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domenica 11 aprile 2021

Vlad Love: Recensione

 Titolo originale: Vlad Love
Regia: Oshii Mamoru (regia generale), Nishimura Junji
Soggetto: Oshii Mamoru
Sceneggiatura: Oshii Mamoru
Character Design: Arakaki Issei
Musiche: Kawai Kenji
Studio: Production I.G., Drive
Formato: serie televisiva di 12 episodi
Anni di trasmissione: 2020 - 2021

 

Qualche anno fa Oshii Mamoru lamentava che non era più possibile realizzare anime iperrealistici come Ghost in the Shell o Patlabor. Questo fatto potrebbe avere molte ragioni culturali e/o economiche, ma secondo me si tratta semplicemente che l'anime boom, ossia il periodo d'oro dell'animazione – come tutte le cose a questo mondo – era destinato a finire (ed è effettivamente finito, e pure da tanto). Le serie di oggi "per adulti" (nel senso: per un pubblico non genuinamente infantile) sono per la maggior parte suddivise in tranche da dodici episodi, e sono  basate prevalentemente su personaggi femminili destinati a diventare le cosiddette "waifu", ossia delle "fidanzate immaginarie" per gli otaku. Questa tendenza negli anime era già presente in Urusei Yatsura durante l'anime boom, ma era minoritaria rispetto alla componente fantascientifica dei suddetti (qui avevo provato ad analizzare le cause di questa transizione). Ciò detto, già con la "sua" prima Lum lo stesso Oshii aveva svolto un'analisi del fenomeno. Nel corso degli anni arrivò poi Suzumiya Haruhi no Yuuutsu, che esprime il format sul quale gli anime cosiddetti moe attuali si basano. Quest'opera era un po' come Urusei Yatsura, ossia un harem di belle ragazze "congelate" assieme al protagonista in un'eterna adolescenza. Infatti Vlad Love è in un certo senso la "parodia della parodia", il "riflesso del riflesso". Ossia qualcosa di non strettamente necessario, un mero divertissment d'autore. 

domenica 6 dicembre 2020

Kimagure Orange Road: Recensione

 Titolo originale: Kimagure Orange Road
Regia: Kobayashi Osamu
Soggetto: Tratto dall'omonimo manga di Matsumoto Izumi
Character Design: Takeda Akemi
Musiche: Sagisu Shirou
Studio: Studio Pierrot
Formato: serie televisiva di 48 episodi
Anni di trasmissione:1987-1988


 A poco tempo dalla morte di Matsumoto Izumi, vorrei qui ricordarlo scrivendo un attimo su Kimagure Orange Road. In particolare l'anime, che in quanto a mood di quell'epoca, parlo del Giappone ottantino, ha ben pochi rivali.  Certamente, il character design di Takeda Akemi e le musiche di Sagisu Shirou sono un'ottima base di partenza; la poetica, quella dell'adolescenza, della magia, del benessere generale sono catartici, quasi curativi nell'oggidì. Kyosuke infatti è un esper, ma i suoi poteri sono un po' la trasfigurazione di ciò che si viveva "nella miglior epoca possibile", volendo parafrasare il contemporaneo Megazone 23. Ma in tutto ciò vi è un punto di rottura, che è il perno intorno al quale ruota l'opera: Ayukawa Madoka, una ragazza che nonostante tutto questo, è sola, indurita da una famiglia assente e da un'epoca priva di delimitazioni - il bullismo, il desiderio di trasgredire a tutti i costi. 

lunedì 23 novembre 2020

L'estate di Kikujiro: Recensione

Titolo originale: Kikujiro no Natsu
Regia: Takeshi Kitano
Soggetto: Takeshi Kitano
Sceneggiatura: Takeshi Kitano
Musiche: Joe Hisaishi
Casa di produzione: Bandai Visual
Formato: film cinematografico
Anno di uscita: 1999

Il piccolo Masao è un bambino solo, che vive con la nonna dato che la madre si è trasferita in campagna per lavoro. Ad un certo punto, ricevuto un pacco con l'indirizzo della genitrice, decide di andare a trovarla per passare con lei le vacanze estive - ma Masao, sua madre, non l'ha neanche mai conosciuta. Ad accompagnarlo, uno strano ex yakuza,  marito di un'amica della nonna. 

