"Non mi piacciono i ragazzi che si isolano" ha detto una collega ad altri colleghi in un'oziosa discussione di fronte alla macchinetta del caffè. Ne ho dedotto che per lei le persone devono essere tutte estroverse e che quelle come me, proprio come vuole la società performativa dell'oggidì, non siano tollerate. Un'altra collega, una bionda molto bella, si ingobbisce, avvicina gli occhi allo smartphone ed esclama: "Uno da quaranta kappa follower mi segue, è famoso!". Sembra proprio che ci uscirà insieme, chi lo sa. Un altro giorno parlo per caso con un influencer di successo che conosco da una vita (ma che evito di frequentare) e, seguendo il filo di un discorso, lui a un certo punto mi dice: "Ieri ne ho provata una magra, conosciuta in chat come tante altre. Deludente, non sa scopare". Mi viene quindi il dubbio che questo individuo, per quanto sgradevole ed egoriferito, venga scelto come partner da molte femmine in quanto in qualche modo visto come "capobranco", o quantomeno come reuccio ben conformato al sistema dei like e dei follow. Qualche psicologo ha detto che femmine hanno una "mente ad alveare", ossia che tendono a conformarsi all'ambiente circostante per inconsce ragioni di sopravvivenza della loro potenziale prole; non per nulla, una volta mia madre, nel mezzo di un discorso, mi confessò: "A me non me ne frega niente della filosofia, io sono pragmatica, ho sempre cercato di adattarmi". Un uomo eterosessuale quindi, per poter aver la garanzia di ottenere del sesso non a pagamento, deve in qualche modo essere attinente alla moda. Tra l'altro ho come l'impressione che le femmine vadano a momenti, a fasi (mi vengono in mente i calendari lunari del matriarcato, basati sul ciclo mestruale). Il loro ventre, dopotutto, è una sorta di orologio che da millenni stabilisce la predisposizione e i tempi di fioritura della vita. Fatto salvo ciò, il vuoto dettato dalla noia, d'altro canto, spinge le persone a ricercare maggiormente il sesso, anche con partner diversi: uno scientista direbbe che ciò è necessario al fine della diversificazione del genoma ("L'infedeltà è figlia dell'istinto naturale // Contribuisce al miglioramento della specie" cantava una volta qualcuno su MTV). Moda e noia sono pertanto due cose fondamentali nella nostra natura: se gli esseri umani fossero tutti asceti refrattari al mondano e perennemente impegnati in attività intellettuali, si riprodurrebbero con una frequenza molto più bassa; d'altro canto, più una persona acquisisce conoscenza e diventa consapevole di sé e della vita, più tende a sviluppare una forma di pensiero tendente al nichilismo o al pessimismo, nonché un mindset che induce a comportamenti antisociali (mi viene in mente CHAЯLY, un film molto discusso su questo blog). "Quando andavo al Leoncavallo dovevo farmi piacere musica di merda per poter skopare" mi disse una volta un metallaro diventato finto ska-boy per rimorchiare. E poi vabbè, gli esempi sono infiniti e sotto gli occhi di tutti.
Lo smartphone, un oggetto inutile per i più, nonché fonte di innumerevoli distrazioni e la cui fabbricazione è altamente inquinante (si pensi al lago Baotou in Cina), non è nato per essere mainstream. Steve Jobs inizialmente lo presentò come un gingillo destinato ai manager, ossia persone con la necessità di leggere e inviare email in ogni momento della giornata. Il piccolo computer portatile che ormai tutti hanno perennemente in mano è diventato di dominio pubblico quando il suo antenato di fatto è diventato una moda. Se le persone fossero immuni alle mode, telefonerebbero ai propri cari con un Nokia 3310 e tanti saluti. La stessa cosa si potrebbe dire delle auto elettriche, un'altra moda completamente inutile, sicché le batterie, di per sé altamente inquinanti, vanno comunque riempite di energia elettrica, e le centrali elettriche vanno a gas, carbone e nel migliore dei casi a energia nucleare (mi viene in mente quando i bus elettrici di Torino venivano ricaricati con generatori diesel). In una macchina a benzina l'energia viene prodotta direttamente dalla combustione; in una macchina elettrica c'è un passaggio in più che introduce un'ulteriore forma di dispersione energetica (la corrente elettrica va comunque trasportata dal motore che la produce alla batteria). È un po' come tatuarsi: la cosa genera un certo dispendio di risorse, nonché una modifica dell'enviroment (in questo caso il corpo umano, che alla fin fine è una coltura di cellule; inutile osservare che tali cellule, incluso il sangue, vengono contaminate dall'inchiostro), rimanendo sempre e comunque una cosa inutile. Tuttavia essere tatuati e col culo appoggiato su una Tesla significa essere al passo con i tempi, ossia con la moda, e pertanto garantisce più possibilità sociali e riproduttive.
