Titolo originale: Kido Keisatsu Patlabor 2 - The Movie
Regia: Mamoru Oshii
Soggetto: Kazunori Ito, Mamoru Oshii
Soggetto: Kazunori Ito, Mamoru Oshii
Sceneggiatura: Kazunori Ito
Character Design: Akemi Takada, Masami Yuki
Mechanical Design: Yutaka Izubuchi, Shoji Kawamori, Hajime Katoki
Musiche: Kenji Kawai
Studio: Production I.G
Formato: film cinematografico
Anno di uscita: 1993
Character Design: Akemi Takada, Masami Yuki
Mechanical Design: Yutaka Izubuchi, Shoji Kawamori, Hajime Katoki
Musiche: Kenji Kawai
Studio: Production I.G
Formato: film cinematografico
Anno di uscita: 1993
«Non pensate che io
sia venuto a mettere pace sulla terra; non sono venuto a metter pace,
ma spada. Perché sono venuto a dividere il figlio da suo padre, la
figlia da sua madre, la nuora dalla suocera; e i nemici dell'uomo
saranno quelli stessi di casa sua.» [Dal Vangelo secondo Matteo,
10,32-11,5]
Il secondo film del
celebre franchise di “Patlabor”, ideato e sviluppato dal gruppo
HEADGEAR (composto da Mamoru Oshii, Kazunori Ito, Akemi
Takeda, Yutaka Izubuchi e Masami Yuki), a scanso di equivoci, si
tratta di uno dei più grandi capolavori del cinema di animazione di
tutti i tempi. Il lungometraggio - un thriller politico intellettuale
e filosofico dai molteplici livelli di lettura -, si trova
completamente agli antipodi rispetto al mood leggero e
scanzonato tipico dell'usuale universo animato di “Patlabor”. Con esso, oltre a nascere quella storica collaborazione tra Mamoru
Oshii e Production I.G. che nel 1995 porterà all'epocale
“Ghost in the Shell”, si conclude il sodalizio tra i cinque
artisti dell'HEADGEAR, i quali, una volta lasciata carta
bianca al loro talentuoso regista, donano alla storia un film
splendido, inarrivabile, lento, complesso – a detta del critico
cinematografico Tony Rains, “Patlabor 2” è il «primo,
inequivocabile grande film» di
Oshii -, elegante, sontuoso ed estremamente autorale.
Fatta questa doverosa
premessa pregna di aggettivi altisonanti, prima di addentrarmi nella
– difficoltosa – analisi dell'opera, ne riporto una breve
considerazione sulla trama. Nonostante l'aspetto narrativo di
“Patlabor 2” sia caratterizzato da molteplici “trappole” e
“false piste” - caratteristica che lo rende abbastanza difficile
da seguire -, esso si può completamente riassumere nel passo
evangelico che con ovvi intenti allegorici Oshii inserisce in alcune
scene chiave. Infatti, le vicende ruotano attorno al novello “messia”
Yukihito Tsuge, ex colonnello delle forze di autodifesa giapponesi
(JSDF) il quale, dopo aver partecipato ad una “missione di pace”
nel sud-est asiatico per conto delle Nazioni Unite, ne rimane
traumatizzato (tutto ciò avviene nell'incipit dell'opera). In
seguito all'evento, egli sparisce nel nulla, e, agendo nell'ombra,
organizza un colpo di stato militare ai danni del Giappone, facendo
scontrare tra loro le JSDF e la polizia - «e i nemici dell'uomo
saranno quelli stessi di casa sua.»