Nonostante l'introduzione naif e gli intermezzi giocosi, e nonostante non si stia parlando di uno yakuza movie, Kikujiro no Natsu rimane comunque un film molto duro. Non abbiamo sparatorie e storie di mafiosi che diventano filosofia; ma di certo permane quel leit motiv nichilistico che accompagnava la riflessione sulla vita che già si dispiegava in Sonatine. Più in particolare, in questo caso qualsiasi dimensione vagamente epica o "borderline" lascia il posto alla vera banalità del male: quella dell'uomo comune, in particolare quello giapponese, che vive nel contesto di una società basata sul formalismo e su ingenue e menzognere pretese di perfezione.  

sabato 1 ottobre 2016

Mind Game: Recensione

Titolo Originale: Mind Game
Regia: Masaaki Yuasa
Soggetto: Robin Nishi
Character Design: Yūichiro Sueyoshi
Direzione dell'animazione: Yūichiro Sueyoshi
Produzione: Eiko Tanaka
Musiche: Seiichi Yamamoto
Studio: Studio 4°C
Formato: film cinematografico
Anno di uscita: 2004


Era il 2004 quando un titolo passato quasi in sordina in patria, diretto da un regista di mezz'età sconosciuto ai più, fece le sue prime apparizioni nei festival nazionali. Come un vero e proprio pugno in faccia, il film sconvolse fin nelle fondamenta il cinema d'animazione giapponese: distanziandosi dagli ormai abusati tòpoi che monopolizzavano il mercato, l'allora trentanovenne Masaaki Yuasa (questo il nome del regista) e i produttori del vulcanico Studio 4°C decisero di calcare con forza il pedale dell'originalità, mettendo totalmente da parte la logica delle vendite per consegnare alla storia un prodotto quantomai anarchico, unico e irripetibile, fondamentalmente diverso da qualsiasi altra opera fosse stata concepita in precedenza. Trasposizione dell'omonimo manga semi-autobiografico di Robin Nishi, serializzato sulle pagine di "Comic Are!" di Magazine House, "Mind Game" si dimostra fin dai primi fotogrammi un vero e proprio esperimento visionario e anticonvenzionale, capace di amalgamare codici e correnti artistiche differenti – tra cui psichedelia, pop art, surrealismo, avant-garde e materiale live action – come nessun altro lungometraggio cinematografico aveva mai osato prima. Il risultato è un'opera che al momento dell'uscita fu ovviamente ignorata dalle masse, ma che pervenne quasi subito allo status di cult movie celebrato parimenti da critica nazionale e internazionale, persino nei circuiti che fino ad allora avevano bellamente ignorato l'animazione giapponese: il film fu lodato apertamente da mostri sacri dell'industria occidentale come Bill Plympton ("Idiots and Angels") e ottenne diverse candidature a rassegne di grande prestigio, arrivando a vincere il Grand Prize al Japan Media Arts Festival (superando, tra gli altri concorrenti, "Il castello errante di Howl") e ben cinque premi al Fantasia International Film Festival di Montréal, tra cui miglior film, regista e sceneggiatura. La stessa Madhouse, del tutto estranea alla produzione dell'opera, fu colta da un tale entusiasmo nei suoi confronti che si mise a promuovere la pellicola a spese proprie; difatti non è un caso che quasi tutti i lavori successivi del regista – tra cui i celebratissimi "Kaiba" e "The Tatami Galaxy" – saranno prodotti e realizzati dal noto studio d'animazione fondato da Masao Maruyama.

sabato 25 giugno 2016

House: Recensione

Titolo originale: Hausu
Regia: Nobuhiko Obayashi
Soggetto: Chigumi Obayashi
Sceneggiatura: Chiho Katsura
Musiche: Asei Kobayashi, Mickie Yoshino
Effetti speciali: Nobuhiko Obayashi
Produzione: Nobuhiko Obayashi, Toho Company
Formato: film cinematografico
Anno di uscita: 1977
 

