sabato 16 luglio 2016

Patlabor 2 - The Movie: Recensione

Titolo originale: Kido Keisatsu Patlabor 2 - The Movie
Regia: Mamoru Oshii
Soggetto: Kazunori Ito, Mamoru Oshii
Sceneggiatura: Kazunori Ito
Character Design: Akemi Takada, Masami Yuki
Mechanical Design: Yutaka Izubuchi, Shoji Kawamori, Hajime Katoki
Musiche: Kenji Kawai
Studio: Production I.G
Formato: film cinematografico
Anno di uscita: 1993


«Non pensate che io sia venuto a mettere pace sulla terra; non sono venuto a metter pace, ma spada. Perché sono venuto a dividere il figlio da suo padre, la figlia da sua madre, la nuora dalla suocera; e i nemici dell'uomo saranno quelli stessi di casa sua.» [Dal Vangelo secondo Matteo, 10,32-11,5]

Il secondo film del celebre franchise di “Patlabor”, ideato e sviluppato dal gruppo HEADGEAR (composto da Mamoru Oshii, Kazunori Ito, Akemi Takeda, Yutaka Izubuchi e Masami Yuki), a scanso di equivoci, si tratta di uno dei più grandi capolavori del cinema di animazione di tutti i tempi. Il lungometraggio - un thriller politico intellettuale e filosofico dai molteplici livelli di lettura -, si trova completamente agli antipodi rispetto al mood leggero e scanzonato tipico dell'usuale universo animato di “Patlabor”. Con esso, oltre a nascere quella storica collaborazione tra Mamoru Oshii e Production I.G. che nel 1995 porterà all'epocale “Ghost in the Shell”, si conclude il sodalizio tra i cinque artisti dell'HEADGEAR, i quali, una volta lasciata carta bianca al loro talentuoso regista, donano alla storia un film splendido, inarrivabile, lento, complesso – a detta del critico cinematografico Tony Rains, “Patlabor 2” è il «primo, inequivocabile grande film» di Oshii -, elegante, sontuoso ed estremamente autorale. 

 
Fatta questa doverosa premessa pregna di aggettivi altisonanti, prima di addentrarmi nella – difficoltosa – analisi dell'opera, ne riporto una breve considerazione sulla trama. Nonostante l'aspetto narrativo di “Patlabor 2” sia caratterizzato da molteplici “trappole” e “false piste” - caratteristica che lo rende abbastanza difficile da seguire -, esso si può completamente riassumere nel passo evangelico che con ovvi intenti allegorici Oshii inserisce in alcune scene chiave. Infatti, le vicende ruotano attorno al novello “messia” Yukihito Tsuge, ex colonnello delle forze di autodifesa giapponesi (JSDF) il quale, dopo aver partecipato ad una “missione di pace” nel sud-est asiatico per conto delle Nazioni Unite, ne rimane traumatizzato (tutto ciò avviene nell'incipit dell'opera). In seguito all'evento, egli sparisce nel nulla, e, agendo nell'ombra, organizza un colpo di stato militare ai danni del Giappone, facendo scontrare tra loro le JSDF e la polizia - «e i nemici dell'uomo saranno quelli stessi di casa sua.» 