E'
fondamentale notare che Tsuge non complotta animato da un cieco
desiderio di potere: le sue azioni sono indotte da molteplici motivi
per nulla banali, che discuterò nei dettagli nel corso di questa
dissertazione. In “Patlabor 2” pertanto non vi è alcun vero
“antagonista” - si potrebbe dire, tenendo sempre a mente il
Vangelo, che tutta la faccenda avvenga a livello “familiare”, in
quanto lo stesso Tsuge, ad esempio, si tratta di una vecchia fiamma
della protagonista Shinobu Nagumo, capitano della Prima
Sezione Veicoli Speciali delle
forze di polizia. Ciò premesso, in “Patlabor 2” i personaggi
vengono messi in secondo piano e completamente subordinati alle
imposizioni della regia, che domina incontrastata su ogni aspetto del
film mettendo in scena un crescendo tesissimo di immagini asettiche,
inquadrature che provengono direttamente dal cinema dell'europa
dell'est e dialoghi molto più affini alle speculazioni contenute nei
tomi di filosofia politica che al mero intrattenimento
fantascientifico fine a sé stesso. Il regista, in modo conforme allo
stile della “fase adulta” della sua poetica, fa recitare ai suoi
“attori” pochi - ma impegnativi - monologhi, attraverso i quali
espone il suo pensiero in modo diretto, in modo tale da equilibrare
con solide chiavi di volta concettuali
l'evanescenza della sua tendenza
al simbolismo, all'astrazione e alla dialettica sogno/realtà. Non
per nulla una delle scene chiave del film è il lunghissimo monologo
di Gotou (capitano della Seconda Sezione Veicoli Speciali
delle forze di polizia), nel quale Oshii accantona l'usuale
caratterizzazione del suo personaggio e lo fa circondare da
un'elegante atmosfera eterea del tutto aliena al solito “Patlabor”,
al fine di comunicare direttamente con lo spettatore – o forse,
molto più probabilmente, con sé stesso.
«Mr. Gotoh.
Come ufficiali di
polizia...
Come ufficiali delle
forze di autodifesa...
Cosa stiamo
esattamente cercando di proteggere?
Sono passati
cinquant'anni dall'ultima guerra.
Io e lei abbiamo
vissuto le nostre vite senza essere toccati dalla guerra.
Pace...
Questa pace che stiamo
supponendo di difendere.
Ma che cosa
costituisce attualmente la pace di cui questo paese, questa città,
sta godendo?
La guerra totale che
abbiamo combattuto, e la sconfitta che abbiamo sofferto.
La successiva
occupazione dell'esercito statunitense e le loro politiche...
E poi, fino a poco
tempo fa, c'era stata una guerra fredda protratta sulla deterrenza
nucleare, coadiuvata da tutte le sue guerre per delega sparse per il
globo.
E anche oggi, mezzo
mondo è chiuso in un cerchio... di guerre civili, scontri etnici e
conflitti armati.
La nostra prosperità
economica è basata sulla domanda creata da queste innumerevoli
guerre. Le sue mani sono ricoperte di sangue.
Questa è la cosa di
cui la nostra pace è fatta.
Un'imperturbabile
lussuria per la pace basata su un non mitigato terrore della guerra.
Una pace ingiusta in
cui distogliamo gli occhi dalle guerre estere, in cui altri pagano il
prezzo per essa.
Potrebbe essere una
pace che puzza di polvere da sparo, ma è pur sempre il nostro dovere
mantenerla.
Qualsiasi giorno,
sceglierei una pace ingiusta rispetto ad una guerra giusta.
Capisco perché odi
l'idea di una guerra giusta. Dopotutto, queste parole tendono ad
essere dette da personaggi senza scrupoli. Gli annali della storia
sono pieni di lunghi elenchi di persone che hanno approfittato di
esse causando sofferenza. Ma sono sicuro che anche tu sei a
conoscenza di questo fatto.
La linea che separa
una guerra giusta da una pace ingiusta non è molto chiara.
Anche se gli ipocriti
hanno fatto della pace una giusta causa, noi abbiamo perso la fede in
essa.
Proprio come le guerre
portano alla pace, la pace porta alla guerra.
Una vacua, vuota pace
che si definisce soltanto come una “non guerra” verrà
eventualmente rimpiazzata da un qualcosa che è uno stato di guerra
in tutto, tranne che nel nome.
Questo pensiero non ti
ha mai toccato?
Mentre raccogliamo ben
volentieri i benefici derivanti dalla guerra, ce ne distanziamo.
Abbiamo bandito la
guerra in un reame al di là dello schermo televisivo, dimenticandoci
che noi stessi siamo sulle retrovie della battaglia.
Il rimanere
contrariati da una frode come questa porterà sulle nostre teste una
grande punizione.
A chi spetterà
punirci? A Dio?