A detta di Nobuhiko Obayashi, regista, produttore e addetto agli effetti speciali di "House" (Hausu, 1977), fu sua figlia Chigumi – all'epoca frequentante il sesto anno delle elementari –, a suggerirgli l'idea di una casa che divorasse i propri abitanti. Mentre si stava pettinando davanti allo specchio del bagno, la ragazzina iniziò a fantasticare su quanto sarebbe stato terrificante se il suo stesso riflesso, in quell'attimo, fosse uscito dallo specchio per mangiarsela. Il padre, colpito e affascinato da quest'insolita immagine, chiese alla figlia cos'altro all'interno della loro casa avrebbe potuto attaccarla: «a volte, mentre suono il piano, le dita iniziano a farmi molto male; mi sento come se la tastiera me le stesse masticando». Incoraggiata dal padre, la piccola Chigumi Obayashi continuò così a concepire orrori nati dalla propria casa: fu in questo modo che, lentamente, iniziò a prendere forma la struttura narrativa e l'approccio visivo di "House".

venerdì 20 maggio 2016

Shirobako: Recensione

Titolo originale: Shirobako
Regia: Tsutomu Mizushima
Composizione serie: Michiko Yokote
Character design: Kanami Sekiguchi
Musiche: Shirou Hamaguchi
Studio: P.A. Works
Formato: serie televisiva di 24 episodi
Anno di uscita: 2014


Aoi Miyamori, Shizuka Sakaki, Emi Yasuhara, Midori Imai e Misa Todo sono cinque studentesse appassionate di animazione che, per il festival scolastico del loro ultimo anno di liceo, decidono di realizzare artigianalmente un cortometraggio anime da proiettare nella propria scuola. Le amiche, all'alba del loro ingresso nella società lavorativa, si scambiano una promessa: in futuro dovranno riuscire a realizzare una loro opera originale, curandone insieme gli aspetti produttivi.
Alcuni anni dopo Aoi è diventata un'assistente di produzione e lavora insieme a Ema, divenuta animatrice, alla Musashino Animation (abbreviato in MusAni), uno studio tornato da poco sulla cresta dell'onda. Midori nel frattempo studia all'università, mentre Misa è stata assunta da un'azienda specializzata in computer graphics e Shizuka, doppiatrice in erba, lavora part-time in un bar per mantenersi gli studi di recitazione.
"Shirobako", serie d'animazione di 24 episodi uscita nella stagione invernale del 2014, è dunque il (meta)racconto di queste cinque ragazze e del loro sogno, che si intreccia con quelli di centinaia di altre persone, all'interno di una delle fabbriche di sogni più vaste e prolifiche al mondo.

sabato 16 aprile 2016

Toradora!: Recensione

 Titolo originale: Toradora!
Regia: Tatsuyuki Nagai
Soggetto: Yuyuko Takemiya & Yasu
Sceneggiatura: Mari Okada
Character Design: Yasu (originale), Masayoshi Tanaka
Musiche: Yukari Hashimoto
Studio: J.C. Staff
Formato: serie televisiva di 25 episodi
Anni di trasmissione: 2008 - 2009


Taiga e Ryuuji, la tigre e il dragone, sono fatti l'una per l'altro. Lei è dolce, insicura e sensibile, ma si nasconde dietro ad un temperamento aggressivo e irriverente; lui invece è il classico bravo ragazzo della porta accanto, un meticoloso casalingo il cui carattere è in completa antitesi con l'aspetto fisico - quello di un teppista dallo sguardo tagliente. Si sa già come andrà a finire la storia: soltanto il dragone può competere con la tigre, pertanto il loro destino è già segnato fin dal principio. Tuttavia, dacché non è la meta che importa veramente, ma il cammino che si compie per raggiungerla, le due anime così vicine, ma in realtà parecchio distanti tra loro - proprio come le stelle, citando un dialogo dell'opera -, attraverseranno una moltitudine di ordinarie vicissitudini prima di unirsi: lui è innamorato di un'altra, lei di un'altro, e all'inizio tra i due c'è soltanto una strana amicizia, che pare la concreta realizzazione dell'ideale familiare di cui lei necessita, essendo una bambolina minuta ignorata e abbandonata a sé stessa da due genitori divorziati e assenti.

