sabato 28 settembre 2024

Utena è un anime woke? Ripercorrendo un vecchio capolavoro.


Mi  è capitato da poco di rivedere La Rivoluzione di Utena, un anime che per chi non lo sapesse dà nome, citazioni e grafica a questo blog. Trattasi indubbiamente di una delle serie televisive più importanti della mia vita, nel senso che mi ha fatto (ri)appassionare a questo media quando facevo l'università e mi ha permesso di conoscere il cofondatore di questo blog nonché quella che fu la mia ex, che ne era una grande appassionata (senza Ikuhara Kunihiko a fare da cupido nei miei twenties, molto probabilmente non avrei mai avuto una vita sentimentale). Ciò detto, su questo blog c'è già la ottima recensione di Onizuka90, il cofondatore di cui sopra, uno scritto appartenente a un'epoca passata in cui eravamo più giovani, più ottimisti, vivevamo in un mondo meno "social" di oggi e così via. Ora, a trentaquattro anni, ho voluto fare un esperimento e rivedermi quello che nella nostra nicchia consideravamo il miglior anime di tutti i tempi, un'opera simbolista, filosofica, esoterica, totalizzante e chi più ne ha ne metta. All'epoca la cosiddetta cultura woke non era ancora martellante come nell'oggidì, cosicché, quella che oggi si potrebbe definire come "l'omosessualità di Utena", era  un argomento che nelle discussioni tematiche non veniva quasi mai toccato né considerato. Ora invece, nel duemilaventiquattro, anche alla luce di una nuova leva di animefan che spesso si associano alla cultura woke decifrando Utena in tale ottica (i.e. Utena eroina lgbtq+ che sconfigge il patriarcato rappresentato da Akio e si mette con la mulatta), durante la visione non ho potuto evitare di pormi la fatidica domanda: "Ma non è che l'anime che pensavo fosse una genialata simbolista e allegorica in realtà sia soltanto quello?". Non che ci sia qualcosa di male, sia ben inteso, ma l'anime me lo ricordavo molto più profondo. E infatti, andando avanti con la visione, ho avuto la riconferma che invero Ikuahara voleva andare a parare altrove; e forse questa volta, dico a trentaquattro anni, penso di aver addirittura capito abbastanza chiaramente dove


Nell'intervista a Ikuhara del novantasette, quella in cui l'autore e regista parla proprio di Utena, vedo una persona molto fragile, sensibile ma del tutto consapevole del dolore dell'essere al mondo. Magro, brillante, lo sguardo cupo che fa contrasto con un sorrisetto fintamente solare  ("This guy makes me so sad and so happy" ha scritto qualcuno nei commenti su YouTube). Insomma, eccolo lì il Kaworu Nagisa di Evangelion, l'ultimo apostolo al quale Anno aveva addirittura fatto scimmiottare il Cristo, l'ultimo agnello sacrificale Ikuhara Kunihiko, otaku iper intelligente e iper sensibile nel Giappone degli anni novanta, quello della crisi economica e sociale, quello del terremoto di Kobe e dell'attentato dell'Aum Shinrikyo alla metropolitana di Tokyo (trauma che poi tornerà nel suo ultimo anime veramente degno di nota, ossia Mawaru Pingu Drum). Con buona pace della cancel culture che va tanto di moda nell'oggidì, ogni opera  è figlia del suo contesto, anche la più astratta e simbolista. Infatti, non per nulla, Utena di fatto è  una strategia di sopravvivenza del suo autore – "avrei voluto essere stupido come lei; avrei voluto essere così ignorante e innocente". L'opera è quindi un qualcosa di sincero, personale e strettamente apolitico. E la cosa, dato che io stesso di recente giochicchio a fare l'autore, questa volta l'ho percepita più limpidamente – inutile fruire di opere di elevato livello senza essere armati della giusta dose di consapevolezza. Certo, in Utena si vede anche molto la mano di Enokido Youji; ma le mentalità otaku, soprattutto in quel paese lì e in quel periodo storico lì, sono tutte molto simili. Utena, infatti, più che essere un'opera "woke" o "omosessuale", è in primis un'opera "otaku", nel senso di otaku giapponese nel contesto degli anni novanta. Come spiegavo in quest'altro post e come ho spiegato per anni in tutto il mio blog, essendo io stesso una persona dalla forma mentis simile a quella degli otaku giapponesi originari, nell'essere veramente "otaku" vi è una spiccata frattura tra ideale e reale, il patimento dei dolori del tempo, l'idealizzazione del passato e l'attaccamento alla propria dimensione infantile. La ricerca di un'apocalisse consolatoria, non importa se interiore o esteriore. I personaggi di Utena disquisiscono tanto di eternità, ma di fatto sono aggrappati al loro passato ed  ergo incapaci di crescere. Il ricordo diventa quindi illusione di eterno, un palazzo di Otohime nel quale andare con la propria tartaruga sicché l'angoscia della morte è dietro l'angolo (il simbolismo delle bare;  Nemuro che compie infinite ricerche scientifiche con lo scopo di sconfiggere la morte ma poi invero finisce con l'uccidere i suoi stessi studenti).



