Musiche: Jean-Jacques Debout
Devo ammettere che Masculin, Féminin di Godard mi ha molto colpito per la sua lucidità sociologica (lo potrei tranquillamente inserire tra i miei dieci film preferiti, sia per la sua estetica impeccabile che per i contenuti a me cari). Liquidato dalla critica del nostro paese perlopiù come un "film su come la gioventù dei late 60's francese praticava il sesso", etichetta risibile quasi quanto l'adattamento italiano del titolo (Il Maschio e la Femmina, scelta compiuta al fine di sessualizzare indebitamente l'opera), esso è in realtà una fotografia in bianco e nero della postmodernità nella Parigi pre-sessantottina. Essendo una nouvelle vague frammentaria e didascalica, la trama è ridotta allo scheletro: Paul, giovanotto comunista incapace di definirsi in un mondo molto confuso, si invaghisce di Madeleine, che lavora con lui nella redazione di una rivista giovanile. La ragazza, così come le sue amiche, è più interessata al consumismo americanizzato dilagante che ad una relazione sentimentale, e infatti si mette insieme a Paul quasi apaticamente, dando la priorità alla sua carriera discografica. La gravidanza lascerà indifferente lei e farà impazzire lui, che pur essendo fissato col socialismo e critico verso l'utilizzo degli anticoncezionali importati dagli States, si dimostrerà troppo immaturo per affrontare l'idea della paternità. Paul cadrà poi misteriosamente dal balcone di una casa comprata con i soldi della madre senza che venga specificato se si sia trattato di suicidio o meno. Chiudono il film l'impassibilità di Madeleine e della sua amica di fronte all'evento. Nel sottotitolo di uno dei capitoli dell'opera, appare l'asserzione: Questo film potrebbe intitolarsi "I figli di Marx e della Coca-Cola"
Il lungometraggio, cosa insolita per un'opera francese, non prende mai una vera posizione in merito ai fatti che descrive. Alcuni dialoghi tra gli attori sono addirittura lasciati alla loro improvvisazione, in modo tale da catturare al meglio i pensieri dei giovani dell'epoca (che, a meno di tendenze pseudonarrative rivoluzionarie ormai sopite e dipendenza massiva dai social media, sono molto simili a quelli dei ragazzi dell'oggidì). In particolare, nella frammentarietà del film vi è la ricorrenza della tematica del solipsismo: nel mondo consumistico di massa è difficile definire una propria identità personale, si perde la capacità di "vedere la vita, di vederla per davvero". L'ego, che della cosa ne risente, si trincera nelle proprie mura riducendo gli altri a meri oggetti. Ci si rifugia poi in simulacri, siano essi Marxisti o meno (la ghigliottina giocattolo, le scritte sui muri, Paul che si lamenta della proiezione del filmino sconcio, lei che dice che le piace la Pepsi Cola dopo aver registrato in studio il suo disco di canzonette infantili). Tuttavia, la constatazione che fa l'attore Jean-Pierre Léaud nella scena improvvisata in cui cerca di abbordare Madeleine parla da sé:
"Non pensi di essere il centro del mondo?"
"In un certo modo sì."
"In che modo?"
"Vivo, sono, vedo con i miei occhi. Parlo con la mia bocca, penso con la mia testa."
"Pensi che la gente possa vivere da sola?"
"Da sola, tutto il tempo?"
L'essere umano pertanto, nonostante si sia intrappolato in un sistema che produce solitudine e che rende molto difficile creare rapporti di coppia sani e duraturi, per sua natura, non può vivere da solo. Ciò detto, se i maschi nell'opera vengono ritratti come scemotti rivoluzionari ma intimamente borghesi, un po' come i sessantottini venivano etichettati sia da Pasolini che dalla Fallaci, particolare attenzione è rivolta alla condizione femminile. Le femmine, sentendo di più la pressione sociale, sopratutto quella estera (che oggi viene prevalentemente spinta dalle università), si dimostrano più succubi dei maschi alla novità di un capitalismo leggero made in USA. Sentire parlare l'attrice (di nuovo, tutto improvvisato) che Paul intervista nel famoso "dialogo con un prodotto di consumo" è cosa del tutto analoga a quanto ci possono raccontare le modelle wannabe di oggi, imbottite di psicofarmaci e affette molto frequentemente da disturbo borderline della personalità. "Il socialismo significa qualcosa per te? No, non so cosa sia". "Cosa vuol dire per te vivere all'americana? Una vita dal ritmo molto veloce, probabilmente. Molto libera". Questa velocità pertanto non permette più di vivere la propria umanità, e questo porta a vuoti interiori e ad un esistenzialismo del sé che invero si risolve in un nulla di fatto e un nulla di detto. L'irrisoluzione rappresentata in questo film è l'irrisoluzione di tutta un'epoca, di tutto un modo di essere che oggi ha raggiunto il suo apice di nonsenso.
Così come a noi nell'oggidì rimangono tante illusioni e fandonie new age, a Paul rimangono il dubbio e la confusione, che vengono scanditi nel suo dialogo interiore (quello sul finale) in merito alla coscienza come risposta ad un vuoto fin troppo opprimente e difficile da sopportare/affrontare. Si passa pertanto per il ragonamento che l'avere coscienza significa essere aperti al mondo senza alcuna narrazione che tenti di decifrarlo (cosa di cui avevo discusso in questa sede quando non avevo ancora visto il film), e si arriva alla considerazione che la fede, molto probabilmente quella nelle ideologie (anche il consumismo ha un suo manto ideologico basato sull'anarco-libertarismo) blocca l'esistenza in un eterno presente, proprio "come se il tempo non esistesse". Da qui poi la considerazione cardine di cui "la vera saggezza è vedere veramente la vita così com'è". Peccato che poi, questa "vita vista così com'è" è stata ormai spogliata di tutto ciò che in qualche modo la rendeva degna di essere vissuta; ed ecco che si arriva alla faccia stranita e indifferente di Madeleine al commissariato di polizia: no, Paul non si è sucidato. Sarà caduto giù per caso.
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