mercoledì 18 agosto 2021

"La vita è un sogno, o i sogni aiutano a vivere?"

Questa domanda, divenuta una sorta di meme ante litteram usata per dileggiare il suo autore, il giornalista Gigi Marzullo, era probabilmente un quesito assai più intelligente di chi trovava divertente ripeterlo a mo' di nonsense, non avendone capito l'assai denso senso. Proviamo a riformulare, versione glossata, esplicitata, ovvero semplificata per bimbi.
"La vita umana è essa stessa tutto un insieme di sogni, oppure no, la vita è altro dai sogni ma i sogni sono necessari all'uomo per vivere?"
Mi sa che il signor Marzullo fu molto arguto, e intelligente, nel porre quella famigerata domanda. Segue un serio articolo del padrone di casa, che ci auguriamo avrà lettori meno beceri dell'allora uditorio TV del caso.
[Introduzione by Shito]


--- Le narrazioni del sé,  by Francesco "AkiraSakura" Messina ---


 «L'uomo è l'animale che non può evitare di sognare di essere dio».  

[Jean-Paul Sartre]

 

L'essere umano è un animale molto pieno di sé. Un sistema nervoso complesso inevitabilmente conduce alla coscienza di sé stessi, del proprio corpo, e ciò porta naturalmente al narcisismo della specie: essendo il corpo separato da quello degli altri, è come una fortezza nella quale la coscienza, che abita nella torre più alta, fa fatica a vedere gli inquilini di altre torri molto distanti. Ma nella sua stanza può comunque guardarsi allo specchio con facilità, e illudersi di essere l'unica. Salvando questa metafora per dopo, mi ricordo che una volta vidi un documentario su una ricercatrice che insegnava il linguaggio dei gesti a uno scimpanzé. Questa scimmia antropomorfa ovviamente diceva cose del tipo "sono un bel scimpanzé"; non per nulla la scimmia ha una coscienza molto simile a quella di un bambino umano, per il quale prevale la modalità "voglio voglio" e "sono sono". È la cosiddetta "fase orale" di cui Freud, di cui Fromm, di cui l'otaku - "Sono un quattordicenne in fase orale" diceva di sé stesso Anno Hideaki nei 90s (ora non so quanto sia effettivamente maturato). Ad un certo punto, tuttavia, per sopravvivere, deve subentrare la crescita. Ossia non più "voglio voglio" e "io io" ma "ci sono anche gli altri", "ci sono delle regole", "cosa sta provando chi mi sta davanti?".  Sembra banale a dirsi, ma l'educazione, la società, le punizioni e le cose sgradevoli che vengono imposte al bambino che tutto vuole, e che deve imparare a volere di meno per non causare danno agli altri, servono per tutelare una specie che non può sopravvivere senza la cooperazione dei suoi individui. L'uomo tuttavia - animale sociale suo malgrado - non può permettersi di portare il "voglio voglio" e il "sono questo e sono quello" nell'età adulta. Una totalità di individui adulti in "fase orale" causerebbe il deterioramento della società, o la spinta verso un'anarchia che condurrebbe al collasso della specie. Subentrano quindi delle narrazioni: l'insegnamento si fa carico di distrubuire narrazioni agli allievi, ai quali verrà anche insegnata l'educazione dai genitori (se tutto va bene). Ma queste narrazioni sono giuste? O sono menzogne? E l'imprinting che si dà, in base a quali principi di quale società deve essere elargito? In un regime dittatoriale si avranno robot indottrinati da un qualcuno o un qualcosa; in una società liberista, nella quale ognuno viene lasciato in balia di stesso o istigato alla competitività totale - un po' come oggi -, avremo degli psicotici o dei depressi. La natura umana è complessa, pregna di questo narcisismo di base, che si manifesta sia in chi elargisce l'educazione, sia in chi la riceve.  Il bisogno primario, nonostante tutto è l'amore, la comprensione. Cose molto difficili sia da mettere in pratica che da insegnare, a causa della natura "atomica" stessa dell'uomo (la fortezza). Sostanzialmente, i due modelli sociali che sono collassati (socialismo, con la sua potente metanarrazione) e capitalismo (che sta tirando a campare tra denatalità, infelicità, nevrosi e sedazione) sono entrambi privi di amore (il socialismo lo aveva nel suo apparato metanarrativo, ma si è risolto in sanguinari regimi). Ciò premesso, addentriamoci nel narcisismo umano e le sue narrazioni, aggiungendo riflessioni al discorso iniziato in questo post.

 

Ritornando un attimo all'esempio del corpo/fortezza, che è la causa ontologica, innata, della solitudine umana (ve lo ricordate tutto il discorso sullo scioglimento degli AT Field nel film conclusivo di Evangelion? Può essere un buon modo di visualizzare ciò che intendo), noi si ha il bisogno di essere "sociali" nostro malgrado. E qui si arriva a quel poco di buono che ha detto Sartre nella sua analisi filosofica: l'uomo è un animale sociale per convenienza, ma neanche per convenienza materiale: per convenienza esistenziale. Perché se nessuno ci guarda all'interno della nostra torre, così tanto arroccata su se stessa, ad un centro punto crolliamo. Se nessuno reagisce alla nostra esistenza, dopo un po' dubitiamo di esistere. Mi vengono in mente a mo' di esempio i solipsismi del solitario Pessoa, che era un po' il prototipo dell'hikikomori odierno: egli, nella sua disperazione, al fine di validarsi/leggittimarsi, aveva creato più versioni di sé stesso: il suo era l'ultimo piano di una torre che non si accontentava di un unico specchio. Ciò detto, mi preme osservare che nelle epoche di grandi solitudini - una su tutte: la nostra -, i cani da compagnia diventano un fenomeno di massa. Questo perché dato che il cane è il nostro schiavo e ci ama incondizionatamente - e sopperisce altresì sia al fatto che le persone non sappiano amare sia allo sbattimento necessario ad amare una persona -, quando ci guarda tutto affettuoso mentre sta aspettando la scatoletta di cibo, legittima la nostra stessa esistenza. Un mio amico una volta ha detto: "Il mio cane era il terapista di cui la mia famiglia aveva bisogno". Non per nulla, anche gli psicologi di oggi sono surrogati di amore, proprio come il cane. Gli psicologi danno infatti l'impressione di essere apprezzati nonostante le proprie storture, un po' come fanno i cani (un cane addestrato per servire i ciechi non odierà mai un cieco), e  in qualche modo compensano artificialmente carenze che si verificano sia nelle famiglie che nei rapporti di coppia. E di nuovo, lo psicologo (post)moderno fornisce quel bisogno esistenziale e di validazione necessario al debole animale uomo, per di più incastrato in una non-società priva di umanità che sta incitando a costruire mura sempre più alte in noi stessi (non era questo il significato di The Wall dei Pink Floyd?), sabotando i pochi ponti che rimanevano tra le varie fortezze - che poi la vera umanità, il vero amore, nasce quando si aprono i portoni del proprio castello incuranti della paura di invasioni, epidemie o carestie. Bisogna tuttavia avere una certa dose di coraggio.

