martedì 23 novembre 2021

Strappare lungo i bordi: Il prezzo della moratoria


Si sta dicendo molto sulla serie animata di Zerocalcare: "le solite tematiche del fumettista", "sembra un po' La profezia dell'armadillo", "è una fucilata", "c'è il treno, quindi la tematica del viaggio", ecc. In pratica, la fiera delle banalità. D'altro canto, quando Michele Rech viene intervistato, di solito l'intervistatore gli propone domande davvero banali, avendo una conoscenza dell'autore – e soprattutto del suo contesto sociologico – soltanto superficiale, quando non del tutto assente. Non me la sento neanche di "recensire" quest'opera, per quanto le mie recensioni siano molto particolari: il cartone animato in questione è molto simile, come impostazione scenografica e registica, a un fumetto dell'autore; la differenza principale sta, come dice anche lui stesso, nel fatto che lo spettatore può diventare partecipe delle musiche ch'egli ascolta durante la stesura, e cioè la creazione, il pensiero, delle sue tavole. Dal punto di vista tecnico-graficoe animazioni fanno il loro dovere e le colorazioni non stonano mai: nulla da lamentare pertanto. Lascio quindi una piccola considerazione personale, come sempre per chi ha già visto la serie e vorrebbe su di essa un'opinione più "cosciente" del solito. 

 

La verità è che a parer mio Strappare lungo i bordi (i "bordi" sono quelli metaforici della propria identità nella società: si prova a strapparli per definirli, ma non ci si riesce, e il risultato è un pastrocchio) va ben oltre la solita poetica di Calcare, che alla fin fine è riconducibile alla moratoria escapistica di quello che chiamerei un italotaku di generazione due (anche in questo caso, il leit motiv del "schivare la vita", del non essere capaci a vivere, di essere "tagliati fuori" ecc. è lapalissiano). Va oltre perché, probabilmente, l'autore crescendo ovvero invecchiando sta ulteriormente approffondendo la sua visione critica di sé stesso e del suo contesto psico-sociologico. Il punto fondamentale è che, paraculaggini a parte (che a parer mio sono cose fisiologiche in autoanalisi fin troppo dolorose e spietate), in quest'opera non si è soltanto partecipi di tale moratoria, ma si vedono altresì le sue conseguenze, ovvero le conseguenze del non essere capaci di affrontare la vita, non pienamente, non al livello a cui si era stati istruiti durante l'infanzia. A furia di fare il bambinone in moratoria chiuso nella sua cultura pop, il protagonista non riesce a "salvare" Alice, che ha poi finito col suicidarsi. Certo, lei si era sbattuta tantissimo con il dottorato senza poi ottenere un impiego decente, aveva il solito partner tossico tipico dell'oggidì (che tuttavia avrebbe forse potuto evitare se il protagonista avesse avuto il coraggio di crescere e mettersi insieme a lei a tempo debito), e tante altre cose che alla fin fine, modulo i già citati "paraculismi", non possono comunque distogliere dal senso di colpa e impotenza originario che traspare da tutta la vicenda. Nella sua short story intitolata La paura più grande, specialmente cara a Shito, già anni e anni fa Zerocalcare affrontava a suo modo il mito dell'Urashima Tarou/Peter Pan (coccodrillo segnatempo incluso), anche qui con qualche "paraculismo", arrivando tuttavia alla conclusione, sebbene un po' sfumata, ch'egli, così come la sua generazione di "nerd/italotaku", si rifugiava nella finzione per paura del cambiamento, nonché della crescita/invecchiamento, in ultima istanza del futuro,  complice altresì l'insicurezza ontologica tipica di una società morente/inesistente/disastrata come quella attuale. A questo giro però la famosa "scatola del tempo" di Urashima viene a suo modo aperta (nel mito, quando l'eterno giovane Urashima apre la scatola di Otohime, invecchia rapidamente tutto d'un colpo: è la metafora della presa di coscienza tardiva della propria moratoria). Dal canto suo, Shito sostiene che in questa serie torna  dunque lo sfumato, amaro senso di colpa per l'atto mancato che era alla base del La profezia dell'armadillo, ma torna con la coscienza del tempo che è trascorso, coscienza che si è letta nel ben più maturo Macerie Prime (come si capisce Shito apprezza l'autore più di quanto non ammetta a sé stesso, forse). Shito collega tutto questo discorso in particolare all'ultimo articolo che negli Anni Ottanta chiuse l'originale "Ricerca sull'otauzoku", se seguite il link  ne trovate la traduzione diretta in italiano, e l'ultimo articolo è il quarto, a firma Ejisonta. Ciò detto, a me, AkiraSakura, tornando all'opera animata di Zerocalcare, balza in mente la scena sul treno, in cui il protagonista si lamenta tanto dell'aria condizionata, ma poi nel cesso l'Armadillo, la sua coscienza, gli ricorda che il vero problema è la destinazione, ossia il funerale di Alice. Il vero problema è la realtà, dalla quale si cerca di fuggire mediante il consumo, che a questo mondo è l'unica cosa che si ha, dato che negli ultimi quarant'anni è stata fatta piazza pulita di tutto il resto proprio per mettere il consumismo al primo posto nella gerarchia della vita.

