il fattore che perturberà la suddetta condizione di stasi saranno le tre marionette dotate di “spirito” ritrovate da Otaru, ognuna delle quali rappresenta una caratteristica tipica della femminilità in sé stessa – Lime è l'innocenza, Cherry ricalca la figura materna, Bloodbarry invece corrisponde al topos della seduttrice. Le tre protagoniste costituiscono nel loro insieme la personalità dell'unica donna in carne ed ossa dell'anime, Lorelei, una figura che sino agli ultimi frangenti rimane avvolta nel mistero, ma che nel suo palese simbolismo incarna l'anima: nella postmodernità, l'uomo ha sete non soltanto di una femminilità autentica ed unificatrice, ma altresì di una dimensione spirituale che è andata perduta con l'immobilità dettata dalla propria condizione sociologica. L'ossessione di Gerhardt per Lorelei e i Maiden Circuits in un certo senso è la trasposizione parodistica del vuoto interiore provato dall'otaku novantino il quale, circondato dai suoi totem, diventa dittatore di sé stesso, si imprigiona in una dimensione fittizia priva di affezione e personalità.
D'altro canto, a fare da contrappunto al folle Führer dai capelli gommosi vi è il tipico eroe positivo cliché: nonostante il nomignolo poco gratificante, Otaru è un individuo indipendente, senza alcuna ossessione, che adora le sue marionette non tanto per l'apparenza o per qualche pulsione sessuale repressa, ma soltanto per la loro femminilità intrinseca. Si tratta senz'altro di un personaggio idealizzato, ma necessario al fine di fornire un'alternativa positiva ai deliri del suo antagonista – il quale utilizza le sue marionette come se fossero oggetti, nonostante siano anch'esse dotate di spirito. La questione mutuata dal cyberpunk inerente la riflessione secondo cui l'anima si possa programmare o meno in questo caso viene sviluppata seguendo l'esempio di “Key the Metal Idol”, altro anime per otaku novantini in cui la protagonista è una sorta di Pinocchio alla ricerca della propria identità personale. Le conclusioni che “Saber Marionette J” trarrà saranno all'acqua di rose, ma comunque efficaci: l'identità personale si può programmare, ma è inscindibile dall'interazione con i propri simili – inclusi i “diversi”: non a caso le marionette vengono considerate dagli uomini come esseri inferiori, siano esse dotate o meno di un Maiden Circuit; eppure la femminilità è unione, un qualcosa che esiste “per l'altro”, nonché comunicazione e comunione con la natura. I due livelli di lettura dell'opera – quello cyberpunk e quello legato alla fenomenologia dell'otakuzoku – convergono nel classico messaggio di coesione sociale tipico di un'era in cui l'individualismo viene spinto sempre più all'estremo – e da qui la figura del dittatore assoluto tanto in voga negli anime degli anni novanta.
Nei primi frangenti è la componente umoristica e demenziale a prevalere: innumerevoli saranno i siparietti tra le tre marionette e Mitsurugi Hanagata, un simpaticissimo, isterico omosessuale innamorato del protagonista; data la natura postmoderna dell'opera, non manca all'appello quel tipico citazionismo otaku vecchia scuola che talvolta sfocia nella parodia, dando luce ad esilaranti prese in giro di classici come “Mazinger Z” e “Galaxy Express 999”. Detto ciò, in “Saber Marionette J” si osserva una certa pirotecnia registica la quale, negli assurdi combattimenti che la contraddistinguono, sembra quasi strizzare l'occhio a Imagawa – dietro alla telecamera abbiamo Masami Shimoda, che in futuro dirigerà il noto “Zegapain”. A livello di gestione della narrazione, i ritmi fracassoni e demenziali sopracitati con il proseguire del canovaccio vengono alternati a momenti seri e impegnati, che si amalgamano senza alcuna discontinuità con i cliché tipici della commedia otaku, senza intaccare il mood agrodolce e solare della serie. Negli ultimi frangenti della storia l'anime prenderà una deriva drammatica di stampo apocalittico, portando a compimento gli spunti di riflessione somministrati in precedenza tra una risata e l'altra con alcune scene commoventi e un finale abbastanza scontato, ma comunque necessario alla produzione (il successo di “Saber Marionette J” in madrepatria darà il via ad un brand formato da numerosi sequel).
Grande punto di forza dell'opera è la caratterizzazione dei suoi personaggi, i quali di certo non brillano per originalità e spessore psicologico, ma si rivelano comunque ben scritti, genuini e in grado di far affezionare lo spettatore. Alcuni di essi vengono dotati di un passato solido affine allo script – il mistero dell'astronave orbitante in cui vissero i primi esseri umani del pianeta, tra i quali è presente l'enigmatica Lorelei, le reincarnazioni ecc.
Accanto ad un character
design figlio del suo tempo – sebbene in questo caso le
deformazioni dei volti dei personaggi siano un po' troppo marcate
rispetto alla media -, assai spigoloso e minimalista, troviamo una OST
spettacolare in cui fanno capolino brani decisamente ben suonati che
nobilitano la bella OP e la curiosa ED – nella quale immagini
reali vengono alternate a disegni che paiono usciti dalla matita
di un bambino, curiosa commistione che senz'altro trasmette un
po' di nostalgia.
In conclusione, “Saber Marionette J” è un anime fatto col cuore, uno di quei titoli misconosciuti presso i nostri lidi che tuttavia hanno saputo affermarsi in altri paesi (in America Latina, grazie alla trasmissione serale sull'ormai defunto, leggendario canale Locomotion, le avventure di Lime e soci sono diventate un cult). E' da notare che il fanservice non sia invadente e capzioso come quello di certi anime contemporanei, ma grezzo e rivolto più che altro a fare dell'umorismo. Chi cerca quindi un anime scoppiettante e solare alla “Excel Saga” - il quale a parer mio potrebbe essere considerato un figlioccio poco brillante del qui presente “Saber Marionette J” -, dotato tuttavia di una marcia in più e di qualche risvolto interessante, sa a che titolo approcciarsi.
(Da notare la somiglianza di Cherry con la Kakurine del mitico picchiaduro Evilzone per PS1).
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