domenica 23 novembre 2025

Eraserhead, Lynch e il surreale tormento dell'indelebile (by Molly)


Molte volte ci troviamo di fronte ad opere trascendentali, metafisiche ed introspettive. Penso che Eraserhead, lungometraggio immerso in un'impronta simbolica, onirica e psicoanalitica, sia proprio una di queste. David Lynch è un regista noto per l'impronta sfuggente e spesso apparentemente priva di senso delle sue pellicole, una caratteristica che rende impossibile darne un'analisi univoca e concreta. Questo perché l'artista lascia parlare il proprio inconscio, mettendosi in disparte e ricercando il senso, per l'appunto, nel proprio nonsenso interiore.  

Direi che in generale il cinema vanta, per sua natura, un mix di arti diverse: immagini, musica, dialoghi. Ma in concreto si tratta di un modo di narrare che si fa strada principalmente mediante la vista, la più immediata modalità della percezione. Le immagini sono più veloci nel parlare all'inconscio rispetto alle parole e Lynch lo sa benissimo, tant'è che pare quasi ricercare nello spettatore una sorta di compatibilità emotiva. E la mia, in questo caso, l'ha sicuramente trovata. Eraserhead, indipendente opera prima (parlando di lungometraggi) di Lynch, girata a strettissimo budget nell'arco di cinque anni, rappresenta, a detta dell'autore, il suo film più personale e spirituale, ed è certamente reo di avermi regalato, nella sua angosciante atmosfera, una delle esperienze più affascinanti della mia vita.

sabato 15 novembre 2025

Dalla postmodernità alla postumanità


 La postmodernità era ancora un luogo di narrazioni, piccole narrazioni, pseudo-tali o addirittura l'assenza di esse; delle narrazioni che in qualche modo, nonostante tutto, raccoglievano ancora in sé un chicco di significato, poiché la modernità, o in qualche modo i soliti archetipi dell'umano, rintoccavano pur sempre sul fondo del barile (tipo che ne so, Kirkegaard opportunamente citato in Evangelion; oppure Utena, che per significato non è poi così diverso dalla Recerche di Proust). La letteratura postmoderna era Pynchon, Cărtărescu e compagnia: un bel casino, certamente, ma si trattava pur sempre di letteratura. Un prompt generato automaticamente con ChatGPT rastrellando l'internet (tra l'altro violando il diritto d'autore) è pur sempre letteratura? È pur sempre umanità? Ha pur sempre un significato? Alcuni diranno che l'I.A. è uno strumento, così come  una volta lo era il vocabolario online. Ma per me no, non è così. Questa intelligenza artificiale è un cambiamento radicale, una cosa che non può essere paragonata a nessun oggetto appartenente al passato.

domenica 9 novembre 2025

Giochiamo a merda? (Un racconto originale by me) - Parte prima

 Quando ero ragazzino, mio padre mi portava al campeggio con il suo Mercedes MB100, un vecchio furgone mezzo scassato senza finestre né arredamento i cui interni puzzavano di sigaretta e umidità. Il trabiccolo, forse aiutato dalla provvidenza divina, percorreva ai novanta all’ora l’autostrada che conduceva nelle immensità della Valle d’Aosta. Il silenzio, qualche grugnito di lui ed ecco finalmente arrivare una galleria: un breve intermezzo e due file di piccoli quadratini gialli presero per qualche minuto il posto del Sole. Quando ebbi modo di tornare a osservare i nembostrati che abbracciavano le piramidi di roccia all’orizzonte, sentii le orecchie tapparsi. Entrammo in una nuova galleria: mio padre iniziò a parlare delle sue solite cose, come un robot, mentre io, senza ascoltare, guardavo fuori dal finestrino tutto il tempo. 
«C’è professione “mi spacco il culo” e professione “figa”, come tua madre. Professione “figa”, capito?».
In realtà, mia madre mi manteneva facendo la contabile, e non lo aveva mai denunciato per tutta una serie di violenze domestiche che fortunatamente li condussero al divorzio, risparmiando al bambino che ero ulteriori scene d’inferno. 
«Perché stai zitto? Perché non rispondi? Perché guardi sempre di là? Perché…?».
Quell’uomo grande e grosso con il faccione largo, lo sguardo incazzoso e un paio di occhiali da sole che lo facevano sembrare una sorta di emulo di Vasco Rossi, ecco, quell’uomo non riusciva proprio a sopportare il silenzio. Di mio stavo semplicemente pensando al fatto che a breve avrei rivisto il mio amico Itti, il piccolo pakistano adottato dal custode del campeggio. Ripensai a quando l’estate scorsa era salito sullo scivolo per farmi vedere il suo pisellino in maniera trionfale, dall’alto verso il basso, come un vero king. 

lunedì 3 novembre 2025

Devilman: La saga demoniaca: Recensione


"Quando metto a confronto Dio e il Diavolo, mi schiero dalla parte di quest'ultimo. Quando penso a Dio, penso a quello del film La Bibbia: è un Dio terribile  che si comporta come un uomo di potere, un dittatore. Odio le persone che esercitano potere, per questo mi schiero col Diavolo che combatte Dio" [Go Nagai]. 

Jacopo è un amico: uno di quelli veri, uno di quei pochi che  mi porto dietro da una vita. Ci siamo quindi visti crescere a vicenda, sia come persone che come "scrittori", senza tuttavia mai risparmiarci vicendevoli critiche e taglienti osservazioni sul nostro reciproco operato (ne avevo tirati di bestemmioni a editare Yoshiyuki Tomino e Gundam, ad esempio, così come lui ne aveva tirati a leggere il  mio primo romanzo, Antropofagia, che tra l'altro, se lo sfoglio con gli occhi di oggi, devo ammettere che mi pare  abbastanza una stronzata). Anni e anni fa, nell'epoca dei forum e dei tempi d'oro di Animeclick, Jacopo era "quello dei real robot", mentre io ero un "nichilista", ossia uno dei disagiati appartenenti a un gruppetto di elitisti dell'animazione che qualche utente, non di certo privo di senso dell'umorismo, aveva battezzato "il club dei piccoli cinici". Jacopo, infatti, contrariamente a me, era ed è un vero e proprio entusiasta e appassionato dell'intrattenimento visivo, l'uomo dei real robot, sì, ma anche un grande estimatore e conoscitore del cinema horror di tutti i tempi, oltre che uno studioso di Storia, scienze politiche e quant'altro. Fatto salvo ciò, a mio parere, con questo libro su Devilman, Jacopo è riuscito a riunificare in qualche modo tutte le sue "anime", distaccandosi dalla sua solita etichetta di esperto di gAndam. Inutile dire che Devilman sia uno dei miei manga preferiti, nonché uno dei grandi capolavori di sempre del media, e che di mio abbia molto apprezzato (data la mia natura, tsk) il nichilismo spietato di una roba esagerata come Violence Jack, o il nonsense narrativo di un tanto malato quanto a suo modo elegante Devillady. Perché di Go Nagai amo l'anima anarchica, sovversiva, truce e viscerale, la mancanza di fronzoli per andare dritti al punto nelle cose, anche le più turpi e sgradevoli, un po' come faceva in letteratura quall'altro matto di Dazai Osamu. Pertanto, quando ho aperto Devilman: La saga demoniaca e mi sono trovato i riassunti di tutti i vari manga, anime e spinoff del cult nagaiano, con tanto di corposi retroscena e addirittura una linea temporale della saga che aiuta a fare i vari collegamenti tra le tappe dello scontro tra il Diavolo e Dio tanto caro all'autore, non ho potuto fare a meno di immergermi nella lettura, finendo il libro in un solo giorno.