Titolo originale: Kōkyōshihen Eureka Seven
Regia: Tomoki Kyoda
Soggetto: BONES, Dai Sato
Sceneggiatura: Dai Sato
Character Design: Kenichi Yoshida
Mechanical Design: Shoji Kawamori
Musiche: Naoki Sato
Studio: BONES
Formato: serie televisiva di 50 episodi
Anni di trasmissione: 2005 - 2006
Per chi scrive, “Eureka Seven” gioca un ruolo abbastanza importante nel suo genere di riferimento, in quanto si tratta dell'ultimo grande – in tutti i sensi: parliamo di uno staff stellare, di un budget spropositato e di una cinquantina di puntate - robotico “classico” della storia; il canto del cigno di quella corrente stilistica originatasi in passato grazie alle lezioni impartite dai seminali “Gundam” e “Macross”, aggiornato secondo i dettami grafici del suo tempo e fornito di una dimensione epica, sentimentale e psicologica in parte affine alle correnti stilistiche in voga negli anni novanta.
Dopo “Eureka Seven”,
il robotico diventerà sempre più di nicchia, e lascerà spazio –
salvo poche eccezioni - a stridenti commistioni di pochi episodi nate
più che altro per motivi pubblicitari, nonché prive di autori di
razza in grado di elevare il genere a qualcosa di più riflessivo,
iconico e concettuale. Creato da uno staff formato da alcuni degli
artisti che in passato avevano lavorato al fianco di Yoshiyuki Tomino
- il primo grande intellettuale del robotico - in “Overman
King Gainer”, “Eureka Seven” si discosta moltissimo
dall'infelice manierismo Sunrise caratterizzato da quelle opere che
prenderanno piede dopo il tanto discusso “Code Geass”, guarda
caso datato 2006 e responsabile - a prescindere dalla sua effettiva
qualità, sulla quale si potrebbe sempre discutere - di aver generato
dei raccapriccianti “figli” che contribuiranno alla parabola
discendente del genere, che dovrà altresì lasciar spazio al fashion
moe di nuova generazione introdotto da “Suzumiya Haruhi no yūutsu” – anch'essa opera targata 2006.
Insomma, il 2006 a tutti gli effetti rappresenta la data di chiusura
di quel fecondo dopo-Eva in cui, seguendo i dettami di Anno e
Imagawa, una capace generazione di autori aveva dato alla luce
molteplici robotici di grande qualità e spessore.
La trama dell'opera nel suo primo frangente ricalca abbastanza fedelmente la magnum opus tominiana: Renton è un ragazzino appassionato di tecnologia che per caso si ritrova a combattere una guerra; dato il suo talento innato di pilota di mecha, egli viene “arruolato” da un gruppetto di militari dilettanti – il cosiddetto Gekkostate, equipaggio di una novella White Base tirata a lucido, il Gekko-go. Il punto chiave degli sviluppi della vicenda è l'amore che Renton prova per la taciturna e deliziosa Eureka, una delle rarissime manifestazioni umanoidi di un'entità biologica senziente situata nelle viscere della terra, paragonabile ai noociti del capolavoro sci-fi “Blood Music” di Greg Bear - un romanzo il quale, tra le altre cose, è stato fonte d'ispirazione per molteplici media giapponesi antecedenti a “Eureka Seven”.
Lo sviluppo del legame tra i due newtype protagonisti dell'anime, novelli Adamo ed Eva di una nuova razza di umani in grado di assimilare una cultura aliena assai temuta e incompresa dagli oldtype - l'umanità primitiva e guerrafondaia incapace di trascendere le barriere comunicative, ideologiche e sociali - è quindi fondamentale nella narrazione: si potrebbe dire che “Eureka Seven” a conti fatti sia una candida storia d'amore tra due esseri fondamentalmente diversi ma allo stesso tempo in sintonia tra loro, che si fanno carico degli errori compiuti dalle generazioni precedenti delle loro rispettive specie, cercando di trascenderli per mezzo del loro legame. Fatto salvo ciò, il rapporto tra Renton e Eureka impiega il giusto tempo per svilupparsi in tutta la sua armoniosa spontaneità: da un'iniziale indifferenza di lei si passa attraverso incomprensioni, fraintendimenti, rotture temporanee del legame e successive riconciliazioni, piagnistei, gli struggenti monologhi di lui, gli sguardi ingenui e puri di lei. E' questo il grande punto di forza di “Eureka Seven”: la caratterizzazione dei due protagonisti e il loro amore, che viene raccontato delicatamente, in modo abbastanza verosimile.