Ma perché una cosa diventa "moda"? Perché lo smartphone, per esempio, ha avuto tutto questo successo? La risposta è semplice: perché, facendo da scacciapensieri e fornendo un certo numero di comodità e gadgets, è venuto incontro alla pigrizia dei consumatori. La pigrizia è infatti a parer mio il terzo pilastro dell'umanità, insieme alla moda e alla noia. La pigrizia in fin dei conti è una semplice legge di natura, che rileviamo altresì nella fisica teorica: mi riferisco al principio di minima azione, quello che sancisce che un corpo, dovendo scegliere tra tanti cammini, sceglie sempre quello più breve, ossia quello che comporta meno "fatica". Gurdjieff, nei suoi insegnamenti, sosteneva che la vita umana sulla terra ha uno scopo cosmologico: la "biomassa" terrestre per lui è una sorta di meccanismo astrale – l'elemento della vita è il Carbonio; la vita sulla Terra ha avuto origine ed è perennemente alimentata dal Sole – utile al "raggio di creazione" per preservarsi. Esoterismo a parte, l'osservazione, d'altro canto, ci fa intuire che l'unico scopo della vita organica sulla Terra sia la preservazione della vita organica sulla Terra: gli animali che si sbranano a vicenda o si accoppiano generando nuovi animali e via dicendo sono come particelle atomiche che si scambiano elettroni o protoni; in pratica i tasselli di un unico puzzle che fa di tutto per autosostentarsi. "Tutto ciò che esiste nell'universo è frutto del caso e della necessità", scriveva Democrito nell'antica Grecia e, molto tempo dopo di lui, Jaques Monod in Francia. Il caso ha lo scopo di diversificare, siccome per un agente perturbante esterno è molto più facile distruggere un sistema le cui parti sono tutte uguali tra loro. La necessità invece serve a mantenere il più possibile lo status quo, ossia la preservazione stessa del sistema. Siamo quindi i ricambi di una grande macchina, la quale non si cura delle sorti umane o dell'intelligenza o delle virtù di un suo singolo, minuscolo, insignificante ingranaggio. Se pertanto Khaby Lame, il nero di Chivasso diventato famoso a fare le smorfie su TikTok, ingravida più donne possibili cavalcando la moda, la noia e la pigrizia altrui, questo rientra perfettamente nei piani della Natura. Anche il comportamento di Sofisti e Farisei, antichi o moderni che siano, è perfettamente coerente ai dettami naturali: Cristo e Socrate si incazzavano perché loro, essendo asceti e intellettuali di un certo calibro, di fatto stavano cercando di sfuggire alla "Madre che di tanto inganna i figli suoi". Intelligenza, consapevolezza di sé, altruismo, misericordia ecc. sono tutte cose contro Natura, perché vanno contro la moda – "Non badate al vestire, queste cose i pagani ricercano" –, la noia e la pigrizia. Non per nulla sono da tempo giunto alla conclusione che le religioni secolari altro non siano che tentativi dell'uomo di andare contro Natura. Infatti, oltre a tentare di limitare l'azione dei tre pilastri dell'umanità tramite leggi, usi e costumi, esse tentano altresì di ridurre l'impatto del trauma derivante dalla morte, la cosa più naturale che ci sia. Poi per carità, ci sono dei religiosi quanto mai ipocriti e nel nome delle religioni sono state compiute le più efferate atrocità; ma in generale, dalla mia esperienza personale, mi è parso di capire che le persone religiose vivano meglio di quelle piene di dubbi.
Ed eccola lì, infine, la morte. Il pilastro della vita. Da un punto di vista non umano, guardando al grande meccanismo che è la vita sulla Terra, trattasi semplicemente di una transizione, di un cambiamento di stato di una cellula, di uno scambio energetico fine a se stesso. Il problema è che la Natura, involontariamente, nei suoi processi ineluttabili, ha generato la coscienza, e la coscienza umana di per sé si percepisce come immortale. Le persone sono quindi convinte di avere un'anima, anche se molto probabilmente sono vuote sicché (in)animate da moda, noia e pigrizia. A mio parere l'anima è una cosa che intuitivamente si tende ad associare più a una persona speciale che a una omologata a tutte le altre: in un'ipotetica gerarchia delle anime, facendo un esempio, sicuramente quelle di Krishnamurti o Talete da Mileto primeggerebbero nettamente rispetto a quelle di Chiara Ferragni o Fabrizio Corona. L'anima infatti è linguaggio – In principio fu il verbo –, e gli scrittori, ad esempio, anche se morti, arrivano comunque a noi tramite le loro opere. È quindi più facile immaginarsi l'anima di un Paul Auster che quella di una persona analfabeta, per quanto un analfabeta, tramite preghiera e disciplina, possa benissimo "sedimentare" qualcosa che vada oltre la mera vacuità esistenziale. Lo stesso discorso vale altresì per gli artisti visuali: mi viene più facile immaginare l'anima di un Anno Hideaki o di un Felice Casorati piuttosto che quella di un tatuatore da millemila follower con i suoi disegnini prestampati. Tuttavia, un po' per pietà e un po' per i vizi della morale, l'anima si tende ad attribuirla a ogni cosa, incluse le bestie e i sassi; ma la prima impressione rimane pur sempre quella, e di solito l'intuizione, senza scomodare Spinoza, porta in sé un chicco di verità. "Ah, quello non ha la faccia da cretino, ne sa", si sente spesso dire quando si conosce una persona con lo sguardo penetrante. L'occhio dopotutto è il veicolo della coscienza, ed è attaccato al cervello che rielabora le informazioni ricevute tramite il linguaggio. "A voi è dato conoscere i misteri del regno di Dio, ma agli altri solo in parabole, perché vedendo non vedano e udendo non intendano", dice il Vangelo secondo Luca. Il mio amico armeno con i baffoni, d'altro canto, direbbe che l'anima la si crea mediante il lavoro su di sé (e pertanto mediante un lavoro di potenziamento della coscienza che alla fin fine, come lamentava Ouspenski sul finale de I Frammenti di un insegnamento sconosciuto, altro non era che una forma di ascetismo "attivo"). Se poi quest'anima si riesce a crearla, essa sopravvive un pochino dopo la morte, magari riuscendo a infilarsi in qualche altro corpo, magari diventando un corpo astrale: tutte cose affascinanti – la poesia dell'anima che sconfigge la meccanicità dell'odio e dei patimenti, un po' come accadeva nel film di Space Runaway Ideon –, ma che sono abbastanza inutili a noi vivi. Ciò ovviamente è antiscientifico e del tutto inutile alle necessità di Natura, che come dicevamo non si cura di quelle persone "speciali" che potrebbero essere portatori di anime sfavillanti. Persone speciali in quanto refrattarie a moda, noia e pigrizia; oppure persone che fingono di essersi adeguate a moda, noia e pigrizia continuando tuttavia a coltivare il proprio mondo interiore nonostante le difficoltà tipiche del meccanico mondo delle macchine (moda + pigrizia = meccanicità, dopotutto). "Non accumulate tesori su questa Terra, dove tignola e ruggine corrodono e dove ladri sfondano e rubano; accumulate invece tesori in cielo, dove né tignola né ruggine corrodono, e dove i ladri non sfondano e non rubano". Che cos'è il tesoro in cielo se non l'anima, la volontà umana che sfida la Natura per autoaffermarsi? Ma no, no, lasciamo stare. Non vorrei diventare troppo junghiano ora, troppo antropocentrico. Forse anche io ho bisogno di consolazioni ogni tanto, un po' come tutti. "Ankoku Shakunetsu Tanjou Ningyou // Nazukerarete Jindousetsu // Sekai Ayatsuru Tanitsu Sonzai // Hoka wa Kuusou Ningyoujutsu..."

