Molte volte ci troviamo di fronte ad opere trascendentali, metafisiche ed introspettive. Penso che Eraserhead, lungometraggio immerso in un'impronta simbolica, onirica e psicoanalitica, sia proprio una di queste. David Lynch è un regista noto per l'impronta sfuggente e spesso apparentemente priva di senso delle sue pellicole, una caratteristica che rende impossibile darne un'analisi univoca e concreta. Questo perché l'artista lascia parlare il proprio inconscio, mettendosi in disparte e ricercando il senso, per l'appunto, nel proprio nonsenso interiore.
Direi che in generale il cinema vanta, per sua natura, un mix di arti diverse: immagini, musica, dialoghi. Ma in concreto si tratta di un modo di narrare che si fa strada principalmente mediante la vista, la più immediata modalità della percezione. Le immagini sono più veloci nel parlare all'inconscio rispetto alle parole e Lynch lo sa benissimo, tant'è che pare quasi ricercare nello spettatore una sorta di compatibilità emotiva. E la mia, in questo caso, l'ha sicuramente trovata. Eraserhead, indipendente opera prima (parlando di lungometraggi) di Lynch, girata a strettissimo budget nell'arco di cinque anni, rappresenta, a detta dell'autore, il suo film più personale e spirituale, ed è certamente reo di avermi regalato, nella sua angosciante atmosfera, una delle esperienze più affascinanti della mia vita.



