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sabato 28 settembre 2024

Utena è un anime woke? Ripercorrendo un vecchio capolavoro.


Mi  è capitato da poco di rivedere La Rivoluzione di Utena, un anime che per chi non lo sapesse dà nome, citazioni e grafica a questo blog. Trattasi indubbiamente di una delle serie televisive più importanti della mia vita, nel senso che mi ha fatto (ri)appassionare a questo media quando facevo l'università e mi ha permesso di conoscere il cofondatore di questo blog nonché quella che fu la mia ex, che ne era una grande appassionata (senza Ikuhara Kunihiko a fare da cupido nei miei twenties, molto probabilmente non avrei mai avuto una vita sentimentale). Ciò detto, su questo blog c'è già la ottima recensione di Onizuka90, il cofondatore di cui sopra, uno scritto appartenente a un'epoca passata in cui eravamo più giovani, più ottimisti, vivevamo in un mondo meno "social" di oggi e così via. Ora, a trentaquattro anni, ho voluto fare un esperimento e rivedermi quello che nella nostra nicchia consideravamo il miglior anime di tutti i tempi, un'opera simbolista, filosofica, esoterica, totalizzante e chi più ne ha ne metta. All'epoca la cosiddetta cultura woke non era ancora martellante come nell'oggidì, cosicché, quella che oggi si potrebbe definire come "l'omosessualità di Utena", era  un argomento che nelle discussioni tematiche non veniva quasi mai toccato né considerato. Ora invece, nel duemilaventiquattro, anche alla luce di una nuova leva di animefan che spesso si associano alla cultura woke decifrando Utena in tale ottica (i.e. Utena eroina lgbtq+ che sconfigge il patriarcato rappresentato da Akio e si mette con la mulatta), durante la visione non ho potuto evitare di pormi la fatidica domanda: "Ma non è che l'anime che pensavo fosse una genialata simbolista e allegorica in realtà sia soltanto quello?". Non che ci sia qualcosa di male, sia ben inteso, ma l'anime me lo ricordavo molto più profondo. E infatti, andando avanti con la visione, ho avuto la riconferma che invero Ikuahara voleva andare a parare altrove; e forse questa volta, dico a trentaquattro anni, penso di aver addirittura capito abbastanza chiaramente dove

venerdì 20 settembre 2024

Le fiere del fumetto nel 2024: Riflessioni e divagazioni personali


Un lettore,  che in questo articolo chiamerò ***, mi ha scritto in un gruppo Telegram di aver partecipato a una fiera del fumetto nel sud Italia. È un ragazzo che non ho mai conosciuto di persona, ma con interessi musicali,  culturali e cinematografici abbastanza ricercati (se non fosse così non mi leggerebbe, d'altronde). "Sono andato per tentare di rimorchiare qualche egirl" ha scritto. "Ma lo spettacolo in fiera è stato desolante: le egirl stanno tutte con megrechad e corechad, e io sono come invisibile per loro. Ho vagato un po' per la fiera ma mi sentivo come un alieno:  eppure una volta quello era il mio mondo". Megrechad e corechad a parte, che sarebbero derivazioni più o meno nerd del fantomatico chad di cui la redpill, ossia il bel ragazzo di status e bellezza elevata che ha facilmente accesso alla vagina (o al culo, dipende dai gusti), la sensazione di "estraneità" di cui mi ha parlato *** devo dire che l'ho provata anche io alle ultime fiere a cui sono stato. Ero lì per Shito ovviamente, un amico di lunga data, e non di certo per rimorchiare qualche egirl; eppure il sentore di "essere fuori posto" non mi ha mai abbandonato un secondo. Se provo a scavare nella memoria, mi vengono in mente i vecchi Lucca Comics ai quali mi portava mia madre da ragazzino: qualche tensostruttura fuori dalle mura, presenza di cosplayer quasi nulla (una maglietta degli Slayer era già tanto) e si andava lì per la limited di Wolf's Rain (devo ancora averla da qualche parte, quella col librone della Luna), per cercare qualche carta  di Magic a buon prezzo o per girare le bancarelle e ravanare nei cassettoni con le OST di anime e visual novel (fu così che conobbi Tsukihime, tra l'altro, per via della  suggestiva copertina del CD: mi sentivo dark e mi ero trovato una cosa dark, fine). Non esistevano i social media, non esistevano le egirl e nemmeno  i Moccia o i Cicciogamer della situazione. La passione per una cosa, dico una passione a livello individuale, la si sentiva propria e basta, senza alcuna necessità di emulazione o di affidarsi a un guru. Era impossibile pertanto sentirsi "fuori posto", perché la pressione sociale era pressoché nulla. Si accettava di essere diversi, di essere soli, e andare a Lucca a comprarsi la Cardass Masters della waifu Mana Kirishima era il proprio rifugio, perché nella realtà, a scuola, le ragazze non si mettevano con quelli problematici o diversi dalla massa. 

mercoledì 29 maggio 2019

Dalla malinconia di Betty Boop alla malinconia di Haruhi Suzumiya


Betty Boop sta piangendo: un fiore le offre un cucchiaio di minestra ma lei lo rifiuta. Suo padre, con un grammofono al posto della testa, continua a brontolare, mentre la madre la guarda malamente, senza dire nulla. Betty Boop scende le scale e ammette di sentirsi sola. Una volta uscita di casa, la aspetta un mondo di surreale in cui vivono animali parlanti e oggetti animati, oggetti molto simili a quelli che si trovavano nella sua casa. 

