Autore: Ooima Yoshitoki
Tipologia: Shounen manga
Edizione Italiana: Star Comics
Volumi: 7
Anni di uscita: 2013-2014
Il contesto sociale del manga, essendo l'autrice nata nel 1989, Giappone o Italia che sia, è quello che i ragazzi della mia età hanno solitamente vissuto di persona. Mi ricordo infatti che quando andavo a scuola, un portatore di handicap della classe veniva bullizzato da un ragazzotto che non aveva niente di meglio da fare nella vita ecc. Ciò premesso, è fondamentale notare che Shouko e Shouya, i quali - almeno prima di risolversi, e la loro risoluzione è quanto narrato nel manga - condividono un forte senso di colpa e odio di sé stessi, sono stati cresciuti solamente dalle loro madri divorziate: non hanno una figura paterna come modello di riferimento. La madre di lei è una donna rigida e indurita dal peso di dover fare anche da padre ad una ragazza disabile in una società discriminatoria come quella giapponese; la madre di lui è invadente, inopportuna, fin troppo immatura per poter realmente ricoprire il suo ruolo. La nonna di lei è l'unica figura famigliare "sana" che appare nel manga, e ciò è cosa tipica per quelli della mia generazione: i nonni sono i portatori delle grandi narrazioni sociali del passato, di quel mondo "più semplice" che ormai non c'è più. Anche se la madre di Shouko è eccessivamente pesante, frustrata e violenta, la nonna ha sempre una parola buona sia per lei che per la sorellina. Detto questo, penso che l'autrice abbia messo molto della sua esperienza di vita personale in quest'opera, che invero si fa carico di affrontare le non banali tematiche della discomunicazione e della crescita in una società bulimica e disfunzionale.
La depressione di Shouko è resa molto realisticamente: lei semplicemente non ce la fa più a vivere, a trovare l'entusiasmo nelle cose, a stare bene con sé stessa. Nessuno è veramente in grado di capirla (a parte la sorella minore, che cerca di "tenerla in vita" con le sue foto, hobby tra l'altro osteggiato dalla madre) e si ostina a ferirla. La comunicazione col prossimo è falsata sia dalla durezza e dall'egoismo di persone immature e irrisolte, sia dall'handicap della sordità, che è cosa più simbolica che altro. Questa discomunicazione, che è cosa tipica della vita sopratutto nell'oggidì, conduce a solitudini estreme e sofferte, e si potrebbe dire che più che una storia di redenzione, Koe no Katachi sia l'incontro di molteplici solitudini che cercano di comunicare tra loro senza ferirsi, sino alla pacifica accettazione del sé e degli altri. L'entropia, ossia il disordine e l'assenza di finalismo tipici della natura/società, una volta era tenuta in-check da forti convenzioni, narrazioni e da una qualche forma aprioristica di coesione; in storie come Koe no Katachi, invece, i protagonisti devono trovare la forza di non sprofondare nel nonsenso da soli, al buio, senza aver alcunché su cui aggrapparsi. Né gli insegnanti, né la madre né nessun altro innescano il desiderio di redenzione di Shouya: lui alla fin fine è semplicemente abbandonato a sé stesso. La forza per lottare contro l'entropia arriva forse da quel sorriso fuggente di Shouko, ma nulla è realmente garantito (stando al booklet contenuto nell'edizione deluxe della Star Comics, per l'autrice l'aspetto sentimentale della vicenda è una possibilità futura, ma non il fulcro della questione, che rimane la discomunicazione tra persone).
Una scena molto forte è quando Ueno, compagna di classe di Shouya molto violenta e insensibile, viene presa brutalmente a sberle dalla madre di Shouko in seguito ad un particolare avvenimento. Sembra quasi di leggere Tomino (i.e. le mazzate, reali o metaforiche che siano, sono neccessarie per la crescita), con la differenza però che Ueno, quando tra un cazzotto e l'altro dice alla donna di essere fallita come madre, non ha poi tutti i torti. Non esiste chi è nel giusto o nel sbagliato: i personaggi principali cercano soltanto di restare a galla, di non sprofondare nel mare del disordine esistenziale e del dolore. Il salvataggio poi, per quanto sia difficile avere cose così nel mondo reale, è cosa bella in sé: lui salva sé stesso salvando lei, che poi a sua volta salverà sé stessa dicendo in qualche modo "sì" alla vita. Forse questo passaggio è stato reso troppo frettolosamente e avrei gradito più focus sulla questione, non saprei, ma il risultato finale è indubbiamente notevole, e pertanto congratulazioni a Ooima Yoshitoki per aver scritto "una storia del nostro tempo" non asettica, venefica e solipsistica (cosa molto comune nel trash odierno), ma con un cuore grande così.
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