sabato 29 gennaio 2022

Teoria della civiltà senza dolore (無痛文明論, Painless Civilization): Riflessioni



Quando da piccoli si impara a camminare, inevitabilmente si cade. Le ginocchia magari sbattono per terra e si sbucciano, fuoriesce del sangue e la cosa ci spaventa. Qualcuno, solitamente la madre, si preoccuperà di disinfettarci la ferita, ci prenderà in braccio, ci rassicurerà. Dopodiché i tentativi di andare avanti da soli senza cadere aumenteranno. La vita, quella reale, è tutta così, o almeno dovrebbe essere così. La maturità, sempre quella reale e non quella simulata o ostentata, è tutta forgiata sul dolore. I sentimenti non sono innati e si impara ad amare sbagliando, causando sofferenza negli altri e provando sofferenza noi stessi, e tutto ciò è inevitabile. E nondimeno, paradossalmente, quella cosa che nessuno insegna è fondamentale per la preservazione della vita. L'osservazione fondamentale del libro di Morioka Mashiro (professore di filosofia ed etica alla Waseda University nonché conoscente e corrispondente personale di Shito) che dà il titolo a questo post, quella su cui egli costruisce la sua visione, riguarda proprio ciò che lui definisce "gioia della vita". Secondo Morioka, il vero vivere è una trasformazione che avviene in noi stessi dopo che, tramite esperienze reali con altre persone, abbiamo provato della sofferenza ed effettuato degli sforzi che in qualche modo ci hanno rinnovato. Non serve scomodare il misticismo per capire questa asserzione: siamo esseri ciclici e transitori e come l'araba Fenice siamo destinati a rinascere dalle nostre ceneri. Cosa succede tuttavia se tutto un modo di vivere, se tutta la società che ci circonda, si basa sull'eliminazione del dolore e della fatica? Semplice: le persone non cresceranno, non impareranno mai a camminare, né ad amare. Nella sua opera, guidato da Fromm e Huxley (che cita apertamente), Morioka compie un'analisi molto lucida, cercando di risalire all'origine fenomenologica della civiltà odierna dimostrando una grande conoscenza della natura umana. In questo post, scriverò della visione di Morioka aggiungendo delle considerazioni mie personali. 

I primi passi. By Vincent Van Gogh.


«Vivere in una civiltà senza sofferenza o fatica può sembrare il modo di essere ideale dell'umanità. Ma in una società confezionata con il piacere e circondata da sistemi che tengono lontana la sofferenza, le persone tuttavia non perderanno di vista la felicità e dimenticheranno il senso della vita?» [Morioka Masahiro]

«Agli animali domestici non è permesso avere il tipo di vita che vorrebbero.» [Morioka Masahiro]