In questa città,
ognuno è come un dio.
Accedono ad altri
reami di esistenza senza muovere un dito...
Intuiscono realtà che
non hanno mai visto né toccato. […]» [Monologo
in cui Kiichi Gotou pensa ad un suo dialogo con Shigeki Arakawa]
Come
in parte si evince dal monologo testè riportato, in “Patlabor 2”
viene affrontata la tematica della mediazione della percezione
attraverso la tecnologia: il mondo postmoderno viene continuamente
filtrato – nonché frammentato e rielaborato – da telecamere,
televisioni e computer; in altre parole, mediante l'impiego dei mezzi
tecnologici di comunicazione di massa, viene costruito un mondo
illusorio in cui l'umanità perde coscienza dei fatti reali e delle
loro correlazioni causali. Nel processo narrativo inerente
l'esplosione del ponte, Oshii fornisce numerosi esempi di come i
media possano alterare la percezione della realtà – si pensi alla
scena in cui il caccia F16 responsabile dell'attentato viene
rappresentato unitariamente da molteplici schermi televisivi
difettosi, oppure agli asfissianti notiziari che si assumono l'onere
“non-narrativo” di riportare al pubblico le conseguenze – o
meglio, i frammenti disconnessi delle conseguenze –
dell'evento.
Volendo tralasciare per
un breve frangente il particolare al fine di tracciare un quadro
generale sulla poetica del regista, è bene osservare che “Patlabor”
parla della tecnologia esterna all'uomo, mentre “Ghost in the Shell” tratta la tecnologia all'interno del corpo e
“Avalon” la tecnologia all'interno della mente. A detta
stessa di Oshii, “Patlabor 2” è stato fondamentale nella
definizione della sua poetica: nonostante egli abbia molto apprezzato
il manga omonimo di Masamune Shirow, l'adattamento filmico di “Ghost in the Shell” era stato da lui concepito in modo tale da proseguire
quel discorso sul mutamento dell'umanità indotto dalla convivenza
con la tecnologia iniziato proprio con “Patlabor”. Alla luce di
ciò, si pensi all'attenzione e all'esuberanza di particolari con cui
vengono rappresentati i mezzi meccanici nel film, che nell'economia
delle immagini giocano un ruolo di primo piano, muovendosi minacciosi
tra iperrealismo e mistificazione, quasi come se possedessero dei
connotati “divini”.
Fatto salvo ciò di cui
sopra, ritornando ad analizzare il monologo di Gotou, in esso si
osserva la contrapposizione tra due tendenze ben differenti: il
capitano della polizia, pur essendo consapevole del fatto che la pace
imposta dagli americani sia fasulla, decide comunque di proteggerla,
giacché reputa migliore una “pace ingiusta” rispetto ad una
“guerra giusta” - e deve tacitamente adempiere, come ogni buon
giapponese, al giri, ovvero al senso del dovere, tappandosi il
naso di fronte alle enormi contraddizioni etiche e politiche in cui è
invischiato il suo paese. D'altro canto, Arakawa sposta la
discussione su un livello più “ontologico” e meno pratico di
quello di Gotou; per lui guerra e pace sono le due facce della stessa
medaglia: da una nasce l'altra e l'una contiene già di per sé
l'altra, proprio come il bianco e il nero nel simbolo dello Yin e
dello Yang. Pertanto, se la guerra è inevitabile ed è inscindibile
dalla natura umana, allora tutti gli sforzi fatti dal Giappone per
proteggere una pace fittizia imposta dagli invasori occidentali dopo
la perdita della WWII sono stati inutili: nei fatti, da una “grande
guerra” era nata una “pace” che si era autoalimentata grazie
alla deterrenza nucleare della Guerra Fredda; e con ciò, gli ideali
di “fratellanza universale” e di “comprensione tra popoli”
tanto millantati dagli «ipocriti che hanno fatto della pace una
giusta causa», alla luce del reale, si erano rivelati soltanto
delle chimere figlie dell'apatia, delle illusioni che nel monologo
vengono criticate da un Arakawa che si fa profeta di una punizione
“divina” a danno della sua stessa nazione. D'altro canto,
Tsuge gli domanda chi sarà l'artefice di tale castigo: «a chi
spetterà punirci? A Dio?». Ma nella postmodernità l'unico Dio
rimasto è la tecnologia, e i punti di riferimento fissi sono venuti
meno, lasciando spazio alla confusione - sostanzialmente, a parer mio
“Patlabor 2” si tratta di un film incentrato proprio su questa
impossibilità di definire il “giusto” dal “sbagliato”,
siccome i parametri per definirli sono stati soppiantati da dei
“non-parametri” grigi, tetri e anonimi, allo stesso modo delle
decadenti e impersonali costruzioni inquadrate da Oshii durante la
scena del monologo.