"L'apertura delle porte dell'animo". Photo by me.

 Agli inizi del '900, con la Belle Epoque, la vita per gli occidentali diventò molto più comoda di prima. Anche dopo la prima guerra mondiale, certe classi sociali agiate continuarono a vivere in una bolla che lo stesso Fukuyama identifica come una pre-postmodernità (The Wasteland di T.S. Eliot è del 1922 in fondo). Un esempio eclatante sono Sartre e la sua coinquilina Simone de Beauvoir, che consumavano menage a trois con le giovanissime studentesse di lei, firmavano manifesti pro-pedofilia e scrivevano di esistenzialismo, di nonsenso e di intensità (insomma, una "fase orale" tipica della dimensione adolescenziale dell'intelletto). In questa epoca già vi era una sorta di "negazione delle metanarrazioni", per dirla come Lyotard, perché in fondo tale era l'esistenzialismo. La meta-narrazione per Lyotard era una "narrazione della metafisica", ossia una narrazione che nasceva dal bisogno di legittimazione trascendente tipico dell'essere umano. Piacere, intensità, anarchia, sregolatezza ecc. erano ad esempio negazioni della metanarrazione del cristianesimo, che ripudiava tutto ciò proiettando la vita dell'uomo in una dimensione trascendente - l'aldilà dei santi, degli asceti, dei giusti. Se quindi le metanarrazioni erano già agonizzanti a inizio '900, esse tornarono in auge con i socialismi minimali - di destra o sinistra che fossero - che portarono alla seconda guerra mondiale. Per Engels il potere del proletariato era aprioristico, così come il noumeno di Kantiana memoria, pertanto il comunismo è la l'esempio principe di metanarrazione del '900. Esso ha la sua intima radice nel difficile rapporto tra natura e uomo: la natura è ingiusta e l'uomo ne è succube sicché essa crea le differenze, le distribuisce senza alcun tatto e da queste differenze nasce la sofferenza. Nello stato di natura ci sono ricchi, poveri, predatori, prede, forti e deboli. E si sa chi trionferà sugli altri, nonché chi perderà e quindi soffrirà. Tramite la metanarrazione del comunismo, ci si illuse di poter far fronte a tutto ciò, creando un paradiso in Terra in cui tutti erano uguali e felici allo stesso modo.  Da notare che Hitler non fece fucilare Goering dopo ch'egli cercò di prendere il suo posto alla guida del Reich quando ormai la disfatta era immininte. Stalin invece, il Grande Fratello raccontato da Orwell, aveva fatto il passo successivo di mettere l'idea, ossia la metanarrazione, al di sopra della stessa vita umana. E infatti faceva uccidere anche i suoi collaboratori più stretti, e fece morire il figlio catturato dai nazisti rifiutando di venire a patti con loro per la sua liberazione. Non vi era spazio per il sé: l'unico sé che contava era quello di Stalin, che incarnava l'idea in sé stessa. Stalin è stato infatti l'uomo-dio dell'era pre-postmoderna.

Una metanarrazione del sé. Col passare del tempo diventerà piccola narrazione (il terrorismo rosso), poi pseudonarrazione (i centri sociali e il loro immaginario da murales) e poi, infine, non-narrazione (la maglietta fashion, l'accessorio in sé stesso che fa figo).

 Di conseguenza, il socialismo ha fallito: l'uomo non è stato in grado di creare una società giusta, e la metanarrazione del comunismo è diventata la metanarrazione del sé di un singolo/singoli dittatori. Con la fine della guerra la grande metanarrazione del comunismo sopravvisse (il capitalismo non è una metanarrazione perché non ha alcun principio trascendente: è un insieme di piccole narrazioni del sé in conflitto tra loro). E nonostante il '68, che fece ripartire quanto iniziato con la Belle Epoque, ossia benessere, individualismo, liberismo, "intensità" - modulo il terrorismo ancora legato alle metanarrazioni belliche -, il vero e proprio crollo si ebbe con la caduta dell'Unione Sovietica.  "Crollo" inteso come "vuoto", come "vuoto ideologico". Ed ecco l'ufficiale fine delle metanarrazioni, che già in precedenza si erano in parte trasformate in "piccole narrazioni" (una su tutte: il sogno di riscatto capitalistico) e "pseudonarrazioni" (una su tutte: il superomismo dei primi Comics americani). Per fare un esempio calzante con questo vecchio blog di anime e manga, Nishizaki aveva portato la metanarrazione imperialista giapponese in animazione con Uchuu Senkan Yamato (anche se i giapponesi non hanno mai avuto una vera e propria metafisica, la loro dimensione trascente era lo spirito individuale che sopravvive alla morte). Pertanto, con il trasferimento del bisogno di legittimazione umano all'intrattenimento, ossia alla finzione, si è passati gradualmente da metanarrazioni a pseudonarrazioni. Dalle piazze ai salotti, e poi dai salotti alle camerette. La distruzione dei rimasugli di socialismo a colpi di liberismo selvaggio, l'indebolimento dello Stato e del sistema educativo, nonché la delocalizzazione dei territori e delle culture, grazie altresì alla comodità di internet, hanno spinto la gente a perseguire le proprie pseudonarrazioni personali. Nella postmodernità avanzata e globalizzata, ognuno è l'uomo-dio del proprio piccolo dominio pseudosociale, cosa acuita - anzi,  elevata a paradigma - dai social.

