martedì 9 aprile 2024

Fame Blu, un libro di Viola Di Grado: Riflessioni personali


Premetto che il libro in questione mi è piaciuto. Lo stile dell'autrice (che deve molto ai classici giapponesi), la copertina, l'impaginazione, la scelta della carta... Insomma, non ho alcuna voglia di donarlo alla biblioteca, come spesso faccio con i libri che non mi lasciano niente. La trama narra della relazione omosessuale tra un'insegnante di lingua italiana e una giovane femme fatale cinese, tale Xu. L'incontro avviene a Shangai, che viene abilmente fatta rivivere dalla rodata tecnica della scrittrice. Per quanto cliché, Fame Blu si presenta come una storia di alienazione ben fatta: la protagonista narrante è abulica, in lutto per la morte del fratello e la sovrainformazione della sua nuova città la sommerge, diventando man mano parte di lei. L'esperienza dei rapporti umani, in primis il sesso, si mescola in un tutt'uno a quella del cibo, venendo per di più ostacolata dai limiti linguistici (l'autrice conosce il cinese e utilizza la sua conoscenza per creare incomunicabilità tra i personaggi). L'identità delle due protagoniste, che fanno sesso al mattatoio abbandonato mordendosi a vicenda, è un po' come uno specchio caduto a terra: frammenti dispersi nei quali non si vede altro che se stessi. Il cibo, così come l'amore macabro e tossico, riempiono vuoti compulsivi, ma non curano alcunché. Il tutto, finale a parte (è questa l'unica nota dolente, ma ne parlerò  più avanti) sembra quasi un film di Shin'ya Tsukamoto girato da un punto di vista femminile. Poi c'è il locale notturno amato dalla femme fatale, lo spleen e tutto ciò che vogliamo. Questo libro in un certo senso assomiglia prima parte del mio, anche se io lì raccontavo un amore tossico tra un lui e una lei. Eh sì, la borderline straniera. La modella superfiga che ti fa soffrire. Il/la partner tossico/a che a te, te che sei così debole e insicuro/a, sembra infondere un po' di brivido, un po' di voglia di strisciare a terra, le emozioni forti. Qualcosa di nuovo e di poco noioso. Perché ormai scriviamo tutti storie così?


Sia chiaro che la storia d'amore dannata – anzi, "amore", mettiamo il virgolettato, è meglio –  non è una cosa nuova. Mi viene in mente la scapigliatura, per fare un esempio. Oppure Malombra di Fogazzaro, sempre rimanendo nel perimetro dei miei romanzi preferiti. I tormenti ottocenteschi di Huysmans, che scriveva di hikikomori ante litteram. Prima c'erano i romanzi avventurosi, i grandi viaggi, le guerre napoleoniche: insomma, una dimensione strettamente narrativa ed epica della vita. Poi è arrivato l'industrialismo e da un lato abbiamo i trovatelli e dall'altro gli amori tossici. La scapigliatura in fondo nasceva dalla noia, dal vizio borghese, quindi dalla sottrazione della dimensione epica e avventurosa all'essere umani (la cosiddetta dimensione puramente "narrativa", diventata poi pseudonarrativa). La Fosca da archetipo diventa quindi la pulsione di morte che altro non è che l'esaltazione della vita ai massimi livelli. Il capitano Achab cacciava Moby Dick; lo scapigliato o l'esistenzialista invece cacciavano la nevrotica freudiana, oppure guardavano sotto la gonna delle ragazzine. Nella narrativa contemporanea, d'altro canto, ho il sentore che si sia fatto un passo oltre (dico in termini di disagio). Nel mio libro c'è Lalah, la femme fatale marocchina completamente soggiogata alla frivolezza e al consumo, che si atteggia a predatrice quando invero è la vittima. Nel romanzo Troppi Paradisi di Walter Siti, che viene (e verrà) considerato un classico del nostro tempo, c'è l'amore del vecchio professore per il modello bellissimo delle borgate, borderline pure lui. Un'altra Lalah, sempre al maschile, la troviamo ne Le Ferite Originali della Caruso. E infine, tornando a Fame Blu, abbiamo una Lalah cinese.  Insomma, una società di amanti borderline e di deboli che ne diventano subito succubi. 