Nel primo capitolo di Painless Civilization, Morioka accenna a Konrad Lorentz, in particolare alla sua teoria secondo la quale la civiltà umana sia una forma di auto-addomesticamento in cui l'uomo stesso, per proteggersi dalle insidie della natura, si trasforma in un animale da batteria. Si tratta in effetti di una riflessione in qualche modo già implicita ne Il contratto sociale di Rousseau (questa constatazione è dovuta a Shito), dove l'autore francese parla esplicitamente di una comunitaria rinuncia della libertà individuale di ciascuno, che gli umani demandano all'autorità statale allo scopo di proteggersi dalle paure connaturate allo stato di natura. Ma più che osservazioni di stampo politico-sociale qui vengono fatte osservazioni di stampo antropologico, tracciando brillanti analogie tra la vita degli animali da allevamento e gli uomini nell'epoca moderna, in particolare al fatto che è facile accedere al cibo, al fatto che le funzioni sessuali vengono limitate (gli anticoncezionali e la castrazione volontaria masturbatoria dei maschi), alla costrizione in spazi chiusi nei quali si adempiono le stesse mansioni in modo ripetitivo e alienante. L'assenza di eventi importanti in grado di determinare un vero cambiamento dell'essere, la monotonia comoda tipica di polli e pecore, la rimozione e/o sublimazione di sofferenza e morte sono tutti rimandi a ciò che aveva descritto Huxley in Brave New World, che era una parodia del massimo auto-addomesticamento umano possibile: la società dei consumi di massa, nata proprio dall'industrializzazione fordista (nel libro di Huxley, Ford è venerato come un dio). In tale premonitrice narrativa distopica (neanche eccessivamente datata: sono passati ottant'anni), tutti gli aspetti imprevedibili e sgradevoli tipici della vita venivano rimossi, e per far ciò i personaggi facevano ricorso a "correzioni neurochimiche" per poter castrarsi sia mentalmente che fisicamente, nonché ai "feelies", ossia film nei quali si percepivano tutte le sensazioni di ogni scena, che possono essere definiti come la parodia di ciò che oggi identifichiamo come "intrattenimento mainstream" (il melodramma, la messa in scena del sentimento, altro non è che mera pornografia emozionale, sul cui scopo reale taluni filosofi si interrogano da secoli, vedasi le ricerche sulla nascita della tragedia greca). A tal proposito è importante notare che la pornografia in tutte le sue forme è un artificio riparativo alla mancanza di amore, alla solitudine dell'animo e al vuoto interiore, un po' come l'abuso di sesso e le sue perversioni. Interagire con gli altri crea inevitabilmente frizione e se tale frizione viene rimossa per evitare il dolore, allora sarà necessaria una qualche modalità di sedazione perché non si può vivere da soli. Fatto salvo ciò, le "correzioni neurochimiche" ovviamente, come faceva notare Fromm nel suo brillante saggio Psicoanalisi della Società Contemporanea, sono le dipendenze da sostanze, i.e. droghe, fumo, alcol, psicofarmaci. In particolare, Morioka parla altresì di "dipendenza dalla psicologia", ossia della "malattia psicoterapeutica" secondo la quale le persone diventano dipendenti dal senso di piacere e di accettazione incondizionata derivante dalla consulenza psicologica, e cambiano di sovente psicologo come se si trattasse di un amante a pagamento o di un cane. Nel suo libro La Crisi della Psicoanalisi, Fromm tra l'altro fece notare che la psicologia moderna è a suo modo essa stessa fordista, ossia assoggettata ai paradigmi del consumismo liberale postmoderno. Infatti, come sostenuto altresì da Morioka, essa fornisce amore incondizionato al paziente lavorando più che altro su un suo egoboost (cosa che fanno anche i social come Instagram con i loro Like ) ed eliminando in lui la predisposizione ai compromessi e alla sofferenza. Si avranno pertanto numerosissime diagnosi di narcisismo del partner dei pazienti o dei pazienti stessi, procedimenti neanche scientificamente esatti volti a distruggere determinate relazioni per favorire una ciclicità postmoderna di partner/oggetto occasionali (alcune ragazze in psicoterapia mi hanno non a caso rivelato che il loro analista le incitava a mettersi su Tinder svalutando il loro partner corrente) e così via. Indubbiamente compagni o compagne realmente tossici esistono, possono esistere, e andrebbero curati o allontanati da una qualsiasi vita sana; allo stesso modo traumi reali esistono e andrebbero affrontati insieme a uno specialista se non insieme a degli affetti davvero speciali della propria vita (un lusso che al giorno d'oggi purtroppo non tutti possono vantare), ma la tendenza generale sembra proprio che sia orientata verso l'eliminazione del concetto di amore stesso in quanto eccessivamente doloroso nei suoi inevitabili aspetti negativi (non esistono partner perfetti e non ne esisteranno mai, men che meno su Tinder o altri simili gironi infernali).

