domenica 13 agosto 2023
Dogville: Recensione
sabato 15 luglio 2023
Das Boot: Recensione
martedì 18 gennaio 2022
Masculin, Féminin (Maschile, Femminile): Recensione
Musiche: Jean-Jacques Debout
Devo ammettere che Masculin, Féminin di Godard mi ha molto colpito per la sua lucidità sociologica (lo potrei tranquillamente inserire tra i miei dieci film preferiti, sia per la sua estetica impeccabile che per i contenuti a me cari). Liquidato dalla critica del nostro paese perlopiù come un "film su come la gioventù dei late 60's francese praticava il sesso", etichetta risibile quasi quanto l'adattamento italiano del titolo (Il Maschio e la Femmina, scelta compiuta al fine di sessualizzare indebitamente l'opera), esso è in realtà una fotografia in bianco e nero della postmodernità nella Parigi pre-sessantottina. Essendo una nouvelle vague frammentaria e didascalica, la trama è ridotta allo scheletro: Paul, giovanotto comunista incapace di definirsi in un mondo molto confuso, si invaghisce di Madeleine, che lavora con lui nella redazione di una rivista giovanile. La ragazza, così come le sue amiche, è più interessata al consumismo americanizzato dilagante che ad una relazione sentimentale, e infatti si mette insieme a Paul quasi apaticamente, dando la priorità alla sua carriera discografica. La gravidanza lascerà indifferente lei e farà impazzire lui, che pur essendo fissato col socialismo e critico verso l'utilizzo degli anticoncezionali importati dagli States, si dimostrerà troppo immaturo per affrontare l'idea della paternità. Paul cadrà poi misteriosamente dal balcone di una casa comprata con i soldi della madre senza che venga specificato se si sia trattato di suicidio o meno. Chiudono il film l'impassibilità di Madeleine e della sua amica di fronte all'evento. Nel sottotitolo di uno dei capitoli dell'opera, appare l'asserzione: Questo film potrebbe intitolarsi "I figli di Marx e della Coca-Cola"
sabato 13 novembre 2021
La nostalgia del futuro: Vaporwave e City Pop
"Tutti quei colori caldi, estivi, come quelli di Kimagure Orange Road e Sailor Moon, sono parte di me" - MikiMoz
Penso che la nostalgia sia una cosa tutta umana: si vive quasi sempre nella mancanza di qualcosa, perché si nasce come piccoli animali incompleti in perenne conflitto con lo scorrere del tempo. Questo, dopotutto, è uno dei principali crucci dell'umanità sin da quando si disegnavano idoli nelle caverne, o ci si inchinava con una falce in mano a mietere il raccolto seguendo le fasi lunari. Il presente è lì: è ciò che stiamo vivendo, ma immediatamente è già diventato passato. Della sua importanza, uno se ne accorge soltanto a posteriori, perché sul momento, nell'attimo fuggente, lo si dà per scontato. Il futuro invece, la cosa più vicina al presente, era tutto da scoprire, e se faceva paura, c'erano delle soluzioni per credere nella sua buona riuscita (mi vengono in mente i rituali propiziatori, certi aspetti delle religioni, l'astrologia e quant'altro). Quando vidi per la prima volta il Ghost in the Shell di Oshii Mamoru, rimasi impressionato da una scena in particolare: una persona aveva dei ricordi che non le appartenevano. Passando poi a UruseiYatsura, che visionai successivamente, il protagonista era bloccato in un'eterna estate: l'estate della sua giovinezza, un'estate dai colori accesi: ma questa volta il futuro non esisteva proprio. La poetica del regista, così come quella di altre numerose opere simili alle sue, sia cinematografiche che letterarie, sono fotografie della fenomenologia di un'epoca, del nostro (eterno) presente. Qualcuno parlava di "Fine della Storia", qualcun altro di "fine delle grandi narrazioni", qualcun altro ancora di "morte di Dio". Ma questa volta non voglio dilungarmi in tecnicismi sociologici, ma fornire degli spunti di riflessione molto personali.