Un magnifico planetario, vero? Ecco, vedi... il proiettore ricrea illusioni fiabesche per chi ha nel cuore desideri ingenui, per chi spera che esista davvero qualcosa di eterno e per chi crede ancora che i miracoli possano avvenire. Ma non c'è niente al di sopra di questa stanza.


Passiamo ora a una breve sinossi dell'opera, anche se di fatto La Rivoluzione di Utena, per quanto glamour e figlia della moda lanciata da Sailor Moon (il regista è lo stesso della famigerata serie S, la più cupa di tutte), è tutta roba simbolista, postmoderna e citazionistica e pertanto priva di una vera e propria "trama" (la "trama", tra l'altro, se si presta attenzione, è riassunta tramite varie allegorie nella sigla di apertura). Utena Tenjou è l'ultima arrivata all'accademia Otohori, una scuola surreale e senza tempo. In tale nonluogo spadroneggia un ristretto gruppo di studenti dotati di un anello sul quale è incisa una rosa: essi si contendono Anty Himemiya, la "sposa della rosa", una ragazza di etnia indiana che si offre a chiunque vinca un duello di spada nell'arena dei duellanti, ossia in un piazzale all'ultimo gradino di un'interminabile scala a forma di elica e al cospetto di un castello ribaltato in cielo. Anty non è capace di provare emozioni, sembra come drogata: nel caso in cui uno studente vinca un duello contro un altro studente, Anty di fatto diventa la schiava del vincitore. Ogni membro del consiglio studentesco, questo il nome della "setta" di studenti dotati dell'anello dei duellisti, può sfidarne un altro quando desidera, in modo da riottenere le grazie della sposa della rosa. Utena, che è stata dotata in tenera età dell'anello da Dios, il principe azzurro che l'ha salvata dal desiderio di morire in seguito a un grande dispiacere, si ritrova coinvolta nei duelli e decide di essere lei il principe di Anty, cercando di sottrarla al gioco della sposa della rosa. Questo la porterà a conoscere e infine a scontrarsi con Akio, il Confine del Mondo nonché preside dell'accademia, ossia il grande illusionista e manipolatore che regge il gioco dei duelli e tutto quanto. Utena riuscirà a "rivoluzionare il mondo" salvando infine Anty dalla sua prigionia, al prezzo tuttavia di sparire per sempre dall'accademia. La sposa della rosa, ormai libera, deciderà di abbandonare Akio, con il quale aveva rapporti sessuali nonostante fosse suo fratello, e di mettersi alla ricerca di Utena, nel "mondo di fuori" che dapprima le era ignoto. Il finale è aperto. 