 
E' fondamentale notare che Tsuge non complotta animato da un cieco desiderio di potere: le sue azioni sono indotte da molteplici motivi per nulla banali, che discuterò nei dettagli nel corso di questa dissertazione. In “Patlabor 2” pertanto non vi è alcun vero “antagonista” - si potrebbe dire, tenendo sempre a mente il Vangelo, che tutta la faccenda avvenga a livello “familiare”, in quanto lo stesso Tsuge, ad esempio, si tratta di una vecchia fiamma della protagonista Shinobu Nagumo, capitano della Prima Sezione Veicoli Speciali delle forze di polizia. Ciò premesso, in “Patlabor 2” i personaggi vengono messi in secondo piano e completamente subordinati alle imposizioni della regia, che domina incontrastata su ogni aspetto del film mettendo in scena un crescendo tesissimo di immagini asettiche, inquadrature che provengono direttamente dal cinema dell'europa dell'est e dialoghi molto più affini alle speculazioni contenute nei tomi di filosofia politica che al mero intrattenimento fantascientifico fine a sé stesso. Il regista, in modo conforme allo stile della “fase adulta” della sua poetica, fa recitare ai suoi “attori” pochi - ma impegnativi - monologhi, attraverso i quali espone il suo pensiero in modo diretto, in modo tale da equilibrare con solide chiavi di volta concettuali l'evanescenza della sua tendenza al simbolismo, all'astrazione e alla dialettica sogno/realtà. Non per nulla una delle scene chiave del film è il lunghissimo monologo di Gotou (capitano della Seconda Sezione Veicoli Speciali delle forze di polizia), nel quale Oshii accantona l'usuale caratterizzazione del suo personaggio e lo fa circondare da un'elegante atmosfera eterea del tutto aliena al solito “Patlabor”, al fine di comunicare direttamente con lo spettatore – o forse, molto più probabilmente, con sé stesso.


«Mr. Gotoh.
Come ufficiali di polizia...
Come ufficiali delle forze di autodifesa...
Cosa stiamo esattamente cercando di proteggere?
Sono passati cinquant'anni dall'ultima guerra.
Io e lei abbiamo vissuto le nostre vite senza essere toccati dalla guerra.
Pace...
Questa pace che stiamo supponendo di difendere.
Ma che cosa costituisce attualmente la pace di cui questo paese, questa città, sta godendo?
La guerra totale che abbiamo combattuto, e la sconfitta che abbiamo sofferto.
La successiva occupazione dell'esercito statunitense e le loro politiche...
E poi, fino a poco tempo fa, c'era stata una guerra fredda protratta sulla deterrenza nucleare, coadiuvata da tutte le sue guerre per delega sparse per il globo.
E anche oggi, mezzo mondo è chiuso in un cerchio... di guerre civili, scontri etnici e conflitti armati.
La nostra prosperità economica è basata sulla domanda creata da queste innumerevoli guerre. Le sue mani sono ricoperte di sangue.
Questa è la cosa di cui la nostra pace è fatta.
Un'imperturbabile lussuria per la pace basata su un non mitigato terrore della guerra.
Una pace ingiusta in cui distogliamo gli occhi dalle guerre estere, in cui altri pagano il prezzo per essa.
Potrebbe essere una pace che puzza di polvere da sparo, ma è pur sempre il nostro dovere mantenerla.
Qualsiasi giorno, sceglierei una pace ingiusta rispetto ad una guerra giusta.
Capisco perché odi l'idea di una guerra giusta. Dopotutto, queste parole tendono ad essere dette da personaggi senza scrupoli. Gli annali della storia sono pieni di lunghi elenchi di persone che hanno approfittato di esse causando sofferenza. Ma sono sicuro che anche tu sei a conoscenza di questo fatto.
La linea che separa una guerra giusta da una pace ingiusta non è molto chiara.
Anche se gli ipocriti hanno fatto della pace una giusta causa, noi abbiamo perso la fede in essa.
Proprio come le guerre portano alla pace, la pace porta alla guerra.
Una vacua, vuota pace che si definisce soltanto come una “non guerra” verrà eventualmente rimpiazzata da un qualcosa che è uno stato di guerra in tutto, tranne che nel nome.
Questo pensiero non ti ha mai toccato?
Mentre raccogliamo ben volentieri i benefici derivanti dalla guerra, ce ne distanziamo.
Abbiamo bandito la guerra in un reame al di là dello schermo televisivo, dimenticandoci che noi stessi siamo sulle retrovie della battaglia.
Il rimanere contrariati da una frode come questa porterà sulle nostre teste una grande punizione.
A chi spetterà punirci? A Dio?
In questa città, ognuno è come un dio.
Accedono ad altri reami di esistenza senza muovere un dito...
Intuiscono realtà che non hanno mai visto né toccato. […]» [Monologo in cui Kiichi Gotou pensa ad un suo dialogo con Shigeki Arakawa]