Gli amanti o le amanti maledetti/e ottocenteschi/e come accennavo prima erano archetipi; quelli/e dell'oggidì invece sono dei/delle deboli in preda a piccoli vizi e piccoli piaceri, quasi sempre impasticcati/e o tossicodipendenti (dai Paradisi Artificiali di Baudelaire ai Troppi Paradisi di Siti il passo è breve, cambia soltanto la quantità). Ciò detto, gli archetipi ottocenteschi tendevano a colmare una dimensione epica che ormai si era conclusa; i/le borderline di oggi, invece, colmano vuoti alimentandoli in un ciclo continuo. Ed ecco quindi le metafore di questo Antropofagia a metà, di questo Fame Blu. Mettendo da parte il fatto che la gente non legge più e che le storie che si scrivono, storie tra l'altro tutte uguali, riguardano quasi sempre disagiati, direi che il livello di disperazione a cui siamo arrivati nell'oggidì non ha precedenti nella storia della narrativa umana. Troppa comodità, troppi vizietti, ma una sistematica incapacità di affrontare sia il piacere che il dolore, perché il comun denominatore di chi mangia e di chi viene mangiato è la debolezza, l'abulia. Infatti Xu, così come Lalah e compagnia, è pure lei una debole. Perché vittima e carnefice sono le due facce della stessa medaglia, della stessa società, come emerge soprattutto dal libro di Walter Siti. Ciò che rimane sono soltanto gli impulsi, e la necessità di perpetrarli a oltranza. Si cercano la sofferenza e il brivido perché nella società della sedazione di massa sono gli unici grandi assenti. Quando poi li si trova nel partner o nella partner borderline non si è in grado di affrontarli e si collassa su se stessi, nella propria solitudine, che facilmente può diventare pericoloso solipsismo. 


Quando leggo romanzi contemporanei con questo tipo di vicende, di solito trovo dei finali-contentino: la Di Grado e la Caruso, ad esempio, fanno redimere le persone tossiche in un colpo solo e tutto ciò che è stato costruito prima crolla, come se non si fosse in grado di andare fino a fondo nella propria critica sociale, sempre se questo era l'intento (il più grande difetto di Fame Blu a mio modesto avviso è l'improvvisa redenzione di Xu, che nella realtà non sarebbe mai avvenuta). Penso che comunque accettare una sorta di capolinea delle relazioni umane (e quindi dell'esperienza umana) nonché la fine dell'amore in quanto tale, quell'amore che dovrebbe essere il supporto reciproco di due persone che prendono atto della propria incompiutezza (vade retro!); quell'amare che, soprattutto, volendo citare CHARLY con la R al contrario, è anche "lasciare andare"... ecco, ho come la sensazione che prendere atto della catastrofe sia diventato pressoché impossibile. Criticare la società d'altro canto va bene fino a un certo punto: anzi, forse è pure un po' ipocrita, perché in fondo si fa parte di questa società, ci si è invischiati, appiccicati e quindi non la si può mai contraddire veramente. Spesso, anche quando scrivo qui, mi chiedo: ma ha veramente senso criticare la società? Esiste questa società o esistono micro bolle di persone omologate tra loro e chiuse nel loro microcosmo che pensano tutte le stesse cose e dicono tutte le stesse cose e quindi è impossibile fare di tutta l'erba un fascio? Non lo so. Sicuramente la scrittrice, lo scrittore e i loro personaggi fanno tutti parte dello stesso orizzonte d'insensatezza. Il/la borderline deve quindi avere sempre una seconda possibilità, non è ammesso che si fotta e finisca lì. Non ci può essere un finale dove ad esempio l'altro o l'altra, quello/a che era tutto/a rapito/a dal vampirismo altrui, invecchi e ripensi al fatto che quel tipo di rapporti senza limiti né mentali né carnali erano cose tipiche di una dimensione adolescenziale innaturalmente protratta nell'adultità, una dimensione divenuta "apocalittica" in quanto contagiata dalla solitudine e dell'asincronia tra il proprio orologio interiore e quello esterno. Per di più, a osservare le persone e ciò che creano, fanno e dicono, ho l'impressione che questa "dimensione adolescenziale" si perpetui fino alla vecchiaia. Non per nulla Walter Siti scrive di un sessantenne che va con un amante molto più giovane di lui; Xu è più giovane della traduttrice e così via, e non c'è bisogno di andare a bussare a Sartre e alla sua ebefilia. L'attaccamento all'adolescenza perché poi non c'è più niente; il culto della giovinezza in un mondo che la giovinezza, quella vera e biologica, la distrugge. La giovinezza, sì, che è tutta corpo e corporeità e quindi attaccamento alla vita. La giovinezza, sì, durante la quale si è incapaci di vedere gli altri e si vede soltanto se stessi. E poi il fantasy, i cartoni animati, Netflix, le storie d'amore maledette che finiscono bene, i Fabbricanti di Lacrime (lol). Si cerca il brivido, ma poi si esige sempre la consolazione. E ritorniamo nuovamente, come sempre, ad Anno Hideaki. Non per nulla c'era già tutto in Evangelion – che poi in realtà altro non era che Shiki Jitsu (ed ecco di nuovo l'amante giovane e borderline) con l'aggiunta di vaccate otaku ed esoterismi new age per casalinghe annoiate. E prima ancora di Anno, Pino Daniele: Ma che parlamme a fà, ah-ah... Sempe d''e stesse cose... Qui ci sarebbe invece da dire: Ma che scriviamo a fà? Sempe d''e stesse cose...