«Ci sono forme di psicoterapia in cui i pazienti rivivono i traumi causati dai loro genitori quando erano bambini al fine di "guarire" dalla loro malattia, prendendo coscienza del loro "fanciullino interiore". Ci sono altresì situazioni in cui queste terapie ispirate da Freud possono effettivamente curare le persone, ma esse non risolvono la "malattia" della mente costretta ad affrontare un problema nel tipo di civiltà che ho qui descritto. Psicologi e pazienti non possono risolvere questa "malattia" perché entrambi vivono in una civiltà che è diventata priva di dolore. Comunque, facendo in modo che il paziente si adatti ad un mondo reale che sta diventando privo di dolore, questi terapeuti possono addirittura indirizzare verso le tendenze della moderna società contemporanea.» [Morioka Masahiro]

Il filosofo in seguito ammette che nella "civiltà senza dolore" le persone vengono in qualche modo traghettate verso comportamenti bipolari, in particolare quelle più deboli (per debolezza intendo l'incapacità di affrontare la sofferenza e il nonsenso cui tende inevitabilmente la vita). Scrive infatti Morioka: «Dopo essere stati guidati verso il romanticismo, queste persone si tirano indietro e abbandonano immediatamente la relazione sentimentale creatasi. In seguito, cercheranno un nuovo partner, si invaghiranno e il processo si ripeterà all'infinito. Si tratta pertanto di mera ripetizione dello stesso pattern, senza alcun progresso o risoluzione di sorta. Queste persone si muovono semplicemente avanti e indietro tra due punti, e  sembra quasi che la ripetizione in sé stessa sia il loro obbiettivo. [...]»

Questa descrizione è molto affine ad alcuni sintomi di quello che gli psichiatri dei CSM etichettano come "disturbo borderline di personalità", dove "borderline" non significa "al confine" nel senso di "lieve", ma "al confine tra nevrosi e psicosi". Si tratta a tutti gli effetti di uno stato di "nevrosi che tende costantemente a sfociare in episodi psicotici", e che viene di fatto sedata con psicofarmaci e psicoterapia (ma è molto difficile da trattare nei soggetti più patologici, che sono completamente "rotti" a livello relazionale). Sia io che il mio coautore del blog (che in realtà non ha neppure letto il libro del filosofo suo corrispondente, mentre invece io ne ho lette le parti tradotte in inglese), concordiamo nel vedere la psichiatria dominante della postmodernità come un tentativo di "traghettare inevitabili nevrosi verso delle psicosi pseudofunzionali perché farmacologicamente sedate". Ancora una volta, una prospettiva davvero simile a quella paventata da Huxley in un romanzo giovanile scritto prima della Seconda Guerra Mondiale. Nell'ambito neuroscientifico c'è chi ritiene che taluni disturbi psichiatrici possano avere origini ereditarie, e infatti nelle anamnesi di questo tipo di medicina si indaga sempre una possibile familiarità dei disturbi, ma da quel che ho avuto modo di notare (e che si può verificare nella letteratura scientifica più statistica esistente), il disturbo borderline di personalità è diventato sempre più comune nel periodo che va dal 2010 ad oggi, in particolare con l'utilizzo massivo di smartphone e social media, che sono mezzi che semplificano di molto l'eliminazione del dolore e l'alienazione umana (inutile fare esempi che sono abbastanza lapalissiani). Anche durante la mia adolescenza e la mia prima giovinezza, era molto difficile imbattermi in persone che mostravano i sintomi ritenuti tipici di tale disturbo, mentre ora è abbastanza frequente, e addirittura ce lo si ritrova gagliardamente rappresentato nella finzione (si pensi ai protagonisti di certi romanzi molto in voga nell'oggidì basati su sesso, personalità dissociate e narcisistiche e perversioni di vario tipo). La "mitologia dell'individualismo", che Shito giustamente definisce come "il vestito buono messo alla solitudine per venderla come desiderabile", a parer mio è uno dei pilastri della dissociazione psichica degli individui postmoderni, allo stesso modo del dualismo tra narrazioni simulacro illusorie e la bestialità della sedazione tramite la cannibalizzazione di individui ridotti a meri oggetti (soprattutto le femmine, le vittime principali del totalitarismo consumista) in una macelleria sociale sempre più inumana (un esempio "Shitico": le ragazzine che vengono educate agli ideali delle principesse Disney e sul cellulare trovano le peggiora pornografia). Al di là di queste sfumature da cronaca generazionale, concordiamo che adolescenze ed infanzie traumatiche ci sono sempre state, così come ferite dell'animo molto profonde e difficili da metabolizzare; tuttavia a parer mio l'aumento vertiginoso dell'entropia causato dalla digitalizzazione della vita sociale  ha tolto molti strumenti di fortificazione alle persone, indebolendole notevolmente rispetto alle generazioni precedenti.



