giovedì 4 aprile 2024

Laboratorio Palestina, un libro di Antony Loewenstein


"Questo libro è stato scritto come un avvertimento riguardo al mondo spaventoso che potrebbe spalancarsi se un etnonazionalismo di stampo israeliano dovesse continuare la sua ascesa in un secolo già segnato dalla volontà di potenza di nazioni che non si piegano a niente, dalla Russia a Israele alla Cina agli Stati Uniti".  


Il libro in questione è uscito da poco, è stato scritto da un ebreo nipote di ebrei fuggiti all'olocausto (quindi direi che non si può tacciare di antisemitismo) e a mio parere è un capolavoro di giornalismo, allo stesso modo dell'inchiesta di Yoram Binur di cui avevo parlato qui. In quest'altro post avevo espresso le mie idee personali in merito all'attuale conflitto in corso; l'inchiesta di Loewenstein, rigorosamente documentata, sembra fare un ulteriore passo in avanti rispetto a  ciò che avevo scritto e pensato, fornendo un panorama a dir poco distopico dell'attuale presente della nostra umanità. Il libro infatti non si ferma soltanto a far luce sull'efferato militarismo hi-tech israeliano, ma mette in evidenza il controllo dei mezzi di comunicazione, in particolare i social media, da parte del ben noto Stato mediorientale da sempre in simbiosi con gli USA. Altro punto cruciale è l'utilizzo della Palestina da parte dell'industria delle armi israeliana come "ambiente di test" per i propri prodotti, che in seguito verranno esportati verso altri stati o regimi con la garanzia dell'efficienza anti-terrorismo, anche quando il terrorismo sono donne, bambini, ambulanze, ospedali, operatori umanitari e così via, generando introiti multi-miliardari. Detto ciò, in un certo senso mi stupisce che un grande e potente editore italiano come Fazi abbia deciso di pubblicare un libro del genere, contando gli interessi che attualmente l'Italia ha in ballo con Israele (in primis i contratti di fornitura di gas naturale nati dopo la faccenda Nord Stream, e qui si capiscono molte cose in merito alla censura in corso sui nostri media). 


"L'intelligenza artificiale di Facebook tratta gli attivisti palestinesi come tratta gli attivisti neri americani. Li blocca". 


"Uccidere o ferire dei palestinesi dovrebbe essere facile come ordinare una pizza. Questa era la logica dietro una app messa a punto nel 2020 dall'esercito israeliano e che permetteva a un comandante sul campo di inviare dettagli di un bersaglio su un dispositivo elettronico ai soldati, che a quel punto avrebbero neutralizzato rapidamente quel palestinese". 


"Grazie alle tecnologie della sorveglianza, adesso un paese può evitare di massacrare i manifestanti. Oggi è possibile identificare e interrompere la sorveglianza del prossimo Nelson Mandela prima ancora che sappia di essere Nelson Mandela".


Ecco, quest'ultima citazione che ho riportato dal libro mi ha fatto paura, anche più della seconda. Dico sul serio. La sostanza comunque è che Israele, tramite le sue aziende satellite, ha creato software di hacking e sorveglianza con i quali il governo tiene orwellianamente  – questo è l'aggettivo corretto, e ciò è quantomeno inquietante – sotto controllo i palestinesi. E grazie alle recenti tecnologie Big Data si possono archiviare sempre più dettagli della vita di sempre più persone, che poi risulteranno minuziosamente schedate, in pieno stile stalinista. Qualcuno risulta scomodo? Lo si può ricattare, si possono manipolare le informazioni sul suo conto, in extremis si può farlo sparire. E no, non è Stacy. È molto peggio. Questi strumenti sviluppati in Israele e testati sui palestinesi, in seguito, come accennavo, vengono esportati verso i regimi minuziosamente elencati nel libro, conducendo a una sorta di "globalizzazione" della sorveglianza (addirittura Israele e USA si spiano a vicenda, il che è tutto dire). 


"Lo spionaggio dei telefoni cellulari è solo l'inizio di ciò che sarà possibile con la completa sorveglianza delle nostre vite [..] Può darsi che allora inizino [la NSO, società di spionaggio israeliana] ad hackerare le telecamere dentro casa, accendendo i microfoni per ascoltare. O i frigoriferi, i forni, le automobili...". 