Nel romanzo The Great Gatsby di F.S. Fitzgerald (1925), già abbiamo il fallimento delle piccole narrazioni capitilistiche del sé (che si possono anche etichettare come pseudonarrazioni, come facevo qui, dato che il superomismo/mito del successo è sempre stato spinto dai media americani). Nei ferventi 80s la lezione sarà ripetuta con il remake di Scarface diretto da Brian de Palma, che in occidente è uno dei film più popolari in assoluto: si ha nuovamente un fallimento della piccola narrazione capitalistica del sé, ma con in più il fatto che l'artefice è un profugo cubano sopravvissuto alle purghe castriste (a differenza dello Scarface originale, qui aleggia lo spettro del comunismo). Tony Montana ha vissuto il regime di Castro, nel quale era privato della libertà, e ora, nel regime capitalistico, può diventare un narcotrafficante e ottenere tutto ciò che vuole. Senso di libertà, quindi onnipotenza, quindi solitudine, quindi sedazione (la droga) e in seguito il fallimento. Se Zelda Fitzgerald si ubriacava versando lo champagne nelle sue scarpette con i tacchi a spillo, la Pfeiffer veste i panni di una cocainomane perennemente annoiata (che prende anche psicofarmaci, cosa che non emerge dal doppiaggio italiano). Nella famosa scena della cena, Tony Montana capisce che tutto ciò per cui ha lottato è fuffa: «Is this it? That's what is all about, Manny? Eating, drinking, fucking, sucking, snorting... then what?»

"Then what?"

 La piccola narrazione richiede pertanto che in qualche modo chi ne è titolare interagisca con la realtà: non è cosa mutuata dalla finzione. Molte piccole narrazioni erano rimasugli delle grandi metanarrazioni del passato: in copertina ho messo Shigenobu Fusako perché quella foto, che al giorno d'oggi verrebbe scambiata per un cosplay di qualche anime celebroleso su loli e guerra, è in realtà il risultato di una piccola narrazione: la Fusako era una efferata terrorista dell'Armata Rossa giapponese. Sarà anche kawaii con quell'uniforme scolastica, che oggigiorno farebbe tanti like su Instagram, ma il lanciamissili che porta sulla spalla è vero, non è fatto di cartone. Altra piccola narrazione può essere quella dell'industriale del boom economico, o quella del nonno che va negli USA a cercare oro, trova la pepita e torna in Italia arricchendo le future generazioni della sua famiglia (chi è ricco ora, ovviamente nei limiti della legalità, a meno che non sia un nerd con un'idea rivoluzionaria tipo la creazione di un nuovo sito porno, lo è grazie alle ricchezze accumulate dai nonni). Poi ci sono le piccole narrazioni del sé di rockettari e groupie, come ad esempio i Pink Floyd che conquistano il mondo a furia di riempirsi di LSD o i Rolling Stones che pisciano sul palco. Ma nel '77 però avviene qualcosa di epocale: esce Star Wars, che alla fin fine è un fantasy, e i mondi immaginari iniziano a far molta presa sulla collettività. La potenza visiva della trilogia è soprendente, e per livello di imprinting per nulla paragonabile alla letteratura fantasy o SF del passato. Un mondo parallelo, con tutta la sua Storia, le sue razze e le sue lingue - un po' come il Signore degli Anelli, che all'epoca non è ancora un film - è sugli schermi di tutti: una nuova forma di escapismo è possibile. Sono altresì gli anni del punk: le piccole narrazioni dei rocker iniziano a spegnersi; i Sex Pistols, che avevano rimpiazzato Floyd e Stones e compagnia, non hanno più sogni da realizzare, né illusioni, ma urlano semplicemente che non c'è futuro per te. Nascono i nerd, ossia gli appassionati di Star Wars, dei Comics americani e dei computers (l'analogo in Giappone sono ovviamente gli otaku). Le piccole narrazioni si indeboliscono e spesso trasferiscono nella finzione ("il nostro immaginario è fatto di finzione", Anno Hideaki). E poi, con internet, le pseudonarrazioni diventano più comuni delle piccole narrazioni. Per i nerd non c'è bisogno di futuro: basta un eterno presente in cui accumulare e gestire informazioni. Sono la specie che meglio si adatterà al nuovo capitalismo che verrà istituito con la caduta del muro di Berlino.  Inoltre, ogni nerd può auto-eleggersi dio della sua stanzetta: un confronto diretto con la realtà non è più indispensabile (fenomenologia che oggigiorno è culminata nei Chūnibyōu), e questo trend sta diventando tipico di tutti, come accennavo velatamente in precedenza.


 
Piccole narrazioni, pseudo narrazioni o non-narrazioni del sé?

