Regia: Pier Paolo Pasolini
Soggetto: Vangelo secondo Matteo
Sceneggiatura: Pier Paolo Pasolini
Formato: film cinematografico
Anno di uscita: 1964
Difficile scrivere qualcosa su un opera del genere, sulla quale è stato detto e ridetto di tutto, sopratutto negli anni della sua uscita. Non penso che comunque Il Vangelo di Pasolini sia un film religioso (la prima versione era stata addirittura girata senza alcun miracolo), né tendente così bruscamente a una propaganda marxista tout court, come molti fanno credere. Le prime cose che ho personalmente notato, frame per frame, sono una certa ricerca del misticismo nell'ordinario, e la fotografia di un continuo senso di perdita, che culmina con la crocifissione del nostro Cristo "rivoluzionario" - di fatto l'attore che lo interpreta è un comunista catalano in lotta contro il regime franchista. Gli altri attori ovviamente sono intellettuali amici di Pasolini o ragazzi delle strade, e la regia pare quasi quella di un reportage, con intermezzi naif alternati a momenti di furore mistico/esistenziale. Le parole del Cristo, doppiato da Enrico Maria Salerno, vengono enfatizzate da primi piani intensi, e scelte con molta accuratezza dal vero e proprio Vangelo secondo Matteo. Macigni come «Non accumulate tesori su questa Terra, dove tignola e ruggine corrodono, e dove i ladri sfondano e rubano; ma accumulate per voi tesori in Cielo, dove né tignola né ruggine corrodono, e dove i ladri non sfondano e non rubano», sono veri e propri moniti anti-società dei consumi: e infatti, ben lungi dai meccanicismi del rituale religioso, con tutta la sua intensità emotiva ed intellettuale, Il Vangelo di Pasolini è oggi più attuale che mai.
Allo stesso modo degli asceti indiani, il Cristo di Pasolini è circondato da veri poveri, e gli immancabili "ragazzi delle borgate" mettono l'accento su un generale senso di "umanesimo sconfitto", che sa anche di "ritorno alle radici", di ritorno alla semplicità. Strazianti brani Gospel si alternano alla Passione secondo Matteo di Bach: sacro e profano sono due facce della stessa medaglia, e l'uno risiede in parte nell'altro e viceversa (ciò che sta sopra sta anche sotto, Ermete Trismegisto). Ciò detto, forse Pasolini voleva trasmettere un bisogno generale di "semplificazione" in un tempo storico troppo complesso e poco umano; ma anche una risposta non morale, ma ideologico-filosofica, al problema implicito dell'essere uomini: l'assistere (coscientemente) alla generale impermanenza delle cose. Ed ecco che il volto di Maria durante la crocifissione è angosciante, straziante, dacché Pasolini aveva chiesto all'attrice (sua madre) di ricordare in quella scena la morte in guerra del fratello.
Il dramma che si respira nel Vangelo è cosmico, e la lotta di classe tra farisei e discepoli del Cristo è l'attrito che va superato nella propria realizzazione (forse anche quella personale di Pasolini, che considerava l'industrialismo come un nuovo fascismo contro il quale combattere). Non per nulla, «non bisogna resistere al malvagio». Una volta che si ha la vera consapevolezza delle cose, siano esse un sistema post-industriale alienante, o i soliti problemi dell'umanesimo di tutti i tempi, sottolineando il passo del discorso sulla montagna del Cristo che riporto qui sotto, Pasolini riesce a dar(si?) una risposta per nulla formale. In particolare, questi versi a parer mio sono stati riportati nel film per il loro elevato valore sincretistico. Fondamentalmente, in ogni tempo, l'uomo deve essere uomo, non simulacro di uomo:
«Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un'ora sola alla sua vita? E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede? Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena.»
E poi vi è, come in tutte le narrazioni mistiche, il tema del distacco dal proprio ego. Il dare senza aspettarsi di ricevere alcunché. Perché «Quando fai l'elemosina, non sappia la tua sinistra cosa fa la tua destra, affinché la tua elemosina rimanga segreta E il padre tuo, che vede nel segreto, te ne darà ricompensa.» E le tentazioni, i dubbi, e tutte le altre cose comuni agli uomini (la scena del deserto, nella quale Cristo viene tentato dal Diavolo, è resa magistralmente). Non per nulla, «Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono coloro che entrano per essa. Quanto stretta è invece la porta e angusta la via che conduce alla vita! E pochi sono coloro che la trovano!» Ma in tutto questo, non vi è una rappresentazione davvero voluta dell'eternità, della ricompensa che si potrebbe ricevere in cielo. Vi è, senza alcuna necessità di credere, l'importanza di definirsi in quanto "guerrieri" che abbracciano la vita con consapevolezza, proprio come intendeva Castaneda. Ed è qui che la "rivoluzione" diventa sia spirituale che sociale.
"Difficile scrivere qualcosa su un opera del genere, sulla quale è stato detto e ridetto di tutto"
RispondiEliminaNonostante ciò ho trovato il tuo articolo semplicemente splendido e ne condivido ogni singola parola. Complimenti sinceri!
E grazie.
Grazie a te per il commento :)
EliminaVediti quello di George Stevens, e di un altro livello.
RispondiEliminaForse è troppo americano per me :)
EliminaLeggendo questo post, dove il misticismo si riduce a unanesimo nella "selflessness" (non so tradurlo efficacemente), mi viene in mente solo il finale di Ponpoko. Si dal punto di vista dei tanuki-umani (tanuki come simbolo degli umani), sia dal punto di vista degli umani veri. Vita come adattamento alle scorie e i deragliamenti della vita stessa, più o meno. Lacan per la sopravvivenza? L'intelletto umano non salva l'uomo dalla mancanza di senso dell'umano. L'intelletto è magheggio, mistificazione, al più mero palliativo. Semplicemente, la vita non si spiega. E così la morte. Amen.
RispondiElimina"La vita è semplicemente così".
Elimina(Cit.)
Una recensione che rende DAVVERO giustizia a un film da TROPPO tempo assente dalla televisione; davvero in pochi, anche oggi, sono in grado (o lo sono stati) di rendersi conto della grandezza e delle verità DURE e CRUDE di un grande come Pier Paolo Pasolini.
RispondiEliminaConcordo, Pasolini forse è stato l'ultimo vero intellettuale italiano.
EliminaAnche questo è un film che vidi da ragazzino, lo trovai carino ma nulla di che... La solita figura di cristo vagamente di sinistra, molto umano.
RispondiEliminaAnni dopo rividi quello di George Stevens di cui ti dicevo sopra... Era di un altro livello.
Alla fine si spiega anche perché le opere più intellettuali sopravvivono meglio in quest'epoca, così come sono più facilmente apprezzabili da un intelletto giovanile rispetto ad opere più sensuali e mature.
Cosi la letteratura, così il cinema, così la filosofia.