sabato 5 marzo 2016

Sailor Moon: Recensione

Titolo originale: Bishoujo Senshi Sailor Moon
Regia: Jun'ichi Satou
Soggetto: Naoko Takeuchi
Sceneggiatura: Megumi Sugihara, Katsuyuki Sumisawa, Sukehiro Tomita, Shigeru Yanagawa
Character Design: Kazuko Tadano
Musiche: Takanori Arisawa
Studio: TOEI animation
Formato: serie televisiva di 46 episodi
Anni di trasmissione: 1992-1993


All'inizio degli anni novanta, con lo scoppio della cosiddetta baburu, la bolla economica che aveva indotto un benessere fittizio nel Giappone ottantino (a parte la svalutazione del dollaro dell'85 decisa al G5 tenutosi al Plaza Hotel di New York, che contribuì al tagliuzzamento del budget di molte serie animate in corso, esclusi ovviamente gli adattamenti televisivi degli inossidabili shounen della rivista Jump), l'animazione giapponese era in crisi, e la necessità di creare a tavolino un fenomeno sociale in grado di rimetterla sui binari del successo commerciale - ovviamente con un budget ristretto - era forte nei dirigenti Toei Doga.
Nel 1991, la misconosciuta ed ancora esordiente Naoko Takeuchi ha appena pubblicato "Codename wa Sailor V", un breve manga la cui protagonista è un'eroina mascherata dotata di una carismatica veste alla marinara modellata sulla base di quelle indossate dalle scolarette giapponesi. L'opera attira subito l'attenzione di Irie Yoshio - redattore capo di Nakayoshi, lo stesso mensile per bambine edito dalla Kodensha in cui negli anni settanta veniva pubblicato il seminale "Candy Candy" -, che propone all'autrice di iniziare un nuovo manga denominato "Bishoujo Senshi Sailor Moon", in cui oltre a Sailor Venus saranno presenti altre quattro eroine, in modo tale che, poco tempo dopo l'inizio della pubblicazione dell'opera (rivolta alle bambine di sei anni), la Toei Doga possa creare un tokusatsu show televisivo a cinque elementi seguendo l'esempio della formazione di "Yoroiden Samurai Troopers" mettendoci dentro un po' di "Silent Möbius" - le cui eroine che combattono i demoni hanno parecchie affinità con quelle della Takeuchi, la quale guardacaso è amica di Kya Asamiya, l'autrice del manga - e del nagaiano "Cutie Honey", dal quale "Sailor Moon" eredita il particolare gusto per la pop art e la catartica scena di nudo che avviene durante la trasformazione delle protagoniste in guerriere sailor, fattore che viene subito incontro alle esigenze dell'audience maschile assieme alle vertiginose minigonne da loro indossate.

sabato 20 febbraio 2016

La malinconia di Haruhi Suzumiya: Recensione

 Titolo originale: Suzumiya Haruhi no Yūutsu
Regia: Tatsuya Ishihara
Soggetto: Nagaru Tanigawa
Sceneggiatura: Fumihiko Shimo, Joe Ito, Katsuhiko Muramoto, Nagaru Tanigawa, Shoji Gato, Tatsuya Ishihara, Yutaka Yamamoto
Character Design: Noizi Ito
Musiche: Satoru Kosaki
Studio: Kyoto Animation
Formato: serie televisiva di 14 episodi
Anno di trasmissione: 2006