Quanto costa un passo un po' più in là? 
                   Prima un sasso, poi un muro, poi che altro c'è?


Volendo andare alla radice del problema, Morioka identifica la spinta umana verso il piacere e la pigrizia come "desiderio del corpo": «Il "desiderio del corpo" ci guida verso la ricerca del piacere evitando il dolore, e acquisendo sempre più cose mentre preserviamo il nostro corrente, confortevole environment.» Questa visione, per quanto possa avere delle analogie con altre filosofie e insegnamenti esoterici  – mi viene in mente in primis quello di Gurdjieff, che insegnava a controllare il proprio corpo e le sue "reazioni meccaniche" – invero è molto giapponese nella sostanza, dacché per questioni culturali e di coscienza collettiva, lo Spirito del guerriero forgiato da innumerevoli battaglie veniva ritenuto cosa nobile, mentre invece il corpo, sede del piacere, motivo di vergogna. Ancora una volta, e non parliamo di anime ma di cultura di serie A, si rivede il conflitto insito in un popolo che si  è dovuto americanizzare a forza (e qui non posso non citare il mio articolo su Akira, nel quale analizzavo questa questione basandomi su alcune riflessioni di Murakami Takashi). Paradossalmente, come mi faceva notare il mio coautore in privato, simili tensioni si leggevano già in certe opere di Verga, soprattutto in Mastro Don Gesualdo, non a caso il secondo capitolo del "ciclo dei vinti" dell'autore, la cui tematica era già stata anticipata nel racconto La robba.

Ritornando punto specifico di questo articolo, nella citazione di cui sopra, per "enviroment" Morioka intende ciò che altri più comunemente etichettano come "comfort zone", che sono rifugi non tanto di piacere, ma di moratoria, ossia sacche di una pseudosocialità "senza dolore". Mi vengono in mente le "net girl" venerate dai loro "simp", fenomenologia che altro non è che una stasi egotistica talvolta turbata da delusioni sentimentali di poco conto, che comportano poi sfoghi pubblici corredati da migliaia di like consolatori e minacce di solitudine perenne autoinflitta (sic!); i gruppetti di nerd ultra-autoreferenziali con i loro porno che vengono (localmente) elevati ad opere di spessore tramite sovranalisi; il classico rifugio nelle pseudonarrazioni escapistiche; l'attaccamento ad un passato idealizzato; l'attaccamento alla propria madre fino alla tarda età; il rifiuto di avere relazioni sentimentali esponendosi ai rischi della frizione interpersonale che inevitabilmente discende dall'avvicinarsi di due individui – ovvero quello che un certo filosofo tedesco e poi un certo regista di animazione giapponese chiamavano "il dilemma del porcospino"; la propria cameretta con i propri feticci, il computer e quant'altro. Tutta la postmodernità è formata da queste bolle di materialistico comfort, che poi alla fin fine sono bolle di solitudine e quindi di disagio psichico, e ricollegandomi a quanto dicevo prima, social e Internet hanno facilitato di molto la loro creazione e il loro prosperare, già naturalmente innescatosi nelle società del benessere materiale diffuso, ovvero consumismo post-industriale. A parte questa ovvietà, per Morioka esiste un meccanismo di "eliminazione preventiva del dolore" che secondo lui è stato molto raffinatamente sviluppato nella nostra civiltà: gli individui vengono predisposti ad affrontare la risoluzione dei problemi della vita mediante strade che non comportano alcuna sofferenza o fatica. Si continua infatti a fallire, spesso incoraggiati dal proprio "environment", senza che il nocciolo del problema venga compreso, dacché una tale comprensione richiederebbe un'esperienza sgradevole. In ultima istanza si hanno quindi "persone che fuggono" dalla vita in quanto preda delle loro "blindfold structures", ossia il nome che Morioka dà a questi meccanicismi mentali di eliminazione preventiva di qualsiasi forma di dolore. Che poi, alla fin fine, questo è ciò che Gurdjieff definiva come "sonno", o "respingenti interiori". 