Tralasciando il mero fattore estetico, che da Disney passerà di mano fino a Tezuka – i cosiddetti “occhioni dei manga” -, per poi approdare nel lolicon di Azuma fino al moe dei giorni nostri, gli elementi che paiono più ricorrenti sono tre: la casa, gli oggetti, la malinconia. Sicuramente dalla casa si può “uscire” (se tutto va bene) e approdare nell’ambiente al di fuori di essa, la scuola/società. Ma ci si potrebbe annoiare, ci si potrebbe comunque sentire vuoti e soli. Ed allora, stavolta al posto degli animali parlanti potrebbero esserci degli esper, degli alieni, volendo delle corazzate giganti… l’emancipazione dal proprio ego è difficile da ottenere. 

sabato 9 luglio 2016

Anime, manga e otaku: l'angolino del lettore


Questo "dossier" nasce per raccogliere le mie considerazioni personali inerenti alcuni tra i più noti libri su anime, manga e otaku in circolazione (i tomi sulla cultura giapponese più generale e non necessariamente vincolata a questi tre argomenti non verranno commentati, ma solamente citati nelle bibliografie di eventuali miei dossier/approfondimenti su determinati aspetti del Giappone e della postmodernità; oppure in una possibile nuova sezione del blog dedicata esclusivamente alla letteratura, giacché la mole d'informazioni e titoli da trattare in questo caso è molto alta, e riportare tutto in questa sede risulterebbe oltremodo prolisso). Ciò premesso, i lettori sono invitati a commentare e a proporre a loro volta eventuali titoli da me ignorati nello scritto, in modo tale da accrescere la completezza di questa sorta di “punto di ritrovo” - sempre soggetto ad aggiornamenti - in cui i fan più assetati di sapere possono scegliere che libri acquistare per acquisire una maggiore consapevolezza degli argomenti trattati nel blog e della letteratura esistente su di essi, che non sempre è brillante e meritevole – come tutte le cose, d'altronde. Inutile dire che la maggiorparte degli studiosi e accademici interessati ad anime, manga e otaku sia perlopiù straniera - molto probabilmente a causa della nostra equazione cartoni=bambini, un pregiudizio che soltanto recentemente sembra stia svanendo dagli ambienti culturali che contano, e al parallelo, deteriore culto dell'infanzia in voga nell'italico stivale, secondo il quale «gli unici anime che contano veramente sono quelli che vedevamo da bambini», un leit motiv abbastanza ricorrente anche nella letteratura a tema -, pertanto la conoscenza dell'inglese è obbligatoria per approcciarsi ad alcuni testi da me ritenuti fondamentali. Alla luce di ciò, tutti i libri da me citati con il titolo in inglese sono disponibili esclusivamente in inglese, mentre quelli con il titolo italiano in italiano. Dato che non conosco il giapponese (ma cercherò di provvedere a questa carenza in futuro, tempo permettendo), purtroppo in questa sede i libri scritti nella suddetta lingua verranno ignorati. Ringrazio inoltre Jacopo Mistè (autore del ben noto blog Anime Asteroid) per avermi fornito i suoi pareri inerenti tre libri da me non letti. 

sabato 2 aprile 2016

Aum Shinrikyo: considerazioni e spunti di riflessione


Quando la postmodernità arriva, lascia un grande vuoto nell'animo delle persone. C'è chi cerca di riempirlo sedandosi attraverso droghe, violenze gratuite e festini a luci rosse, oppure uccidendo - in modo premeditato e minuziosamente pianificato - una persona a martellate senza alcun motivo coerente, soltanto per provare l'emozione di torturare e di togliere la vita ad una persona innocente, come testimonia la nostra attuale cronaca giornaliera; c'è chi diventa un maniaco ossessivo-compulsivo dei social network, sempre in attesa di ricevere una notifica da parte di persone che manco conosce; c'è chi diventa un consumatore incallito che spende la maggiorparte del suo stipendio in oggetti inutili. Ma i casi più eclatatanti conseguenti alla morte delle ideologie - «gli ideali della piazza sono diventati gli ideali delle camere da letto, delle vogliuzze derivanti da passioni tristi», dice Galimberti -  non sono i suddetti casi da manuale, bensì gli attentati terroristici mossi nel cuore della civiltà "avanzata" da violente sette prodotte dal benessere e dalla mancanza di finalismo tipici della società postmoderna. Senza scomodare fatti di cronaca più recenti, mi preme approfondire il grande prototipo di questo tipo di organizzazioni, ovvero la setta otaku Aum Shinrikyo (alias "La suprema verità dell'Aum"), che nel 1995 terrorizzò il Giappone con l'epocale attentato alla metropolitana di Tokyo a base di gas Sarin. 