- Perché Utena non è woke: alcuni fatti


Giusto per elencare le prime cose che mi vengono in mente: Akio è bisessuale (ha rapporti sessuali con Touga) ma è comunque cattivo e manipolatore. Shiori, la ragazza di Yuri è innamorata, ha un comportamento riprovevole nonostante sia femmina. Mikage è omosessuale ma anche lui manipolatore e nichilista. Siccome nell'ideologia woke le femmine e gli omosessuali sono portatori di valori sani e virtù, Utena sembra non rispecchiare neanche lontanamente tale narrativa, contando altresì il fatto che i suoi cliché in realtà provengono dagli shoujo manga anni settanta, dei quali Ikuhara Kunihiko era ed è un grande fan (di certo Versailles no Bara, al quale Utena talvolta si rifà dal punto di vista stilistico e citazionistico, non è mai stato un anime woke). Lo stesso regista, comunque, che non è americano ma giapponese, è una persona troppo intelligente per avere una visione semplificata e immatura della vita, delle persone e delle cose. Al limite, essendo lui stesso un otaku, la consapevolezza della durezza del reale lo ferisce, da qui il bisogno di sublimazione incarnato da Utena, ossia colei che lui "avrebbe voluto essere". Utena a parer mio è una proiezione femminile del suo autore, un po' come lo è la Lena del mio romanzo, che come tutte le proiezioni inconsce incarna tutta una serie di ideali e desideri riparativi. Nell'intervista del duemilauno facilmente reperibile su YouTube, tra l'altro, Ikuhara ha dichiarato di essere eterosessuale e di non essersi mai interessato al lesbismo: lui voleva semplicemente rappresentare il concetto di "minoranza" (cosa molto giapponese e molto otaku, siccome a quei tempi e in quel tipo di società, essere anime fan significava automaticamente gogna sociale e mediatica). 


- Il principe Dios è la vera identità gender di Utena?


Il principe azzurro delle favole al quale Utena si aggrappa per dare un senso alla sua vita e alla sua identità è di etnia indiana e invero fa il verso al Siddharta di Herman Hesse, che viene altresì citato esplicitamente nell'opera – Se il guscio dell'uovo non si spezza, il pulcino morirà senza essere nato. Il mondo è l'uovo di cui noi siamo i pulcini, se non spezziamo il guscio del mondo moriremo senza essere nati. Spezziamo dunque questo guscio per poter rivoluzionare il mondo! [Questa viene dal Demian, che guardacaso è un romanzo di formazione e crescita dai toni religiosi e vagamente esoterici] La suddetta metafora, oltre a suggerire la crescita individuale e il passaggio dall'adolescenza all'età adulta, invero ha un significato più totalizzante: il principe Dios può anche essere letto come il Sé di Utena visto in senso junghiano/esoterico, e tale lettura sicuramente è più coerente con l'impalcatura culturale dell'opera –molto europea devo dire, tant'è che l'Accademia con i suoi marmi bianchi ricorda vagamente le costruzioni del Palladio. Quelli senza cultura che pensano solo a scopare e arricchirsi, un po' come gli animali, si chiamano americani; giapponesi ed europei, per quanto fuorviati dal consumismo, hanno pur sempre un inconscio collettivo macchiato dal peccato originale della propria millenaria identità culturale. E infatti Utena, nonostante sia un cartone animato a tratti stucchevole, ha pur sempre naturali rimandi mitologici e atavici. Ritornando alla domanda che intitola questo paragrafo, mi viene in mente una delle scene finali, quella in cui Utena deve andare a salvare Anty e Dios le parla dalla giostra in movimento. "Oltre quel cancello c'è tutto ciò che è eterno, tutto ciò che è splendente. Con qul potere si può ottenere ogni cosa. Ma non spetta a te aprirlo, perché sei una ragazza. Con il potere tutto è possibile, anche salvare Anty dal suo destino. Ma come quel potere verrà usato, questo dipende da ME". 