 Mettendo insieme i pezzi, ebbene sì, l'uomo non è un animale sociale, ma un animale narcisista che fa fatica a gestire il peso della coscienza, e che si adatta agli altri per convenienza (esistenziale ancora prima che materiale). Le narrazioni sono il suo carburante perché il peso di essere un mero animale - molto simile a virus e locuste invero - destinato a morire in un mondo molto probabilmente insensato, che non è costruito per realizzare i suoi desideri, è troppo grande. E qui si risponde alla domanda che dà il titolo al post: le narrazioni servono per vivere, e la vita non è per niente un sogno: sin dall'alba dei tempi, l'uomo si sforza di nobilitarla, ossia di fornirla di una dimensione o metafisica, o trascendente, o in qualche modo narrativa. Finché si guardano le narrazioni, si è ciechi di fronte alla realtà, che va osservata, capita e accettata in sé stessa senza alcuna pretesa né proiezione. Ci vuole una grande mancanza di consapevolezza per sostenere il contrario: una forte animalizzazione  (e qui chiudiamo il cerchio arrivando a Kojève). Le narrazioni dell'animalizzazione, parafrasando Azuma, sono le non-narrazioni, ossia le narrazioni del niente (non uso "nulla" perché potrebbe avere un'accezione mistica: il niente è il niente, tipo l'impulso di una bestia, tipo pestare una merda su un marciapiede; ciò che intendo è tutto il contrario del vuoto "pieno" di cui parla Meister Eckhart). Non-narrazioni sono i dati di un computer; sono i post sui social delle novelle idol regine di castelli di plastica; è il ciarlare nei propri gruppi Facebook di chi manco si conosce, di chi manco si capisce, al solo fine di massaggiare il proprio ego, la propria torre che in realtà sta prendendo fuoco. Non-narrazione del sé è la dipendenza totale dal lato porno delle cose - la gente che nei siti spamma i "piedini carini" dei disegnini manga o della regina del niente di turno, e così via. Per di più, se una volta i porno avevano un accenno di trama, di pseudonarrazione, ora come ora qualsiasi coppia può filmare il proprio coito, metterlo su OnlyFans e "dare da mangiare" ai vari Coomer animalizzati. I social hanno dato la spinta definitiva alle non-narrazioni del sé, introducendo grandi mutamenti sociali che alla lunga risulteranno deleteri per l'animale uomo. Al giorno d'oggi vedo sempre in circolazione pseudonarrazioni, ma anche molte non-narrazioni, che in un certo senso sono le narrazioni della sedazione. Bene o male, la pseudonarrazione del nerd nel periodo d'oro dell'economia globale poteva ancora diventare piccola narrazione stile "nonno che trova la pepita nel Texas". Certo, può accadere anche oggi, ma tutto è molto più complicato che in passato (sopratutto a livello di deterioramento dei rapporti umani, senza voler aprire un'enorme parentesi sullo stato dell'economia attuale). Paradossalmente, le piccole narrazioni di oggi sono le partite di calcio (la piccola narrazione dell'Italia che vince gli Europei), le tifoserie politiche (il cesso è in fondo a destra, cantava Gaber), le piccole guerrette contro qualcuno o qualcosa che si risolvono nel nulla, talvolta in tribunale. Se uno vuole fare la pseudonarrazione  à la Great Gatsby, basta simularla su Instagram: la sua sarà una non-narrazione del successo. Niente che chiama altro niente, e ormai il mero corpo, sopratutto quello femminile, ha sostituito qualsiasi forma narrativa o personale. Il sogno dell'uomo è ora diventato quello di un'Alice nel paese delle meraviglie che consuma sostanze stupefacenti e oppiacei (vi sfido a indovinare la citazione musicale, ovviamente è una canzone di fine anni '60).

 
"Riflessi, la torre, un simulacro di solitudine". Photo by me.


--- La dimensione adulta dell'intelletto: e le cose qui si fanno complicate ---


«Ritengo che la Verità sia una terra senza sentieri e che non si possa raggiungere attraverso nessuna via, nessuna religione, nessuna scuola.» [Jiddu Krishnamurti]

Nel secondo paragrafo ho accennato tra le righe ad una dimensione adolescenziale dell'intelletto. Ma cosa intendevo precisamente? L'intelletto adolescenziale a parer mio è quello che si nutre di pseudonarrazioni o metanarrazioni, e che si legittima tramite esse. L'intelletto che usa la logica, il riduttivismo e uccide la consapevolezza con la sua freddezza, tipo quello francese, è un intelletto incompleto, ancora non maggiorenne (e infatti ha derive esistenzialistiche e pornografiche). Quella considerazione di Sartre che l'uomo non può fare a meno di voler essere un dio, per quanto veritiera, è una cosa da "fase orale" filosofica. Nella fase adulta del pensiero, si capisce che in realtà quella di diventare come un dio è soltanto un'illusione, per di più fisiologica nella nostra specie.  Ciò detto, la maggiorparte del pensiero umano consiste in narrazioni (e tutte le loro tipologie, che variano in base alla storiografia), nonché nella legittimazione (o negazione) di qualche ente o entità astratta, e nelle correlazioni logiche che ne derivano nei vari contesti narrativi. La dimensione adulta dell'intelletto invero non ha bisogno né di narrazioni, né di dualismo, né di sedazione. Alcuni lo chiamano misticismo, ma in realtà trattasi di un cervello che, vuoi per fortuna o per sfortuna dell'individuo che ne è titolare, prende coscienza di sé e abbandona il suo vecchio "software" per abbracciarne uno nuovo nel quale la percezione delle cose si fa priva di qualsiasi forma di narrazione e/o appiglio. Questo equivale alla percezione intima, profonda, del reale, nonché alla presa di coscienza della propria inevitabile morte e del funzionamento dei propri processi inconsci.  La dimensione adulta dell'intelletto, che è adulta appunto perché l'individuo deve essere abbastanza forte e risolto per affrontarla, è ciò di cui parlava Jiddu Khrisnamurti, filosofo indiano che abbracciava il principio del Jnana-marga, ossia la conoscenza del Sé - e qui metto la maiuscola, lascio a voi intuire il perché - attraverso l'indagine. Non per nulla, in tutta la sua vita, JK ha parlato di abbandono delle narrazioni, ossia le cose che dobbiamo ripetere a noi stessi come un mantra per farci piacere sia noi stessi che la vita. 

In conclusione, riprendendo il discorso del primo paragrafo, riporto una citazione di JK: «Senza amore l'acquisizione della conoscenza non fa che aumentare la confusione e condurci all'autodistruzione.» E questo è tutto per oggi.


21 commenti:

  1. When logic and proportion
    have fallen sloppy dead
    And the white knight is talking backwards
    And the red queen’s off with her head
    Remember what the dormouse said
    Feed your head, feed your head

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  2. Ever drifting down the stream ––
    Lingering in the golden gleam ––
    Life, what is it but a dream?

    Ma anche queste sono le parole vergate in versi di un gran signore otaku e lolicon, vero maestro di pseudonarrazioni create ad arte per sé e per le altre.

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    1. Il maestro dei maestri direi, che Miyazaki è niente a confronto.

