Titolo originale: El Topo
Regia: Alexandro Jodorowsky
Soggetto: Alexandro Jodorowsky
Sceneggiatura: Alexandro Jodorowsky
Musiche: Alexandro Jodorowsky
Casa di produzione: PRODUCCIONES PANICAS
Formato: film cinematografico
Anno di uscita: 1970
Soggetto: Alexandro Jodorowsky
Sceneggiatura: Alexandro Jodorowsky
Musiche: Alexandro Jodorowsky
Casa di produzione: PRODUCCIONES PANICAS
Formato: film cinematografico
Anno di uscita: 1970
El Topo (La Talpa) è uno
dei film più spirituali che abbia mai visto. Capolavoro visionario,
sperimentale, surreale, ai limiti dell'esperienza sensoriale e
cinematografica, questa grande allegoria infarcita di una marcata
dose di esoterismo ed esistenzialismo si rivela ancora oggi
formidabile, e allo stesso tempo oscura, impenetrabile. “El Topo”
è un grande mosaico decifrabile nei suoi significati più reconditi
soltanto se lo spettatore che lo guarda è in grado di comprenderlo e
di coglierne, magari dopo innumerevoli visioni, i complessi e potenti
rimandi al misticismo sincretistico, i quali vengono somministrati
mediante frasi taglienti come sciabole – «il cuore,
la testa, cambiali di posto»; «troppa perfezione
è un errore» -, deserti che paiono riflettere più l'anima del
protagonista che il mondo reale, archetipi, violenza feroce,
orgiastica, che nel suo simbolismo riflette la prigionia dell'uomo,
un satiro schiavo del desiderio, della follia e della volontà di
vivere, perennemente intrappolato nel velo di Maya, il dominio delle
illusioni.
Frutto
del poliedrico artista Alexandro Jodorowsky, il film, classificabile
a tutti gli effetti come una decostruzione del genere western alla
Sergio Leone, è in gran misura influenzato dalle tematiche e dallo
stile allucinato di Luis Buñuel: anticlericalismo e critica feroce
alla borghesia, tetre fiere dell'orrido e del rivoltante, la
religione di massa che diviene un rituale macabro e meccanico, gli
ideali di progresso e l'ottusità umana che si agitano nell'inconscio
dando origine a inquietanti mostri, schiavi della loro stessa ferocia
e dei loro bestiali cliché comportamentali. Si
rimane sorpresi nel costatare la perizia registica dell'autore
dell'opera, il quale oltre ad occuparsi della regia e della
sceneggiatura è altresì costumista e compositore di una colonna
sonora quanto mai bizzarra e sentita, la quale si integra
perfettamente con gli stranianti aspetti visuali della pellicola. La
scelta dei nomi dei brani musicali della OST è perfettamente in
linea con i simbolismi del film: in alcuni casi, il titolo di un
determinato brano è ancora più incisivo del brano stesso – si
pensi a La Muerte Es Un Nacimiento
(La Morte è Nascita): un concetto chiave del misticismo viene
condensato in un'unica frase di grande effetto.
«La talpa è un animale
che scava gallerie sottoterra in cerca del sole. A volte la strada lo
porta in superficie, ma quando vede il sole, resta cieco.»
Il protagonista, un
pistolero il cui nome simbolico è El Topo, è in viaggio alla
ricerca del senso della sua vita. Inizialmente è assoggettato alle
leggi del mondo: la violenza è la risposta a tutto; il desiderio
tinge di rosso sangue ogni cosa, non importa chi sia il carnefice e
chi sia la vittima: l'importante è soddisfare quell'impulso
primordiale che dice di sì alla vita e ai suoi mutamenti. Una volta
castrato ed umiliato un papa-colonnello torturatore di monaci
francescani, stupratore di donne e uccisore di un intero villaggio di
innocenti, El Topo fa della donna del suddetto la sua amante e
abbandona il figlio presso i monaci; ma per essere completamente
amato da tale sadica e ambigua donna – assimilabile in un certo
senso all'archetipo della strega -, è necessario ch'egli sia il più
forte di tutti: la donna gli chiede di uccidere i quattro maestri di
pistola del deserto, altre figure simboliche legate indissolubilmente
all'inconscio e all'autorealizzazione spirituale.