A quasi 35anni mi pare ovvio che il significato della maledizione di cassandra, non essere creduta, vuol dire non essere capita.
RispondiEliminaLo sputo con cui Apollo maledice le sue labbra dopo che è stata rifiutato è la condanna alla solitudine, al mutismo funzionale per cosi dire (facendo il verso ad analfabetismo finzionale).
Che molta bella, finisca in fine stuprata è - a mio avviso - la cifra del rapporto sessuale a cui si è condannati con l'incomprensione. Simile ad uno stupro.
L'amore è conoscenza, cit.
Ho un rapporto problematico con il ragionamento per assoluti: ha la potenzialità di chiarire elementi fondamentali che si rischia di trascurare, ma allo stesso tempo mi sembra che facilmente venga incontro ai principi del post. Perlomeno al principio di pigrizia per la tendenza a incasellare una situazione in maniera binaria, presenza/assenza di un certo fattore; e al principio di moda per cui qualcosa o qualcuno che si accomoda alle proprie analisi è preferibile all'eccezione (anche solo perché è più facile comunicarci, se si sa precisamente cosa aspettarsi). Ovviamente questa dialettica è più visibile e grave per una persona come il sottoscritto, che ha pochissime esperienze concrete a fare da "tara"; e quindi tendo a sentirmi spaesato se mancano, ad esempio, tutte le cautele intellettuali a renderla più morbida.
RispondiEliminaAlla fine l'esito di una buona educazione marxista o semplicemente hegeliana (... dovrei provare a ri-capirci qualcosa di filosofia, sì) - quello che immagino il signor Mangione o Fantozzi non abbiano assorbito :) - è accettare che la realtà è dialettica. Dopotutto, il principio di pigrizia è speculare a quello di economicità, il principio di moda a quello di rappresentatività, e i termini alludono a una grande differenza.
(Ho trascurato la noia, vedo, ma quella forse è una costante. Di sicuro un essere privo di noia non scrive commenti di questo genere :) )
Ciao, *lui*. I tre pilastri, indipendentemente da come vengano inquadrati (brutalmente come faccio io o in modo raffinato come farebbe un Hegeliano), rimandano sempre al principio di meccanicità della natura. Siamo delle macchine in una grande macchina. Poi si può discutere su come "sfuggire" alle leggi di tale macchina, e se abbia senso farlo. Qui dipende sempre dalla propria esperienza di vita e dalle proprie inclinazioni personali.
EliminaCiao a te! Sul meccanicismo siamo abbastanza d'accordo. In effetti è importante chiedersi anche "se abbia senso" fuggire da esso: viene spontaneo rispondere di sì, direi, specie se sembra valga la pena di instaurare altri meccanismi un po' diversi, almeno locali e almeno per un po' di tempo. E dai dettagli di questa definizione si può argomentare il contrario, direi (*emoji che pensa*).
Elimina"Che schifo l'univocità unita alla non univocità della vita" (complementare del mio post :) ).
Il postmodernismo ha reso la società occidentale così frivola e ridicola da far sì che l'alternativa sia solo la muta dei cani sciolti. Una situazione di perdita certa, il punto è solo la scelta dello stile con cui si perde. "In questo gioco, non si può vincere..." - alla fine, tutta la letteratura "esistenzialista" francese del secondo Novecento non era che chiacchiera presudologotica sulla società e i suoi moti e i dui modi, come le scempiaccini di forum "incel" di oggi. Sarte era un "redpillatore" del suo tempo, lo stesso Bataille. Chi scriva libri, chi ora scrive un blog. Cambia lo spirito del tempo, che è il nome nobile della moda della società – anche e soprattutto più intellettuale. Sono tutte pontificazioni che non portano a nulla che alla prossima testa di ponte della prossima "moda". E comunque, "vivi nascosto" mi pare che in greco antico lo si dicesse più di duemila anni fa. Ed era già un adagio vecchio.
RispondiEliminaQuesto post mi ha ricordato che non si possono continuare a vedere le cose con un'occhio materialista ai limiti del cinismo, punto di vista che mi sembra qui fin troppo evidente, quando ogni elemento che costituisce il rapporto uomo-donna viene visto come impulso naturale animalesco e provi a darne una descrizione scientifica. Mi sembra che sia tutto molto limitante; possiamo concederci il nichilismo, il pessimismo (ed anzi dovremmo concedercelo) ma non dobbiamo mai scadere nel cinismo. Descrivere le cose tenendo conto solo di ciò che è reale e davanti i tuoi occhi è solo un linguaggio per capire le cose... e poi c'è tutto il resto. Per questo monito, ti ringrazio sinceramente.
RispondiElimina"il benefico e miracoloso Lapis Philosophorum è cosa che si può trovare solo nell'amorfo, lì dove non cercherebbe nessuno, tramite il metallo vile", e in questo c'è tanta verità. Alla conclusione di questo semestre universitario sono giunto alla conclusione che non posso più fare finta che tutte queste "cose" che stanno lì fuori mi vadano bene, come invece ho fatto intendere quasi per spirito di sopravvivenza, in un contesto in cui devi intrattenerti dal mattino al tardo pomeriggio con tante persone, strategia che certo ha avuto successo, ma non è quello il punto, perché se esiste un inferno, per me è quello.
Ma vedo che queste sensazioni non sono certo a mio appannaggio in questo periodo, forse è che per troppo tempo diamo valore e prestiamo attenzione alle cose sbagliate, alle cose con cui... non abbiamo davvero niente a che fare. Alla fine, rimaniamo sempre tutti noi stessi, e quelle cose così esterne alla nostra natura, continuano ad essere tali, a non incidere.
Mi sembra che i tuoi post mi siano di aiuto:)
"Mi sembra che i tuoi post mi siano di aiuto:)"
EliminaOh, grazie davvero. Non c'è cosa migliore di fare del bene a sé stessi facendolo nel frattempo anche agli altri. Penso che questa sia la cosa più contronatura che possa esistere, rimanendo in tema col post.