 

Sul cavallo della giostra, al posto del piccolo principe Dios, compaiono per un breve istante le gambe di Akio – cambia anche il registro vocale: "questo dipende da ME". Aiuto, il patriarcato! Ma no, il principe, l'ideale della giovinezza, con la crescita si è infine corrotto, tutto qui. Utena se ne sbatte, tira un pugno a terra e va avanti: dopo poco tempo, tramite uno sforzo sovrumano, blocca le spade simboliche che stanno trafiggendo Anty. Dios, il principe bambino, dapprima tenuto in scacco dalla controparte corrotta e luciferina, risale quindi sulla giostra. Il flusso dell'entropia è stato invertito, il secondo principio della termodinamica, quello che conduce alla morte e al caos, è stato temporaneamente sconfitto. Compiere un miracolo, stando alla tradizione gnostica, significa utilizzare le leggi di un mondo superiore all'interno del nostro, il nostro beneamato mondo materiale governato dal demiurgo maestro delle illusioni. Il miracolo può avvenire soltanto togliendosi dal raggio d'azione di tale demiurgo, evitando di prestare attenzione ai suoi inganni; da lì in poi sgorgherà la volontà, la spada, il centro di gravità permanente. La volontà di accettare Anty nonostante il suo ovvio tradimento – Anty per Ikuhara rappresenta la "realtà personificata" –, è metafora altresì della fine della propria prigionia nell'idealismo otaku, che comunque conduce alla corruzione (l'approdo reale dell'idealismo postmoderno è Akio, è il "bla bla bla ma voglio scoparmi la sorella" disquisendo di eternità  tra un'amplesso e l'altro – vedasi The Dreamers di Bertolucci). La protagonista con i capelli rosa, quindi, esoterismo e tradimenti a parte, da otaku idealista e poco avvezza al tempo quale è – il tempo è femmina: le mestruazioni, i cicli lunari, la dea madre Terra –, aprendo il portale della rosa si "sposa" con l'impermanenza, con la terribile "realtà personificata". Tutto ciò è molto poco woke, ovviamente.


- La sofferenza femminile e il trauma dello stare al mondo: il vero significato di Utena


"Non sono io che ti sto facendo soffrire, Anty. È il mondo". [Akio ad Anty trafitta dalle spade, episodio trentasette]


"Tutte le ragazze alla fine sono come la sposa della rosa". [Episodio trentasette]


"Se una fanciulla non può diventare principessa, allora è costretta a diventare strega" [Episodio trantaquattro, teatro delle ombre]