Il 2006 è stato un anno spartiacque per l'animazione giapponese. A suo modo, "Suzumiya Haruhi no Yuuutsu" è stata un'opera influente nella storia dell'animazione, in grado di rappresentare una nuova generazione di otaku ben diversa da quella cresciuta con "Evangelion" e decisamente agli antipodi rispetto alla storica avanguardia formata dagli ormai decrepiti ragazzi dello studio Nue, ovvero Hideaki Anno, Shoji Kawamori, Toshiki Hirano e soci. Con questo anime prende definitivamente piede il concetto attuale di moe, del quale i primi vagiti - trascurando il lolicon ideato da Hideo Azuma ed esploso nei primi anni ottanta, che a tutti gli effetti rappresenta l'antesignano più vecchio di questa corrente stilistica - erano già comparsi nella seconda metà degli anni novanta, epoca nella quale la messa in onda in fascia serale di "Evangelion" aveva definitivamente canonizzato la cultura otaku. "Suzumiya Haruhi no Yuuutsu" in un certo senso ricorda i pucciosi deliri nonsense delle opere strettamente moe di quel periodo, "Di Gi Charat" in primis, e nondimeno li aggiorna con un nuovo design più curato e attento ai dettagli, uno dei tanti tratti caratteristici di uno stile che in seguito verrà abusato e ripetuto fino alla nausea: "Lucky Star", K-On!" et similia porteranno avanti quanto inaugurato da "Suzumiya Haruhi no Yuuutsu" nel peggiore dei modi possibili, elevando il moe a uno dei paradigmi predominanti del loro media di riferimento. Commercialmente si passa quindi dalla produzione di modellini di mecha alla vendita di figure di personaggi femminili: la via di mezzo indubbiamente è stata "Evangelion", che a suo modo era in parte moe e in parte robotico, ovviamente secondo i canoni della sua epoca (il suddetto tuttavia ha fatto vendere più figure di Asuka e Rei che modellini di unità Eva, il che è tutto dire). Pertanto, per motivi commerciali, l'attenzione dello spettatore viene definitivamente spostata verso i personaggi: non servono più dei robot che si fanno la guerra, non serve più una trama, non servono più melodrammi e contenuti impegnati. L'importante è che l'otaku si "innamori" di un determinato personaggio femminile, pertanto un'ambientazione scolastica e qualche riflessione intellettualoide sono delle cose più che sufficienti a fare da contorno a un vuoto pneumatico in cui si muovono varie ragazze estremamente pucciose e kawaii, nonché sessualizzate secondo i dettami del caratteristico vedo/non vedo che tanto stimola le fantasie erotiche maschili. 

martedì 1 dicembre 2015

20th Century Boys: Recensione

 Titolo originale: Nijuu seiki shounen

Autore: Naoki Urasawa

 Tipologia: Seinen Manga 

 Edizione italiana: Planet Manga

Volumi: 22

Anno di uscita: 1999

 


“20th Century Boys” è uno dei manga più rappresentativi degli anni novanta. Si tratta di un'opera di ampio respiro, che si fa carico di grandi ambizioni senza tuttavia risultare prolissa e indigeribile; un monumento narrativo carico di rimandi alla cultura popolare – giapponese e non – in cui viene raccontato un sogno tradito, quello dei ragazzi del ventesimo secolo che nel 1970 vissero l'Expo di Osaka e l'impatto ideologico del primo uomo sulla Luna, dell'epocale concerto di Woodstock, della stessa Torre del Sole, che con il suo volto dorato sembrava protesa verso un sogno di sviluppo e armonia della razza umana completamente antitetico rispetto al nichilismo della società contemporanea. “20th Century Boys” è una sorta di testamento della postmodernità nipponica, dai suoi albori (1970) sino al fallimento ideologico indotto dal clima di terrore del Giappone degli anni novanta, in cui il ben noto attentato alla metropolitana di Tokyo del '95 messo in atto dalla setta religiosa Aum Shinrikyo terrorizzò i giapponesi - migliaia di persone furono avvelenate con il gas sarin in nome dell'irrazionalità e della follia. Il problema delle sette terroristiche che affliggeva il Giappone di quell'epoca – tra l'altro quanto mai attuale in tutto il mondo civilizzato, si pensi alla recente strage di Parigi – era dovuto all'alienazione che la società viveva in quel periodo buio, caratterizzato da una vera e propria psicosi collettiva; non per nulla, l'imminente passaggio al ventunesimo secolo era stato mistificato dai mass media mediante tenebrose suggestioni inerenti un'ipotetica catastrofe che avrebbe abbattuto il genere umano – personalmente, mi ricordo ancora quel clima di incertezza: il fantomatico millennium bug, la violenza degli attentati terroristici e l'orrore che si provava di fronte ai notiziari; alcuni, addirittura, rifacendosi alle teorie complottistiche in voga all'epoca, immaginavano misteriosi antagonisti avvolti nell'ombra che avrebbero dominato il genere umano e decretato la sua fine, magari distruggendo il mondo allo scoccare della prima mezzanotte del ventunesimo secolo. 