«Questa città è
troppo piccola per ospitare una vera guerra.»
«La guerra è sempre
un'esperienza surreale.
Non c'è mai stata una
guerra che non fosse surreale.» [Shigeki
Arakawa risponde a Kiichi Gotou]
«Tsuge è l'altro sé
di Mamoru Oshii. I pensieri e le opinioni politiche di Tsuge, sempre
se ce ne siano, sono tutte mie.» [Mamoru
Oshii]
Il passo del Vangelo –
assai ricorrente nel film – da me riportato nell'incipit dello
scritto, oltre a riassumere – come dicevo - in modo totalizzante la
trama dell'opera, nella scena finale viene recitato da Shinobu al
cospetto del suo ex fidanzato ormai divenuto un criminale da
arrestare (nel contesto narrativo del film, la citazione evangelica
ha la funzione di attivare il programma in codice utilizzato da Tsuge
per controllare gli aerei da lui rilasciati su Tokyo). Mediante
questa criptica password, Tsuge fa sue le parole del messia
per esprimere il suo messaggio politico inerente la coesione interna
del Giappone: proprio come Gesù Cristo, che con le sue parole
criticava la collaborazione dei farisei con i romani, Tsuge esprime
la sua contrarietà alla cooperazione delle forze di autodifesa
giapponesi con l'esercito statunitense. Il suo ideale di un Giappone
più forte, attivo e indipendente, allo stesso modo degli
insegnamenti del Cristo, nel momento in cui viene messo in atto
induce un immediato caos sociale, sovvertendo lo status
quo politico del paese. Non è pertanto errato asserire che lo
Tsuge/Oshii del film, con la sua “guerra simulacro”, si prenda la
sua personale rivincita sull'ordine gerarchico imposto
dall'occupazione americana; infatti, nei suoi trascorsi giovanili,
Oshii era impegnato a distribuire volantini e ad affiggere poster di
propaganda contro il Nuovo Trattato di Cooperazione e
Sicurezza tra Giappone e
USA, che permetteva agli americani di sfruttare la posizione geografica dell'arcipelago per
attaccare il Vietnam e la Corea (la costruzione degli avamposti militari statunitensi sulla costa giapponese all'epoca aveva indotto un forte malcontento nei giovani nipponici). Se in “The Red Spectacles” Oshii
rappresentava in modo goliardico e surreale la sua esperienza
pre-1964 (anno di ammissione del Giappone nella Comunità
Internazionale), in “Patlabor 2” mette in scena la
situazione politica schizofrenica del suo paese in
seguito alla cooperazione tra l'ONU e le JDSF decisa dal governo
giapponese nel 1992 al fine di appoggiare le “missioni di pace”
in Cambogia e Mozambico dei suoi “alleati” (Mamoru Oshii e
Kazunori Ito si erano fermamente opposti all'invio delle JDSF in
Cambogia, tenendo ben presente i loro ricordi indiretti della
WWII). Inoltre, è bene sottolineare che le JSDF, seppur “castrate”
dall'articolo nove della costituzione, col crescere dell'economia
nipponica e l'intensificazione del clima di piombo della Guerra
Fredda, si erano trasformate in una forza militare notevole, in grado
di competere con gli eserciti regolari delle altre potenze mondiali.