Veniamo ora al succo del post. Nell'episodio trentaquattro, al teatro delle ombre, viene spiegata la vera natura di Anty: ogni ragazza sogna il principe azzurro delle fiabe, Dios, e lo trova nei propri sogni, ma ad Anty, che è la sorella di tale principe, la cosa è proibita (poi vabbè, Dios è Akio da giovane, a un certo punto costui si ammala e l'umanità, vendendo che le vergini impazziscono a causa di tale dispiacere, si arrabbia con lui e Anty si prende tutta la colpa ecc.). La sostanza comunque è che Anty non può essere una principessa e sarà pertanto condannata a essere la sposa della rosa, ossia la donna di tutti. Il suo cuore verrà trafitto da infinite spade e la sua sofferenza sarà eterna, alleviata solamente dall'incesto con Akio, che la manipola e imbruttisce (Akio sembra quasi uno di quei fot(t)ografi di Instagram che si scopano le depresse stordite dagli psicofarmaci). Ciò premesso, una volta, non ricordo chi, non ricordo quando, qualcuno mi ha detto: "Le donne nascono e vivono nel dolore". Ecco, Anty Himemiya incarna un po' la sofferenza primigenia di tutte le donne, e la cosa crudele è che tale sofferenza è stata decretata dalla Natura ("è il mondo che sta facendo soffrire Anty, non io"). Nel caso di Utena si ha nuovamente una rappresentazione simbolica del dolore femminile: la protagonista da bambina ha perso per puro caso entrambi i genitori e, non trovando alcun senso nella naturale e ovvia insensatezza della vita, ha deciso di lasciarsi morire in una bara. Il principe Dios, che le appare donandole l'anello da duellista, di fatto le dà un motivo per vivere: il principe per lei diventa come l'apparizione di un santo per un cristiano, o di Krishna per un induista. Utena quindi non vuole diventare principe perché è un'eroina woke, ma perché quella è la sua strategia di sopravvivenza, la narrazione alla quale si deve aggrappare per dare un senso alla sua vita. Peccato poi che questo principe diventi un "papà gambalunga" maligno; ed eccola di nuovo la sofferenza femminile: il dover darsi, e ci si può dare una sola volta per davvero, a un reietto che ti farà marcire. "Se a una qualsiasi bambina vai a dire che da grande farà le cose zozze con tanti uomini, quella si metterà a piangere" mi ha detto una volta una donna. La bambina rappresentata da Utena, infatti, è un maschietto animato da grandi ideali, da qui la proiezione del principe; e ogni ragazza che riesca a conservare un contatto con la propria dimensione infantile, ossia a non dimenticare tale archetipo, di fatto sarà destinata a rimanere ferita e delusa dalla vita. Diventando il principe lei stessa, Utena si risparmia tale trappola: non sarà più la principessa del corrotto Akio, ma il principe della povera Anty. Eccolo il miracolo: le leggi della natura sono state sconfitte, e la primigenia sofferenza femminile sanata tramite un'apocalisse antientropica (è praticamente la stessa cosa che avveniva in Madoka Magica, ossia la "fanciulla" Madoka che diventava Dio e riusciva quindi a impedire che le fanciulle si trasformassero in streghe, ossia in donne adulte e nevrotiche tradite dalla vita; nel nostro caso Utena galvanizza la strega Anty, ma è praticamente la stessa cosa). 


"Per Akio le donne sono tutte uguali..." [Anty fredda Utena in merito ad Akio]


"Non devi avere paura di me, non devi avere paura di questo mondo" [Dios consola la piccola Utena]


L'essenza del significato di Utena, rafforzato dalle sue atmosfere teatrali e mortifere, è quindi il trauma dello stare al mondo e di come questo trauma viene affrontato dai personaggi (l'aggrapparsi al passato, a un sogno, a una persona, a un ideale). La moratoria, la stasi, il rifugiarsi nei ricordi, è tuttavia un privilegio più che altro maschile; la femmina è costretta ad andare avanti nonostante tutto, ad abbracciare la vita finché essa non la consumerà completamente, pena la nevrosi. Quando un otaku arriva a capire questa cosa, comunque, è ormai troppo tardi: ed ecco che vengono fuori opere allucinate come UtenaLove & Pop e Shiki Jitsu (ricordo nuovamente che Ikuahara e Anno Hideaki erano e sono grandi amici, quindi di queste cose avranno  sicuramente parlato). Per sanare il trauma dello stare al mondo, tematica approfondita altresì in Mawaru Pengu Drum, subentrano le strategie di sopravvivenza, che in Utena vengono definite "illusioni". Il genio scientifico Mikage, come accennavo, si rifugia nella ricerca finendo poi per compiere atrocità; Miki si rifugia nel suo "giardino di luce", nel quale suonava il piano con la sorellina; Yuri in un amore non corrisposto – "Noi del consiglio studentesco non siamo stati in grado di superare i nostri problemi e abbiamo pensato solo a noi stessi" avrà a dire la cazzutissima spadaccina nell'importante episodio trentasette della serie. Gli otaku dell'accademia Otohori, pertanto, tutti prigionieri delle loro illusioni e varie strategie di sopravvivenza, sono incapaci di fare qualcosa per gli altri. Utena è l'unica nell'universo dell'anime a essere capace di fare qualcosa per qualcuno: si immola per Anty e infatti è l'unica vera rivoluzionaria della situazione. 



Un otaku un po' lolicon e quindi attaccato alla sua dimensione infantile, tale Ikuhara Kunihiko, capisce che le femmine, crescendo, soffrono. Sbam! Mind blowing!