Come in parte si evince dal monologo testè riportato, in “Patlabor 2” viene affrontata la tematica della mediazione della percezione attraverso la tecnologia: il mondo postmoderno viene continuamente filtrato – nonché frammentato e rielaborato – da telecamere, televisioni e computer; in altre parole, mediante l'impiego dei mezzi tecnologici di comunicazione di massa, viene costruito un mondo illusorio in cui l'umanità perde coscienza dei fatti reali e delle loro correlazioni causali. Nel processo narrativo inerente l'esplosione del ponte, Oshii fornisce numerosi esempi di come i media possano alterare la percezione della realtà – si pensi alla scena in cui il caccia F16 responsabile dell'attentato viene rappresentato unitariamente da molteplici schermi televisivi difettosi, oppure agli asfissianti notiziari che si assumono l'onere “non-narrativo” di riportare al pubblico le conseguenze – o meglio, i frammenti disconnessi delle conseguenze – dell'evento. 


Volendo tralasciare per un breve frangente il particolare al fine di tracciare un quadro generale sulla poetica del regista, è bene osservare che “Patlabor” parla della tecnologia esterna all'uomo, mentre “Ghost in the Shell” tratta la tecnologia all'interno del corpo e “Avalon” la tecnologia all'interno della mente. A detta stessa di Oshii, “Patlabor 2” è stato fondamentale nella definizione della sua poetica: nonostante egli abbia molto apprezzato il manga omonimo di Masamune Shirow, l'adattamento filmico di “Ghost in the Shell” era stato da lui concepito in modo tale da proseguire quel discorso sul mutamento dell'umanità indotto dalla convivenza con la tecnologia iniziato proprio con “Patlabor”. Alla luce di ciò, si pensi all'attenzione e all'esuberanza di particolari con cui vengono rappresentati i mezzi meccanici nel film, che nell'economia delle immagini giocano un ruolo di primo piano, muovendosi minacciosi tra iperrealismo e mistificazione, quasi come se possedessero dei connotati “divini”. 


Fatto salvo ciò di cui sopra, ritornando ad analizzare il monologo di Gotou, in esso si osserva la contrapposizione tra due tendenze ben differenti: il capitano della polizia, pur essendo consapevole del fatto che la pace imposta dagli americani sia fasulla, decide comunque di proteggerla, giacché reputa migliore una “pace ingiusta” rispetto ad una “guerra giusta” - e deve tacitamente adempiere, come ogni buon giapponese, al giri, ovvero al senso del dovere, tappandosi il naso di fronte alle enormi contraddizioni etiche e politiche in cui è invischiato il suo paese. D'altro canto, Arakawa sposta la discussione su un livello più “ontologico” e meno pratico di quello di Gotou; per lui guerra e pace sono le due facce della stessa medaglia: da una nasce l'altra e l'una contiene già di per sé l'altra, proprio come il bianco e il nero nel simbolo dello Yin e dello Yang. Pertanto, se la guerra è inevitabile ed è inscindibile dalla natura umana, allora tutti gli sforzi fatti dal Giappone per proteggere una pace fittizia imposta dagli invasori occidentali dopo la perdita della WWII sono stati inutili: nei fatti, da una “grande guerra” era nata una “pace” che si era autoalimentata grazie alla deterrenza nucleare della Guerra Fredda; e con ciò, gli ideali di “fratellanza universale” e di “comprensione tra popoli” tanto millantati dagli «ipocriti che hanno fatto della pace una giusta causa», alla luce del reale, si erano rivelati soltanto delle chimere figlie dell'apatia, delle illusioni che nel monologo vengono criticate da un Arakawa che si fa profeta di una punizione “divina” a danno della sua stessa nazione. D'altro canto, Tsuge gli domanda chi sarà l'artefice di tale castigo: «a chi spetterà punirci? A Dio?». Ma nella postmodernità l'unico Dio rimasto è la tecnologia, e i punti di riferimento fissi sono venuti meno, lasciando spazio alla confusione - sostanzialmente, a parer mio “Patlabor 2” si tratta di un film incentrato proprio su questa impossibilità di definire il “giusto” dal “sbagliato”, siccome i parametri per definirli sono stati soppiantati da dei “non-parametri” grigi, tetri e anonimi, allo stesso modo delle decadenti e impersonali costruzioni inquadrate da Oshii durante la scena del monologo. 