Alla luce di ciò, con la dissoluzione dell'Unione Sovietica (1991) e
la conseguente fine della Cold War, era esploso un dibattito
politico sulla situazione militare del Giappone nel mondo, ovviamente
sedato da politici i quali, molto ambiguamente, etichettavano le guerre
come “missioni di pace” - pratica tutt'ora molto in voga nel
nostro pianeta: nella postmodernità, le “grandi guerre” lasciano
spazio a innumerevoli, orwelliane “piccole guerre”, la cui
percezione e natura viene distorta e resa «surreale» dai
mezzi di comunicazione di massa. Chiusa questa breve parentesi,
proprio per criticare i suddetti politici e le loro asserzioni, con
una certa ironia, i dirigibili utilizzati da Tsuge per tenere sotto
scacco la città sono marcati dalla frase «Ultima Ratio»,
che rimanda a «Ultima Ratio Regum», ovvero «la forza è
l'ultima ragione dei Re», frase che il Re Luigi XIV fece
incidere sui suoi cannoni per ovvi motivi – «la forza, nei
regnanti, supplisce gli argomenti.»
«In “Patlabor 2”
ho voluto descrivere la Guerra Fredda per il Giappone. Era una
guerra, ma una guerra silenziosa. Quando la Guerra Fredda esisteva
tra USA e URSS, la “posizione” del Giappone era di non essere
direttamente coinvolto. Nonostante il Giappone fosse coinvolto, ha
continuato ad insistere per cinquant'anni che non lo era. Ho voluto
descrivere questa pace fasulla.» [Mamoru Oshii]
«Se la gente fosse
veramente in grado di comprendere questi pericoli [si
riferisce ai messaggi d'allerta presenti in “Patlabor 2” inerenti
l'alienazione dello stile di vita postmoderno nel contesto del
Giappone postbellico], io non avrei motivo di girare i miei
film.» [Mamoru Oshii]
Nelle tesissime scene in
cui si svolge l'attacco delle JSDF a danno di Tokyo – reso a dir
poco plumbeo dal brano “Wyvern” di Kenji Kawai e dall'asettico
realismo con cui si muovono i mezzi militari -, la popolazione resta
inerte, passiva, e molti non comprendono minimamente cosa stia
accadendo. L'alienazione dei giapponesi postmoderni, rinchiusi nelle
loro monolitiche torri di vetro con i loro giocattoli, si dimostra
del tutto incompatibile con una minaccia proveniente dal rimosso
collettivo della nazione – oltre a rimandare direttamente
all'occupazione americana post WWII, la scena nella quale s'intravede
passare un carro armato in fondo ad un vicolo della città cita
espressamente “Il Silenzio” di Bergman (1963), un film che
guardacaso rimanda all'incubo della Guerra Fredda, alla psicosi
collettiva e all'onnipresente “silenzio di Dio” -; e siccome la
rimozione genera nevrosi, “Patlabor 2”, allo stesso modo del cult
“Akira” di Katsuhiro Otomo, fa suonare i suoi campanelli
dall'allarme nel contesto di un clima frammentario e violento, in cui
lo spettro del terrore interno al Giappone diventerà reale
con l'armamento dell'Aum Shinrikyo e il terribile attentato
terroristico alla metropolitana di Tokyo del '95 (tant'è che quando
questa cosa venne fatta notare direttamente a Oshii, egli rispose di
essere rimasto sollevato del fatto che il suo film fosse uscito prima
dell'attentato).
«Vista da qui, la
città sembra quasi un miraggio, non pensi?»
«Anche se si tratta
di un'illusione, ci sono persone che la accettano come realtà e ci
vivono.
O anche queste persone
per te sono delle illusioni?»
«Tre anni fa, sono
tornato in questa città e ho vissuto nella sua illusione.
Ho cercato di far sì
che la gente la vedesse per ciò che è realmente.
Ma alla fine, nessuno
ha compreso la verità prima che risonasse il primo sparo.
Alcuni non la
comprendono ancora adesso...»
