Titolo originale: Jigoku Shoujo
Regia: Takahiro Omori
Soggetto: Hiroshi Watanabe
Sceneggiatura: Kenichi Kanemaki
Character Design: Mariko Oka
Musiche: Yasuharu Takanashi, Hiromi Mizutani
Studio: Deen
Formato: serie televisiva di 26 episodi
Anni di trasmissione: 2005-2006
Soggetto: Hiroshi Watanabe
Sceneggiatura: Kenichi Kanemaki
Character Design: Mariko Oka
Musiche: Yasuharu Takanashi, Hiromi Mizutani
Studio: Deen
Formato: serie televisiva di 26 episodi
Anni di trasmissione: 2005-2006
«In questa pazzia, incertezza,
riusciremo a lasciare il ricordo delle nostre
emozioni?
In questa pazzia, mi hai dato la vita,
come possiamo proteggere le nostre emozioni?
In questa pazzia, incertezza,
come possiamo proteggere noi stessi?»
Il filone della Nuova
Animazione Seriale (1995-2006) ha prodotto innumerevoli anime
sobri, adulti, intellettuali e dai significati profondi, nei quali
venivano messe a nudo l'incertezza, la pazzia e la
confusione caratteristiche del periodo in cui opere come “serial experiments lain” e “Paranoia Agent” vedevano luce. I valori
tradizionali sui quali si fondava il Giappone in seguito alla crisi
economica novantina erano venuti meno, e l'intera nazione era
disorientata, nonché succube del vuoto interiore postmoderno, altro
fattore che ne lacerava – e ne lacera tuttora – l'identità
nazionale e culturale, nonché quella coesione sociale estrema e
quanto mai emozionale – di difficile comprensione per un
occidentale - sulla quale si basano i ferrei valori gerarchici insiti
nello spirito giapponese.
«Questo mondo è governato dal destino.
Un filo che si avvolge intorno ad un fragile e
inutile pregiudizio.
Rabbia, odio, rancore, dolore e sofferenza.
A mezzanotte
ascolteremo la tua vendetta.»
In un turbinio di
cattiveria, incomprensione ed egotismo – e pertanto odio, dacché
non si può odiare senza identificarsi col proprio ego/soggetto -, in
una società che sta perdendo di vista la sua ragion d'essere, alcune
persone, giunta la mezzanotte, si collegano a internet al fine di
contattare la Jigoku Tsūshin, ovvero la Corrispondenza per
L'inferno. Di sovente in preda ad un miscuglio di ansia e
terrore, in soggezione o in lacrime, i suddetti malcapitati, una
volta inoltrata la richiesta, vedono apparire Enma Ai, una ragazzina
dallo sguardo fisso e dai capelli lunghi e neri, che consegna loro
una bambola di paglia attorno alla cui testa è legato un filo rosso
come il sangue.
«Io sono Enma Ai.
Mi hai evocata.
Se desideri vendicarti, devi tirare il filo rosso.
Facendolo, stringerai un patto con me.
La persona che odi verrà subito bandita
all'inferno.
Tuttavia... a vendetta compiuta dovrai pagare una
compensazione.
Ogni maledizione richiede un sacrificio.
Quando morirai, anche tu finirai all'inferno.
Non potrai più accedere al Paradiso.
La tua anima soffrirà per l'eternità.»
“Jigoku Shoujo”,
allo stesso modo del “Paranoia Agent” di Satoshi Kon, è
prevalentemente costituito da episodi autoconclusivi, incentrati di
volta in volta su un diverso utente della Jigoku Tsūshin.
Il primo episodio della serie, a scanso di equivoci, immerge
immediatamente lo spettatore in quel cupo mood tipico
di tutte le vicende che vedono direttamente coinvolta la “ragazza
dell'inferno”, mettendo in scena la raccapricciante situazione di
una tredicenne che subisce atti di bullismo da parte delle sue
compagne di classe, in un crescendo di violenza psicologica
che culmina con le suddette che tentano di obbligare la malcapitata a
prostituirsi, ovvero a praticare, proprio come loro, l'enjo kousai
– squallido fenomeno tipico
del Giappone postmoderno (e non solo) secondo il quale delle
ragazzine benestanti vendono il loro corpo a degli uomini adulti in
cambio di soldi o regali.
