sabato 9 aprile 2016

Ghost in the Shell: Recensione

 Titolo originale: Koukaku Kidoutai
Regia: Mamoru Oshii
Soggetto: Masamune Shirow
Sceneggiatura: Kazunori Ito
Character Design: Hiroyuki Okiura
Mecha Design: Shoji Kawamori
Musiche: Kenji Kawai
Studio: Production I.G.
Formato: film cinematografico
Anno di uscita:1995


Ghost in the Shell è uno dei maggiori capolavori che l'animazione giapponese abbia saputo donare al mondo della cinematografia. Quest'opera è stata realizzata nel 1995 dal regista Mamoru Oshii, traendo ispirazione dal manga omonimo di Masamune Shirow. Importante è il valore di Ghost in the Shell come film per l'innovazione stilistica, di regia e di realizzazione tecnica che ha portato. Gli sfondi, la fotografia, le animazioni per essere del '95 tengono ancora testa a quelle di film molto più recenti.  


La storia narra le vicende di un gruppo investigativo anti-terrorismo chiamato Sezione 9 il cui compito è quello d'investigare sui crimini della rete perpetrati da abili hacker impiegati nei frequenti scontri tra i grandi poli di potere. Questi sono costituiti da potenti gruppi di aziende che dominano la società, in una ambientazione dai tratti fortemente cyberpunk, dove il degrado civile e morale si trova a fare i conti con uno sviluppo tecnologico all'avanguardia. Tale progresso ha portato sia a una meccanizzazione dei corpi degli uomini, con conseguente potenziamento delle prestazioni sia cerebrali sia fisiche, sia alla creazione di veri e propri androidi, dalle fattezze umane e oggetto di un commercio a dir poco lucroso. 


A mio avviso il maggior pregio di quest'opera sta però nelle tematiche che affronta, di cui parleremo subito, e sopratutto nel modo in cui esse sono esposte: mediante l'utilizzo di un interessante e lirico "simbolismo", che rende il tutto criptico e difficile da elaborare, ma è indispensabile per lo stile della narrazione, così essenziale e minimale, e per la profondità che riesce a raggiungere senza ricorrere solo alle parole ma anche con l'impatto visivo.
Partiamo dunque dai temi principali che animano il film, "Ghost in the Shell" va forse oltre la classica riflessione "cosa distingue realmente una macchina dall'uomo quando la macchina stessa ne assume l'aspetto e il pensiero?" che è una sorta di topos ricorrente nella fantascienza. Il marionettista è un caso emblematico in proposito, ma oltre alla dimensione prettamente filosofica della questione c'è una riflessione più ampia anche sul concetto stesso di vita, quale sistema di trasmissione di informazioni, che sembra rievocare con un eco non troppo flebile e distante i concetti affini all'evoluzione naturale. Interessante è il fatto che si possa instaurare un paragone con la genetica e il pensiero "post-darwiniano", creando un collegamento (a livello metaforico) tra questo e l'informatica (come già aveva fatto a suo tempo Richard Dawkins). Il mare di informazioni che ha dato vita al marionettista si può intendere in parallelo, a livello genetico, con appunto i geni, i quali non sono altro che informazioni che viaggiano da individuo a individuo e che "programmano" le nostre funzioni vitali; in questo senso anche il nostro corpo è una "macchina" dei geni, l'unica  differenza starebbe allora nel fatto che noi possediamo un'anima? una forma di autocoscienza? Il nostro "Ghost". Una forma di vita nata dalle informazioni che si moltiplicano nella rete  è considerabile, appunto, vita? qualora sia dotata di coscienza di sé? Ma cos'è la coscienza di sè' E cos'è che dobbiamo intendere come vita? Un dubbio ancestrale che rimarrà irrisolto poiché la scienza stessa non è ancora stata in grado di dare una soddisfacente definizione di cosa si debba intendere per "Vita" o forse perché essa stessa sfugge al tentativo d'intrappolarla in qualsiasi definizione, poiché la sua essenza è in continuo divenire.


Oltre a questo, interessante è anche il dilemma psicologico della protagonista, il Maggiore, che si può definire in una locuzione come "il dubbio esistenzialistico sulla personalità", "Penso dunque sono", ma ne siamo proprio sicuri? anche quando l'intero nostro "Io" non è che mero etere evanescente, un'illusione poichè il corpo è ridotto al puro meccanicismo? Ed è qui che Oshii gioca con le immagini, con lo specchio, le immagini riflesse, i manichini e le molte Motoko in giro per la città, ci regala un incredibile lirismo visivo veicolato dall'uso di metafore potenti. Il simbolismo è importantissimo, ad esempio metaforicamente esplicativa, a questo proposito, è la sequenza in cui Motoko riemerge dalla sua immersione notturna: il riflesso del suo volto nell’acqua evoca lo sdoppiamento tra corpo meccanico, costantemente in pericolo di affondare, e spirito, che, al contrario, si muove verso l’alto, verso una sempre maggiore acquisizione di sé. Tale è anche la condizione esistenziale dell’essere umano, confinato entro il suo corpo mortale e alla continua ricerca di una forma di immortalità entro cui riversare la propria coscienza" cit. Mi sono avvalso di questo passo di un altro valente recensore perchè dice tutto, perchè non saprei esprimere meglio il concetto di come l'ha fatto lui. E questo è solo un frammento dei tanti da analizzare, da assaporare per trarne i suoi frutti più maturi, s'intravede sempre una riflessione sottesa dietro anche alla più innocente delle inquadrature, il che rende quest'opera una e vera e propria opera d'arte a tutto tondo, una miniera da scavare il cui messaggio diventa universale. 