Noi dormiamo tutti forse ormai [...]
Sonno quando la sveglia grida [...]
A me a te importa solamente noi
E l'egoismo nostro ormai che alimenta soltanto il sonno [...]
Sonno quando compero e leggo un giornale [...]
Sopra un tram, come tanta altra gente uguale  [...]


Parafrasando Morioka, una società senza dolore è pertanto una civiltà in cui il "desiderio del corpo" con il suo meccanicismo ha eliminato la "gioia del vivere", che alla fin fine è la rinascita dalle proprie ceneri, il rinnovo spirituale che si accompagna ad esperienze realmente vissute:

«Il desiderio del corpo non prevede trasformazioni del sé. La gioia di vivere, d'altro canto, nasce dal sé che va incontro a cambiamenti imprevedibili. Il desiderio del corpo cerca di spingere al di là della nostra vista sofferenza e fatica . Tuttavia la gioia del vivere viene fuori nel mezzo del processo del sé che si fa carico di sofferenza e fatica. Questa è la differenza tra desiderio del corpo e gioia di vivere.» [Morioka Masahiro]

Di mio, nella parola "reale" inserisco, oltre alle cose belle che possono essere capitate ad una persona, altresì sofferenza e sgradevolezza, senza le quali alla fin fine non si sarebbe potuto discernere tra ciò che è realmente buono e ciò che non lo è (Yin e Yang, direbbero i Taoisti). Il solipsismo individuale a mio modo di vedere le cose è lo stadio finale di ciò che tanto si ama definire come quella parola abusata dagli psicologi, ossia "narcisismo" (che è cosa in una certa misura inevitabile negli esseri dotati di coscienza del Sé).  Questo "ultimo livello di narcisismo" altro non è che il risultato di una non-crescita, di una re-infantilizzazione nelle proprie pulsioni corporali, di sudditanza a quel "desiderio del corpo" che avrebbe dovuto essere stato mitigato e tenuto sotto controllo da una crescita sana sia a livello individuale che sociale (e infatti Fromm, contrariamente agli psicologi di oggi, aveva una coscienza socialista/"del sociale" molto forte). L'incapacità di saper affrontare e gestire la sofferenza d'altro canto rende schiavi, perché non si hanno gli strumenti per affrontare cose che la società stessa, nonostante il suo "totalitarismo invisibile del piacere", non può comunque evitare. Dato che comunque il consumo è una forma di soddisfacimento pulsionale immediato, alla "civiltà senza dolore" servono proprio persone volatili, manipolabili e inclini alle dipendenze, e non di certo cose come il socialismo o la capacità di resistere ad atrocità esistenziali senza perdere di vista la capacità di dare privandosi di quanto si ha, anche a livello psicologico (i.e. il cercare di fare del bene il più possibile incondizionato). 