Nell'opera pertanto
appare fin da subito una gioventù completamente animalizzata e priva
di valori, che sfoga la sua frustrazione e invidia sull'elemento
“diverso” del gruppo; Mayumi Hashimoto, la protagonista
dell'episodio, troppo debole e gentile per reagire, dopo aver
contattato la Jigoku Tsūshin tenta
il suicidio, venendo tuttavia fermata da Enma Ai, che la trasporta in
una dimensione spirituale in cui il tempo è congelato e il sole è
perennemente collocato nella fase del tramonto – simbolismo che si
impone come una sorta di perenne “capolinea” della vita.
Ora Mayumi è dotata del
potere assoluto: può mandare all'inferno le sue aguzzine venendo
tuttavia marchiata indelebilmente – anche lei, una volta conclusasi
la sua vita, finirà tra le fiamme primigenie, a bruciare per
l'eternità. Come accade per tutti i personaggi della serie che
tirano il filo rosso, non vi è alcun pentimento nell'atto compiuto:
alcuni addirittura asseriscono che siccome la loro vita
è già di per sé un inferno, la compensazione da pagare ad Enma Ai
non è poi così gravosa. D'altro canto, neanche chi finisce
all'inferno si redime, e quando viene traghettato lungo il fiume
della morte dalla protagonista, non manca di tediarla con le proprie
psicotiche asserzioni, che provengono direttamente dal vuoto
dell'animo. Perché se non c'è spirito, non ci può essere
redenzione, e tutto diventa un freddo labirinto allegorico nel quale
morte e annullamento diventano le uniche vie di “salvezza” da
percorrere.
«Odiare o essere odiati, e qualcuno odierà
ancora. Mandare o essere mandati all'inferno, e qualcuno vi sarà
nuovamente mandato. Ho assistito a questo ciclo ripetutamente.
Nessuno può fermarlo.»
[Enma Ai]
Tra stalker di
mezz'età che perseguitano tredicenni indefese, arrampicatrici
sociali che arrivano ad uccidere i loro rivali e a sfruttare giovani hacker per
arricchirsi, bambine che vengono ricattate da violente matrone dalle
pulsioni omicide, mogli infedeli che si danno all'edonismo incuranti
dei sentimenti dei mariti et similia,
Enma Ai compie imperturbabile il suo dovere, rigida e spietata come
quella tradizione che incarna nella sua arcaicità. La porta
dell'inferno è costituita dall'arco di un tempio shinto,
e nella dimora della suddetta è presente una nonna-ombra che tesse
perennemente la sua tela, in contrasto con l'immobilità assoluta del
non-luogo ancestrale in cui risiede. Il rapporto tra Enma Ai e i suoi
tre servi è solido e immediato, nonché privo dei difetti di
comunicazione tipici degli individui postmoderni. Gli occhi rossi
della ragazzina rimandano al fuoco, l'elemento più temuto dai
giapponesi, mentre i suoi capelli neri e sciolti, congiuntamente al
velo bianco che indossa mentre fa il bagno alle terme, secondo il
folklore del paese del Sol Levante sono dei potenti simboli dalla
valenza mortifera. Eppure, allo stesso modo dei tragici greci, anche
Enma Ai è costretta all'interno di un meccanismo più grande di lei,
che la scuote nel profondo del suo animo ferito e malinconico. In una
scena dell'anime, mentre sta seduta sulla veranda della sua
abitazione con lo sguardo perso nel vuoto, ella schiaccia una
coccinella che le stava percorrendo la gamba destra, e la colloca
nella tela del ragno senza esprimere le sue emozioni, avvolta da un
plumbeo silenzio. La “ragazza dell'inferno” non può fare
giustizia, ma soltanto vendicare; partecipa alla sofferenza altrui
senza intervenire e senza giudicare, lasciando che le cose compiano
il loro naturale corso. La sua voce è candida e pacata, ma allo
stesso tempo cupa e di ghiaccio. Le parole che ne escono sono
taglienti come stilettate di rasoio, e si susseguono l'un l'altra
attraverso incolmabili silenzi, che trasmettono ai più sensibili
l'estrema solitudine che affligge l'animo della protagonista, il cui
tormentoso passato viene rivelato negli ultimi tre episodi della
serie – soltanto in questa occasione Enma Ai perderà la sua
imparzialità e si accanirà contro un determinato personaggio,
cercando di condurlo alla follia per poter vendicarsi, fatto che la
metterà allo stesso livello dei malcapitati che in precedenza
traghettava all'inferno.