«Sono qui, di fronte
a te, e non sono un'illusione.» [Dialogo
tra Yukihito Tsuge e Shinobu Nagumo]
A
queste parole, che in modo perfettamente coerente con le molteplici
stratificazioni del film invocano un'esperienza diretta del reale
che ormai pare perduta, segue un ambiguo messaggio di Tsuge – e
quindi di Oshii – di “fiducia” nel futuro. Non per nulla nel
film il governo giapponese viene tacitamente accusato d'inettitudine;
per salvare il loro paese, infatti, Gotou e Shinobu disobbediscono
al consiglio degli anziani, indossando simbolicamente le vesti dei
shinjinrui, quei
“nuovi tipi di persone” le quali – almeno in teoria –
avrebbero dovuto rendere il Giappone un paese migliore, evitando di
ripetere gli stessi errori della vecchia, corrotta generazione di
burocrati, che era giunta a patti con gli americani indebolendo
l'identità nazionale del loro paese (anche questa osservazione è
coerente con l'impegno politico giovanile di Oshii) . Da un punto di
vista meno pragmatico, invece, nonostante i suoi numerosi moniti,
“Patlabor 2” sembra proporre una fusione consapevole e non
passiva con una postmodernità irreversibile e ormai impossibile da
sconfiggere - essendo Oshii un postmoderno anzitempo, la cui
esperienza pre-Olimpiadi '64 era stata comunque breve e indiretta per
ovvi motivi anagrafici, in tutta la sua opera la sua posizione su
questo argomento rimane tuttavia sempre molto ambigua.
Inutile,
del tutto inutile, sprecare ulteriori elogi per un comparto tecnico
di prim'ordine, che ancora oggi si rivela inattaccabile sotto tutti
gli aspetti, dalle animazioni sino alla splendida colonna sonora
firmata da Kenji Kawai, che si fonde alla perfezione con lo stoicismo
visuale e concettuale di Oshii. La cosa che invece mi preme encomiare
chiudendo lo scritto è la scena finale del film, quella col solenne
volo di uccelli che coadiuva un amore che finisce tra fragili
carezze, sguardi malinconici e il volto sconsolato di un Gotou il
quale, osservando Shinobu e Tsuge dal finestrino di un elicottero,
capisce che lui non sarà mai quello che per Shinobu è stato Tsuge.
Questa è una delle poche volte in cui Oshii rappresenta l'amore tra
uomo e donna, e lo fa a suo modo, relegandolo nel passato dei suoi
personaggi, un'oasi felice di serenità la quale, ormai assoggettata
all'impermanenza delle cose e alle costrizioni esterne, svanisce nel
grigiore e nella tristezza, disperdendosi nel blu infinito al di
sopra di ogni cosa, accompagnata dalla fuggevole brezza che sorregge
le ali dei gabbiani, che volano ignorando la linea sottile che separa
il vero dall'illusione, la tirannia dello spazio e del tempo, le
torri di vetro della città della solitudine.
Bibliografia
Brian
Ruh, “Stray Dog of Anime: The Films of Mamoru Oshii”, pag 110-116
Trish
Ledoux, “Anime Interviews: The First Five Years of Animerica, Anime
& Manga Monthly (1992-97)”, pag 136-139
http://www.beyondhollywood.com/patlabor-the-movie-2-1993-movie-review/
http://www.depauw.edu/sfs/backissues/80/fish80art.htm
Ottima recensione, studiata ed articolata a dovere ma la parte più interessante sono i riferimenti al vangelo. Ah, in effetti la citazione a Il silenzio di Bergman ci sta tutta, anche per i temi.
RispondiEliminaPoi per me è altrettanto chiaro il riferimento al Dr. Stranamore quando il dirigibile ha un finto gas, la paura della bomba si avverte più che mai in quella scena e ti chiedi se ci sia effettivamente qualcosa nell'altro dirigibile.
Grazie mille per i complimenti! Lo studio dei riferimenti al vangelo e l'osservazione sul film di Bergman sono farina del mio sacco, in quanto le fonti da cui ho attinto si concentrano prevalentemente sull'aspetto storico-politico del film.
EliminaLa citazione al Dr. Stranamore non l'avevo colta, grazie per la precisazione. :)
Lo sai che gli shinjinrui sono i newtype?
RispondiEliminaCiao Garion! Grazie per il commento.
EliminaSì, lo so. Penso che la generazione di Oshii (ovvero quelli nati negli anni '50, pertanto nell'immediato dopoguerra) sia stata la prima ondata di "newtype", seguita a ruota dalla generazione di Anno e dei fondatori dell'Aum, che aveva vissuto l'expo di Osaka nell'infanzia.