sabato 27 giugno 2015

Urashima Tarou: cosiderazioni e spunti di riflessione.



Spesso, nell'analizzare determinati anime e manga, capita di imbattersi in miti ed aspetti folkloristici tipici della cultura giapponese; l'appassionato, nelle sue ricerche tra  i numerosi scritti di addetti ai lavori, critici cinematografici e interviste agli autori, s'imbatte immancabilmente in un substrato culturale agli antipodi rispetto a quello occidentale. Personalmente parlando, tra le varie contamizioni culturali tipiche di questi media, una in particolare mi ha molto affascinato: il mito dell'Urashima Tarou. Sin dall'inizio del novecento (si pensi all'omonimo cortometraggio in bianco e nero del 1918), tale mito è stato una fonte d'ispirazione molto frequente per anime e manga; in particolare il regista - nonché studioso di antropologia e religioni - Mamoru Oshii ha conferito a tale racconto una personalissima valenza ermetica ed allegorica: ad esempio, il suo "Beautiful Dreamer" è a tutti gli effetti una brillante rivisitazione in chiave postmoderna del mito: una bizzarra ed onirica commistione che diventa un'allegoria rivelatrice di alcuni profondi risvolti psicologici e sociologici inerenti il Giappone postmoderno. Il racconto di Urashima compare altresì nel più recente film del regista, "The Sky Crawlers", altra metafora onirica incentrata sul dilemma dell'eterno adolescente che si dissolve nel nulla una volta "svegliato". Personalmente, trovo che le intuizioni di Oshii in merito al mito siano molto interessanti, contando anche il fatto che il grande studioso Carl Jung abbia conferito nelle sue teorie delle interpretazioni psicologiche a leggende e  usanze legate al folklore.

sabato 26 luglio 2014

Welcome to the N.H.K: Recensione

 Titolo originale: NHK ni Youkoso!
Regia: Yusuke Yamamoto
Soggetto: (basato sul fumetto originale di Tatsuhiko Takimoto & Kendi Oiwa)
Sceneggiatura: Satoru Nishizono
Character Design: Takahiko Yoshida
Musiche: Pearl Brothers
Studio: GONZO
Formato: serie televisiva di 24 episodi
Anno di trasmissione: 2006

 
Sato è un debole: ha lasciato l'università e da quattro anni non esce mai di casa. Un giorno di apatia come un altro. Mentre se ne sta disteso con lo sguardo vacuo in mezzo alla sua disordinata camera, piena di cianfrusaglie e fetenti sacchi dell'immondizia, bussa alla sua porta una testimone di Geova. Aperta la porta, a fianco della vecchia brontolona, se ne sta in disparte una ragazza esile, dai lineamenti fini e dagli occhi neri come il diamante, la quale ripara dal sole la sua pelle, bianca come il latte, proteggendosi con un apposito ombrello. Ella è Misaki, una ragazza che stranamente sa tutto di Sato, e che vorrebbe aiutarlo a uscire dalla sua condizione di hikikomori attraverso la stipulazione di un grossolano contratto, consistente nell'obbligo di partecipazione a degli incontri serali nel parco tra i due: delle vere e proprie sedute psicoanalitiche improvvisate. All'alienato Sato la provvidenza farà reincontrare anche Yamazaki, un ex compagno di liceo dal carattere forte e dai nervi molto sensibili, il quale si è trasferito a Tokyo per perseguire il suo sogno otaku: diventare uno sviluppatore di giochi erotici. Questi sono i tre protagonisti di "Welcome to the N.H.K.", quello che personalmente reputo uno degli anime più significativi e impegnati degli ultimi anni. L'opera - apparentemente superficiale, ma in realtà molto intelligente e profonda - parla della condizione dei giovani giapponesi di adesso; della società giapponese di adesso - si potrebbe generalizzare -, presentando un ritratto realistico e quanto mai preoccupante. E' l'anime che rappresenta un'intera generazione di ragazzi senza valori, senza punti di riferimento da seguire, indeboliti da una società competitiva, sfacciatamente ipocrita e consumistica; uno slice of life che offre spunti di riflessione molto ampi colpendo perfettamente nel segno, con il suo stile godibile e introspettivo.