«Questa città è troppo piccola per ospitare una vera guerra.»
«La guerra è sempre un'esperienza surreale.
Non c'è mai stata una guerra che non fosse surreale.» [Shigeki Arakawa risponde a Kiichi Gotou]

«Tsuge è l'altro sé di Mamoru Oshii. I pensieri e le opinioni politiche di Tsuge, sempre se ce ne siano, sono tutte mie.» [Mamoru Oshii]

Il passo del Vangelo – assai ricorrente nel film – da me riportato nell'incipit dello scritto, oltre a riassumere – come dicevo - in modo totalizzante la trama dell'opera, nella scena finale viene recitato da Shinobu al cospetto del suo ex fidanzato ormai divenuto un criminale da arrestare (nel contesto narrativo del film, la citazione evangelica ha la funzione di attivare il programma in codice utilizzato da Tsuge per controllare gli aerei da lui rilasciati su Tokyo). Mediante questa criptica password, Tsuge fa sue le parole del messia per esprimere il suo messaggio politico inerente la coesione interna del Giappone: proprio come Gesù Cristo, che con le sue parole criticava la collaborazione dei farisei con i romani, Tsuge esprime la sua contrarietà alla cooperazione delle forze di autodifesa giapponesi con l'esercito statunitense. Il suo ideale di un Giappone più forte, attivo e indipendente, allo stesso modo degli insegnamenti del Cristo, nel momento in cui viene messo in atto induce un immediato caos sociale, sovvertendo lo status quo politico del paese. Non è pertanto errato asserire che lo Tsuge/Oshii del film, con la sua “guerra simulacro”, si prenda la sua personale rivincita sull'ordine gerarchico imposto dall'occupazione americana; infatti, nei suoi trascorsi giovanili, Oshii era impegnato a distribuire volantini e ad affiggere poster di propaganda contro il Nuovo Trattato di Cooperazione e Sicurezza tra Giappone e USA, che permetteva agli americani di sfruttare la posizione geografica dell'arcipelago per attaccare il Vietnam e la Corea (la costruzione degli avamposti militari statunitensi sulla costa giapponese all'epoca aveva indotto un forte malcontento nei giovani nipponici). Se in “The Red Spectacles” Oshii rappresentava in modo goliardico e surreale la sua esperienza pre-1964 (anno di ammissione del Giappone nella Comunità Internazionale), in “Patlabor 2” mette in scena la situazione politica schizofrenica del suo paese in seguito alla cooperazione tra l'ONU e le JDSF decisa dal governo giapponese nel 1992 al fine di appoggiare le “missioni di pace” in Cambogia e Mozambico dei suoi “alleati” (Mamoru Oshii e Kazunori Ito si erano fermamente opposti all'invio delle JDSF in Cambogia, tenendo ben presente i loro ricordi indiretti della WWII). Inoltre, è bene sottolineare che le JSDF, seppur “castrate” dall'articolo nove della costituzione, col crescere dell'economia nipponica e l'intensificazione del clima di piombo della Guerra Fredda, si erano trasformate in una forza militare notevole, in grado di competere con gli eserciti regolari delle altre potenze mondiali. Alla luce di ciò, con la dissoluzione dell'Unione Sovietica (1991) e la conseguente fine della Cold War, era esploso un dibattito politico sulla situazione militare del Giappone nel mondo, ovviamente sedato da politici i quali, molto ambiguamente, etichettavano le guerre come “missioni di pace” - pratica tutt'ora molto in voga nel nostro pianeta: nella postmodernità, le “grandi guerre” lasciano spazio a innumerevoli, orwelliane “piccole guerre”, la cui percezione e natura viene distorta e resa «surreale» dai mezzi di comunicazione di massa. Chiusa questa breve parentesi, proprio per criticare i suddetti politici e le loro asserzioni, con una certa ironia, i dirigibili utilizzati da Tsuge per tenere sotto scacco la città sono marcati dalla frase «Ultima Ratio», che rimanda a «Ultima Ratio Regum», ovvero «la forza è l'ultima ragione dei Re», frase che il Re Luigi XIV fece incidere sui suoi cannoni per ovvi motivi – «la forza, nei regnanti, supplisce gli argomenti.»