Come già accennato il livello tecnico di realizzazione di quest'opera è davvero notevole, soprattutto per quanto riguarda l'uso della computeer grafica, eseguito con tale maestria che in certe sequenza quasi non ci si accorge della sua presenza. Un aspetto poi che ne impreziosisce la fattura è costituito dalla magnifica colonna sonora composta da Kenji Kawai, le note stentoree e rauche dei cori tradizionali giapponesi tessono un'atmosfera trascendente ed onirica, dove tutto sembra rimanere sospeso ed il tempo pare fermarsi.











8 commenti:

  1. Film bellissimo, è uno di quei film che necessitano di più visoni per apprezzarli appieno. C'è sempre qualche interessante punto di riflessione.

    Mi è sempre piaciuta la scena dove Motoko vede il proprio clone mangiare al ristorante lasciando il dubbio angosciante se il nostro io non sia fatto d'altro di un corpo, una voce o un viso che riconosciamo come nostri o sia qualcos'altro di più profondo.

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    1. Eh GITS è davvero un film enorme :) Prima di scrivere la rece l'ho visto almeno 4 volte xD

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  2. Ciao!:)

    GITS e' uno dei grandi capisaldi del tecno-orientalismo. In esso si vede l'aspetto piu' postmoderno del Giappone, quello legato alla tecnologia, alla frammentazione dell'identita' e della comunicazione. Tuttavia cio' che affascina noi occidentali non e' tanto l'aspetto "tecno" dell'opera, ma quello "orientale". Infatti, in opere come GITS e lain, la tecnologia viene resa divina - in modo conforme allo shinto, tant'e' che Oshii stesso afferma di avere proposto a Kawai di ispirarsi alla musica shintoista per creare il tema principale del film, quello che compare nell'opening. In GITS, cosi' come negli altri capolavori cyberpunk del suo periodo - non posso non citare anche Gunm -, l'innovazione si fonde perfettamente con la tradizione, e l'oggetto artificiale, complesso e frammentario, s'interroga sulla natura dell'anima e della vita, in un divenire totalizzante. Cosa inconcepile per noi occidentali.

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    1. Ciao!

      Complimenti, dalla tua risposta si vede che sie molto ferrato sulla materia.

      Sono decisamente d'accordo su quanto tu affermi, anche se credo che la componente orientale si senta più nel secondo film "L'attacco dei cyborg" o perlomeno cosi lo sento io, mentre il primo film si sentono più le tematiche cyberpunk.

      Lain prima o poi devo decidermi a recuperarlo.

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  3. La fusione di Motoko col marionettista da sola contiene tutta la metafora shinto del tecno-orientalismo. Mentre in GITS manga la cosa ha un sapore piu' cyberpunk stricto sensu - la Motoko rinata percepisce il mondo come un archivio di dati dalle infinite potenzialita' -, nel film Oshii rende Motoko una bambina, ovvero un archetipo folkloristico religioso. La divinita' derivante dalla fusione mistica uomo-macchina pertanto diventa una fanciulla sacra, proprio come lain, Hotaru Tomoe/Sailor Saturn, Kaguya Hime ecc. Cosa molto giapponese e orientale nella sostanza - la bambina rappresenta il femminino sacro e immacolato.

    serial experiments lain ormai e' diventato oggetto di studio anche nelle universita', si tratta di una visione irrinunciabile. :)

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  4. Interessante, devo sbrigarmi ad recuperarla.

    In kaguya Hime avevo notato questo principio della fanciulla sacra ma l'avevo considerato come elemento pertinente alla cultura buddista.

    Hai qualche libro/fonte da consigliarmi per approfondire l'argomento che abbiamo tratto? Possibilmente in italiano.

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  5. Di libri ce ne sono parecchi, non saprei da dove iniziare. Detto questo, ti assicuro che appena ne avrò letti altri cinque creerò una rubrica dedicata appositamente ai libri sull'argomento, con delle mini-recensioni annesse. Stay tuned. :)

    Ciò premesso, così, su due piedi, direi lo "Stray Dog of Anime" di Ruth e "From Akira to howl" della Napier. Entrambi in inglese, purtroppo.

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