mercoledì 29 settembre 2021
serial experiments lain: Recensione 2.0
Regia: Nakamura Ryutaro
Soggetto: Production 2nd (ABe Yoshitoshi, Ueda Yasuyuki)
Sceneggiatura: Chiaki J. Konaka
Character Design: ABe Yoshitoshi (originale), Kishida Takahiro
Musiche: Nakaido Reiichi
Studio: Triangle Staff
Formato: serie televisiva di 13 episodi
Anno di trasmissione: 1998
lunedì 31 maggio 2021
Le pseudo narrazioni: osservazioni di un lettore
Devo ammettere che il post sulla definizione di pseudonarrazione ha generato un certo dibattito tra i lettori. In particolare un certo Seele94 penso che abbia donato al blog un commento molto onesto e lucido che riporto qui per dargli maggiore visibilità:
«Credo che diventare adulti senza aver avuto la possibilità di vivere una vita affettiva e sentimentale decente, comporti tutta una serie di difficoltà e di problematiche. Come si manifestano tali problematiche? Difficile dirlo, visto che ogni persona reagisce diversamente dinnanzi al medesimo dolore, alla medesima mancanza. Arrivare a 30-40 anni suonati con ancora l'idea in testa della donna angelo, della relazione adolescenziale turbolenta e coinvolgente, della coppia tanto affiatata quanto affamata di felicità, secondo me non è altro che un meccanismo inconscio atto a mettere una pezza su quella che fino a quel momento è stata una vita non vissuta, fatta di storielle sentimentali assenti o molto precarie: una non vita, fondamentalmente. La verità è che se non si ha avuto la possibilità di diventare adulti tramite un percorso funzionale, ci si arriverà in modo "sbagliato", con tutte le problematiche e i disagi che esso comporta. Giunti a 30 anni in tale modo, riuscendo a mettere pezze più o meno grandi alle proprie lacune, ci si ritrova ad avere (generalmente parlando) una posizione socio-economica consolidata, e si è finalmente appetibili dopo anni di invisibilità. Quello che, tuttavia, si può raccogliere ora è ben diverso da quello che si poteva raccogliere qualche anno prima, quando la gente si avvicinava a te mossa da un genuino interesse verso la tua persona, piuttosto che da motivazioni di tipo convenzionale. Ciò che si può raccogliere in questo tipo di scenario diventa così tanto misero, che la pseudonarrazione funge da escapismo; un modo come un altro per tirare avanti ignorando quella che è una realtà, per molti, inaccettabile o troppo dolorosa.» [Seele94]
Dopo un po' di tempo, il lettore mi ha informato di aver scritto un articolo derivante dalle (sue) riflessioni maturate durante la lettura del mio post. Tale scritto lo potete reperire qui, sul suo blog personale, e dato che potrebbe fornire spunti di riflessione interessanti, con la sua autorizzazione lo riporto per intero a seguire.
venerdì 14 maggio 2021
L'insostenibile potenza delle "pseudonarrazioni"
Per Lyotard, nella sua concezione storiografica, la metanarrazione era una "grande narrazione" del passato, come potevano essere illuminismo e socialismo. Una volta arrivata la postmodernità, ossia l'assetto sociale contemporaneo, le metanarrazioni per come intendeva Lyotard sono state abbandonate. Nel postmodernismo infatti viene meno la pretesa propria dell'epoca moderna di fondare un unico senso del mondo partendo da principi metafisici, ideologici o religiosi, e si ha quindi la conseguente apertura verso la precarietà di ogni senso. Nella nostra epoca non esistono quindi più le "grandi narrazioni" o "metanarrazioni" del passato. Esistono tuttavia delle narrazioni mutuate dai prodotti di intrattenimento, che sono l'imprinting principale a cui tutti noi consumatori siamo soggetti. Per differenziare questo tipo di narrazioni simulacro da ciò che Lyotard chiamava "piccole narrazioni", e per evitare confusione col termine storiografico di "metanarrazione", le chiamerò, come suggerito dall'amico G. Cannarsi, "pseudonarrazioni" (il prefisso "pseudo" rende l'idea di un qualcosa di fittizio). Ciò detto, a parer mio, il termine "piccola narrazione" è impreciso. Infatti il suffisso "pseudo" mi serve per rendere l'idea di una narrazione nata puramente nella finzione, o quantomeno da una pseudo-società quasi ormai caricaturale o teatrale (nel senso di simulacro di esistenze/solitudini individuali, come intendeva Pirandello). Una "piccola narrazione", a mio modo di vedere le cose, è una "grande narrazione" in scala, come ad esempio la storia di Ashita no Joe, che è una credibile rivalsa sociale in un'epoca di malessere e povertà diffusa come il dopoguerra giapponese. Fatte tutte queste premesse, la narrazione simulacro o pseudonarrazione, molto più tiepida delle grandi ideologie del passato, è una sorta di imprinting: ad esempio, se si passa l'adolescenza a guardare molto intensamente shoujo anime, inevitabilmente, una volta arrivato l'amore nel mondo reale, si cercherà di elaborarlo secondo la pseudonarrazione shoujo assimilata in precedenza (Shoujo Kakumei Utena, con il Principe Azzurro Dios e il suo oscuro corrispettivo Akio, tanto per dire, si prende un po' gioco di questa cosa). Parlo di imprinting perché, nella maggior parte dei casi, la pseudonarrazione appartiene alla sfera infantile, e questo è palese quando si va a considerare il fenomeno otaku (che è l'avanguardia di quanto sta succedendo oggi in occidente: la dipendenza dalla finzione è ormai mainstream).