8 commenti:

  1. Leggendo questa recensione il primo pensiero è andato a Gothe, al giovane Werther e alla consapevolezza della sua passione autodistruttiva per Lotte, all impossibilità di potere vivere il suo sentimento anche perché lei sposerà Albert. Imperterrito Werther continua la frequentazione dell amata fino al suicidio finale. Amori tossici, oggi com ieri ne abbiamo esempi nei romanzi, nei film a teatro...l epilogo tragico e quindi preferibile a quello consolatorio e vagamente non realistico ? Semplicemente "amare" ed "innamorarsi" è un percorso arduo assai... e citando la Barbara Alberti amare è per le persone coraggiose il resto sono relazioni...

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    1. Il vero finale, al giorno d'oggi, è l'indifferenza reciproca e forse un successivo, solitario rimpianto di un passato idealizzato. La tragedia ha ancora una carica epica, è ancora un palliativo all'assenza di senso (Nietzsche). Viviamo di fatto in un'epoca post-tragica, vedasi il tizio che dorme con l'orsacchiotto che ammazza la fidanzata e il tutto, tra media e libri pubblicati e slogan pseudopolitici, diventa grottesco, quasi una parodia à la Gulliver. In fondo i Baustelle cantavano "un romantico a Milano", e già il titolo della canzone è una contraddizione, una cosa impossibile. Infatti poi dopo hanno cantato "Betty", in cui c'è il famoso finale realistico, che in realtà è un non-finale.

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  2. Iniziano le impressioni istintuali.
    Sarà così banale, o così impossibile da perseguire con coerenza, una storia d'amore verso una persona in parte infantile e in parte adulta per come si comporta, in maniera che non si riesce a capire se sia coerente o meno, e che per questo motivo risulta contraddittoria e affascinante? Troppo idealizzato e inverosimile, e provando a sviluppare l'idea si ricadrebbe nello stesso quadro dell'articolo?
    Probabilmente, per creare una storia che stia in piedi in questo senso, servirebbe sempre restringersi al campo delle malattie mentali, sostituendo il disturbo borderline con una forma di autismo ad alto funzionamento...? E mentre parlare del borderline sembra diventato lentamente "di moda" (passami il termine: al di là dei romanzi, mi riferisco al fatto che da quasi un anno vedo in giro manifesti di trattati psicologici divulgativi autopubblicati sul tema!), l'autismo in forma poco visibile sarebbe ancora da iniziare a sviscerare...?

    A proposito di infantilismo e adultità non patologici, ci vorrebbe lo spin-off di Antropofagia su Clara: che ha vissuto per superare la fine della relazione con Ulrico e per rispondergli con maturità in un'occasione successiva (cerco di non spoilerare)? Forse è l'unico evento di contorno su cui resta il punto interrogativo. :D

    Per il resto, direi che per scrivere qualcosa di originale vale la pena di dare la piattezza per acquisita e recuperare il gusto di giocare un po' con il lessico e la sintassi (restando comprensibili il giusto), che mi pare sia poco diffuso. E se si ha bisogno di creare una realtà parallela per sfogarsi, quello è un sistema particolarmente spontaneo (che lo si faccia in prosa o in poesia). :)

    (è troppo tempo che rivedo questo commento, mandiamolo così!)

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    1. L'autismo penso che non sia molto calcolato perché non ha carica erotica, ma ascetica. Il borderline piace perché chi lo porta spesso è un bello o una bella che fa molto sesso, e la nostra di fatto è una porno-società.