11 commenti:

  1. Ottimo articolo al solito :).
    Come in altre occasioni, ho comunque l'impressione di fraintenderlo o di essere in disaccordo perché probabilmente formulerei i concetti in modo diverso,
    o darei più peso ad altri aspetti. Per dire, mi sembra che alcuni concetti abbiano dei "doppi sensi" che andrebbero chiariti, o piallino via delle contraddizioni sociali.
    Morioka e tu parlate di "società e psicologia che eliminano i fallimenti": eppure mi sembra che l'abitudine a giudicare e a sentirsi giudicati dalla società perché si fallisce, si "perde tempo" ecc. sia molto viva. Perciò una psicologia che vuole rendere di nuovo il paziente "membro funzionale della società" difficilmente, secondo me, non prende in considerazione questo aspetto o si limita a rinforzare le sue storture per far superare una certa situazione. Tuttavia questo ha un punto di contatto con quello che dici: nel tentativo di riportare in qualche modo alla "socialità" il paziente, è possibile che lo psicologo lo incoraggi in buona fede a creare e a rompere relazioni di qualunque tipo in successione, a "buttarsi" (il che per me sottintende: senza preoccuparsi dei danni che potrebbe fare), purché almeno in qualche modo "faccia esperienza" e, auspicabilmente, impari qualcosa. Almeno, io vedo così una possibile descrizione della situazione che dia il tutto meno per scontato: proprio una differenza di presentazione.
    Allo stesso modo, socialmente (inteso: in società e sui social!) mi sembra si crei una netta demarcazione fra ambienti in cui delle proprie "rotture/fallimenti" è meglio non parlare e altri in cui le "rotture/fallimenti" sono il principale modo di descriversi. Questi spesso coesistono, non si riconoscono a vicenda e mi sembra che un po' di nevrosi/problemi vengano dal fatto che si fa fatica a separarli correttamente (vale a dire, a distinguerli e a capire il modo di comportarsi correttamente in entrambi).
    In chiusura, ho l'impressione che un articolo del genere rischi di dare alla società un'inquadratura unificata e concorde che per me è un po' forzata.

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    1. “ eppure mi sembra che l'abitudine a giudicare e a sentirsi giudicati dalla società perché si fallisce, si "perde tempo" ecc. sia molto viva”

      Più che altro questo è un discorso generazionale. A parte tutto il discorso sulla performance spinta, che aveva affrontato brillantemente la prima anonima, solitamente sono i boomer che giudicano le generazioni più giovani - completamente mandate al macello sociale - secondo i canoni del loro passato, passato in cui la società non era ancora un colabrodo come oggi. Non vedo cmq la tua asserzione in conflitto con quanto scritto nell’articolo.

      “ nel tentativo di riportare in qualche modo alla "socialità" il paziente”

      Ossia di farlo diventare un buon consumatore. Detto questo, se la società stessa è psicotica, lo psicologo può consigliare quello che vuole, magari di trovarsi un* compagn* (facciamo finta che sia uno illuminato che non ti manda al macello su Tinder). Ma quest* compagn* sarà comunque un prodotto di una società problematica, che ostacola capziosamente delle unioni stabili. Pertanto è come fare un buco nell’acqua. De Mello infatti diceva che la psicologia fornisce soltanto sollievo momentaneo, non cura il problema alla radice perché è impossibile.

      “ sembra che un po' di nevrosi/problemi vengano dal fatto che si fa fatica a separarli correttamente”

      Semplificando molto, la maggiorparte delle nevrosi/problemi vengono da mancanza di amore e/o da mancanza di socialità sana. Cose contro cui l’industrialismo rema da sempre. Proprio l’altro ieri ho letto un articolo in cui si scriveva che delle aziende jp pagavano i dipendenti per sposare le loro waifu (che significa essere pagati per masturbarsi anziché riprodursi). Inquietante, no? Ma tutto quadra.

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    2. "Semplificando molto, la maggiorparte delle nevrosi/problemi vengono da mancanza di amore e/o da mancanza di socialità sana. Cose contro cui l’industrialismo rema da sempre. Proprio l’altro ieri ho letto un articolo in cui si scriveva che delle aziende jp pagavano i dipendenti per sposare le loro waifu (che significa essere pagati per masturbarsi anziché riprodursi). Inquietante, no? Ma tutto quadra".
      Tutto molto coerente con il futuro che ci attende:waifu/oggetti e tanta solitudine ma almeno più coerente e sensato rispetto al creare relazioni forzate e superficiali.