domenica 28 marzo 2021
L'origine del male: riflessioni libere
Rivedere G Gundam mi ha fatto molto piacere. Ma dico sul serio. E no, non è soltanto Street Fighter con i robottoni: quelle erano scelte di marketing imposte ad un regista tanto intellettuale quanto nostalgico. La recensione che scrissi anni fa non mi va neanche di cambiarla: non mi va di cancellare o modificare quanto produssi, soprattutto nel punto in cui scrivevo tutto entusiasta dell'Allenby in versione fatina che rinunciava al suo amore per Domon, dato che c'era Rain a dover essere – letteralmente – salvata. Ci rimasi male, perché in fondo Allenby mi piaceva molto, ma era giusto così.
La riflessione che voglio qui esprimere è da dove provenga il male, o quantomeno cercare di definirlo. Perché il Devil Gundam, che è la stessa cosa del Lavos di Chrono Trigger, virus che infettava il mondo nella sua intima struttura spazio-temporale, o del Deus di Xenogears, arma di distruzione di massa organica senziente, mi ha dato molto da riflettere. I protagonisti di G Gundam, Domon e Rain, partono come se fossero già praticamente marito e moglie, ma poi arrivano un "virus" (il suddetto Devil Gundam) e una rivale in amore (Allenby) a creare disordine. L'unità viene quindi spezzata, ma poi, mediante coscienza e sacrificio, il virus debellato e il nucleo familiare infine riunito. Questa struttura è molto comune nella tragedia: l'elemento di disturbo indubbiamente è il male, perché minaccia l'ordine e l'armonia delle cose, la cui sintesi suprema è l'unione (vuoi spirituale, vuoi tra uomo e donna, vuoi nel gruppo). Se non fosse esistito il male, non ci sarebbe stato alcun concetto di risoluzione, né alcun concetto di "rafforzamento" (volendo si potrebbe anche parlare di "senso"). Gli antichi Kabbalisti ebraici raffiguravano questa cosa con la rottura di un vaso primordiale dal quale ebbe origine l'universo. Ma in fondo, anche il mito dell'Eden era così: unità primigenia e dopodiché dissoluzione causata da un elemento di disturbo (in questo caso il frutto della conoscenza del bene e del male). E volendo risoluzione (a volontà dell'individuo/credente/praticante o che dir si voglia). Ovviamente, se non vi è alcuna volontà (la mancanza di volontà è una cosa tipica dell'apatia dell'epoca moderna, che è priva di vere finalità a parte il consumo reanimalizzato), non vi può neanche essere alcuna risoluzione. E da qui abbiamo l'esistenzialismo, ossia la "narrazione dell'irrisoluzione" delle vite moderne. In pratica delle tragedie a metà, come molte dinamiche sociali/affettive dell'oggidì (vorrei dire la maggior parte, ma non ho dati statistici alla mano). Fatta questa premessa, procediamo provando a classificare i vari tipi di "male".
mercoledì 24 marzo 2021
DEADMAN: Recensione (by AkiraSakura & Shito)
Titolo originale: DEADMAN
Autore: Egawa Tatsuya
Tipologia: Seinen Manga
Edizione italiana: Dynamic Italia
Volumi totali: 6
Anni di uscita: 1998~2000 (JP), 1999~2003 (IT)
«Lo scorrere di un fiume non si arresta mai... e per questo... non è mai uguale a se stesso.
Nell'acqua che ristagna... la schiuma può unirsi ad altra schiuma... ma non resta mai ferma a lungo.
Gli uomini e il dolore che affligge il mondo... non mutano mai.»