In ere pre-instagram-tiktok ho avuto il privilegio di sentire un frase cugina di "Non mi piacciono gli uomini che si isolano" da una conoscente che aspettava la nascita di un figlio:
RispondiElimina"Speriamo che non abbia quella cosa... quell'intelligenza. Cioè, io intendo dire quell'intelligenza 'triste". Quella è terribile".
L'avevo trovata così meravigliosa, così esattamente sul confine tra "sono una stronza superficiale" e "in fondo sto dicendo la verità" da inserirla in un testo per teatro amatoriale. Altra perla sentita anni fa in uno dei primi colloqui di lavoro. Mi arrivò questo monito: "a noi qui non interessano quelli che arrivano in ufficio, accendono il pc e iniziano a lavorare. Ci vede? Noi qui siamo BELLI (potei udire il maiuscolo), siamo DINAMICI". Fu una delle (poche) occasioni in cui potei permettermi di fare il personaggio stile fratelli Coen che si alza immediatamente, porge la mano, sorride e se ne va dicendo "in bocca al lupo".
E' la cultura (non ignoranza, proprio una cultura, per quanto discutibile) fino a qualche tempo fa condivisa dal villaggio vacanze, il reality televisivo, il coaching per la realizzazione personale.
L'esposizione social ha forse portato il tutto a un livello successivo, ancora più piatto ma più potente.
La cosa ha attecchito alla grande in quell'humus di anti-intellettualismo e pragmatismo che circola almeno dagli anni ottanta. Del pragmatismo intendo la versione spicciola, di bassa lega (anche se il concetto di "il mondo e la gente sono delle black box che non conosco? Chi se ne frega se mi danno quel che mi serve schiacciando i bottoni giusti" mi pare proprio la cifra del tempo). Talmente di bassa lega che - non a caso - fanno venire l'orticaria anche a chi, come me, intellettuale non è, ma prova solo un gran fastidio quando sente che mitezza e dubbio sono graditi quanto un riccio di castagna nel retto.
Ti consiglio due libri di Walter Siti: Troppi Paradisi e I figli sono finiti. Nel primo si parla della società "televisiva" anni novanta, nel secondo di quella "social mediatica" post-pandemica. Lui è proprio un grande, davvero. Detto questo, la frasetta "Speriamo che non abbia quella cosa... quell'intelligenza. Cioè, io intendo dire quell'intelligenza 'triste". Quella è terribile" è brutale, sì. E' una frase tipicamente femminile, perché unisce brutalità a innocenza. Forse la metterò pure io da qualche parte in qualche futuro libro, chissà.
EliminaMarco .A.: questo commento è *il* terrore, decisamente. Si spera che più che l'estetica e il pragmatismo possa l'apatia (semi-cit.)...
EliminaIo credo, oramai suonero come un disco rotto, che anche l'intelligenza triste non è che reazione all'introiezione di situazioni tristi :)
RispondiEliminaOra viene piu sottolineati perché la cultura buonista vuole che tutti abbiano lo stesso diritto alla felicità
D'altronde dalla ragazzina di Leon ai personaggi di stephem lkng venivano tutti da situazioni tristi.
È forse una difesa pensare che non è la vita che fa schifo in generale, ma la vita di qualcuno. E non perché è intelligente, capisce di più etc. Semplicemente perché è sfigato nelle varie declinazioni possibili :)
Sì, la tristezza non è certamente un merito di per sé, non rende Pokémon di livello più alto (se è questo il punto) rispetto a chi sente ed emana gioia e vitalità.
EliminaL'introiezione della "tristezza", oltre che dal vissuto personale, deriva però - credo - anche da un diverso tipo di atteggiamento nei confronti del reale, che a volte mi è difficile attribuire a cause esterne specifiche.
Chi pensa alle cose "come potrebbero essere", "come dovrebbero essere", sempre alla ricerca (vana?) di una migliore legge del mondo (intendo anche il proprio piccolo micro-mondo), e vede lo scarto tra questa "legge" ricercata e la realtà cogente, il mondo com'è, prova dolore, e si scontrerà più facilmente, credo, con insoddisfazione, bisogno di riflessione,
forse anche un generale senso di compassione.
Forse la stessa insoddisfazione che determina a volte l'impulso artistico.
Chi, invece, si pone al mondo constatando "questa è la realtà, quindi la realtà è legge" non è affatto più scemo, non è detto non abbia sensibilità, ma forse sarà più al riparo dalla "intelligenza 'triste'".
Più che a essere "immersi" in specifiche "sfighe personali" imputerei la presenza o meno di una certa "ricerca di profondità" a questo diverso approccio.
Vogliamo chiamare le due categorie qui sopra "sfigati e vincenti"? Può darsi.
Il punto, però, che, sentendo la frase che ho riportato, non ho pensato affatto a "persone tristi contro persone vitali", bensì a "persone che vivono il dolore e il dubbio e persone che vi scivolano sopra deridendolo o vedendolo come un ripugnante ostacolo al proprio imporsi".
Un altro aneddoto: un conoscente che raccontava - con ammirazione - di uno zio che, con severità, accanto ai nipotini che assistevano al funerale della propria madre, intimava "non piangete".
Era coerente con l'educazione all'inflessibilità che aveva reso la madre persona professionalmente molto rispettata (e con un certo costume "elitario" dei "ceti alti" della mia regione - ma immagino non sia fenomeno geograficamente isolato).
Ecco, sentire questo mi mise precisamente una grande "tristezza" per diversi giorni, nonostante la cosa non mi riguardasse affatto.
Se in un primo momento mi parve un granitico esempio di Hagakure in salsa piemontese, edificante in questo "mondo di piagnoni", quasi subito lo ripensai come comportamento fallace e tutt'altro che ideale, errato tanto quanto il dolore "recitato" o "esibito" (forse più da "social") che si trova in altri contesti.
Quei bambini diventeranno più forti? O soltanto più contorti, incapaci di offrire riconoscimento al dolore altrui e tendenti a esprimere il proprio in modi surrogati e ben più nocivi di quanto un bel pianto avrebbe potuto permettergli di fare?