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  3. Piccolo appunto per uno scritto non banale ma che contiene una banalità, magari irrilevante ai più, tuttavia non per me, perché evidentemente non hai mai coabitato con un animale o il tuo antropocentrismo ti ha annebbiato la vista. Il cane/gatto o qualsiasi altro animale non è nostro schiavo, un nostro possesso, casomai è la concezione e volontà umana nella sua triste superbia a pretendere ciò. Qualsiasi rapporto, legame affettivo, amore (si, non esiste solo l’amore con accezione sessuale, e che la vita si basa principalmente su pulsioni sessuali e aggressività è un’idea freudiana appartenente appunto solo al suo creatore, già da tempo messa fortemente in discussione in ambito psicologico) tra due esseri viventi non si deve basare sul controllo ma sulla reciprocità, la condivisione e una fiducia bilaterale che richiedono tempo, energie, pazienza e sacrifici da ambo le parti. Tutto ciò vale per il rapporto uomo-uomo come per il rapporto uomo-cane, in diversa forma eppure sotto le medesime fondamenta. Se qualcuno pensa di controllare l’animale domestico, partendo quindi con una premessa già sbagliata, con il condizionamento classico e operante, beh, è un essere umano fesso e irrispettoso. Per fortuna non tutti hanno questa concezione dell’altro, inteso anche come animale di altra specie. E si, nonostante siano cose differenti, amare un animale non richiede meno impegno che amare un’altra persona, supposto sempre che tu non lo veda come un surrogato dell’amore di coppia umano, in tal caso ci sono dei problemi, non del cane ma dell’uomo/donna.
    Il tuo amico e la sua famiglia forse avevano bisogno di un terapista antropomorfo perché un cane in famiglia può causare ulteriori problemi se il nucleo familiare è già traballante per usare un eufemismo, e di solito situazione familiari del genere non portano mai nulla di buono, specialmente per il cane.

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    1. “l tuo antropocentrismo”

      Eppure questo post è una delle cose meno antropocentriche che ci siano. E il cane è molto più antropocentrico di quanto si pensi. E’ un animale che si è evoluto facendo da sgobbino all’uomo, sin da quando nell’antichità veniva usato nella caccia, per far la guardia, come cane da pascolo, da ricerca del cibo ecc. Ossia ruoli di sudditanza.

      “ qualsiasi altro animale non è nostro schiavo”

      Come ho detto, il cane lo è stato e si è evoluto in tal senso per sopravvivere. Per questo si dice che sia il miglior amico dell’uomo: è completamente subordinato all’uomo e per lui ciò è garanzia di sopravvivenza. Per un lupo è già differente. Infatti non vedo gente con lupi domestici. Non i cani lupo eh, quelli che ti sbranano.

      “non si deve basare sul controllo ma sulla reciprocità”

      Vero, infatti l’amore di cui parlo non è di certo quello schiavo-padrone, ma quello che è dare senza pretesa di ricevere (forse ne parlavo nel post "La carrozza, il cocchiere e i cavalli"). Ecco, il cane se dai ti ricambia sempre. Un uomo invece se gli dai tanto può comunque farti soffrire. Visto la differenza? Cosa è più facile da amare? Il cane o l’uomo?

      “E si, nonostante siano cose differenti, amare un animale non richiede meno impegno che amare un’altra persona”

      Ribadisco che con le persone non c’è mai la garanzia di riottenere ciò che si dà. La loro natura è molto differente da quella dei cani.

      “e di solito situazione familiari del genere non portano mai nulla di buono, specialmente per il cane”

      Qui non mi va di raccontare i fatti altrui perché non è lo scopo del post. La cosa fondamentale è capire che l’amore "incodizionato" che dà il cane è molto più facile del non-amore a cui sono state diseducate le persone. E ho innumerevoli esempi di persone col cane che ripetono a macchina che i cani le amano senza giudicarle. Certo che così è tutto più semplice. Grazie cmq per il commento :)

      PS: Per cortesia nei futuri commenti usa un nick in modo tale da distinguerti da eventuali altri anonimi.

      Ciao

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  4. “E il cane è molto più antropocentrico di quanto si pensi”
    Più che per fare lo sgobbino, si è evoluto per vivere in cooperazione o in relazione con l’uomo. Che poi in molti casi sia stato sfruttato è un comportamento che riguarda l’uomo, non la volontà del cane. Quando nasci e cresci con una catena al collo è difficile concepire che esista qualcosa di diverso al di fuori del proprio giardino, piccolo o grande che sia. Penso che la vedi troppo da una prospettiva evoluzionistica, tralasciando tutto il resto, quello che vedi e impari dall’esperienza diretta. No, non sto dicendo una cosa alla “università della strada: so io come funzionano le cose” ma davvero, vivendo giorno per giorno, esperienza dopo esperienza, capisci che c’è molto di più della mera apparente subordinazione ai fini della sopravvivenza. D’altronde hanno un’individualità anche loro, non a caso gli schemi cognitivi e comportamentali adottati dagli educatori cinofili non sempre risultano efficaci nell’educazione del cane, proprio perché non tutti rispondo allo stesso modo in un determinato tempo alle medesime situazioni. Noi vediamo tutto da una prospettiva umana, mentre ignoriamo l’esistenza di prospettive alternative appartenenti agli altri animali, esseri viventi dotati d’individualità e unicità proprio come noi. Purtroppo spesso dimentichiamo di essere a nostra volta animali imperfetti.

    “Infatti non vedo gente con lupi domestici”
    Negli Stati Uniti e Canada è diffuso l’American Wolfdog, un ibrido molto più “ vicino” al lupo che al cane, ed è considerato animale domestico; ma questo è un altro discorso che arriverebbe a toccare come può venire intesa l’etica dell’addomesticare.
    Per quanto mi riguarda addomesticare significa creare dei legami, inteso come scritto nelle toccanti parale de Il Piccolo Principe.

    “Ecco se al cane dai ti ricambia sempre”
    Intanto c’è da valutare cosa tu ti aspetti in cambio, è già lí c’è una grossa incognita. Comunque non sono d’accordo, d’altronde il detto “il cane è il migliore amico dell’uomo” lo trovò un luogo comune. Si, apparentemente può sembrare amorevole e accondiscendente (non in tutti i casi) ma, per esempio banale, se appena apri il cancello di casa il cane fugge, beh, quello che ti ha dimostrato era solo apparenza, dovuto all’opportunismo o non così profondo. Ripeto la reciprocità tra cane-uomo non è incondizionata e immediata. Inoltre se per una persona il cane è più facile da amare rispetto a un altro essere umano, il problema è dell’essere umano non del cane. L’amore di coppia, quello che può farti soffrire in un determinato modo, non appartiene al rapporto cane-uomo, il quale come già detto può nascere come una delle tante sfumature del termine “amore”.

    “La loro natura è molto differente da quella dei cani”
    Concordo che la natura umana, per quanto sia qualcosa di ambiguo, è differente da quella di un cane, nonostante ciò in entrambi le sfaccettature della personalità sono infinite. Ciò che si dà e ciò che si aspetta di ottenere è però un’altra cosa, relativa sia per il rapporto uomo-uomo che uomo-cane. Se pensi di alimentare il cane per ottenere obbedienza incondizionata sbatterai contro un muro.