I primi tre maestri hanno
molto da insegnare a El Topo, dalla soppressione del dialogo
interiore alla ricerca della non-forma, del non-essere – il
tiratore cieco che tuttavia sa schivare le pallottole;
particolarmente brillante il pistolero costruttore e contemplatore di
forme geometriche – «un colpo pulito, delicato, distrugge un
colpo preciso», dice dopo aver sparato ad uno dei suoi complicati
poligoni, i quali forse simboleggiano la limitatezza della ragione o
del formalismo in sé stesso, che dev'essere immancabilmente trasceso
dallo spirito.
Ma il punto cruciale della maturazione di El Topo
avviene soltanto nello “scontro” contro l'ultimo dei quattro
maestri, una sorta di sciamano/asceta che vive nella più completa
indigenza. Se in precedenza il protagonista aveva dovuto barare per
vincere i duelli, accecato dal desiderio di possedere la sua donna,
di godere della fama, della ricchezza e del prestigio, incurante di
ciò che gli altri cercavano di comunicargli, dopo questo evento
avverrà la maturazione.
«Ho barattato la mia
pistola con una rete per cacciare farfalle.
Vedi, la mia rete ha
più potere delle tue pallottole.
Come puoi vincere, se
io non mi batto?
Se non ho niente?
Anche con una trappola
non avresti potuto togliermi niente.»
«Sì invece. Avrei
potuto toglierti la vita.»
«Non mi importa niente
della vita. Ora te lo dimostrerò.»
[Si spara nel petto e
prima di spirare dice a El Topo: «Hai visto? Hai perso.»]
El Topo ha infine perso,
ha assistito alla morte dell'ego, l'ha compresa e ora è disperato in
quanto tutto ciò che aveva fatto prima è stato inutile. Dopo un
sanguinoso epilogo in cui entrerà in gioco una nuova, misteriosa
strega, il protagonista si ritroverà a meditare in una grotta, con
un fiore di loto in mano, come un novello Cristo/Buddha. Ad accudirlo
nella sua totale immobilità c'è una nana deformata, la quale vive
con altri sventurati all'interno delle viscere del sottosuolo, dalle
quali, per degli esseri fisicamente menomati come l'infelice tribù
che vi abita, è impossibile uscire. Ma El Topo, una volta
risvegliato dalla meditazione, prende con sé la nana e decide di
recarsi nel vicino villaggio, nel mondo esterno, al di là della
prigionia dell'allegorica caverna – la quale rappresenta un
archetipo dalle molteplici interpretazioni – e di scavare un tunnel
in grado di liberare il popolo dei deformi dalla loro angosciosa
prigionia. Ha così inizio il crudele viaggio dell'illuminato nel
mondo materiale: per vivere e comprare la dinamite egli è costretto
a fare il buffone per le strade, a lavare i cessi, ad avere rapporti
sessuali in un tetro bordello con la sua nana, venendo nel frattempo
schernito da tutti i presenti. La città che rappresenta “la luce”
che rende cieca la talpa risalita in superficie è dominata da una classe borghese dai connotati mostruosi ed abnormi,
che va in chiesa a pregare rimanendo assoggettata da ritualismi fini
a sé stessi, che uccide e tortura chi ritiene inferiore, che si dà
alla libidine, alla lussuria, al dileggio del prossimo e alla
xenofobia. Simboli rappresentanti un triangolo con un occhio al suo
interno – Dio – tappezzano le strade della cittadina, l'interno
degli edifici, ogni cosa. La sintesi suprema del vero è l'animalità
travestita da divinità, il culto delle apparenze e del possesso, la
feroce cattiveria meccanica dell'uomo che si sopravvaluta e che gode
di un eccessivo potere che non si merita affatto.
Le vicende si concludono
con una grottesca, allegorica carneficina e con un atto disperato
del protagonista, che compie un gesto estremo carico di nichilismo e
denuncia sociale – il fallimento ideologico scaturito dagli orrori
della guerra del Vietnam si fa sentire -, che ripercorre l'atto del
maestro che cacciava farfalle nel deserto, chiudendo il cerchio del
rifiuto della volontà di vivere, dell'annullamento totale del sé.
Ma la muerte es un nacimiento, pertanto l'ultima
scena del film si ricollega alla prima: ci saranno altre talpe che
scaveranno i loro cunicoli alla ricerca della verità, che tuttavia
si rivelerà crudele ed annichilente. Perché «una luce
non è per tutti la salvezza. Per una talpa può essere fatale.»
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