Detto ciò, credo che il derby "questo dolore ti sarà utile" vs. "il dolore è inutile, tanto vale non pensarci" sia assolutamente aperto.
N.B. Parlo quindi della persona "triste" che da questa tristezza trae possibilità di futuro, facendosi forza del "conosci te stesso",
più che di chi si avvolge in questa tristezza come una coperta, E TUTTAVIA resto dell'idea che anche la persona "rotta", e anche come tale "improduttiva" e inadeguata a farsi narrazione esemplare (il vero sfigato?) abbia diritto a umanità e amore. Se si incontra l'insetto che fu Gregor Samsa, abbracciarlo si può. E' fare bene. Se anche credessi la cosa darwinisticamente "contro natura" (e non lo credo), ecco che, in un afflato da vecchio shonen e Jrpg, dichiarerei "e allora combatterò la natura stessa".
Guarda la mia ragazza attuale che pure è discretamente brillante ed intelligente, abituata ad essere oltre che la piu bella della classe anche quella più introversa, con cultura piu ampia etc.
EliminaBeh in passato qualche volta si è sentita a disagio, non all altezzs, per il fatto che culturalmente io sia ad un altro livello rispetto a lei, probabilmente rispetto a ogni altra persona mai conosciuta. E non lo dico per vantarmi, la mia ex anchd era notevole.
Sai come l'ho spiegato alla mia ragazza attuale? La fame per la cultura viene dal senso di solitudine, più o meno lo hanno detto in tanti. Ne so cosi tanto perche si ero un ragazzo intelligente ma.come sai sono stato particolarmente disgraziato da adolescente. E la mia ex storica era stata molto disgraziata anche lei.
Non è un derby. Poi crescendo, avendo i mezzi economici e mentali, ho cercato di rendere la mia vita il migliore possibile. Ma se vedo un 30enne che fs una vita di merda triste e depresso perché non scopa, o nin scopa di.qualita, e vive in 80m2 in una metropoli distopica...non dico che è depresso, o ha un intelligenza trisfe dico che introietta cose sgradevoli.
Se vedo.chs la generazione attuali e piena di "intelligenze triste" penso che è perché tutti i ragazzi delle famiglie piccolo borghesi stilemyamada du takahata siano destinati ad una vita da schiavi, sessualmente castrati tra le poche opportunità offerte dal fatto che sono complessivamente poveri aggravata dall essere imbevuti da una morale perbenista e da castrati. E allora ecco le intelligenze triste.
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Se mi immagino con un adolescenza normale mi immagino un coglioncello superficiale, arrogante con cultura medio alto utile per lo sfoggio sociale. Casomai anchd piu felice.....si chiama fortuna, ogmoumk la ha in dosi diverse. Sicuramente c e una certa predisposizione ma credo che quello che viviamo.ci cambi profondamente, conti piu di una nostra essenza
Forse cosi è.piu chiaro quello che intendevo.
A quella madre direi pensa a dargli i mezzi per essere felice, se poi è intelligente tanto di guadagnato non ti preoccupare
Per rispondere strettamente nel merito, la stessa ricerca di una legge migliore, specie se va a permeare l'essere determinandone il modo di esistere - la cd intelligenza triste in parole semplici- credo sia sempre più o meno in relazione al vissuto.
EliminaAncora la morte di un genitore in giovane età lo vedo come un evento parafisiologico. Sicuramente duro ma non necessariamente segnante in senso negativo.
Le 'intelligenze triste' mi paiono un mix di morale.perbenista da castrazione psicologica più tenore di vita da nuovo proletariato in giacca e cravatta. La morale da castrazione psicologica come il maggiore dei due termini della moltiplicazione.
Credo anche io che la perdita dei genitori in giovane età sia "parafisiologica", quantomeno rientra nel campo del perfettamente possibile, e in realtà non credo affatto (può darsi che da quanto ho scritto trasparisse questo?) che cosí tanti esseri umani siano "vittime speciali di traumi speciali che meritano un trattamento speciale". Credo però che sia "fisiologico" piangere, disperarsi, sentirsi perduti, chiedere aiuto, per poi farsene una ragione e andare avanti. Mi sembra più fabbricata e artificiale l'uniforme dell'homo superior sbattuta addosso ai ragazzini del mio esempio e trovo che chi ammira questa uniforme (come la persona che mi raccontava l'episodio) sia in qualche modo - a sua volta - vittima di uno sviamento.
EliminaAh si assolutamente, mi pare una pazzia dire di non piangere a dei ragazzi che hanno perso la madre.
EliminaNon so se hai letto settimane o mesi fa quando citavo Ernesto De Martino e in generale alcuni testi di antropologia inquadrando la morte, e l'elaborazione del lutto, come uno dei momenti topici dell esistenza umana. Specie la madre.per dei ragazzi poi.
Solo io ero rientrsto in discussione per la cosa dell intelligenza triste che mi pare una boiata assurda, stile uomini e donne si. Altro che ingenua e brutale e pertanto molto femminile
Gentile Marco, trovo il tuo ultimo commento squisitamente paradigmatico. Te ne ringrazio, e provo a dargli seguito. Quello che ti scrivi, lo lessi in una pagina italiana di psichiatria sulle cagioni del fenomeno "hikikomori". Poi conobbi personalmente, de visu e per caso, l'uomo che non coniò quel termine, ma che lo popolarizzo: il dottor Saitou Tamaki. Da allora ci ho pensato tanto. Alla fine, per schematizzare ovvero ridurre la complessità del reale alla semplicità della scienza, direi che tra le molte differenze delle persone, degli animi umani, c'è anche una diversa tendenza a assoggettare il proprio infantile principio di piacere all'adulto principio di realtà, per dirla in termini schiettamente freudiani, o per parlare con Schopenhauer (riletto in chiave freudiana) ad abbandonare la propria rappresentazione del mondo per la propria voglia di vita. Pensiamo all'Amleto e al suo dubbio, anche. Siamo sempre lì. Come sempre, le persone sono diverse e gli sviluppi dell'animo umano ancor più. Un cosa tipo genoma e espressione genica, forse. Ancora una volta, potremmo dire che la virtù sta nel mezzo. perché gli esseri umani sono esseri "medi" pressoché in tutto: sociali loro malgrado, e storcendo il naso, animali morituri ma consci della loro fine, nati per vivere ma incapaci di immortalità altresì proclivi ad afflati mortiferi. Comunque, quella frase femminile mi ricorda un'altra da un romanzo di Murakami Ryuu, ossia "Blu pressoché illimitatamente trasparente":
RispondiElimina«Tu ti sforzi continuamente di vedere qualcosa, proprio come uno scienziato che registra tutto per poi farci le sue ricerche. O come un bambino piccolo. Ecco, sei proprio come un bambino! Quando si è bambini si vuole vedere sempre tutto, no? I neonati guardano fisso negli occhi le persone che non conoscono e poi scoppiano a piangere o a ridere; ma tu prova adesso a guardare fisso negli occhi qualcun altro, in un attimo vai fuori di testa! Provaci! Prova a guardare fisso negli occhi quelli che passano per la strada, ti senti subito strano! Insomma, Ryuu, non devi guardare le cose come se fossi appena venuto al mondo!»