Dopo una laurea ottenuta presso l'antica e prestigiosa università nazionale di educazione di Aichi (una sorta di Scuola Normale), Egawa Tatsuya decide di abbandonate la carriera di insegnante e di dedicarsi al fumetto, diventando un mangaka. Per un brillante giovane giapponese, nato nel 1961, si trattava di una scelta a dir poco controcorrente, considerata l'assai conformistica società della sua patria, soprattutto ai tempi, ma forse – come capirà al volo chi conosce la sua opera – il già intellettuale Egawa aveva in mente una forma di educazione più anticonvenzionale, se non rivoluzionaria. Nelle sue opere, infatti, mai scevre di una esplicita componente erotica, si direbbe ai limiti della pornografia, eppure del tutto assente di quella nota di voyeurismo ozioso che ne è tipico, l'autore innanzitutto critica con feroce intelligenza proprio il sistema educazionale giapponese: debutta con BE FREE!, l'antesignano del più noto, ma ben più frivolo e pecoreccio GTO, e in seguito, raggiunge grande notorietà con GOLDEN BOY, che non è affatto una mera commedia dai toni erotico-demenziali, come lascerebbe pensare la trasposizione animata. Divenuto ormai una contrastata personalità televisiva da salotti intellettuali, Egawa continua a condurre la sua critica del sistema scolastico giapponese, spingendola verso la svalutazione della formazione universitaria e della società nipponica essa tutta. Giunti negli Anni Novanta, sarà poi il turno anche di DEADMAN, che in effetti non è neanche più un manga vero e proprio, quanto una sorta di saggio di misticismo e filosofia politica travestito da storia gotica di vampiri. Dal punto di vista narrativo, DEADMAN è infatti organizzato (e disegnato) pressoché come una mera serie di dialoghi e racconti tra i personaggi, tanto da far pensare alla forma di trattato filosofico tanto amata da Platone, solo con l'aggiunta dei disegni: si tratta di una vera destrutturazione del medium narrativo chiamato "manga".
martedì 7 luglio 2020
OFF: Recensione
Anno di uscita: 2007
lunedì 5 agosto 2019
Gosenzosama Banbanzai: Recensione per l'anniversario.

domenica 21 gennaio 2018
Ultra Heaven: Recensione
martedì 20 dicembre 2016
Texhnolyze: Recensione
Regia: Hiroshi Hamasaki
Soggetto: Production 2nd (Yoshitoshi ABe, Yasuyuki Ueda)
Sceneggiatura: Chiaki J. Konaka
Character Design: Yoshitoshi ABe (originale), Shigeo Akahori
Musiche: Reiichi Nakaido
Studio: Madhouse
Formato: serie televisiva di 22 episodi
Anno di trasmissione: 2003
sabato 10 settembre 2016
Zettai Shounen: Recensione
sabato 3 settembre 2016
Mushishi: Recensione
giovedì 28 luglio 2016
Shinsekai Yori: Recensione
«Non ti pare che veniamo trattati alla stregua del vasellame? Una volta che il forno viene aperto e la ceramica ispezionata, tutti i pezzi che presentano crepe o deformazioni sono destinati ad essere distrutti. Dato che tutto ciò che ci attendeva era il destino di una ceramica fracassata, abbiamo deciso di fuggire, nella speranza di trovare un futuro diverso.» [Dalla lettera di Maria a Saki]
sabato 23 luglio 2016
Hell Girl: Recensione
Soggetto: Hiroshi Watanabe
Sceneggiatura: Kenichi Kanemaki
Character Design: Mariko Oka
Musiche: Yasuharu Takanashi, Hiromi Mizutani
Studio: Deen
Formato: serie televisiva di 26 episodi
Anni di trasmissione: 2005-2006
sabato 16 luglio 2016
Patlabor 2 - The Movie: Recensione
Soggetto: Kazunori Ito, Mamoru Oshii
Character Design: Akemi Takada, Masami Yuki
Mechanical Design: Yutaka Izubuchi, Shoji Kawamori, Hajime Katoki
Musiche: Kenji Kawai
Studio: Production I.G
Formato: film cinematografico
Anno di uscita: 1993
sabato 11 giugno 2016
Paranoia Agent: Recensione
Soggetto: Satoshi Kon
Sceneggiatura: Seishi Minakami
Character Design: Masashi Ando
Musiche: Susumu Hirasawa
Studio: Mad House
Formato: serie televisiva di 13 episodi
Anno di trasmissione: 2004
Nel dicembre del 2000 un diciassettenne di Tokyo, subito dopo aver litigato col padre, uscì di casa munito di mazza da baseball e aggredì otto passanti a Shibuya, in preda a un letale miscuglio di rabbia e frustrazione. Sulla base di questo fatto di cronaca, Satoshi Kon decise di creare la sua prima – e purtroppo ultima, causa prematura morte – serie televisiva, “Paranoia Agent”, il canto del cigno di quel cupo e psicologico filone della Nuova Animazione Seriale (NAS) introdotto da “Evangelion” a metà anni novanta, nel quale temi adulti come la critica alla società giapponese, l'alienazione giovanile, la perdita di riferimenti fissi indotta dalla postmodernità et similia venivano di sovente coadiuvati da una regia molto sofisticata e d'autore.