Ma nella prima parte della serie non sono soltanto i due protagonisti a far faville; il cast è dotato di alcune personalità travagliate dal passato come Holland, il rivale/mentore di Renton, una sorta di capitano Bright dal look simile a quello degli skater e dei ragazzi delle strade di fine anni novanta. La romance adulta e matura che vivono Holland e la sua fiancée Talho fornisce una variante molto meno candida della storia d'amore principale tra Eureka e Renton, dacché si tratta di un qualcosa di molto meno puro e giovanile, immancabilmente sporcato da un tetro passato di guerra e povertà. Detto ciò, gli altri personaggi del Gekko State si rivelano abbastanza monocromatici, ma comunque in grado di fare il loro dovere; anche gli antagonisti non brillano particolarmente per caratterizzazione, a parte l'isterica e truce Anemone, un personaggio preso di peso dal tominiano “Overman King Gainer” ed eccessivamente snobbato dagli sceneggiatori nonostante le sue grandi potenzialità.
Strutturalmente, si rilevano alcune scelte infelici nel dosaggio dei tempi della sceneggiatura – un difetto tipicamente tominiano -, dacché la serie progredisce molto lentamente nella prima parte, in modo da lasciare ampio spazio ai personaggi, per poi accelerare brutalmente nei battenti finali, senza rinunciare ad un elevata dose di fillers di dubbia qualità. E' palese un certo calo qualitativo che colpisce l'opera nella sua seconda parte, quella più affine allo stile di Shoji Kawamori (il quale viene tuttavia accreditato soltanto come mecha designer); il punto più basso di tale parabola discendente è il deludente finale, il quale, nonostante le ottime premesse apocalittiche messe in moto da uno script poco originale ma comunque d'effetto, si rivela decisamente anticlimatico, banale e privo di pathos.
Il budget stratosferico a disposizione dello studio BONES viene impiegato in combattimenti spettacolari, animazioni eccellenti, una colonna sonora memorabile – come non citare la splendida sigla di apertura e le trovate grafiche, cromatiche e musicali della terza ED -, un character design limpido, moderno e privo di eccessive irregolarità e deformazioni. Particolarmente ridicolo il mecha design – i famigerati robot che combattono su delle tavole da surf (!) -, ma non eccessivamente stridente con gli altri aspetti grafici dell'opera. Personalmente ho molto apprezzato i continui rimandi citazionistici alla cultura pop d'oriente e d'occidente, i quali strizzano l'occhio al pubblico internazionale rendendo “Eureka Seven” un anime altamente esportabile, in grado di coinvolgere i ragazzi di tutto il mondo.
In conclusione, è veramente un peccato che “Eureka Seven” sia stato notevolmente ridimensionato dai suoi difetti, rivelandosi un potenziale capolavoro che tuttavia non è riuscito a reggere nel migliore dei modi il peso della sua grande eredità. Ciononostante, si rivela comunque un ottimo robotico con validi spunti di riflessione, uno studio dei protagonisti sopraffino e una certa beltà grafica al passo con i tempi. Assolutamente trascurabili il film omonimo e la seconda serie, dei prodotti di qualità nettamente inferiore all'opera originale che non hanno più nulla da dire: la storia di Renton e Eureka si conclude al cinquantesimo episodio; il robotico à la Kawamori e Tomino ha lasciato un'ultima grande traccia della sua esistenza, e dopodiché i difetti di comunicazione tra persone, i temi della diversità, del rapporto uomo-scienza-natura e della contrapposizione delle ideologie lasceranno spazio ad un modo molto più superficiale di intendere il genere robotico, privo delle riflessioni che rendono un media concepito come semplice intrattenimento infantile un'opera in grado di elevarsi al rango dell'arte.
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