Dall'ottavo episodio in
poi, a fare da contraltare al carisma maledetto della suddetta
piccola tenebrosa, compare un giornalista di nome Hajime Shibata, che
incomincia ad indagare sulla Jigoku Tsūshin grazie alle
visioni della figlioletta Tsugumi; questo piccolo nucleo familiare
appare molte volte nel corso della serie, sino alle rivelazioni del
finale, che spostano il rapporto dei due con Enma Ai su una
dimensione karmico/atavica dall'aria di vetro. Hajime, dal canto suo,
nonostante le apparenze, si rivela un personaggio molto complesso e
realistico, nonché pieno di contraddizioni: il suo biasimo per
l'operato della Jigoku Tsūshin supera una dura prova nel
momento in cui egli si ritrova nel bel mezzo di un'amara vendetta inerente una situazione molto simile al suo passato, nel
quale i semi del dolore derivanti dal tradimento erano germogliati in
cuor suo allo stesso modo della persona intenzionata a tirare il filo
rosso lì, nel presente, da lui vista con lo sguardo distorto da una
superiorità morale fittizia ed incerta. D'altro canto, Tsugumi,
nonostante la sua giovanissima età, dimostra una grande maturità e si
prende cura del padre, disapprovando tuttavia le sue idee
sull'attività di Enma Ai, che reputa moralmente accettabile – «e
se fossi io a venire uccisa? Tu cosa faresti, papà? Non mi
vendicheresti?»
Molti episodi
dell'opera, nonostante il poco tempo a disposizione degli
sceneggiatori per caratterizzare i personaggi e sviluppare le
vicende, si rivelano dei piccoli capolavori dalla grande empatia. Si
pensi al dodicesimo episodio, “Cocci Rovesciati”, nel quale si
assiste ad un doppio suicidio rituale (shinjuu)
tipico di molta letteratura giapponese del passato, in particolare
delle opere teatrali di Chikumasu Monzaemon – aggiornato secondo i
dettami del nostro tempo. E' la storia malinconica e sofferta di una
ragazzina hikikomori, che ha deciso di alzare le barricate intorno
al suo essere, rinunciando al contatto diretto con il prossimo che le
crea disagio, e del suo professore, che ha perso la voglia di vivere.
L'unico modo di comunicare dei due è internet, che d'altronde è
altresì il non-luogo in cui è possibile invocare la Jigoku
Tsūshin - “serial experiments lain” insegna: paradossalmente, la realtà virtuale diventa più
reale della realtà stessa, sopratutto dal punto di vista
comunicativo.
Il lato negativo –
sempre se in un contesto privo di finalismo sia lecito parlare di
“bene” e “male” - dell'operato di Enma Ai viene rappresentato
nel ventitreesimo episodio, “La Luce dell'Ospedale”, nel quale a
finire all'inferno non è un individuo dal «karma peccaminoso»,
ma una donna innocente e gentile, una semplice infermiera amata e
apprezzata da tutti. A tirare il filo rosso questa volta è stato un
uomo sconosciuto, un disadattato dal ghigno malefico che non esita a
togliersi la vita una volta compiuto il suo insensato gesto estremo.
Insensatezza ribadita dalla scelta degli autori di non rivelare le
ragioni di una tale, inutile tragedia, che rimane impressa nella
memoria come un breve corollario dell'umana follia.
Splendido, veramente
splendido, il tredicesimo episodio, “La Vergine del Purgatorio”,
nel quale Hajime s'imbatte in un antico libro illustrato che pare
essere correlato alla Jigoku Tsūshin; grazie ad un incontro
col capo editore del tomo, il giornalista risale a Fukumoto, un
vecchio illustratore ossessionato da Enma Ai che da moltissimi anni
ha detto di no alla vita, chiudendosi nel suo dolore a ritrarre sulle
mura del suo appartamento il triste e delicato volto della ragazzina
con la quale aveva stipulato un patto infernale nell'immediato
dopoguerra. La scena che conclude l'episodio è pregna di un marcato
lirismo poetico quanto mai giapponese nella sostanza: l'uggia
derivante dai traumi passati, l'assenza di futuro e speranza –
quando l'ultimo respiro verrà esalato, ci sarà l'inferno -, Enma Ai
che si fa carico di morte e rinascita, come l'eterno femminino, che
tuttavia scompare nell'ignoto, negli abissi della memoria. Il rifugio
nell'arte.
E poi c'è la “Sposa
Bambola” tenuta perennemente sotto scacco della suocera, famosa e
ricca artigiana ossessionata dai feticci, dagli oggetti, dalla loro
bellezza immune al mutamento. Nel diciannovesimo episodio di “Jigoku
Shoujo”, filosofia e critica al sistema familiare giapponese si
fondono: se da un lato la moglie-oggetto è costretta dal nucleo
familiare di cui è l'ultima arrivata a rinunciare alla sua
individualità, dall'altro, invece, viene ripercorso il dramma umano
della fuga dall'impermanenza delle cose – anche alle soglie degli
inferi, la vecchia padrona di famiglia rimane in preda della sua
ossessione per la bellezza immobile, proiettandola sul candido e
severo volto di quella mortifera bambola-novella Caronte che ormai,
impassibile, la sta traghettando all'inferno.