    “La cosa fondamentale…”
    Non credo esista nessun rapporto o amore, che possa definirsi intimamente vero e sincero, basato sull’amore incondizionato. E se parli di amare senza la pretesa di ricevere, il cane ha molto da insegnare all’uomo, però appunto non è qualcosa di incondizionato o caduto dal cielo, va costruito con tempi e modalità che non dipendono solo da te. Nel mentre potresti anche rimanerne deluso o soffrire, ma fa parte del gioco. Il non-amore di coppia non esiste come già detto nel rapporto uomo-cane per ovvi motivi, ma può esistere anche tra uomo e cane in una differente accezione, in quanto non è da confondere l’affetto con l’amore.
    Se alcuni pensano di essere amati solo perché il cane gli lecca la faccia, sono degli illusi e sempliciotti.

    Scusami ma sono da cellulare ed è un casino già il solo scrivere.

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    1. “ è un comportamento che riguarda l’uomo, non la volontà del cane”

      La volontà basilare di un animale è la sopravvivenza (e ovviamente la riproduzione, ma non c’entra in questo discorso). Facendo lavori per l’uomo, il cane si guadagnava il cibo (che non doveva neanche andare a cercare in giro mettendosi in situazioni di pericolo, ricordiamoci che la natura non è quella dei cartoni animati). E quindi la sopravvivenza. Nulla di trascendentale. La prospettiva evoluzionistica non è mai trascurabile, ma in nessuna cosa. Tutto esiste in funzione del caso e della necessità. Non l'ho detto io eh.

      “ D’altronde hanno un’individualità anche loro, non a caso gli schemi cognitivi e comportamentali adottati dagli educatori cinofili non sempre risultano efficaci nell’educazione del cane”

      Rimane comunque tutto molto semplificato in rapporto all’uomo. Se vogliamo fare paragoni di individualità tra un uomo e una bestia, conviene prendere Scimpanzé o Bonobo.

      “ esseri viventi dotati d’individualità e unicità proprio come noi”

      “Proprio come noi” ma anche no. Soltanto le scimmie antropomorfe se le metti davanti ad uno specchio si riconoscono. Il cane non ha coscienza. Può avere un diverso pattern comportamentale di tipo istintivo, ok. Va bene. Comunque un animante degli animali può credere ciò che vuole, o auto suggestionarsi come vuole. Niente in contrario, se uno è felice così mi va bene. Mio zio credeva nello spirito dei sui cani defunti, ok. Mai criticato. Purtroppo non credo a queste cose ma soltanto ai fatti.

      “ dimentichiamo di essere a nostra volta animali imperfetti”

      Si son d’accordo, ma la differenza del livello di complessità tra cane e uomo è palese. Chi paragona gli uomini ai cani mi fa semplicemente rabbrividire.

      “Inoltre se per una persona il cane è più facile da amare rispetto a un altro essere umano, il problema è dell’essere umano non del cane.”

      Ma infatti a me non interessa il cane. Mi interessa il fatto che l’uomo, in periodi come questo, lo usi come surrogato di fidanzato, di figlio, di amico. E’ questo il problema. Lo usa per ricevere validazione perché le persone non sono più in grado di darla. O anche lui è troppo pigro per poterne dare. E’ tutto più facile col cane.

      “ il cane ha molto da insegnare all’uomo”

      Ecco. Il cane quindi ama meglio dell’uomo. E torniamo al discorso di cui sopra, il discorso del mio post. Lol

      “Scusami ma sono da cellulare ed è un casino già il solo scrivere.”

      No probl.



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    2. Cerco di rispondere mantenendo un ordine e senza virgolettare.

      Mai detto di non considerare i principi evoluzionistici, ho solo affermato di non fossilizzarsi unicamente su di essi come stai facendo tu sull’argomento, semplificandolo quando di semplice c’è ben poco.

      Semplificato non è sinonimo di diverso. Se non riusciamo a creare degli schemi comportamentali totalizzanti per l’educazione del cane è proprio perché ogni microcosmo cognitivo e comportamentale di ogni specie è complesso.

      Il termine stesso di coscienza è vago e dibattuto, non puoi ridurre il tutto al riconoscersi allo specchio. Se non riusciamo nemmeno a creare una definizione soddisfacente per la nostra psiche (il mio professore di psicologia generale la definiva ironicamente come la vocina che sentiamo nella nostra testa), non arroghiamoci di conoscere perfettamente quella di altre specie.

      Credi ai fatti eppure la teoria evoluzionistica che tanto reclami è a dir poco stringente senza l’integrazione di altre prospettive. Citi in continuazione in recensioni e scritti tendenti alla psicologia sociale/sociologia termini freudiani che, nei fatti, sono alquanto opinabili, se non proprio pura teorizzazione, per quanto affascinanti.
      E no, non sono un animalista, né tantomeno sono Oshii. Sono solo uno interessato a non banalizzare i rapporti interspecifici.

      La soggettività è una delle poche certezze oggettive, la complessità non è nemmeno quantificabile nell’individualità, in sostanza non c’è un metro di comparazione. Il paragone riguarda solo certi aspetti o determinate contingenze. Un assunto fondamentale proprio della teoria evoluzionistica è interspecifico, come altri aspetti del vivere, nulla di eclatante eh. Mi sembrava implicito il non dover scrivere “uomo diverso da cane in molte cose”. A me comunque fa rabbrividire chi si erge in un piedistallo antropocentrico, ma va beh, sono punti di vista.

      Non è che ama meglio, ama in modo diverso, tutto qui. Ad ogni modo non mi piaceva il modo in cui avevi descritto utilizzando un’euristica il rapporto uomo-cane, invero schiavo e donatore di amore incondizionato. Una minuscola parte dello scritto, di cui vedo sei fermamente convinto, quindi non inzozzo la sezione commenti ulteriormente, buona serata.