domenica 15 novembre 2015

Sailor Moon S: Recensione

Titolo originale: Bishoujo Senshi Sailor Moon S
Regia: Kunihiko Ikuhara
Soggetto: Naoko Takeuchi
Sceneggiatura: Yoji Enokido, Katsuyuki Sumisawa, Sukehiro Tomita, Shigeru Yanagawa
Character Design: Ikuko Ito
Musiche: Takanori Arisawa
Studio: TOEI animation
Formato: serie televisiva di 38 episodi
Anni di trasmissione: 1994-1995
 

Dopo il timido esordio registico di “Sailor Moon R”, Kunihiko Ikuahara prende definitivamente le redini della trasposizione animata di “Sailor Moon”, coadiuvandola con i vagiti di quelli che diventeranno i tratti caratteristici del suo stile personale. Al fianco di colui che qualche anno dopo dirigerà uno dei massimi capolavori dell'animazione tutta - “La Rivoluzione di Utena” - troviamo un Hideaki Anno in veste di animatore chiave, nonché gli artisti i quali, una volta terminata l'esperienza TOEI, collaboreranno con Ikuhara nella veste ufficiale di Be-Papas: Yoji Enokido (tra l'altro uno dei futuri sceneggiatori di “Evangelion”) e l'animatore Shinya Hasegawa.
Le carte in regola per creare un qualcosa di sensazionale ci sono tutte; ora che la prima, storica serie di “Sailor Moon” - nonostante la crisi economica dilagante e lo sviluppo del mercato OAV - ha sdoganato l'animazione seriale novantina con un grande successo di pubblico, si può andare più in profondità, dando alle avventure di Usagi e soci un taglio ben più complesso, adulto, dai risvolti oscuri ed imprevedibili: “Sailor Moon S” è la miglior saga del brand, un'opera seminale la cui influenza stilistica nelle produzioni successive è innegabile.

domenica 25 ottobre 2015

Crayon Shin-chan: The Storm Called: The Adult Empire Strikes Back: Recensione

Titolo originale: Kureyon Shinchan: Arashi o Yobu: Mōretsu! Otona Teikoku no Gyakushū?
Regia: Keiichi Hara
Soggetto: Keiichi Hara
Sceneggiatura: Keiichi hara
Character Design: Katsunori Hara
Musiche: Shiroh Hamaguchi
Casa di produzione: Shin-Ei Animation
Formato: film cinematografico
Anno di uscita:2001


L'expo di Osaka del 1970 è stata un avvenimento fondamentale per la generazione di giovani giapponesi che vi parteciparono. La data corrisponde inoltre ai primi vagiti del boom economico post seconda guerra mondiale, con conseguente ingresso in quella che si potrebbe definire una postmodernità ancora embrionale - arrivata in ritardo di circa dieci anni rispetto a quella dei paesi occidentali -, che troverà un completo sfogo fenomenologico negli anni novanta, con lo sviluppo del settore terziario e delle comunicazioni. Tra i ragazzi del ventesimo secolocosì direbbe Naoki Urasawa – che vissero un'era in cui si pensava che l'uomo avrebbe potuto esistere per sempre nell'abbondanza, nell'armonia e nella pace, supportato dalla scienza, dalla tecnica e dal benessere derivante dalla congiuntura economica favorevole del periodo, c'era anche Hideaki Anno, l'otaku per eccellenza: si potrebbe dire ch'egli sia stato veramente felice soltanto nel 1970, e che la nostalgia e il disagio esistenziale riscontrabile nella sua produzione più matura e personale sia in una certa misura il manifesto di un sogno tradito: Anno ha vissuto il boom ideologico e sociale del 1970 e l'ha visto crollare negli anni novanta, epoca in cui la stagnazione postmoderna, la crisi degli ideali di pace e giustizia, l'esplosione della bolla speculativa ottantina con conseguente crisi economica avevano distrutto le illusioni della sua generazione. Generazione che all'improvviso si era trovata di fronte al nulla; tutto ciò in cui aveva creduto era stato demolito dalla ciclicità della Storia e dall'ambivalenza della tecnologia – con l'alienazione derivante dall'uso massiccio di internet, la crescita esponenziale del consumismo e altri fattori negativi, il mito della “tecnologia positiva per il bene di tutti” era stato altresì distrutto.