Proprio come ho scritto in innumerevoli miei post, i social media sono uno strumento di "dividi e impera" a uso del consumo del potere, un po' come lo era la televisione ai tempi di Pasolini. Ma allo stesso tempo, come ci mostra in modo più che documentato questo libro, possono essere altresì utilizzati come strumento di controllo o per manipolare pesantemente l'opinione pubblica facendo "sparire" i contenuti sgraditi agli Stati "amici" di Meta (i quali includono altresì autocrazie come l'India). Uno Stato fa pressione, alza la cornetta di Marco Zucchettocoso ed ecco che l'algoritmo fa sparire i post e i commenti di palestinesi o di altre minoranze perseguitate dai rispettivi regimi ultra-tecnologizzati che fanno affari con Israele. La scusa ufficiale è poi che Meta  – anche se in un mondo giusto una società privata con un potere così grande non dovrebbe esistere – deve vendere, quindi magari le ragazzine che twerkano su Instagram vanno bene perché attirano più utenti per le pubblicità; una testimonianza di una violazione dei diritti umani invece no, è roba brutta che non vende, tipo un romanzo impegnato. Nel libro di Loewenstein tra le tante cose viene fatto l'esempio del battaglione neonazista ucraino Azov, che poteva arruolare indisturbato personale su Facebook senza subire alcuna limitazione, soltanto perché "alleato" dell'occidente filo-atlantista. 


"Gli israeliani sostengono di essere il popolo scelto, gli eletti di Dio, e adducono una giustificazione biblica per il loro razzismo e il loro esclusivismo sionista. Questo rimanda agli arikaner del Sudafrica dell'apartheid, anch'essi con l'idea biblica che la terra appartenesse loro per diritto divino". 


La Markabah, che ad esempio dà il nome ai carri armati dell'IDF, in fondo è il trono celeste che avvista il profeta Ezechiele nella Bibbia: le armi sono i mezzi di giustizia divina che Dio ha messo in mano al suo popolo eletto, che è legittimato a dominare su tutto e tutti, nonché di plasmare tutto e tutti alla propria volontà di potenza. Questa visione molto simile all'iconoclastia nazista è del tutto diffusa tra i rappresentanti di estrema destra e meno moderati del popolo di Israele, ai quali fa capo Benjamin Netanyahu. Come scritto nel libro, sue sono le parole "Loro [il mondo] diventeranno come noi più di quanto noi non diventeremo mai come loro". Insomma, un atteggiamento messianico a tutto tondo. Come facevo notare nel mio post sulla postmodernità, è alla mentalità ebraica non ortodossa che risale l'idea di "realizzazione divina tramite le cose del mondo e gli affari". Questa concezione, poi, mescolandosi al puritanesimo calvinista statunitense, ha originato il mito della solitudine "felice e progressista" ma invero alienata e dislocata dell'oggidì. In ultima istanza, tirando le somme, una società vuota dove tutti cercano di inculare il prossimo con il coltello tra i denti per qualche spicciolo in più, dato che il neoliberismo tatcherista e reaganista ha pienamente fallito e impoverito tutti, a parte ovviamente una piccolissima fetta di popolazione mondiale. Il pericolo, tuttavia, è che il passo successivo possa diventare un totalitarismo assoluto di stampo capitalista, in cui le narrazioni fantoccio vengono meno e rimangono soltanto onnipotenti corporazioni hi-tech e Stati in combutta con esse che manipolano e monitorano le masse tutto il tempo, stroncando ogni opposizione sul nascere. Un vero e proprio totalitarismo da romanzo distopico a tutto tondo: da Brave New World di Huxley per ricascare nuovamente in 1984 di Orwell, o forse qualcosa di addirittura peggiore. 

2 commenti:

  1. Ieri ho rivisto, per la terza volta credo, il ragazzo selvaggio di Truffaut.

    Mi viene sempre piu la convinzione che uno dei discrimino tra societa moderna e post moderna sia la stima nell'essere umano e nella sua potenzialità, il desiderio di conferirgli dignità prima e il suo disprezzo e svalutazione dopo. A piu livelli.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Quello che dici è molto generalizzato, però in sostanza sì, concordo. Nella modernità c'erano ancora grandi narrazioni, poi sono collassate. Ovviamente l'uomo, essendo costituito di linguaggio, non può che darsi senso mediante narrazioni. Cadute quelle, o diventate simulacri, l'uomo inizia a odiarsi e autodistruggersi.

      Elimina