      Per quanto riguarda Clara, penso che la potrai ritrovare sia nel fumetto, sempre se uscirà, sia nel mio prossimo libro, sempre se tale libro prima o poi uscirà (non ho più voglia di affidarmi a piccoli editori, quindi sarà difficile). Non mi va comunque di scriverne la storia in modo compiuto e regolare (nel fumetto ad esempio apparirà senza connotati, soltanto nei flashback). Clara alla fin fine è l'amore giovanile perduto, è un simbolo.

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    2. Interessante interpretazione. Personalmente non mi pare che l'autismo sia privo per forza di una carica erotica, e secondo me è pure rappresentabile (da qui in poi tiro a indovinare, chi ne sa più di me mi perdoni. Davvero, visto che è un tema sensibile).
      Magari essa potrebbe essere in generale strettamente focalizzata a precisi dettagli/aspetti della persona amata e tendere a rimbalzare dall'uno all'altro (legame con il concetto di fissazione a volte stabile a volte passeggera?); questi potrebbero essere ad esempio un comportamento "infantile" e uno "adulto", o molto altro. Da qui la fatica sarebbe avere un'immagine completa e organica di costei, avere un amore e non un feticismo (?): per far questo una persona autistica avrebbe bisogno di una spiegazione/"razionalizzazione" esplicita a parole, non essendo incline alla spontaneità. Un'idea che mi viene è spiegare a parole questo processo come quello che accade quando si guarda un quadro cubista, in cui il cumulo e la sovrapposizione di diverse prospettive dovrebbe dare un'idea dell'"essenza" dell'oggetto.
      (Se in futuro comparirà un romanzo del genere, forse sarà pessimo, ma pretenderò i diritti dell'idea :D)

      Su Clara: il bello, volendo, è che appunto non resti un simbolo immobile, né nella "realtà" (visto che è un romanzo, dal punto di vista di un narratore onnisciente, insomma) né per il poco che ne sa Ulrico. Sarebbe bello mostrare che Ulrico si accorge, con l'ultimo messaggio che si scambiano, che Clara ha davvero dei connotati, anche se non ha idea di quali. Non saprei come, però (un insieme di frammentini chiari del loro passato insieme mescolati ad altri sfocatissimi che creano una qualche figura? Poco fattibile, forse).

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  3. Non so, io ragionavo questi giorni che ci sono persone che ce la fanno, hanno la forza per farcela, e altre che no. Mi è passato di vista su instagram il sorriso ormai storto di una modellina che ebbi la fortuna di conoscere appena maggiorenne, cannibalizzata dai genitori ancor prjma che dalla società.

    Credo che il finale di queste storie, il finale reale, sia la bellezza distrutta dell'individuo e, con logica frattale, della.società.

    L'altro finale e una bellezza che sboccia, si perpetua e mutua con il tempo. Sempre con logica da frattale.

    Quando da ragazzino studiai sistematicamente tutti i testi della filosfia greca, nonché alcuni dei principali testi critici a riguardo del 900, non compresi per nulla l'importanza profonda della discussione sull'essenza del bello, pur cogliendone la tensione dialettica mi sembrava frivolo.

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    1. L'essenza della bellezza è la giovinezza incontaminata dal sociale, che è un costrutto innaturale creato dall'uomo per il suo tornaconto.

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    2. La bambolina
      La stessa di prima
      Si espone in vetrina
      Si piega, si inchina
      Al tempo
      Al potere
      Si guarda il sedere
      È grassa
      Si sente così
      Padre delle nuove borgate
      Delle vite ammazzate
      Buon Dio dell'estate
      Regalale un fiore
      Che sia liberata dai sogni
      E dal falsi bisogni
      Non compri
      Non esca
      Non cresca
      Sia vera


      Ricorda un po questi versi dei baustelle, che poi ogni volta che li sento mi ricordano proprio lei.

      Si guarda il sedere, è grassa, si sente cosi. Credo che il testo completo sia una delle piu belle loro.

      Peraltro su base kantiana, è implicito anche il perché onlyfans, lo stesso fare le modelle e tutto il resto sia male.

      E il suo triste sesso
      Sia fine a sé stesso


      Ogni uso del bello come mezzo e un suo svilimento. L'uomo come fine, il bello come fine, il sesso come fine. Fuori da ciò, maledizione e degrado. La storia immortale. Orson welles vecchio. Assonanze tra.cose diverse.

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