sabato 17 ottobre 2015

Saber Marionette J: Recensione

Titolo originale: Saber Marionette J
Regia: Masami Shimoda
Soggetto: Hiroshi Negishi, Satoru Akahori
Sceneggiatura: Katsumi Hasegawa, Kenichi Kanemaki, Masaharu Amiya, Mayori Sekijima, Sumio Uetake, Tomofumi Nobe
Character Design: Shuichi Shimamura
Musiche: Parome
Studio:Bandai Visual, Emotion, Hal Film Maker
Formato: serie televisiva di 25 episodi
Anni di trasmissione: 1996-1997


Come erano fatti gli harem – genere che oggigiorno è sempre più inflazionato - degli anni novanta? Se ci si informa un poco, si deduce che la generazione di otaku dell'epoca prediligeva il moe alla “Di Gi Charat”, la fantascienza cliché contaminata dal cyberpunk e dalle sue perversioni tecnologiche, riflessioni inerenti il rapporto dei consumatori con i propri feticci virtuali, contenuti adulti filtrati attraverso un linguaggio di suoni, immagini e colori dai connotati strettamente infantili, volendo demenziali e voyeuristici. In virtù della legge della domanda, “Saber Marionette J” è un puro harem del suo tempo, nonché uno dei migliori: si tratta di un'opera demenziale e fracassona, la quale tuttavia non rinuncia ad alcune riflessioni – seppur superficiali - inerenti quelle tipiche tematiche novantine che non troveremo mai in un harem attuale.

sabato 4 luglio 2015

Cowboy Bebop: Recensione

 Titolo originale: Cowboy Bebop
Regia: Shinichiro Watanabe
Soggetto: Hajime Yatate
Sceneggiatura: Keiko Nobumoto
Character Design: Toshihiro Kawamoto
Mechanical Design: Kimitoshi Yamane
Musiche: Yoko Kanno
Studio: Sunrise
Formato: serie televisiva di 26 episodi
Anni di trasmissione: 1998 - 1999


L'anime di cui mi accingo a scrivere è una space opera postmoderna, in cui gli spunti creativi di base mutuati dall'illustre "Space Adventure Cobra" di Osamu Dezaki vengono coadiuvati da molteplici incursioni in generi differenti - commedia, hard boiled, noir, action, psicologico, senza disdegnare sfumature cyberpunk - e amplificati dal notevole bagaglio culturale degli autori, una vera e propria enciclopedia del cinema e della musica occidentale. Nasce così un mosaico citazionistico di grande successo e carisma, nonché una delle opere cardine dell'animazione giapponese degli anni novanta: il celeberrimo "Cowboy Bebop".
E' molto interessante osservare che esiste una ricorrenza comune nella grande architettura dalle molteplici sfaccettature che costituisce il lavoro della vita di Shinichiro Watanabe, giacché nel profondo attinge direttamente dal folklore giapponese; infatti, tolti i vari strati di citazionismo e postmodernismo, in "Cowboy Bebop" si osservano delle marcate analogie tra le storie e le psicologie dei vari personaggi e l'affascinante mito di "Urashima Tarou", il quale - seguendo l'esempio di molti registi precedenti a Watanabe - viene utilizzato come metafora della fenomenologia della postmodernità.

mercoledì 29 ottobre 2014

The Tatami Galaxy: Recensione

  Titolo originale: Yojouhan Shinwa Taikei
Regia: Masaaki Yuasa
Soggetto: Tomihiko Morimi
Sceneggiatura:Makoto Ueda
Character Design: Nobutake Ito
Musiche: Michiru Oshima
Studio: Madhouse
Formato: serie televisiva di 11 episodi
Anno di trasmissione: 2010