Un amico una volta mi ha detto: "Sicuramente Dio non esiste, ma l'uomo che crede è molto più forte e capace di azione dell'uomo che non crede in niente". Nel duello contro Yuri, che ammette di non credere nei miracoli, Utena continua ciecamente a perseverare nella sua illusione, e ciò scatena la casualità, il cosiddetto "colpo di culo" che alla fine la fa vincere contro un'avversaria fuori dalla sua portata. Tutti i duelli che si perpetrano nell'anime dopo l'iconica ascesa della scala di marmo bianco (o dell'ascensore) sono sulla stessa falsariga: Utena, colei che è talmente stupida da credere in qualcosa, non importa cosa, contro lo studentello nichilista, lascivo e autoreferenziale della situazione. Ovviamente chi crede vince, il nichilismo non porta a nulla, lo stesso pensare talvolta si rivela controproducente quando ci si muove nelle complessità della vita. E qui arriviamo alla sezione finale dell'articolo. 


- Pensare e vivere: la triste inutilità di opere come Utena


Arriviamo infine alla parte "personale" del post, dato che mi piace raccontarmi e di certo non scrivo per fare il contentino al mio (quasi  inesistente) pubblico ma per riorganizzare (parte) dei miei pensieri. La cosa che infine mi chiedo, a trentaquattro anni, è: "Ok, va bene, è un anime bellissimo, musiche da paura, significati profondi. Ma è servito a qualcosa? Mi ha in qualche modo educato? O all'epoca mi ci ero rifugiato dentro senza capirlo veramente?". Questa cazzata con la tizia con i capelli rosa mi ha permesso di avere una fidanzata, una fidanzata con la quale ho convissuto per un certo periodo di tempo della mia vita, sì, ma poi? Ecco, una cosa che  mi viene in mente è che lei ne odiava la parte finale, ossia la saga di Akio. Ogni volta che facevamo un rewatch, superata la saga della rosa nera, quella che fu la mia compagna bloccava tutto e mi diceva: "Non ce la posso fare ad andare avanti". Ecco, questa cosa mi  ha sempre fatto riflettere: perché quella ragazza non voleva rivedere la parte con il principe fattosi stronzo e manipolatore? Semplice, perché lei era ancora molto attaccata ai suoi ideali infantili (quelli di cui ho disquisito qui sopra, nell'interpretazione della serie) e lo era nonostante la sua età (aggiungo che ormai, nel duemilaventiquattro, è  molto raro trovare  femmine con poco più di vent'anni così saldamente ancorate al loro immaginario infantile). Il suo principe, comunque, ossia io, doveva rimanere incorrotto; una mia trasformazione in Akio non sarebbe mai stata accettata. 


Due anni fa ebbi la brillante idea di guardare delle fotografie della mia ex contenute in un HD esterno. La cosa mi fece stare talmente male che uscii di casa piangendo e feci un incidente, il secondo incidente che abbia mai fatto in vita mia (e guido la macchina da sempre, fin da quando sono maggiorenne). Dopo tale evento le fotografie le cancellai; ma questi due regali, così eloquenti, così dolci e sinceri e pieni di bei ricordi, non sono mai stato capace di buttarli via. 