In questo caso la questione è riconnessa a una sorta di neotenia psicologia maschile. Personalmente trovo tutto questo molto condivisibile. Se pensiamo a Murakami Takashi (Little Boy), stiamo dicendo sempre la stessa cosa: esistono persone che non ce la fanno proprio a vivere per consumare, ovvero — passatemi il francesismo — a mangiare per cagare. Il modello consumistico statunitense postmoderno insegna, predica, induce, spinge esattamente a questo. Eliminando ogni grande narrazione, ogni valore trascendente, di ogni tipo, porta gli essere umani a un vuoto esistenziale in cui si vive per vivere. In realtà, non sarebbe una cosa nuova. Voglio dire, l'illuminismo, annientando l'idea religiosa (che è una grandissima narrazione, assai trascendente), diceva che il fine della vita umana è "la bonheur", ovvero la serenità, la gioia. Quindi, il fine, e indi il senso, della vita umana sarebbe vivere bene, passarsela bene in vita. Finché si vive, perché poi si muore. E se non si crede in alcuna immortalità dell'anima, che poi è un nome per quel concetto ancor più lato ma meno trascendente che è la psiche o l'io, tutto finisce nell'oblio. Quindi il senso della vita sarebbe più o meno una presa in giro, aspettando Godot, ma intrattenendosi piacevolmente nell'attesa. Una cosa migliore del destino di Sisifo, forse, ma alla fine grande differenza non c'è. Ebbene, siccome le persone sono diverse, ci sono persone che proprio non riescono a convivere con questa cognizione che è nichilista, sì, ma è di un nichilismo non materico, non è un anti-egotismo: è un nichilismo trascendentale. Credo sia anche la differenza tra i culti "duri"; ovvero quelli misterici, e i culti "molli", ovvero quelli rivelati. I secondi sono in quale modo consolatori, i primi proprio no.
Grazie davvero per questo commento.
EliminaCome spesso mi capita, mi porta ad auto-esaminarmi.
Chissà quanto dell'innamoramento per Marcuse, Fromm e tutte quelle cose lì, il loro sostenere "guardate che il principio di realtà non è qualcosa di scolpito nell'universo, ma il risultato di rapporti contingenti di potere, che possono essere messi in discussione, "no alla 'psicanalisi dell'adeguamento'" sia dato dalla straordinaria opportunità di "abusare" della teoria critica, usandola come modo per coccolare la propria neotenia e dare uno pseudo-fondamento ad un disadattamento a vita fine a sé stesso.
In modo fastidiosamente banale, credo che la verità stia nel mezzo: ci sono assetti della realtà che sono contingenti, e volerli vedere cambiare, o almeno non fare i "collaborazionisti a tutti i costi" è possibile e dignitoso anche per un adulto (il "modello consumistico statunitense postmoderno?"), altri no, sono parti costitutive della condizione umana.
Come il fatto che lo "status" di umano - probabilmente - è qualcosa che ti viene riconosciuto dall'altro.
Faccio un esempio: sentendo i discorsi che io stesso ho riportato, ma anche leggendo i web, e tanti degli stessi commenti su questo blog (il girone dei propri "asset": i K guadagnati all'anno, la propria prestanza fisica, la quantificazione del proprio livello culturale, ecc.) sono tentato di pensare: "ma voi, per dimostrare che il mondo è una lotta ferina, siete andati a vivere proprio nella gabbia delle tigri? O magari le tigri siete voi, per questo così vedete le cose. Non sapete che fuori c'è altro?". D'altro canto, non ho alcun motivo per dubitare che quella sia la vita che sperimentano le varie persone che raccontano.
E quindi mi trovo a pensare di avere avuto una vera botta di culo (pardon) a finire - probabilmente - in una bolla di persone e affetti che, al confronto, sono pacioccosi, pazienti, affettuosi e così poco, davvero poco esigenti.
E mi capita persino (o così mi sembra) di trovare chi - quando mi scappa lo "sguardo negli occhi altrui da bambino", invece di richiamarmi alla pertinenza dell'adulto, mi ricambia con lo stesso sguardo, riconoscendo un suo simile con un po' di neotenia.
Eppure cerco di non raccontare bugie a me stesso: credo comunque che per quanto la mia compagna, gli amici, ecc. mi vogliano bene, esista una "prestazione minima esistenziale" che questi
si aspettano, e sono il loro prezzo per riconoscermi lo status di umano "amato".
L'essere presente, fare il possibile (in modo per lo meno responsabile e - per quanto riesco - in accordo con i miei desideri e inclinazioni, certo) per conservare un lavoro e una casa per quanto modesti, ma ancora di più, e soprattutto, il "vederli", il "riconoscerli a mia volta".
In altre parole, non posso mai dare per scontato un pan-amore materno totale e assoluto (la divinità Kanon di cui ho letto su questo stesso blog).
Ecco, riesco a immaginare come per tanti questa "prestazione minima" non sia "minima", né "facile" proprio per niente.