 
Un giapponese che parla del Giappone, Hiroki Azuma, nel suo libro sulla filosofia postmoderna, definisce l'otaku come un consumatore ossessivo-compulsivo paradossalmente caratterizzato dallo snobismo tipico del periodo Edo. L'otaku è anche un costruttore di mondi immaginari, un escapista che ama sostituire le tristi esperienze - e delusioni - del quotidiano con mondi fittizi e illusori, amando feticci anziché persone reali - volendo, anche eleganti donne-artefatto legate ad arcaici canoni di bellezza, non più riscontrabili in una frenetica società animalizzata come quella giapponese. E' bene specificare che quello dell'otaku sia un caso limite del giovane figlio della postmodernità, soggetto in genere alienato dal mondo che lo circonda, giacché non riesce a trovare in esso - e in sé stesso - punti di riferimento stabili con cui identificarsi. Il protagonista di "The Tatami Galaxy" indubbiamente soddisfa tutti questi requisiti, a parte il non essere un consumatore ossessivo-compulsivo: egli è una persona passiva, dalla parlantina veloce e dal flusso di coscienza delirante, costantemente alla ricerca del "bello" in un mondo che non rispecchia affatto le sue elevate pretese snobistiche. In ogni episodio lo sventurato andrà incontro a determinati fallimenti sul piano sociale e sentimentale, arrivando addirittura a rinchiudersi in casa come un vero e proprio hikikomori, oppure ad amare platonicamente una bambola - a suo dire - bellissima, dalla raffinata pettinatura e dal portamento elegante. Con una regia estremamente dinamica, postmoderna, estremizzata, dilatata e nevrotica, l'ottimo Masaaki Yuasa mette in scena una commedia incentrata sui problemi tipici di un giovane giapponese dall'identità frammentaria, non definita - egli non ha nemmeno un nome - che si appresta a intraprendere le prime relazioni sentimentali e ad affrontare l'ambiente universitario.

sabato 11 ottobre 2014

Steins;Gate - Loading Area of Déjà vu: Recensione

Titolo originale: Gekijōban Steins;Gate - Fuka Ryōiki no Dejavu
Regia: Kanji Wakabayashi
Soggetto: (basato sul videogioco originale di 5pb & Nitroplus)
Sceneggiatura: Jukki Hanada
Character Design: huke (originale), Kyuuta Sakai
Musiche: Takeshi Abo
Studio: WHITE FOX
Formato: film cinematografico
Anno di uscita: 2013


 
Dopo gli eventi della serie principale, Rintaro, colpito da dei continui déjà vu legati ai drammatici ricordi risalenti alle wordline alternative, fatica ad accettare la nuova realtà della wordline definitiva, da lui denominata "Steins;Gate". Questo creerà dei problemi al suo "Reading Steiner", che si sovraccaricherà, generando un'interferenza quantistica con un'altra wordline in cui egli non è mai esistito, e in cui nessuno si ricorda di lui. Spetterà a Makise Kurisu risolvere il problema, viaggiando indietro nel tempo per poter salvare il suo amato...

sabato 4 ottobre 2014

Steins;Gate: Recensione

Titolo originale: Steins;Gate
Regia: Hiroshi Hamasaki, Takuya Sato
Soggetto: (basato sul videogioco originale di 5pb & Nitroplus)
Sceneggiatura: Jukki Hanada
Character Design: huke (originale), Kyuuta Sakai
Musiche: Takeshi Abo
Studio: WHITE FOX
Formato: serie televisiva di 24 episodi
Anno di trasmissione: 2011


Rintaro Okabe è un bizzarro inventore di aggeggi senza alcuna utilità pratica il quale si è autodichiarato "Mad Scientist", ovvero "Scienziato Pazzo". Un giorno, insieme a Daru, il suo geniale assistente hacker, riesce a creare uno strano congegno in grado di mandare e-mail nel passato. Questo fatto incuriosirà l'inizialmente scettica Makise Kurisu, una giovanissima e brillante fisica teorica, che si unirà ai membri dello strampalato "laboratorio" di Rintaro al fine di scoprire la causa dell'insolito fenomeno, forse correlato alle oscure cospirazioni legate al CERN di Ginevra...