«In “Patlabor 2” ho voluto descrivere la Guerra Fredda per il Giappone. Era una guerra, ma una guerra silenziosa. Quando la Guerra Fredda esisteva tra USA e URSS, la “posizione” del Giappone era di non essere direttamente coinvolto. Nonostante il Giappone fosse coinvolto, ha continuato ad insistere per cinquant'anni che non lo era. Ho voluto descrivere questa pace fasulla.» [Mamoru Oshii]

«Se la gente fosse veramente in grado di comprendere questi pericoli [si riferisce ai messaggi d'allerta presenti in “Patlabor 2” inerenti l'alienazione dello stile di vita postmoderno nel contesto del Giappone postbellico], io non avrei motivo di girare i miei film.» [Mamoru Oshii]

Nelle tesissime scene in cui si svolge l'attacco delle JSDF a danno di Tokyo – reso a dir poco plumbeo dal brano “Wyvern” di Kenji Kawai e dall'asettico realismo con cui si muovono i mezzi militari -, la popolazione resta inerte, passiva, e molti non comprendono minimamente cosa stia accadendo. L'alienazione dei giapponesi postmoderni, rinchiusi nelle loro monolitiche torri di vetro con i loro giocattoli, si dimostra del tutto incompatibile con una minaccia proveniente dal rimosso collettivo della nazione – oltre a rimandare direttamente all'occupazione americana post WWII, la scena nella quale s'intravede passare un carro armato in fondo ad un vicolo della città cita espressamente “Il Silenzio” di Bergman (1963), un film che guardacaso rimanda all'incubo della Guerra Fredda, alla psicosi collettiva e all'onnipresente “silenzio di Dio” -; e siccome la rimozione genera nevrosi, “Patlabor 2”, allo stesso modo del cult “Akira” di Katsuhiro Otomo, fa suonare i suoi campanelli dall'allarme nel contesto di un clima frammentario e violento, in cui lo spettro del terrore interno al Giappone diventerà reale con l'armamento dell'Aum Shinrikyo e il terribile attentato terroristico alla metropolitana di Tokyo del '95 (tant'è che quando questa cosa venne fatta notare direttamente a Oshii, egli rispose di essere rimasto sollevato del fatto che il suo film fosse uscito prima dell'attentato).


«Vista da qui, la città sembra quasi un miraggio, non pensi?»
«Anche se si tratta di un'illusione, ci sono persone che la accettano come realtà e ci vivono.
O anche queste persone per te sono delle illusioni?»
«Tre anni fa, sono tornato in questa città e ho vissuto nella sua illusione.
Ho cercato di far sì che la gente la vedesse per ciò che è realmente.
Ma alla fine, nessuno ha compreso la verità prima che risonasse il primo sparo.
Alcuni non la comprendono ancora adesso...»
«Sono qui, di fronte a te, e non sono un'illusione.» [Dialogo tra Yukihito Tsuge e Shinobu Nagumo]