Utena quindi è un po' una lama a doppio taglio: come Evangelion è un anime che vorrebbe fare la morale (una roba della serie "esci di casa", "credi in qualcosa", "sii meno otaku"), tuttavia tale messaggio viene elargito bruscamente nel finale e poi tanti saluti, mentre invece l'apocalisse catartica, i duelli, le spade ecc. sono tutte cose fatte benissimo e non prive di una certa morbosità: viene quasi voglia di rifugiarcisi, nel mondo di Utena (tant'è che l'opera è stata creata a tavolino come mediamix). Questo perché Utena, così come Evangelion, altro non è che una masturbazione mentale da otaku di prima generazione, da disadattato giapponese degli anni novanta, degli anni non proprio belli per esserlo, sicché nell'ottantanove un otaku pedofilo aveva fatto a pezzi delle bambine diventando un caso nazionale in Giappone. È quindi servito a qualcosa Utena? Ci avevamo pensato così tanto a Utena, a Pengu Drum, alla postmodernità, alle illusioni, alle narrazioni, a chi più ne ha più ne metta. Ma quel tempo sprecato per pensare non l'avevamo tuttavia utilizzato per vivere. E l'inesperienza, poi, alla prova dei fatti, ha avuto le sue innegabili e irreversibili conseguenze. Vivete quindi, e pensate di meno ai cartoni animati e alle cose da ragazzini. La vita chiama la vita e là fuori non vi è nient'altro che vita, per quanto vivere possa essere triste e il più delle volte faccia venir voglia di fuggire. 

2 commenti:

  1. A mio avviso il problema di Utena non è il suo essere woke (cosa che non è, come giustamente puntualizzi nel post), ma la volontà del suo autore di renderlo quanto più commerciale possibile, che inevitabilmente porta ad annacquare i pur profondi messaggi di fondo. Utena è pieno di riempitivi (alcuni anche sensati e interessanti, per carità, ma molti −come quelli sul paggio di Nanami o sul curry− davvero stucchevoli), di scene riciclate per risparmiare budget, di comicità demenziale e di una vasta quantità di scene d’azione tipicamente da anime, di fanservice sui personaggi maschili (tanto nel loro design in generale quanto nel loro stare mezzi nudi per metà serie), di continue allusioni sessuali, di incesti quasi mai motivati e buttati in mezzo solo con l’infantile intenzione di scandalizzare il pubblico (la relazione tra i due fratelli col caschetto blu è il colmo del non-sense). Di certo non si può accusare un regista di voler vendere e nessuno è tenuto a creare prodotti totalmente autoriali come quelli di Oshii o di Abe-Konaka, ma la mia impressione è che Ikuhara abbia ecceduto inconsapevolmente perché incapace di moderarsi: non a caso più va avanti con gli anni (=meno freni inibitori) e più le sue serie diventano pornografiche. Il paragone con Evangelion, per me, è corretto solo a metà, nel senso che per la prima parte dell’anime si possono fare le stesse considerazioni, ma dalla svolta causa depressione di Anno cade tutta la più frivola impalcatura otaku e restano solo i contenuti, laddove Utena oscilla per tutta la sua durata tra i due poli. Anche i film conclusivi confermano questa tendenza, con EoE che è decisamente meno conciliante nei confronti del proprio pubblico.
    p.s. comunque Yuri ai miracoli sotto sotto ci crede, anche se sa che razionalmente è sbagliato farlo. Non si spiegherebbe, se così non fosse, perché sia ancora nel consiglio, come vada interpretata la risposta che dà al belloccio rosso (“allora adesso ci credi nei miracoli?” “chissà, ma se quella ragazza ha questo potere, glielo strapperò con le mie mani”), perché si ripeta mentalmente ogni 2x3 di non credere ai miracoli come se dovesse convincersene, perché porti la foto dell’innamorata nella collana; soprattutto, non avrebbe senso il teatro delle ombre con cui il suo duello viene introdotto (Ombra 1:“Non mi piace lo zoo [lungo discorso con cui tenta di autoconvincersi e occultare la verità]” Ombra 2:”Ma allora lo zoo ti piace!”). Davvero un personaggio splendido, a differenza degli altri membri del consiglio, che sono quasi tutte macchiette.

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    1. Ciao, direi che non hai tutti i torti. Ikuhara poi fa pornografia perché quella generazione era tutta un po' così (hanno tirato fuori poche cose buone, tutto sommato). Pornobebè, ecco, tipo Anno che ancora si ravana il cazzo su Asuka con i Rebuild. Mi piace pensare a Utena come capolavoro per motivi affettivi, ma le puntate di Nanami ad esempio le ho dovute skippare.

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