Quante volte ho esitato sul limite dell' "oggi non mi alzo, è tutto troppo vano". Quante volte il bambino mi ha detto "Non è bello che Kanon non esista, quindi che ti alzi a fare"?
Ecco, forse ora capisco che se per "intelligenza triste" si intende questa "neotenia triste", la mia conoscente futura mamma potesse averne paura (in realtà non saprò mai cosa avesse davvero in mente).
Però si può vivere nonostante essa. E persino - io credo - con molta dignità.
Tirando fuori la cultura dalla lotta ferina, la metterei più nel campo di dignità del tempo libero... ogniuno ha la sua sensibilità qui.
EliminaPer il resto non è che si fanno i k etc per conquistare l'amore di qualcuno, ma se hai persone che ti vogliono bene te ne prendi cura. E si purtroppo è una lotta ferina in fondo.
È come una madre o una compagna che si sbatte per farti mangiare ogni giorno un pasto o degli stuzzichini da ristorante di livello piuttosto che riempirti lo stomaco con cibo decente. Tanto lo sa che l'hai presa perché era bella e intelligente, glielo hai detto che il cibo non è che conti cosi tantoe non vale la.pena che si sbatte per ogni singolo pasto.
Tuttavia si fa. E cose reciproche da parte mia.Non è che lo fai per sedurre, lo fai per gentilezza Perché dire che è tutto uguale è una grande bugia. E una bugia che racconta chi non ha niente o chi non vuole dire grazie a chi si è preso cura che i propri cari stessero nel comfort.
Non.è necessariamente una cosa da parvenu
Io bado a non lavorare mai piu di 40h a settimana, il tempo libero anche solo per pensare è un valore.sacro.
Quello che piu ha badato al mio benessere economico era mio nonno materno che veniva a sua volta da una famiglia benestante.
Credo che quando hai varie persone alle tue dipendenze servizio e comunque un po le conosci capisci che se a loro tocca la merda nella vita e a te no è solo perché hai i soldi, qualcuno si è presl cura che tu li avessi.
Dire che tanto è tutto uguale, non conta tanto, ci vogliamo bene tutti, tutti hanno le stesse possibilità. ..è durato gli anni 80-90 e ci si è risvegliati dalla bugia collettiva in meno di una generazione
Io almeno la vedo cosi, volevo rappresentare che la gabbia delle tigri è verso l'esterno si, non verso i propri affetti.
Soprattutto è sapere che se te la passi bene è perché qualcuno si è sbattuto per te. Anche solo a mantenere lo status quo piuttosto che lavarsene le mani. Non è solo andare in miniera sbattersi eh
Io vedo i miei genitori che hanno sempre ragionato... tanto sei ricco, avrai tante cose dipende tutto da te(in 30-40anni non lavorando letteralmente e tra cambiamenti sociali le.tante cose sono rimaste all'osso, del loro circolo solo loro cosi pazzi) e mio nonno che per carità non che si crepasse di lavoro però non ha lasciato immutato/intoccato quello ricevuto. Casomai è anche diminuito per scelte sbagliate ma qualcosa ha fatto. Ci ha provato.
Se fai il minimo e forse manco quello prima o poi qualcuno lo paga. O la tua compagna o i tuoi figli. :D
Non e un discorso da.forum di cartoni animati, manga e carte.di magic mi sa
Gentile Marco, provo una "risposta" ancora più puntuale: letteralmente.
RispondiElimina<< il loro sostenere "guardate che il principio di realtà non è qualcosa di scolpito nell'universo, ma il risultato di rapporti contingenti di potere, che possono essere messi in discussione, "no alla 'psicanalisi dell'adeguamento'" sia dato dalla straordinaria opportunità di "abusare" della teoria critica, usandola come modo per coccolare la propria neotenia e dare uno pseudo-fondamento ad un disadattamento a vita fine a sé stesso.>>
Splendido paragrafo. Colto in maniera vera, perché viva. Dunque di per me credo che sì e sì. Ovvero: il "principio di realtà" è un ideale oggettivo declinato nei oggetti, dacché ciascuno vive la propria realtà. La quantità di inganno che ci si può permettere nel "fletterla" al proprio desiderio pure è un fattore individuale. Qualcuno ha detto "autismo"? A pensarci, non è proprio questo, il punto? Il benessere si è diffuso. dunque prima solo Nerone poteva farsi edificare la Domus Aurea, poi LudwigII castelli vari, poi nella Vienna borghese Freud aveva per pazienti clienti i rampolli di facoltose famiglie borghesi, e ora qual è la percentuale di "autismo" diagnosticato tra i più giovani? Dunque si capisce che il benessere necessario all'inganno di potersi mantenere in una fase oral-adolescenziale, ossia pseudoautiatica, non salva dalla pazzia. Anzi. Perché sì, il criterio di realtà dipende dalla realtà di ciuascuno, con cui ognuno deve fare i conti, ma la realtà e realtà, e il desiderio può sempre divergere da quella, arrivando persino a negarla. Caso in cui sono dolori. Per tutti. Dai Malavoglia a Mazzarò, poveri e ricchi tutti.
Ecco, forse non è neanche soltanto questione di avere un buon "nido", mi correggo. Il focus è proprio ciò che tu dici, siccome mi è capitato di consocere persone disastrate dal "troppo amore" e dalla "troppa sicurezza" ricevuta dai loro cari. Tra l'altro inquesto periodo sto rivedendo Ideon, e queste cose un po' le rileggo in Tomino (a 34 anni ovviamente percepisco sfumature diverse rispetto al me stesso 24-enne).
EliminaInfatti la versione "troppo lungo, non ho letto" del mio precedente commento, tornando incredibilmente in topic col tuo post originale, è: "la noia subentra nell'uomo solo quanto i suoi bisogni primari e spesso secondari sono non solo soddisfatti, ma percepiti come garantiti, ossia dati per certi". Quindi, Moravia: che parlava della, ma anche alla, borghesia romana dei tempi suoi, nella contrizione della malattia giovanile. Un un modo o nell'altro, una debordante volontà (bisogno escapistico?) di rappresentazione meta-sostanzializza. E alla fine della sua carriera, L'attenzione. "Tu mi ti sei preso perché da ricco pensavi che i poveri fossero migliori. Ma no. I poveri fanno schifo quanto i chicchi, solo che non ci hanno i soldi." Tipo.