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    3. Sì, alcuni lettori in privato mi avevano scritto in merito alle loro relazioni deludenti, anche le prime. Il che è molto brutto, per entrambi i sessi. Per un giovane donna ad esempio penso che sia traumatizzante perdere la propria verginità con pornobebè coomer insensibili forgiati dal porno e dalla violenza visiva.

      Trovare persone profonde e sensibili in un mondo come questo è cosa difficile.

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  2. Di recente una persona molto colta, citando Heidegger, ha detto pressapoco così: "La psicologia moderna è la cattiva filiazione dell'egocogito cartesiano".

    Del tema della rimozione del dolore nella società moderna ne ha scritto anche un filosofo di origine coreana, ma da molti anni tedesco: Byung Chul Han.

    La chiusa sulla tua casa milanese è molto evocativa e poetica e non ci vedo nulla di male nel crogiolarsi qualche istante nei ricordi. Penso che, in realtà, i ricordi siano qualcosa di molto meno statico rispetto a ciò che comunemente si pensa. Se ne fa una rilettura differente, a seconda delle età della vita o, almeno, a me capita così. Alla fine i ricordi non sono qualcosa di permanente, ma mutano, sfumano, invecchiano e muoiono assieme a noi.

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    1. Ciao, grazie per il commento: Byung Chul Han non lo conoscevo, ma da quel che vedo su Wikipedia, siamo completamente on-topic:

      1) "Società della stanchezza: disturbo depressivo, ADHD, disturbo borderline di personalità e sindrome da burnout sono il paesaggio patologico dell'epoca, causati da eccesso di positività piuttosto che da negatività".

      2) "Agonia del'eros: narcisismo, auto-referenzialità, mancanza di confronto (con riferimenti al film Melancholia di Lars von Trier) sono segni contemporanei che portano alla scomparsa della capacità di relazionarsi con gli altri e di dedicarsi alla cura dell'altro".

      "Alla fine i ricordi non sono qualcosa di permanente, ma mutano, sfumano, invecchiano e muoiono assieme a noi."

      Sì certo, è il pdv anche dell'altra anonima e lo comprendo. Penso che comunque l'epoca contemporanea, congiuntamente alla pandemia, tolgano la "sensazione del futuro" (infatti io penso solamente al presente) e risulta naturale guardare al passato, in cui almeno si era vissuto. Dopo averci pensato un po', penso che il punto sia questo. Poi ovviamente se vaghi per molti anni nel deserto, e trovi qualcuno che ti porta un bicchiere d'acqua fresca, magari un po' amarognola, il ricordo ti rimane molto nitido. Se invece il proprio passato è forgiato su monotonia e benessere, penso che la memoria risulti più vaga e scontata. La fame arcuisce i sensi, la pancia piena conduce al sonno.

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  3. David Foster Wallace da un'intervista: "C'è la gioia di imparare e la gioia di conoscere gli altri, e c'è tutta la roba religiosa e tutto il resto. Ma tutto il resto ormai rema contro quello che nella mia generazione e nella tua secondo me è molto diverso, che so, da quello dei nostri nonni: un'immensa, divorante, lancinante fame di piacere, e un vero senso di privazione quando non lo provi. Io non credo che lo farei, però credo che mi organizzerei in modo da avere intorno un sacco di amici che mi impediscano di farlo."

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    1. Ottima citazione, grazie. Tra l'altro siamo tutti sostituibili quando diventiamo meri strumenti di piacere. E' tutto un cerchio che si chiude no?

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  4. Ciao, lo hai letto "Confessions of a Frigid Man" ??

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    1. Ehilà, sì, certo, un libro interessante ma troppo personale imho. Secondo me il lolicon è un argomento più complesso di come lo fa lui, imho ci sono molte più variabili in gioco.

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  5. Leggendo "Painless Civilization" mi viene in mente la superficie di Texhnolyze.

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