Titolo originale: Kureyon Shinchan: Arashi o Yobu: Mōretsu! Otona Teikoku no Gyakushū?
Regia: Keiichi Hara
Soggetto: Keiichi Hara
Sceneggiatura: Keiichi hara
Character Design: Katsunori Hara
Musiche: Shiroh Hamaguchi
Casa di produzione: Shin-Ei Animation
Formato: film cinematografico
L'expo di Osaka del 1970 è stata un avvenimento fondamentale per la generazione di giovani giapponesi che vi parteciparono. La data corrisponde inoltre ai primi vagiti del boom economico post seconda guerra mondiale, con conseguente ingresso in quella che si potrebbe definire una postmodernità ancora embrionale - arrivata in ritardo di circa dieci anni rispetto a quella dei paesi occidentali -, che troverà un completo sfogo fenomenologico negli anni novanta, con lo sviluppo del settore terziario e delle comunicazioni. Tra i ragazzi del ventesimo secolo – così direbbe Naoki Urasawa – che vissero un'era in cui si pensava che l'uomo avrebbe potuto esistere per sempre nell'abbondanza, nell'armonia e nella pace, supportato dalla scienza, dalla tecnica e dal benessere derivante dalla congiuntura economica favorevole del periodo, c'era anche Hideaki Anno, l'otaku per eccellenza: si potrebbe dire ch'egli sia stato veramente felice soltanto nel 1970, e che la nostalgia e il disagio esistenziale riscontrabile nella sua produzione più matura e personale sia in una certa misura il manifesto di un sogno tradito: Anno ha vissuto il boom ideologico e sociale del 1970 e l'ha visto crollare negli anni novanta, epoca in cui la stagnazione postmoderna, la crisi degli ideali di pace e giustizia, l'esplosione della bolla speculativa ottantina con conseguente crisi economica avevano distrutto le illusioni della sua generazione. Generazione che all'improvviso si era trovata di fronte al nulla; tutto ciò in cui aveva creduto era stato demolito dalla ciclicità della Storia e dall'ambivalenza della tecnologia – con l'alienazione derivante dall'uso massiccio di internet, la crescita esponenziale del consumismo e altri fattori negativi, il mito della “tecnologia positiva per il bene di tutti” era stato altresì distrutto.
Con il nono film dedicato al celebre brand di “Crayon Shin-chan” - commedia leggera, solare e demenziale molto popolare presso i bambini giapponesi - il regista Keiichi Hara (“Colorful”, “Kappa no Coo”) propone una riflessione frizzante e disincantata inerente il fallimento del sogno della generazione di cui egli stesso fa parte, lanciando un messaggio molto preciso a quelli che erano i ragazzi del ventesimo secolo. La trama dell'opera è un pretesto surreale e bizzarro in grado di amalgamarsi nel migliore dei modi all'intento del regista: gli adulti della generazione alla quale appartengono i genitori di Shin-chan, nostalgici della Torre del Sole e della sua carica ideologica, nonché dei tokusatsu con i quali erano cresciuti da bambini - “Ultraman” e “Kamen Rider” in primis -, decidono di “congelarsi” in un ventesimo secolo fittizio e funzionale alle loro speranze tradite, regredendo allo stato infantile e ignorando i bisogni dei loro figli, i quali rappresentano la generazione corrente incapace di comprendere il motivo di un tale attaccamento al passato, così grande da diventare morboso. Si scoprirà che dietro a questa folle corsa contro la realtà e il tetro presente - decisamente troppo complesso, confusionario e privo di ideali per quelle persone che tanto si aspettavano dalla vita – è presente il disegno di un “antagonista” più che mai desideroso di distruggere il ventunesimo secolo: Ken, un cinico adulto apparentemente a digiuno di umanità il quale tuttavia ambisce alla realizzazione di un suo personalissimo sogno romantico, che invero si tratta di una mera illusione - il personaggio in un certo senso ricalca il Gendo Ikari di “Evangelion”, non a caso ideato da Hideaki Anno.