A queste parole, che in modo perfettamente coerente con le molteplici stratificazioni del film invocano un'esperienza diretta del reale che ormai pare perduta, segue un ambiguo messaggio di Tsuge – e quindi di Oshii – di “fiducia” nel futuro. Non per nulla nel film il governo giapponese viene tacitamente accusato d'inettitudine; per salvare il loro paese, infatti, Gotou e Shinobu disobbediscono al consiglio degli anziani, indossando simbolicamente le vesti dei shinjinrui, quei “nuovi tipi di persone” le quali – almeno in teoria – avrebbero dovuto rendere il Giappone un paese migliore, evitando di ripetere gli stessi errori della vecchia, corrotta generazione di burocrati, che era giunta a patti con gli americani indebolendo l'identità nazionale del loro paese (anche questa osservazione è coerente con l'impegno politico giovanile di Oshii) . Da un punto di vista meno pragmatico, invece, nonostante i suoi numerosi moniti, “Patlabor 2” sembra proporre una fusione consapevole e non passiva con una postmodernità irreversibile e ormai impossibile da sconfiggere - essendo Oshii un postmoderno anzitempo, la cui esperienza pre-Olimpiadi '64 era stata comunque breve e indiretta per ovvi motivi anagrafici, in tutta la sua opera la sua posizione su questo argomento rimane tuttavia sempre molto ambigua. 

 
Inutile, del tutto inutile, sprecare ulteriori elogi per un comparto tecnico di prim'ordine, che ancora oggi si rivela inattaccabile sotto tutti gli aspetti, dalle animazioni sino alla splendida colonna sonora firmata da Kenji Kawai, che si fonde alla perfezione con lo stoicismo visuale e concettuale di Oshii. La cosa che invece mi preme encomiare chiudendo lo scritto è la scena finale del film, quella col solenne volo di uccelli che coadiuva un amore che finisce tra fragili carezze, sguardi malinconici e il volto sconsolato di un Gotou il quale, osservando Shinobu e Tsuge dal finestrino di un elicottero, capisce che lui non sarà mai quello che per Shinobu è stato Tsuge. Questa è una delle poche volte in cui Oshii rappresenta l'amore tra uomo e donna, e lo fa a suo modo, relegandolo nel passato dei suoi personaggi, un'oasi felice di serenità la quale, ormai assoggettata all'impermanenza delle cose e alle costrizioni esterne, svanisce nel grigiore e nella tristezza, disperdendosi nel blu infinito al di sopra di ogni cosa, accompagnata dalla fuggevole brezza che sorregge le ali dei gabbiani, che volano ignorando la linea sottile che separa il vero dall'illusione, la tirannia dello spazio e del tempo, le torri di vetro della città della solitudine. 


Bibliografia

Brian Ruh, “Stray Dog of Anime: The Films of Mamoru Oshii”, pag 110-116

Trish Ledoux, “Anime Interviews: The First Five Years of Animerica, Anime & Manga Monthly (1992-97)”, pag 136-139

http://www.beyondhollywood.com/patlabor-the-movie-2-1993-movie-review/

http://www.depauw.edu/sfs/backissues/80/fish80art.htm
















4 commenti:

  1. Ottima recensione, studiata ed articolata a dovere ma la parte più interessante sono i riferimenti al vangelo. Ah, in effetti la citazione a Il silenzio di Bergman ci sta tutta, anche per i temi.
    Poi per me è altrettanto chiaro il riferimento al Dr. Stranamore quando il dirigibile ha un finto gas, la paura della bomba si avverte più che mai in quella scena e ti chiedi se ci sia effettivamente qualcosa nell'altro dirigibile.

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    1. Grazie mille per i complimenti! Lo studio dei riferimenti al vangelo e l'osservazione sul film di Bergman sono farina del mio sacco, in quanto le fonti da cui ho attinto si concentrano prevalentemente sull'aspetto storico-politico del film.

      La citazione al Dr. Stranamore non l'avevo colta, grazie per la precisazione. :)

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  2. Lo sai che gli shinjinrui sono i newtype?

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    1. Ciao Garion! Grazie per il commento.

      Sì, lo so. Penso che la generazione di Oshii (ovvero quelli nati negli anni '50, pertanto nell'immediato dopoguerra) sia stata la prima ondata di "newtype", seguita a ruota dalla generazione di Anno e dei fondatori dell'Aum, che aveva vissuto l'expo di Osaka nell'infanzia.

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