Rimanere quindi bambinoni o bambinone in perenne congelamento/moratoria, ha quindi sempre un prezzo da pagare, perché la vita è cosa cangiante e spietata, e in ultima istanza si invecchia e si muore portandosi dietro i propri rimpianti. Il punto è che tale condizione non è neanche una cosa imputabile ai singoli, ma ad un sistema che ormai è al collasso. Zerocalcare a suo modo, usando se stesso, parla di questo collasso, soprattutto con i suoi "nativi delle macerie" (riuscitissima espressione usata dall'autore nel suo Macerie Prime). La rassegnazione finale, con quel “Sei soltanto un filo d'erba in un prato”, nel suo senso di impotenza totalizzante chiude tutto un cerchio di domande che non troveranno mai una risposta, di sensi di colpa mai metabolizzati e di una "sensazione di futuro" ormai irrecuperabile. Come ogni (non)storia del nostro tempo, anche in Strappare lungo i bordi permane una sensazione ontologica di irrisoluzione. Data comunque la sua lucida onestà, Michele Rech a mio parere si riconferma un grande autore, forse l'unico vero fumettista italiano contemporaneo insieme al collega toscano GiPi, che anche lui scrive di cose vere e non di fandonie. 


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4 commenti:

  1. Di Zerocalcare ho letto solo delle vignette sul suo blog e ho guardato recentemente il film de La Profezia dell'Armadillo. Devo dire di aver apprezzato quest'ultimo, da un po' di tempo non mi capitava di guardare un film italiano che mi è piaciuto. E sempre a proposito di film italiani, il primo che mi è venuto in mente durante la visione è stato "Tutti giù per terra", tratto dal romanzo di Giuseppe Culicchia. Credo che i due film (ed il pensiero dei due autori nostrani) abbiano molti punti in comune.

    Culicchia venti anni fa ha intuito lo sfascio che stava per colpire la società italiana e il malessere giovanile. Zerocalcare, con la sua arte, ne racconta invece le conseguenze, avendole vissute sulla propria pelle ed essendo spettatore accorto di ciò che gli capita intorno.

    Di sicuro devo recuperare qualche fumetto di Zerocalcare, ne dovrebbe valere la pena. :)

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    1. Ciao, non conoscevo Culicchia, me lo segno. Di Calcare ti consiglierei oltre alla Profezia dell'Armadillo anche Dimentica il mio nome, che è molto bello.

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  2. Prima di scrivere questo commento ci ho pensato un po'. Un po' tanto. La mia idea è che Michele Rech (Zerocalcare) sia una persna sensibile, intelligente e molto gentile in cui convivono un'anima popolare e una formazione culturale intellettuale. Questo lo rende un acuto osservatore del suo tempo e del suo spazio vitale, della sua area di società reale. Dunque il punto interessante di tutta questa sua opera, secondo me, è che qui nessuno sembra "sguazzare" nella moratoria. Nessuno pare neppure godersela in assoluto. Il "blocco" sembra più una cosa del tutto subita, con totale infelicità, come un'evoluzione sociale supinamente ricevuta. Non che la cosa venga presentata con del vittimismo. Solo come un fatto, come qualcosa di "storto", quasi come un'ineluttabile fonte di nevrosi generazione: non riuscire a crescere secondo i modelli di adultità che si erano ricevuti in infanzia. In quest'opera, un personaggio è giunto a soccombere a simili disagi nella massima e più tragica forma, e il protagonista sembra patirne come sempre. C'è anche una sottile, diffusa, costante autocritica e condanna per quella che in effetti è la propria debolezza, il non saper – o meglio riuscire – a scrollarsi di dosso una certa pigrizia psichica che poi porta a trascinarsi lungo i binari storti di una generazionalità che sembra storta. In questo senso, qui la trama sembra quella de "La profezioa dell'armadillo" ma con la percezione più matura di "Macerie Prime". Credo si tratti di una storia molto interessante. Interessante anche che nella pacificazione nichilista finale per la prima volta Michele sembri alla ricerca di non dico di una risoluzione totale, né di una soluzione definitiva, ma di una pacificazione del proprio senso di inadeguatezza, che poi è fonte di nevrosi. Sempre meno stupisce che questo autore faccia breccia nell'animo di tanti suoi coetanei, e non solo anagrafici.

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    1. Sì, penso che se se la fosse veramente goduta, non l'avrebbe rappresentata con quella lucidità (dico la moratoria). Poi sì, come dicevo nella live di "Ma chi ca** me lo fa fare", per Calcare la forma da strappare lungo i bordi, dato che in natura di forme predefinite non ne esistono, è quella del boomer.

      Per il resto ti ringrazio per il bel commento. :)

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