«Il vero inferno è dentro le persone.» [Enma
Ai]
Parole che suonerebbero bene in bocca ad un Sartre,
quelle della “ragazza dell'inferno”, nella loro franchezza,
mettono in luce il ricorrente dilemma dell'identità tanto
caro alla Nuova Animazione Seriale e
al nichilismo postmoderno tipico di alcuni dei suoi rappresentanti.
Le Malebolge dell'animo, ben lungi dall'essere collocate all'esterno
dell'Io, fanno sì che il principale nemico dell'uomo sia l'uomo
stesso, confuso e molestato dalle sue stesse irrazionali pulsioni,
che vengono coadiuvate da mire egotistiche illusorie e meccaniche le
quali, nella loro capziosa danza – non sempre conscia - si
scombinano e ricombinano in molteplici maschere in contraddizione tra
loro stesse, che delimitano l'essenza di un'identità che si crede
congiunta quando invero non lo è, succube com'è di quell'infernale
entropia interiore che brucia tutto ciò che trova lungo il suo
cammino, culminando nella totale assenza di idealismi, coesione
sociale e virtù – tre cose molto care alla cultura giapponese.
Si pensi a “La Maschera in Frantumi”, il settimo episodio della
serie, nel quale Ayaka, piccola aspirante attrice assetata di
successo, compie ogni sorta di nefandezza e doppiogiochismo al fine
di ottenere la parte di protagonista in uno spettacolo per il quale
non ha alcun talento – lo spettacolo della vita, cogliendo
l'allegoria insita nella vicenda. Il titolo della puntata è
esemplare, un gravoso monito che trova compimento nel finale in cui,
al cospetto di Enma Ai, la maschera da brava figlioletta non può più
esistere, e ciò che rimane è soltanto il nulla.
Stilisticamente parlando, l'opera non si fa carico di grandi pretese dal punto di vista dell'horror stricto sensu, e preferisce assumere i connotati di quelle allegorie psicologiche e filosofiche tipiche del suo tempo. Ciò premesso, il grosso dell'azione “horrorifica” di “Jigoku Shoujo” avviene durante la vendetta dei vari personaggi, in cui i lacché di Enma Ai, assumendo varie, raccapriccianti forme grazie alla loro natura spiritica, tormentano i malcapitati di turno destinati all'inferno, facendo leva sulle loro nevrosi e complessi psicologici. I punti deboli di questa bellissima serie riguardano prevalentemente gli aspetti tecnici, penalizzati da animazioni low budget (molto probabilmente subappaltate presso qualche studio coreano o filippino), da alcuni cali qualitativi nel disegno e da una palette cromatica non sempre soddisfacente. La regia raggiunge molteplici picchi memorabili (la scena del dipinto che piange nel tredicesimo episodio è una delle più belle che abbia mai visto in un anime), ma fallisce nel preservare gli stessi standard di merito degli episodi meglio riusciti per tutta la durata della serie. L'unica puntata di “Jigoku Shoujo” che personalmente reputo debole e fuori luogo è la ventesima, “Jigoku Shoujo vs Jigoku Shounen”, una sorta di autoparodia pseudo-shounen da combattimento che non c'entra nulla, ma proprio nulla con l'atmosfera dell'opera, un piccolo gioiello dimenticato coadiuvato da una splendida colonna sonora dall'elevato impatto emozionale, che ne compensa i numerosi decifit visivi attraverso un'opportuna commistione di tristezza e inquietudine. Basta soltanto pensare alla bellissima sigla di chiusura, che con sua delicata eleganza - macchiata da un certo intento allegorico -, s'inserisce indelebilmente durante l'epilogo di ognuna delle vicende trattate, sottolineando lo stato d'animo di Enma Ai, che tra i fiori immobili, con i capelli al vento e lo sguardo fisso, sembra quasi che osservi il nostro mondo, un mondo ormai sprofondato nel baratro della malinconia.
«Tutto porta ad un punto morto, non c'è modo di
sfuggirvi.
La mia tristezza vola come gli uccelli in cielo.
Questo mondo è effimero.
Sono obbligata a questa eterna sofferenza.
Volente o nolente.
E tutto ciò che resta, sono soltanto i sogni.»
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