RispondiEliminaNel mondo del logos è come dice Moravia ne L'attenzione (1965), nel mondo reale credo quello che vivi ti cambia e quello che vivi è legato fino ad una certa soglia a quello che hai, dopo la ricchezza è piu un dato quasi burocratico.
RispondiEliminahttps://www.nature.com/articles/s41598-024-74125-w
E qui si parla di cose macroscopiche come morte, cognitive impairment, facilmente quantificabili. Figuriamoci cose non misurabili come gusto estatico, qualità degli affetti e del tempo speso, espressione delle proprie potenzialita, scelta di hobby più o meno alienanti con i quali passare il tempo libero (noia e pigrizia, etc)
Stando a Moravia mi viene sempre da citare la vita interiore diciamo pp 375-395 circa edizione Bompiani,quando Viola perde la verginità. Fa molto Bunuel. È di circa 15anni dopo l'attenzione, ci sta che 15anni di meditazione portino a una rivalutazione o esacerbazione del giudizio.
Le eccezioni, anche numerose oltre il termine eccezione, non cambiano la realtà dei fatti. Aristotele direbbe se non sempre, almeno per lo più.
Io ho dato :)
Fanno tutti schifo uguali, ma nella miseria (relativa) lo schifo di ogniuno è magnificato piuttosto che soppresso/minimizzato :)
Credo un sesto senso per una considerazione simile sia quello che guidi le ragazzine a scegliersi un fidanzatino medio-benestante quando possono. Le donne a non mettersi con un poveraccio sottopagato, anche se molto colto. Ci saranno eccezioni ma il sesto senso si allena con la media delle persone
È proprio anti naturale la società. Per questo provavo a dirti farti un bel lavoro, una casa confortevole in cui vivere...
RispondiEliminaHo riguardato questi giorni, per dire, Jules et Jim e le due inglesi e il continente. Poi ho ordinato anche i libri
Mi sono reso conto per la prima volta quanto l'ambiente bucolico fosse fondamentale per l erotismo che li pervade
Non è cosa di soldi, milano costa molto. E cosa di vita.
Semplicemente si fa una vita che mette a disagio, rende difficili i rapporti sociali, poi erasmus e cazzi vari tendono a frammentarli.
Il dato pratico io in campagna di gente single ne vedo poca. Spesso le coppie sono anche con lei molto carina e sveglia. Chi vive ritirato in genere vive tranquillo in due. Questi sonl dati.di fatto che sopravvivonk all epoca moderna.
È l università e tutto il resto che avvelenano. Diciamo sonl ben sostenibili solo da persone benestanti abbastanza da vivere piu o meno con lo stesso comfort quanto al.centro di milano quanto su un monte appeninico.
Nel senso sono vittime anche le donne. Certo se non scopi, non puoi permetterti le meglio prostitute ma solo seghe fai difficile a vederle come vittime. Se accedi a loro quando vuoi la sensazione invece è quello
È molto marxista quello che.dico, il pensiero come prodottl del contesto economico vissuto.
Inserendomi a gamba tesa sul "vivere vs. scrivere": la prima teoricamente è più difficile della seconda (almeno per come la vedo io) e in sostanza è equivalente. Ad esempio per scrivere romanzi e racconti occorre avere delle esperienze e un'idea - non necessariamente un'ideologia - della vita; per la poesia è comunque consigliabile; al massimo ci si può trovare una tana isolata nella saggistica, anche se non sono sicuro. Quindi si può pensare che vivere e scrivere assieme sia uno sforzo eccessivo; se si ha l'occasione di scegliere solo una delle due, tanto vale lanciare una moneta e attenersi al risultato...
RispondiEliminaIo al momento non vivo né scrivo, e tant'è.
Scrivere richiede un'estrema pazienza e dedizione. Oggi ormai tutti si proclamano superuomini, scrittori o poeti, ma creare un qualcosa di veramente leggibile richiede sforzi molto grandi e disciplina. Per il resto credo che scrivere sia una forma di viscerale attaccamento alla vita, un po' come il desiderio di morte (vedasi Schopenauer, che vedeva nel suicidio l'opposto della negazione della Wille).
EliminaPer il resto, ognuno è libero di fa' ciò che vuol'. Tanto guardando un attimo al di fuori dell'antropocentrismo risultiamo esseri insignificanti, tutti e senza distinzione.
Mentre l'altro anonimo dice che la letteratura ha perso valore quando è diventata "roba da sfigati" (ma quello semmai è accaduto già con il decadentismo, come notavi tu), si potrebbe proprio pensare che il vero problema sia stata la nascita del mito del genio istintuale, che butta fuori cose incredibili al primo tentativo... ma lì si va troppo indietro :) E comunque sono tutti passaggi che fanno parte della nostra eredità culturale.
EliminaAlla fine oggi o si è convintamente naïf o ci si dedica seriamente alle potenzialità artistiche dei meme... (o si incarna convintamente un meme). :)
Quella del viscerale attaccamento alla vita è una cosa che dovrebbe proprio essere vera ed è confermata ovunque, ma io ho anche il mito di chi butta fuori bella roba per divertimento o per guadagnare :D Sbaglierò io, immagino.
(Differente è risultare insignificanti per tutto l'universo, o peggio anche solo per gli altri esseri umani, o nel caso peggiore immaginabile anche solo per sé stessi... Non ha senso? Forse.)
In realtà credo che alla fine si racconta solo quello che vale la pena di essere raccontato.
RispondiEliminaLe sfide alla playstation, i tornei di magic, le ore davanti al p jn binge eating... se sono solo quello non varranno mai la pena di essere raccontate.
La letteratura non e roba per sfigati. Il contrario del messaggio fatto passare negli ultimi 50anni e che infatti l ha distrutta
Dazai Osamu, gli scapigliati e compagni infatti erano dei fighi paura, mica sfigati.
EliminaSe non eri ironico concordo. :)
EliminaCome era si nasce in un modo, ci si emoziona e si muore pieni di ferite. Se le ferite non fanno troppo male varrà la pena raccontarle