Il disagio dovuto alla mancanza di finalità di un mondo che cambia repentinamente, senza curarsi delle aspettative che si nutrono nei suoi confronti, lascia spazio alla necessità di una presa di consapevolezza della transitorietà dell'esistenza: soltanto annusando una fortissima puzza di piedi (!) il padre di Shin-chan viene riportato al mondo reale, e riesce ad abbandonare il “profumo del ventesimo secolo” che tanto l'aveva soggiogato. Il piede, quell'organo del nostro corpo con il quale manteniamo un contatto continuo con il suolo – vero, tangibile -, permette il movimento, lo scioglimento delle catene dell'immobilità divenuta escapismo; ma l'impermanenza non è una cosa gradevole, ed ecco che ora nella mente del personaggio scorre tutta la sua vita, rappresentata mediante una scena di grande effetto. La consapevolezza, sebbene inizialmente sia sgradevole, man mano diventa una guida sicura verso la coesione con i propri familiari e l'autorealizzazione personale – Ken, allo stesso modo di Gendo Ikari, non è mai riuscito a creare una famiglia, sebbene possegga un'apatica compagna dalla marcata sensualità: da qui la sua mancanza di redenzione e la sua sconfitta morale. La tematica del conflitto tra idealità e realtà è la chiave di volta del film: un eccesso di idealismo produce soltanto apatia e rabbia repressa, misantropia, distacco dalla propria storia personale. Quando le ambizioni nei confronti del gramo mondo reale si fanno troppo pressanti, è necessario evadere, rifugiarsi in un mondo di illusioni crogiolandosi nei propri trascorsi più felici, non ancora corrotti dal grigiore dell'adultità. Eppure è il mondo reale che permette la vita, la possibilità di compiere un percorso che si rivelerà più importante della meta raggiunta.
Il film è molto frizzante e gradevole, le gag divertenti si sprecano lasciando spazio nei momenti opportuni a coloratissime scene di stampo tragicomico – si pensi al modo in cui viene affrontato il suicidio, tematica che diventerà una ricorrenza nella filmografia successiva del regista. In questo film – collocato al quarto posto tra i migliori film animati di sempre dalla veterana rivista cinematografica Kinema Junpo - Hara definisce il suo riconoscibilissimo stile registico, e piega la volgarità infantile tipica di “Shin-chan” alle sue riflessioni di adulto, seguendo l'esempio del Mamoru Oshii di “Beautiful Dreamer”, opera con la quale il qui presente “The Adult Empire Strikes Back” (palese la citazione a “Star Wars”) possiede molti punti in comune, dalla tendenza 'decostruttrice' del brand di appartenenza sino alla tematica del congelamento in un'estate dolciastra dai connotati infantili: nell'opera di Oshii veniva analizzato per la prima volta il fenomeno emergente dell'otakuzoku, mentre invece Hara si sofferma sulla nostalgia patologica; nondimeno, in entrambi i film viene rappresentata la necessità di alcuni individui adulti di “sognare”, di “fuggire dalla realtà”, un comportamento tipicamente giapponese abbastanza ricorrente nell'animazione novantina. Detto ciò, sono da notare alcuni punti in comune con un'altra opera seminale di Mamoru Oshii, “Gosenzosama Banbanzai!”, con il quale “The Adult Empire Strikes Back” condivide il tema della crisi d'identità della famiglia giapponese postmoderna e alcune trovate tipiche della commedia dell'assurdo. Apprezzabilissimi gli intenti parodistici di alcune scene, in cui il citazionismo tipico del film sfocia in situazioni esilaranti – nel momento in cui i genitori di Shin-chan fuggono di casa accecati dalla nostalgia, quest'ultimo li rincorre emulando il protagonista di “Haha wo Tazunete Sanzenri” (!).
In conclusione, volendo citare Kenji Kamiyama:
dentro di me mi domandavo se, essendo un cartone animato, dovevo
valorizzare quanto di positivo un cartone animato offre. Anche gli
addetti ai disegni non riescono quasi più a regolarsi con quanto
stanno disegnando. Mi è venuto da pensare che la nostra generazione
stia a poco a poco perdendo questo senso dell'equilibrio. Che
l'animazione stia perdendo a poco a poco le parti buone che in
origine possedeva. Tuttavia in "Shinchan: il contrattacco
dell'impero degli adulti" del regista Hara, tutte le cartucce
possedute da Shin-chan vengono qui giocate al massimo. (Passo
tratto da un'intervista presente nell'edizione italiana di “Gits
SAC”).
Ringrazio Garion-Oh per avermi fatto conoscere questo film e per aver ispirato questa recensione con alcuni dei suoi post.
RispondiEliminaPer chi volesse approfondire, consiglio la lettura di questo capitolo del Little Boy di Murakami:
RispondiEliminahttp://www.gwern.net/docs/eva/2005-murakami