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    3. La coscienza è semplicemente la capacità di avere coscienza di sé. Poi ci sono vari gradi di coscienza, tipo osservarsi dal di fuori (ultima parte del post). Purtroppo tutto ciò è correlato al corpo, all'evoluzione e al cervello. Se poi esiste uno spirito dei cani, degli uomini o quello che più ci piace, o una definizione di coscienza che meglio calza ciò che vogliamo, ben venga :)

      Buona serata anche a te.

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  5. Con questo post credo si sia concluso un ciclo, si è fatto un po' più d'ordine sui termini che mi si sovrapponevano e mi confondevano. Il legame delle "piccole narrazioni" con le "grandi" mi pare in parte giusto come lo descrivi, ma ho l'impressione che ci sia sotto qualcosa di più generale: che ogni "grande narrazione" per l'umanità diventi allo stesso tempo una "piccola narrazione" per il singolo. Ad esempio, se tutta la teologia è una grande narrazione, non si può dire che tutta la mistica, l'idea della vocazione ecc. è una piccola narrazione? Ci vedo lo stesso rapporto che tra l'idea del libero mercato e i progetti dell'imprenditore, tra il comunismo (più che il socialismo) e la militanza, tra l'ambientalismo alla "Gaia è viva" e quello concreto ecc. ecc. Capirai che io nobilito molto le piccole narrazioni. :) (Semmai poi si potrebbe mettere terrorismo, ambientalismo estremista ecc. su un altro piano, e quelli magari sarebbero i narratomi che mi ero inventato.)

    (M'incuriosisce sempre la questione dell'animalizzazione, soprattutto perché mi chiedo se si possa e abbia senso "sentirsi consciamente animali e vivere di conseguenza". A sviluppare qualcosa del genere verrebbe una sorta di "epicureismo moderno", con i giusti rapporti di istintualità e cultura, che sarebbe una giusta filosofia odierna, magari pure di massa. Da questo blog induco che incastrarci una visione condivisibile dell'amore sarebbe difficile. Anche se magari nemmeno servirebbe, visto che nemmeno l'epicureismo originale era una filosofia totalitaria. :))

    P.S. Come hai trovato quel video "Milano is Burning"? È assurdamente ottimo! :-D

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    1. Il tuo è un commento ricco e magnifico, che mostra e dimostra un'attenta lettura (più della mia) dello scritto di Francesco. Il video di "frangetta" l'ho proposto io all'autore del pezzo, comunque. Ricordavo il "brano" (parole grosse) dai tempi suoi. Ai tempi il Mac era ancora il marchio "hipster" (si dice ancora?) delle universitaria soprattutto.

      Quindi, ora sul serio:

      1) sì, il legame originale tra grandi e piccole narrazioni (le seconde poi riducendosi a pseudonarrazioni di finzione e piccolissime narrazioni del sé) è secondo me la catena che lega, o tentava di legare, o serviva a tentate di legare l'uomo all'Uomo, il tempo dell'uomo al Tempo dell'Uomo, ovvero il tentativo (uno dei, in verità) del singolo di sentire collegata la sua insignificante esistenza a una significante Esistenza di gruppo, di specie persino, che trascenda l'insignificante finitezza del singolo essere mortale, relazionandolo a un'immortalità di un "tutto".

      Se chiedi a me, il problema dell'uomo è sempre e solo il suo essere un essere autocosciente e mortale, il che implica anche l'essere cosciente di essere mortale. Un dio a metà, una bestia a metà, lo specchio di Dioniso che si infrange. Credo Kojève dicesse qualcosa di simile, e dopo il suo viaggio in Giappone mi pare disse che lo "snobismo stile Meiji" dei giapponesi, quasi una naturale attitudine a rifugiarsi nelle pseudonarrazioni, fosse l'espressione di una naturale recalcitranza (!) al postmodernizzarsi.

      Sull'animalizzazione: il tuo intuito mi è volto vicino. Una animalizzazione consciente e controllata. Sembra quasi, mutatis mutandis, Lacan per vivere. Non una vera atarassia (Epicuro), neppure un autocompiaciuto nichilismo (che sarebbe un narcisistico cinismo, poi), ma una fattività quasi mistica nell'apertura alla vita per sé. Credo sia un po' quello a cui anche io e anche Francesco, forse, cerchiamo di tendere. Lui è più giovane di me, ma ha studiato certe cose molto di pi di me. In ogni caso, è difficile. Perché l'animalità è incoscienza della propria mortalità, ovvero è vivere da immortali. Infatti gli esseri umani di oggi, che hanno bandito persino il dolore dal loro campo di esistenza, si *stupiscono* della morte. Di fatto vivono negando (in senso psicanalitico) l'idea della morte, per poi sbatterci la faccia quando accade una qualsiasi tragedia. Gli umani reanimalizzaturi (perifrastica attiva) vivono in senso pratico in una sorta di godereccio "ateismo di finta immortalità". In epoche più religiose non era affatto così, e tutta la vita dell'uomo era inchinata alla coscienza della sua ventura morte. Erano infatti epoche molto diverse.

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    2. @*lui*

      Grazie per il commento (molto brillante devo dire). Di mio visualizzo le "piccole narrazioni all'interno delle metanarrazioni" come ancora delle piccole narrazioni di coesione sociale. La piccola narrazione che viene dopo la caduta delle metanarrazioni, è solitaria.

      Per il resto sì, questo è il capitolo finale dei post sulle narrazioni direi. E' tutta una riflessione su me stesso e sui miei ideali che è sfociata, almeno credo, nel sorriso rassegnato di Noriko in Tokyo Monogatari (certo, ogni tanto mi scappa qualche bestemmione eh). Penso cmq che lì ci sia tutto, e che il misticismo stesso abbia la debolezza di ricorrere a troppe narrazioni per legittimarsi (cosa che non fa JK, che infatti ho citato qui).

      Per il resto credo che Shito abbia fornito una risposta molto corposa e onnicomprensiva.

      Ciao!

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    3. Grazie a voi.
      Mi sembra strano, a dire il vero, rispetto a quanto leggo di vostro, che ci troviamo d'accordo sull'animalizzazione. In questo c'entreranno la mia confusione sul tema, il fatto che io non sia in grado di apprezzare effettivamente le citazioni di Shito :), che io non sia un "mistico"... Dal mio lato, si tratta insomma di suggestioni, in particolare musicali.
      In assenza di "animalità umana" ben definita e stabile, il sottoscritto si terrebbe volentieri le piccole narrazioni, e spiace che come dite siano meno diffuse di un tempo.

      Ciao a voi e... @Francesco: aspetto la recensione di Kraina Grzybów se hai finito la serie e ti interessa ancora! :D

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    4. Neanche io sono un mistico :D

      La prossima recensione sarà quella di Tokyo Monogatari, uno dei miei film preferiti. Poi di seguito un articolo sulla parabola/decadenza degli animefan (e qui ci sarà da divertirsi).

      Quella serie di ultranicchia che dici vedrò se trattarla. Un mio amico telematico che ora non c'è più da anni la avrebbe apprezzata molto più di me, dato che amava cose macabre e kitsch.

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    5. "Poi di seguito un articolo sulla parabola/decadenza degli animefan (e qui ci sarà da divertirsi)".
      #Hype.

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    6. "La ballata dell'otaku", un titolo che ricorda molto una certa sigla di un certo anime. :-)

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  6. Ecco comunque chi cito dicendo che il cane è schiavo:

    https://i.ibb.co/Z8pWj4t/do-you-love-khrisnam.png

    Sono l'Hideaki Anno dei blog :D

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  7. "La volontà basilare di un animale è la sopravvivenza (e ovviamente la riproduzione, ma non c’entra in questo discorso)."

    Mi ero ripromesso di non entrare in questo dialogo. Mai ripromettersi cose, poi violarle è fastidioso. In ogni caso, tra studi antichi (Schopenhauer che sosteneva che senza aver provato l'affetto di un cane un uomo non possa sapere cosa sia l'affetto incondizionato), conoscenze datate(un amico etologo storico che mi raccontava la nascita del subgenus canis-lupis dal lupis-lupis, il "tomaculos", credo, o qualcosa di simile - memorie distanti, potrei aver sbagliato tutti i termini), la cosa più semplice, esaustiva ed evidente (anche per le mie personali esperienze con canidi vari) fu quella che mi disse un intelligente psichiatra di vecchia scuola freudiana (di quelli che oggi parlano sul serio solo a porte chiuse e microfoni spenti, per capirci): "la catessi del cane è tutta rivolta verso il suo padrone, che lui elegge come capobranco". L'essere "sociale" degli animali, uomo incluso, non è così binario Gli uomini sono uomini, i cani sono cani, le api sono api. Certi paragoni che mettono specie tanto diverse su un (in)comodo letto di Procuste della scienza (grazie, Aldous) sono solo stupidi. La scienza analitica serve a ridurre la complessità della realtà alla semplicità dei modelli, sì che ci si possa quanto più proficuamente operare. Ma la scienza non descrive realmente nulla di reale (occhio, non è una tautologia), e più si sforza di farlo, più diventa bambinescamente ridicola (ovvero narcisisticamente semplicistica). Se la scienza fosse descrittiva della realtà, il cubismo sarebbe arte figurativa. Invece è una bambinata plaudita dai dottori del campo. Tipico. L'operazione è riuscita, il paziente è morto, lo scienziato è soddisfatto, la famiglia piange. Meglio il coro greco, è una saggezza più umana.

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  8. Ciao Francesco, ottimo articolo!

    Ho trovato gli inserti video quantomai appropriati, esilaranti e amari allo stesso tempo, di certo funzionali alla riflessione.

    Condivido in parte la definizione di diventare adulti che hai dato, anche se ci aggiungerei il diventare "responsabili". Che poi, cosa significa esattamente, questa storia di diventare "responsabili"? Immagino diventare responsabili (cioè prendersi cura di) per sé stessi, e per gli altri, altri inteso sia come persone che amiamo sia come tutto il mondo che ci circonda, se siamo capaci di amarlo (che si riallaccia al discorso di amore di JK).

    Faccio solo un piccolo appunto di tipo storico: a un certo punto dici che Stalin effettuava delle purghe all'interno del suo stesso partito per via del fatto che ha posto la sua metanarrazione al di sopra dell'uomo, e quindi per via della sua particolare ideologia. In realtà, indipendentemente dall'ideologia, tutti i dittatori nella storia hanno effettuato ampie purghe all'interno delle proprie fila (uccidendo indiscriminatamente perfino i parenti). Il motivo è semplice e di tipo pragmatico: se non si eliminano tutte le minacce interne in maniera tempestiva (o addirittura preventiva, se necessario) il dittatore non può mantenere il suo potere assoluto e viene eliminato e sostituito alla prima occasione. E questo lo hanno fatto tutti: Stalin, Gheddafi, Hussein, Amin Dada, e sì, anche Hitler (l'episodio su Goring che hai citato è una eccezione, ricordiamo la Notte dei lunghi coltelli, in cui Hitler effettuò una notevole purga interna al partito).

    Aggiungo una considerazione: tutti i dittatori si sentono degli dei e hanno bisogno di pompare al massimo la propria visione di sé; spesso credono di avere una missione divina per la quale sono destinati. Da questo punto di vista si può dire che sono ancora dei bambini, o come dici tu dei quattordicenni in fase orale, "io io", "voglio voglio". Chissà, non hanno avuto conferme dalla vita e dalle altre persone (oggi è molto facile) e le loro delusioni li hanno spinti a essere quello che sono stati? Ma non vorrei fare psicologia spicciola, quindi chiudo qui il mio commento augurando anche a te di trovare un po' di amore in questo mondo di certo pieno di contraddizioni, ma non privo di meraviglie.

    Un abbraccio! :)

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    1. Ciao Federico grazie davvero per il bel commento. Hai ragionissima su tutto: mi sono molto incentrato su Stalin perché nel periodo in cui scrivevo questo articolo vedevo molti documentari storici sulla Russia. E poi perché la metanarrazione del comunismo mi sembra la più potente di tutte, anche del nazismo e degli altri (ingenui) socialismi minimali. Forse perché in un certo senso ha profonde radici cristiane.

      In effetti, bambini o meno, i dittatori si nutrono di metanarrazioni del sé; nella fase adulta dell'intelletto, non esistendo narrazioni, non possono neanche esistere tiranni. Che poi ognuno di noi ha un tiranno dentro di sé da tenere in-check: è il dramma dell'essere umano in fondo, no? Quello di doversi per forza legittimare in qualche modo, facendo altresì i conti col proprio narcisismo e la propria solitudine. :)

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